Hugo Chávez e Juan Manuel Santos ristabiliscono le relazioni tra Venezuela e Colombia



Hugo Chávez e Juan Manuel Santos ristabiliscono le relazioni tra Venezuela e Colombia

Colombia_Venezuela_restablecen_relaciones E’ fallito il piano del Pentagono e di Álvaro Uribe di ipotecare le relazioni tra il successore di questo e il Venezuela per destabilizzare il governo di Hugo Chávez e incolparlo di finanziare e proteggere “gruppi terroristi”.

Ieri a Santa Marta, in Colombia, lo stesso presidente bolivariano e il neo-presidente colombiano Juan Manuel Santos hanno infatti ristabilito normali relazioni diplomatiche dopo la rottura del 22 luglio scorso quando Uribe, a pochi giorni dalla fine del suo mandato, aveva denunciato presunti aiuti e ospitalità venezuelane alla guerriglia delle FARC.

di Gennaro Carotenuto

Sotto la gestione dell’ex presidente argentino Nestor Kirchner, segretario generale di UNASUR, l’organizzazione latinoamericana che esclude gli Stati Uniti dalla risoluzione delle crisi regionali, si è archiviata dunque l’ultima crisi costruita a tavolino da Álvaro Uribe e dal Pentagono per coinvolgere il Venezuela nella guerra colombiana e metterlo di fronte alla comunità internazionale sul banco degli imputati come “stato canaglia” che appoggia il “terrorismo”. La stessa facilità con la quale Santos e Chávez sono potuti andare oltre e ristabilire le relazioni testimonia la pretestuosità della stessa denunciata perfino da organi mainstream come il settimanale britannico “The Economist”.

Non tutto evidentemente è stato facile. I due paesi vengono da una continua crisi negli anni di Uribe e sono innumerevoli gli episodi e i temi di frizione che non si limitano certo alla guerriglia ma vanno all’uso della frontiera binazionale da parte di narcos e paramilitari colombiani (Chávez accusò Uribe di averli usati per tentare di assassinarlo e per fomentare un golpe) alla concessione di basi militari agli Stati Uniti ai fatti di Sucumbíos, quando la Colombia causò decine di vittime bombardando il territorio ecuadoriano.

Oggi le cose appaiono pronte per un nuovo inizio e il tempo ci dirà se non sono (come è ben possibile) speranze mal riposte. Di sicuro in nessun momento la delegazione colombiana, che comprendeva oltre a Santos la nuova ministro degli esteri María Angela Holguín, ha accusato Hugo Chávez di aver mai aiutato la guerriglia, come invece infinite volte aveva fatto il suo predecessore Uribe, spesso producendo prove poi rivelatesi completamente false come nel caso delle manipolazioni sul computer del guerrigliero delle FARC Raúl Reyes, fatto assassinare in territorio ecuadoriano da Uribe stesso nel citato episodio di Sucumbíos il primo marzo 2008.

D’altra parte Chávez è andato avanti con parole chiare nel chiedere alla guerriglia stessa di deporre le armi e trovare la via del dialogo al quale sarebbe oggi disposto un Santos che, giova comunque ricordare, aveva invece in passato condiviso tutte le responsabilità della guerra senza quartiere condotta dal proprio predecessore. Oggi, addirittura, i due presidenti si propongono reciprocamente di abrogare la parola “guerra” dai rispettivi dizionari e si esercitano a chi è più bravo a citare il Libertador Simón Bolívar, morto nel 1830 proprio a Santa Marta e nel museo in memoria del quale si è tenuto parte del vertice tra due delle province che un tempo facevano parte della Gran Colombia.

Inizialmente però Santos pretendeva che la guerriglia fosse definita come “terrorismo”, cosa inaccettabile per i venezuelani. In conclusione si è optato per la formula “gruppi armati al margine della legge”. E’ una definizione che, a rigor di logica, include tanto i paramilitari come i narcos. E’ una espressione, sulla quale si è insistito sia da parte di Nestor Kirchner che da parte venezuelana e infine accettata da Bogotà, che archivia la retorica vetero-bushiana e mette la Colombia e non certo il Venezuela di fronte alle proprie responsabilità.

E’ infatti di questi giorni l’ennesima denuncia delle Nazioni Unite sul contesto di sistematica violazione dei diritti umani e sull’impunità totale in epoca uribista. Delle 289.000 vittime di violazioni dei diritti umani ufficialmente registrate solo una ha ottenuto riparazioni e, delle migliaia di paramilitari teoricamente smobilitati durante il governo Uribe, appena due sono stati condannati per i loro crimini.

In merito (parziale) i due presidenti hanno stabilito una commissione bilaterale che dovrebbe farsi carico dei problemi intorno alla frontiera binazionale e in special modo della violenza e che agirà sotto gli auspici di UNASUR che una volta di più emerge come organismo che si sta sostituendo alla OSA (Organizzazione degli Stati Americani, da sempre controllato dagli Stati Uniti) nella risoluzione dei conflitti regionali.

Lo sviluppo della commissione è vista positivamente come “fatto concreto” sia dalla stampa colombiana che da quella venezuelana e degli altri paesi integrazionisti. Non ha sorpreso i più avvertiti la necessità e perfino la fretta di andare oltre Uribe da parte di Santos addirittura avendo già pronta la nomina del nuovo ambasciatore a Caracas. Per Santos, ne abbiamo reso conto lunedì e venerdì scorso, il commercio binazionale (che vale sette miliardi di dollari e l’1.5% del PIL colombiano) è oggi più importante del collaborare col Pentagono (che comunque aumenta la propria presenza militare in Colombia e l’accerchiamento del Venezuela) per destabilizzare il governo di Hugo Chávez.


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Gennaro Carotenuto per Giornalismo partecipativo
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