A Caracas, liberi, liberando l'America latina
- Subject: A Caracas, liberi, liberando l'America latina
- From: "Gennaro Carotenuto" <gc at gennarocarotenuto.it>
- Date: Thu, 28 Feb 2008 09:21:31 +0100
A Caracas, liberi, liberando l’America
latina Un altro piccolo passo è stato compiuto dall’umanità. Altri quattro
sequestrati dalle FARC colombiane sono stati rilasciati unilateralmente e sono
liberi a Caracas di riabbracciare i loro familiari. Sono stati liberati contro
la volontà del governo colombiano di Álvaro Uribe, che avrebbe preferito
vederli morti, e contro la logica di guerra per la guerra instaurata nel paese
da più soggetti, tra i quali il narcotraffico, i paramilitari, i governi di
Bogotà e Washington, e le stesse FARC. Sono stati liberati perché qualcosa di straordinario sta succedendo in
America latina. Per la prima volta esiste la coscienza concreta che il
conflitto colombiano, lungi dall’essere un problema “di terrorismo” (come se i
terroristi poi fossero marziani) come vogliono rappresentarlo Álvaro Uribe e
George Bush, è un problema regionale latinoamericano, l’occhio del ciclone dell’ingiustizia
e del sottosviluppo, e solo un concerto latinoamericano potrà aiutare la
Colombia a rimarginare le proprie ferite. Che piaccia o no, e a molti non piace e non lo ammetteranno, oggi il motore
di tale coscienza è l’azione tenace del presidente venezuelano Hugo Chávez. La
liberazione degli ostaggi è dovuta innanzitutto alla sua straordinaria volontà
politica di pensare che tale liberazione fosse possibile, nonostante tutti i
fattori oggettivi, a partire dalla convenienza di Uribe, la profilassero come
irraggiungibile. Ma Chávez non è un cavaliere solitario, è l’uomo del concerto,
il concerto latinoamericano che nonostante le titaniche difficoltà, interne ed
esterne, da Buenos Aires a Brasilia, da La Paz a Quito, sta disegnando un altro
continente possibile. Le notizie che giungono da Caracas sono meravigliose e terribili. Secondo
due degli ostaggi liberati, le condizioni di Ingrid Betancourt, la più famosa e
pregiata dei trofei che le FARC usano in un disegno inumano, sono
gravissime. L’immagine di Hugo Chávez che esige al capo delle FARC Manuel
Marulanda, almeno il trasferimento di Ingrid in un luogo più salubre, colgono
la drammaticità del momento. Ma come quelle della Betancourt, sono drammatiche
le condizioni di centinaia di altri ostaggi anonimi (ai quali non sono
interessate le telecamere delle TV europee) che hanno altrettanto bisogno di un
gesto umanitario. Quello stesso del quale avrebbero bisogno centinaia di guerriglieri detenuti
nelle galere uribiste. La situazione continua ad essere straordinariamente
difficile. Come ha immediatamente ribadito il ministro della difesa colombiano,
Juan Manuel Santos, per il governo di Uribe non cambia nulla e nessuna
concessione né zona demilitarizzata sarà aperta. Il regime colombiano ha un interesse immediato nella morte di Ingrid
per incolparne le FARC e poi far spegnere i riflettori sul paese. Le FARC hanno
interesse a tenerla in vita il più a lungo possibile, ma in una cattività che
la sta uccidendo. Fino a poche settimane fa la logica della guerra al terrorismo, voluta
innanzitutto da Bush e cinicamente rafforzata da Uribe per impedire che la
mediazione di Hugo Chávez e dei governi integrazionisti latinoamericani potesse
ottenere anche un minimo successo, stava facendo spegnere la speranza. Per
Ingrid e per tutti. Lo hanno denunciato in ogni occasione i familiari delle vittime, gli
organismi in difesa dei diritti umani in Colombia e la società civile di quella
parte indispensabile dell’America latina che si sono completamente dissociati
dalle manifestazioni di regime come la marcia dello scorso 4 marzo. Lo ha fatto di recente a Roma anche Yolanda Pulecio, la madre di Ingrid
Betancourt che ha usato parole asperrime contro Uribe e ha ribadito che la
mediazione di Chávez, che piaccia o no, è indispensabile. Oggi vediamo gli
abbracci di Caracas e sappiamo che lo scambio umanitario, come passo avanti
verso la pace in Colombia, non è solo necessario ed urgente ma è anche
possibile. |
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