Barak Obama: una nuova generazione




Una nuova generazione

Barak Obama è presidente degli Stati Uniti. E' ottimista chi si aspetta da lui una discontinuità politica reale che vada oltre il superamento pragmatico dei mille fallimenti di George Bush, ma sbaglia chi nega che si sia di fronte ad una discontinuità culturale reale e fortissima per almeno tre motivi.

di Gennaro Carotenuto

L'elezione del figlio di un migrante alla presidenza degli Stati Uniti, un migrante dalla pelle nera, ci testimonia che i muri, i confini, i pregiudizi possono e debbono essere abbattuti, che la cultura della discriminazione, della gerarchia, delle élite e del razzismo possono essere spezzate, che i soffitti di cristallo sulla testa dei migranti, delle donne, degli sfruttati, non sono eterni e possono cadere in mille pezzi.

Certo, alla rottura di una barriera va dato contenuto politico perché non rappresenti il successo personale di uno, e ad oggi e nei programmi Obama non ha proposto particolare sostanza, ma è indubbio che i discriminati e gli sfruttati da quel muro abbattuto oggi negli Stati Uniti possano trarre un motivo di speranza e di orgoglio per continuare il cammino.

E si possono mettere in cammino perché la più nefasta macchina di discriminazione, di sperequazione, discriminazione, inquinamento e ingiustizia sociale al mondo, il capitalismo neoliberale, la legge del più forte per la quale è eticamente giusto far affondare il pianeta nella precarietà, è in rotta. I neoconservatori, il fondamentalismo protestante, meno di un lustro fa ancora era convinto di avere il diritto di dominare il mondo.

Oggi George Bush passerà alla storia come il peggior presidente degli Stati Uniti, il Romolo Augustolo che ha posto fine all'era del reaganismo. E' il fallimento non solo etico dell'inefficiente oltre che criminale sistema neoliberale che noi cassandre preconizzavamo da sempre. Di nuovo Obama non profila una rottura netta con quella storia, e forse neanche una reale discontinuità, ma che l'uomo dei brogli, dei golpe, della tortura, delle guerre, dell'ignoranza al potere terminasse il suo mandato come uno sconfitto, ridicolo, impresentabile, dal quale nessuno comprerebbe un'auto usata è un segnale di ravvedimento di questo pianeta.

Il terzo motivo è che il migrante keniota di seconda generazione Barak Obama è un ragazzo del 1961, come José Luís Rodríguez Zapatero in Spagna. In Francia, ed è un conservatore, è presidente il figlio di un immigrato ungherese, Nicolas Sarkozy. In Germania è cancelliere una ragazza dell'Est, Angela Merkel di origini umili come Gordon Brown, il primo ministro inglese. In Cile una ex-esiliata politica, Michelle Bachelet, è presidente e in Argentina è presidente una donna peronista, Cristina Fernández. In Brasile un operaio, Lula da Silva, con un dito maciullato sotto un tornio sta governando il paese con lealtà verso i suoi elettori. In Bolivia è presidente un indigeno, Evo Morales il padre del quale non sarebbe neanche potuto entrare nella piazza principale di La Paz, vittima dell'apartheid come quelli del Congresso nazionale africano che oggi governano il Sud Africa. In Venezuela è presidente un meticcio dell'Orinoco, Hugo Chávez, figlio del mescolarsi secolare di generazioni di schiavi e di indigeni, le grandi maggioranze escluse che stanno cambiando il paese.

Comunque la si pensi di questi governanti sono donne e uomini di una nuova generazione, di un mondo nuovo e di un secolo nuovo. Solo in Italia governa l'uomo più ricco del paese, Silvio Berlusconi, un uomo anziano e vecchio d'idee, sessista, razzista, volgare, bugiardo, corrotto e corruttore. Solo in Italia governa, e con quali compagni di ventura, i Gasparri, i Calderoli, un mostro del passato. Il prossimo muro, per quanto alto ci appaia, lo dobbiamo abbattere noi!

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