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LA PUGLIA PER LA LEGALITA': la nostra esperienza a TARANTO
- Subject: LA PUGLIA PER LA LEGALITA': la nostra esperienza a TARANTO
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>
- Date: Sun, 15 Mar 2009 18:53:46 +0100
- Organization: PeaceLink
LA PUGLIA PER LA LEGALITA': la nostra esperienza a TARANTO di Massimo Ruggieri Se dovessimo parlare oggi in questo Paese di legalità dovremmo dire che tutto è legale, perciò non c’è niente che non vada! Dipende da quale angolo vogliamo leggere le cose… Se l’angolo è quello di un cittadino che crede ancora nell’etica e nella moralità, dovremmo parlare piuttosto di legalità distorta, in quanto al completo servizio dei potentati economici. Il legislatore è chiamato esclusivamente a produrre quanto è più funzionale al soddisfacimento dei bisogni delle grandi lobby... ad ogni costo. In questo contesto la politica si è trasformata da rappresentativa, a controparte dei cittadini; l’elettorato in protettorato utile a garantire la rielezione; e la legalità, intesa come garante della vita civile dei cittadini, in autentica utopia. A Taranto, per esempio, combattiamo da anni la battaglia che non si dovrebbe mai condurre: quella per la VITA! e paradossalmente, stando alle norme italiane, è una battaglia contro la stessa legalità! Facciamo un passo indietro per comprendere meglio la situazione: nella nostra città accade che si concentrino ben 9 industrie dichiarate ad alto grado di crisi ambientale, tali per cui Taranto si ritrova ad essere, di fatto, strangolata fra di esse: non industrie accanto ad una città, ma una città all’interno dell’industria. La più imponente di tutte è addirittura grande 3 volte la città ed è l’Ilva, il più grande siderurgico d’Europa ed uno dei più grandi del mondo, insediata negli anni 60 a pochissime centinaia di metri dal centro abitato. L’area a caldo, la più inquinante, è proprio quella più a ridosso della città, per quello che si vuol far passare come un errore di progettazione e che in realtà è stata una scelta per risparmiare i costi di realizzazione. A distanza di più di 40 anni i tarantini fanno oggi i conti con aumenti esponenziali delle patologie tumorali, cardio-vascolari e respiratorie, con un forte incremento di malattie immunologiche e malformazioni riscontrate nei feti e nei nascituri. Basti pensare che in un bimbo di 13 anni è stata diagnosticata una forma di tumore tipica di un uomo di 50 anni fumatore incallito (ne hanno parlato tutti i media nazionali – perlomeno quelli ancora in grado di poterlo fare…). Tutte sindromi riconducibili allo spaventoso inquinamento che attanaglia Taranto. Cosa accade, a fronte di ciò, sul fronte legislativo? Accade che in Italia il Testo Unico Ambientale ammette come limite alle emissioni di diossine per gli impianti siderurgici qualcosa come 10.000 ng/metro cubo, l’equivalente di 10.000 inceneritori, dunque l’Ilva e le altre industrie del tarantino che emettono questa sostanza sono perfettamente in regola: ci vorrebbero 27 Ilva per arrivare a limiti tanto sconsiderati. Nel resto del mondo i paesi più permissivi non vanno oltre il nanogrammo, tanto per rendere l’idea. Di stabilimenti di questa portata ce ne sono pochi nel nostro Paese, uno di questi è a Servola, in Friuli, ma qui la regione, probabilmente anche per le pressioni della vicina Austria, vara una legge regionale in grado di imporre limiti più restrittivi di quella italiana e Taranto resta il solo siderurgico dove questa viene applicata. Ora la Regione Puglia segue l’esempio del Friuli e vara anch’essa la sua legge definita “anti-diossina” e subito scendono in campo il Governo ed il Ministro per l’Ambiente in difesa dell’industria, manco a dirlo. Vengono distratti i fondi per le bonifiche dei siti industriali di Taranto e quelli previsti per realizzare una foresta urbana anti-inquinamento. E mentre evidenze riportate da noi ambientalisti e dall’organo scientifico regionale dell’Arpa dimostrano che i limiti previsti nella legge possono essere raggiunti e viene spiegato come e in quali tempi, un accordo istituzionale di livello nazionale confuta queste teorie senza provare il contrario. Il risultato è che la legge viene annacquata e, per fare un esempio, il monitoraggio della diossina non sarà più 24h su 24 come