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Controinformazione sulle multinazionali: stasera il film "The Big One" di Michael Moore su La7 (ore 21.10)
- Subject: Controinformazione sulle multinazionali: stasera il film "The Big One" di Michael Moore su La7 (ore 21.10)
- From: "Alessandro Marescotti" <a.marescotti at peacelink.it>
- Date: Tue, 12 Aug 2008 15:03:51 +0200 (CEST)
- Importance: Normal
Stasera non perdetevelo! Ecco una scheda del film tratta da http://www.cinemavvenire.it --- FILM --- Ore 21.10 su LA7 - 12/8/2008 The Big One Un meraviglioso Moore di tanti chili fa! Di Lorenzo Leone ---- Attacco, in puro stile Michael Moore, all’establishment economico americano The Big One è una sorta di backstage del tour promozionale del suo libro Downsize This. Bisogna anche aggiungere, a onor del vero, che dopo il successo planetario di Bowling for Columbine, vincitore a Cannes e agli Oscar, si stanno moltiplicando le iniziative (anche in Italia) per far conoscere le opere precedenti di Michael Moore: niente di così romantico, per carità, ma è solo un modo per far soldi utilizzando il traino del film più conosciuto; un’operazione di marketing che, di certo, non scandalizzerà neanche il buon Michael, dato che (anche) su questo ha fondato la sua fama. A tal riguardo, basti vedere come è stato presentato il suo ultimo lavoro, Fahrenheit 9/11, in concorso all’edizione 2004 della sua amata Cannes: il clamore che ha preceduto il film (giustificabile o no dall’opera, non è oggetto del mio discorso) garantirà allo stesso discussioni infinite, dunque spettatori, perché la regola è sempre la stessa: più se ne parla, anche male, meglio è. È questo, forse, il prezzo da pagare per sentire una voce che si leva contro l’establishment che governa il mondo? Dunque, questo lavoro di Michael Moore, il suo secondo documentario dopo Roger & Me e prima di Bowling for Columbine, è ancora grezzo, lontano dalla perfezione raggiunta nell’opera successiva: lo stile è quello inconfondibile del regista statunitense, un pastiche originalissimo che rende interessante ogni sua inchiesta. Qualcuno mi obietterà quanto appena detto e potrà sollevare dei dubbi sullo stile e sull’estetica dei documentari di Moore: ed io non posso far altro che confermare, ammettendo che, stilisticamente, i suoi documentari non sono affatto ben curati e, riguardo all’estetica, il risultato è molto simile ad un buon prodotto televisivo. Ciò, però, non può scalfire il valore delle opere di Moore: anzi, e mi spingo ancor più in là, proprio in questo trova la sua forza; il suo stile, a tratti arruffone, la sua intima conoscenza dei tempi televisivi (dovuta alla lunga militanza sul piccolo schermo) e il sapiente uso del montaggio fanno sì che, ogni sua opera, finisca col essere una pietra miliare della contro-informazione. E che dire della sua abilità nel mischiare generi e produzioni diverse (con un assurdo paradosso, mi arrischierei a chiamare Moore il Tarantino dei documentari): in ogni suo lavoro trovano spazio, infatti, inserti televisivi, cartoni animati, pubblicità, materiali di repertorio e fotogrammi inediti; riesce a fare tutto questo pur operando all’interno di un delicato e sui generis genere (e scusate il giro di parole) come il documentario, d’informazione per giunta. Non è assolutamente una scempiaggine ciò che dico: pur muovendosi, come detto, fra generi e produzioni diverse (e qui, e solo qui, sta il paragone con Tarantino) Moore riesce a dar nuova linfa, e visibilità, ad un genere come il documentario, altresì relegato negli oscuri anfratti festivalieri. Del resto, non è proprio questo il segreto dell’eternità, del cinema e dell’arte più in generale? Non è, forse, la "sindrome di Frankenstein" che ha permesso (e permette tuttora) l’evoluzione dell’arte? "Minacce alla cieca di un americano disarmato", questo è il sottotitolo di The Big One, il documentario di Moore targato 1998: il paladino dei diritti civili scende in campo per promuovere il suo libro, ma l’America che incontra in questo suo lungo tour è un paese smobilizzato e ridimensionato (da qui il titolo, to downsize: ridimensionare verso il basso). In ognuna delle numerosissime città visitate nel suo tour, Moore trova del marcio: aziende che licenziano i propri operai, fabbriche che spostano le proprie produzioni nei paesi sottosviluppati dove la manodopera ha un costo nettamente più basso, catene di distribuzione libraria che negano ogni attività sindacale ai loro dipendenti; insomma, l’America delle multinazionali, per garantire la "sopravvivenza" del proprio lusso, è pronta a negare la sopravvivenza della classe operaia (ammesso che esista ancora. Il bersaglio di Moore, dunque, non è George W. Bush (ancora di là dal venire) ma i boss delle grandi aziende: ed ecco che troviamo ancora il suo primo nemico, il presidente della General Motors, colpevole di aver smantellato la fabbrica che garantiva il sostentamento di Flint (nello stato del Michigan), la città di nascita di Moore (il suo primo documentario, Roger & Me, trattava proprio di questo: una sfida dal sapore western tra Roger Smith, presidente della GM, e Moore). Ma l’incontro più assurdo è quello con il presidente della Nike: il presidente, giustamente accusato d’aver spostato la produzione nei paesi del terzo mondo, come l’Indonesia, per risparmiare sulla manodopera anche a costo di far lavorare i bambini, non ritratta nessuna delle sue nefandezze, giustificandosi come neanche un bambino potrebbe fare. Alla fine del documentario sorge spontanea una domanda: ma meritiamo proprio di essere governati da tali soggetti? --- Sostieni la telematica per la pace, versa un contributo sul c.c.p. 13403746 intestato ad Associazione PeaceLink, C.P. 2009, 74100 Taranto (TA)
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