Comm Antirazzista della FAI: Contro la schiavitù della paura



L'aggressione subita a Roma da Giovanna Reggiani è un atto orribile che
ci ripugna.
Riteniamo necessario esprimere alcune considerazioni sul dibattito
politico che è scaturito da questa tristissima vicenda e sugli atti
normativi prodotti dal governo all'indomani del fatto.
Accusato dell'omicidio è un immigrato, un rom rumeno. Le parole
d'ordine che in questi giorni rimbalzano da un organo di informazione
all'altro sono poche, semplici ed efficaci: nelle città italiane regna
l'insicurezza, l'allarme sociale ha superato i livelli di guardia, gli
immigrati costituiscono un pericolo dilagante e, tra essi, i rumeni vanno
considerati come responsabili della maggior parte dei delitti.
Conseguentemente, il Consiglio dei ministri - che già aveva approvato i
disegni di legge del Pacchetto sicurezza firmato dai ministri Amato e
Mastella - ha immediatamente convertito in decreto-legge la norma che
attribuisce ai prefetti il potere di espellere cittadini comunitari per
ragioni di pubblica sicurezza. Ciò significa che, da subito, i prefetti
potranno discrezionalmente disporre della libertà di movimento e della
vita delle persone al di là della comune cittadinanza europea
applicando una torsione del diritto in senso fortemente repressivo. Inoltre, la
dichiarata volontà - già in via di realizzazione - di abbattere tutte
le baracche degli insediamenti di Tor di Quinto dimostra che le
istituzioni preferiscono agire nell'ottica della rappresaglia e della vendetta
sommaria. Non ci si stupisca, dunque, che la manovalanza fascista
abbia già provveduto a concretizzare le parole d'odio del mondo politico
con un'aggressione squadrista perpetrata contro inermi immigrati rumeni.
Infatti, le dichiarazioni di tutti i rappresentanti politici, da destra
a sinistra, sono univoche nell'identificare nell'immigrazione rumena
un fattore di pericolo oggettivo, legittimando in questo modo l'odio e
il pregiudizio nei confronti di una precisa categoria di persone. Si
tratta dell'esito più naturale e più nefasto di una campagna
discriminatoria nei confronti dei rumeni, e in particolare dei rom, che va avanti da
mesi e che si basa sulla comoda ricerca di un capro espiatorio sul
quale scaricare ogni responsabilità per la crescente insoddisfazione e la
grave crisi sociale che attanaglia il paese.
Oggettivamente, l'inaudita violenza accaduta a Roma ha fatto quadrare
il cerchio di una maggioranza in profonda crisi politica, incapace di
sostenere il governo e più volte battuta in parlamento negli ultimi
giorni. Il governo Prodi non è in grado di gestire i conflitti di potere al
proprio interno e la migliore occasione per ricompattarsi è offerta
dall'emergenza-sicurezza, dalla possibilità di recuperare consenso
sfruttando le ansie e le paure del corpo sociale, speculando sul dolore e la
disperazione delle persone per creare un clima da guerra permanente
contro i poveri e i dannati della Terra.
Nell'efferata aggressione di Roma ci sono tutti gli elementi simbolici
e ideologici di una rappresentazione concreta delle paure
contemporanee. Da una parte, una signora della buona borghesia (moglie di un alto
graduato della Marina militare) che rientra a casa - in un quartiere
residenziale di Roma - dopo un pomeriggio trascorso in centro a far
compere. Dall'altra parte, un immigrato rumeno, zingaro, con precedenti
penali, assolutamente ai margini della società del benessere, che vive in una
delle innumerevoli baracche che circondano quella zona della città.
L'aggressione è brutale, distruttiva e omicida. Vittima e carnefice
diventano così metafore di una lettura ideologica della nostra società e
delle relazioni tra italiani e stranieri, tra ricchi e poveri, tra inclusi
ed esclusi. Al cospetto del potere ci sono sempre due pesi e due
misure nel valutare la pericolosità sociale di gruppi e individui: non ci
risulta, infatti, che si invochino punizioni esemplari per i numerosi
italiani che commettono, da sempre, violenze tra le mura domestiche o per
i padroni italiani che sfruttano e lasciano morire i lavoratori nei
campi o nei cantieri. Ma se a delinquere è un immigrato: la caccia è
aperta!
Nelle parole dei politici che invocano più repressione nei confronti
degli immigrati non c'è alcun accenno alle cause profonde che stanno a
fondamento della disperazione e del degrado morale e materiale che
soffocano fasce sempre più ampie della popolazione. Noi crediamo fermamente
che povertà ed emarginazione non sono caratteristiche di questa o quella
nazionalità, ma sono frutto dell'organizzazione sociale gerarchica di
cui si servono le istituzioni politiche ed economiche per garantire la
propria esistenza e mantenere un'intollerabile disuguaglianza
nell'accesso alle risorse.
I delitti più efferati non hanno né colore né etnia. Al di là della
provenienza dei protagonisti, quella di Roma è stata un'aggressione fisica
ai danni di una donna. La violenza sulle donne continua a essere una
pratica vergognosamente diffusa, che attraversa tutte le classi sociali
e tutti i contesti culturali, e che si fonda sull'impostazione
patriarcale e maschilista che domina le relazioni tra i sessi, in ogni angolo
del pianeta. Un'impostazione che è intimamente gerarchica e che nessuna
élite di potere intende mettere davvero in discussione.
È ormai imprescindibile vigilare e attivarsi per contrastare lo
sviluppo di espressioni e posizioni razziste e giustizialiste nei confronti
dei rom e di ogni altra minoranza immigrata in Italia riportando il
merito del dibattito pubblico sulle questioni realmente emergenziali che
riguardano la vita di tutti: la necessità di difendere i diritti
fondamentali per tutti, di riconquistare terreno nelle lotte per la giustizia
sociale e per la libertà di espressione, contro gli abusi e le ingerenze
del potere politico ed economico sulla vita di ciascuno.
L'amarezza e la rabbia per singoli episodi di cronaca particolarmente
odiosi non possono e non devono diventare il parametro di relazione tra
gruppi e individui all'interno della società.
Cedere il passo alla paura e al sospetto significherebbe lasciare campo
libero alla definitiva involuzione totalitaria della democrazia
italiana le cui istituzioni lavorano da tempo, e concretamente, alla
creazione di una società sempre più schiava delle sue paure.


Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana -
FAI
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