previsto inizialmente, ma solo per 8 ore al giorno. Solo i tarantini conoscono però le incredibili nuvole rosse che si levano quando tutti dormono in città. Ma la diossina è sì cancerogena e dunque pericolosissima per la salute dell’uomo, ma non è che l’inquinante più famoso a causa di quanto avvenne a Seveso e per la storia dei rifiuti napoletani. In sua compagnia ci sono elementi quali gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici), il mercurio, l’arsenico, il cadmio, le polveri sottili, i metalli pesanti e ogni cosa sia più deleteria per l’essere umano. Sono solo 2 anni che, grazie all’Arpa Puglia del prof. Assennato, si misurano le diossine: il risultato è che a Taranto ne vengono emesse il 92% dell’intero ammontare prodotto in Italia, l’8% di tutta la diossina europea. E parliamo solo di diossine. Per gli altri inquinanti non abbiamo che le stime fatte dalla stessa industria, dalle quali emerge una situazione drammatica. Figurarsi a condurre delle misurazioni effettive anche per questi. Allevatori, mitilicoltori e agricoltori, che sono i veri custodi del territorio sono ridotti al lastrico, ma la legge impone l’abbattimento di capi contaminati, senza prevedere sanzioni a danno di chi ne ha prodotto le cause. Intere categorie di imprenditori locali che perdono il posto di lavoro, ma ci si preoccupa di sbandierare il ricatto occupazionale solo per la grande fabbrica. Ci sono migliaia di occupati nella grande industria, è vero, ma perché renderla umanamente sostenibile deve comportare necessariamente licenziamenti? In quale paese civile del mondo si dice che è necessario morire pur di lavorare? Politici a tutti i livelli alimentano questa guerra tra poveri per tutelare gli esclusivi interessi dei profittatori. Ma anche i propri: ci sono aziende e parenti di politici locali che hanno interessi diretti all’interno dell’Ilva, saranno mica questi i posti di lavoro che stanno più a cuore a certi “rappresentanti”? Gli investimenti che Taranto chiede alimenterebbero la creazione di un indotto per la progettazione, la realizzazione e la gestione di tecnologie per l’abbattimento dell’inquinamento che, piuttosto, i posti di lavoro li creerebbe! Sono investimenti irrisori difronte ai spaventosi fatturati delle grosse industrie, introiti che sono stati realizzati anche grazie alla possibilità di poter produrre senza alcun limite, cosa che accade solo in Italia e in Pakistan. Viviamo in una città molto bella e dalle mille potenzialità, ma creare alternative di sviluppo fa temere la perdita di una serie di privilegi difficili da immaginare. Tornando allo specifico delle emissioni nocive, non solo, dunque, i tetti previsti per queste ultime sono a dir poco disumani, ma c’è anche l’impossibilità di stabilire il nesso di causalità fra le emissioni ed i suoi effetti. In realtà il nesso c’è, ed è comprovato da studi medico-scientifici, ma basterebbe anche solo l’osservazione empirica della nostra realtà a dimostrarlo: malattie e morti si registrano con maggiore intensità in prossimità delle industrie, già solo questo giustificherebbe l’applicazione del sacrosanto principio della precauzione. Ma nemmeno questo. Intanto, solo pochi anni, viene fatta chiusa l’area a caldo dello stabilimento Ilva di Genova a causa delle proteste della cittadinanza locale e si pensa bene di trasferirla integralmente all’interno di quello tarantino. Ed ancora succede che a Taranto non esista un registro tumori, succede che la magistratura ha le mani legate da leggi inauditamente permissive, succede che le condanne per chi inquina sono più esigue di quelle comminate a chi duplica un cd. Accade che il proprietario dell’Ilva abbia sul suo capo diverse condanne a carico che non sconta e accade che le istituzioni locali ritirino la propria costituzione di parte civile poco prima della sentenza di condanna per inquinamento ai danni dell’Ilva. Inutile dunque parlare di quel pur minimo risarcimento dovuto alla città e che resterebbe tuttavia un nulla dinanzi a quanto nemmeno più i soldi possono ridare. L’immoralità legalizzata si nutre di rassegnazione e poca voglia di partecipare attivamente alle decisioni che contano. Per fortuna a Taranto c’è ancora tanta gente che ha voglia di ricordarsi cosa significhi legalità.
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