Da Pomigliano a Manchester



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Da Pomigliano a Manchester

Qualcuno ha scritto “meglio Marchionne della camorra”, qualcun altro “meglio la Cina (intesa come condizioni di lavoro) che niente”. Hanno ragione entrambi, come Catalano, la vecchia spalla di Renzo Arbore, che però non è passata alla storia per dire cose intelligenti.

di Gennaro Carotenuto

Chi dice “meglio Marchionne della camorra”, che vuol dire la disponibilità totale per l’impresa di questo nuovo-vecchio uomo unidimensionale, ha però anche torto se oramai, tra quest’incudine e martello, nessun colpo d’ali riesce a pensare non tanto un avvenire migliore ma addirittura un qualsiasi avvenire possibile che non sia il sopravvivere ad un immodificabile esistente.

La storia ha così percorso un nuovo cerchio concentrico e, alla “fine della storia” e a 16 anni dalla promessa di un nuovo miracolo italiano, siamo ritornati al “no future” dei Sex Pistols settantasettino.

Già a metà strada tra il ‘77 e noi, quindici anni fa, Jeremy Rifkin ed altri teorizzarono la “fine del lavoro” salariato (fordista nel caso operaio). Una profezia avveratasi nei suoi presupposti nefasti ma elusa colpevolmente dalle classi dirigenti per quanto concerneva le nuove forme di sviluppo necessarie a disegnare un XXI secolo possibile.

Ambiente, nuove fonti energetiche, tecnologia, cultura, terzo settore, non certo la camorra, avrebbero dovuto assorbire la forza lavoro novecentesca, che invece si dibatte oggi tra un infinito precariato prima della cassa integrazione che accompagna (male) ad una pensione insufficiente in un contesto dove per la maggioranza il lavoro, la piena indipendenza economica ricondotta alla capacità del tessuto familiare di sostenerti e inserirti, la semplice pulsione a consumare appaiono non più diritti ma utopie.

E’ la storia del fallimento storico di un modello di società uscito appena vent’anni fa trionfante dalla guerra fredda e soprattutto di una classe dirigente politica ed economica (a Pomigliano, in Campania, in Italia, nell’Unione Europea, nel mondo industrializzato) se oggi Marchionne e la sua abrogazione virtuale del diritto di sciopero vengano presentati come un’alternativa plausibile alla camorra. Marchionne (ammesso e non concesso che lo sia) non è l’unica alternativa possibile alla camorra ma è solo la più arcaica e regressiva delle alternative possibili. Alternative che però non sono state percorse a monte, non oggi.

I media riportano in questi giorni un sondaggio per il quale oltre la metà degli under-40 dei paesi OCSE (non delle vele di Secondigliano) non sanno di cosa vivranno quando andranno in pensione. E’ un eufemismo per dire che non vivranno, non vivremo. Vuol dire che la mia generazione e quelle che mi seguono forse non vedranno mai un giorno di espansione, di ottimismo, di diritti non conculcati ma che invece crescono e permettono di vivere meglio, da cittadini in un regime democratico. Vuol dire che i nostri genitori hanno vissuto in una breve età dell’oro che non tornerà.

Dietro l’insultante ironia antioperaia di Marchionne I il Benefattore si legge tutta la disperante ingiustizia e disuguaglianza dei nuovi “tempi moderni” chaplianiani. Non dovrebbe essere neanche posta l’alternativa tra camorra e Marchionne, tra lavoro nero e lavoro neo-schiavistico. Quando il grande statista tanzaniano Julius Nyerere minacciava che se l’Europa non si fosse comportata con giustizia con l’Africa allora l’Africa si sarebbe manifestata in Europa, era facile pensare che si riferisse ai fenomeni migratori. La presenza di immigrati del Sud nel Nord del mondo è invece solo un capro espiatorio, una spiegazione facile, alla fine della società dei diritti novecentesca. Schiere di economisti neoclassici si ostinano a liquidare una società di diritti (la stessa società di massa) come insostenibile senza preoccuparsi di rispondere alla domanda su come vivranno, come vivremo, senza lavoro oggi e senza pensione domani.

A distanza di tempo nel sottotesto di Nyerere si legge non tanto e non solo l’arrivo di persone (auspicabilmente nuovi cittadini) ma soprattutto il dilagare di rapporti di produzione premoderni e presindacali, non propriamente africani se non intesi come neo-schiavisti, cinesi se preferite, ma che sono comunque preferibili al precariato infinito e al lavoro nero. L’accordo di Pomigliano testimonia così l’avvento di una nuova modernità nella quale, per le maggioranze, l’unica forma di non esclusione possibile è tornare non al “no future” del ‘77 né al ‘67 marcusiano (per quanto possa tediare) ma ben più indietro: a quei rapporti di produzione che qualcuno studiò alla metà degli anni ‘40 a Manchester. Anni ‘40 dell’800.

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