Il dollaro brucia
- Subject: Il dollaro brucia
- From: "Gennaro Carotenuto" <gc at gennarocarotenuto.it>
- Date: Sat, 22 Sep 2007 11:34:36 +0200
Il dollaro brucia E se fossimo alla fine dell'era del dollaro? E se fosse necessaria
una nuova Bretton Woods per un'uscita non traumatica dal predominio del
dollaro? I paesi petroliferi amici degli Stati Uniti, a cominciare dai sauditi, hanno
gradito ben poco, anzi per niente, la decisione della FED sul taglio dei tassi
che ha fatto svalutare pesantemente il dollaro. La banca centrale saudita se
n'è apertamente svincolata rifiutando di tagliare i propri tassi. Perché
dovremmo farci pagare in una moneta sempre più deprezzata, è la domanda alla
quale sempre più economisti rispondono: nessuna. Se la FED continua a far
andare il dollaro in caduta libera, c'è un limite al farci pagare con carta
straccia. Ci vogliono un dollaro e 41 centesimi per comprare un Euro. Appena
nel febbraio di 5 anni fa bastavano 87 centesimi. Il dollaro brucia, ed è una
notizia molto preoccupante. Molto preoccupante per più motivi. Innanzitutto per l'Unione Europea. Questa si è costruita un mercato
interno da 350 milioni di persone, per poi puntare tutto (per una scellerata
scelta ideologica neoliberale) sulla relazione con Cina e Stati Uniti, svilendo
molti dei vantaggi che da quel mercato interno potevano derivare. Commerciare
con i nostri partner storici, la Germania innanzitutto, con il dollaro più o
meno debole è indifferente, ma competere (forse bisognerebbe ridefinire questa
sinonimia esasperata tra commerciare e competere) con Cina e Stati Uniti
significa legarsi a doppio filo al destino del dollaro e obbligarsi a
sostenerlo continuamente. Come si può competere (noi italiani ci abbiamo costruito il nostro miracolo
quasi mezzo secolo fa) con un dollaro che vale pochissimo e con la macchina
produttiva statunitense (intatta ed enorme, ovviamente) che funziona a tutto
vapore e oliata dal favore di una moneta debole? Allo stato attuale la BCE e la
FED giocano una commedia nella quale la FED scappa al ribasso, si fa quasi raggiungere
(a costi enormi per la BCE), poi riscappa. Ovviamente in molti tentano di correre ai ripari. Proprio ieri a Manaus in
Amazzona, Lula da Silva e Hugo Chávez (con il contemporaneo assenso di Nestor
Kirchner e Rafael Correa da Buenos Aires) hanno confermato che il Banco del Sud
vedrà la luce. Ma il problema per gli Stati Uniti è enorme. Nel più catastrofico degli
scenari, l'economia statunitense perderebbe 800 miliardi di dollari l'anno
dalla fine del dollaro come moneta di riferimento. Nell'improbabile scenario
"atomico", la vendita cinese di una parte consistente dei 900
miliardi di dollari posseduti come riserva da quel paese, per gli SU, che sul
potere del dollaro come moneta di riferimento fondano la loro capacità di
vivere al di sopra delle loro possibilità e finanziare il loro enorme passivo,
sarebbe la bancarotta. E' uno scenario altamente improbabile, perché lo
sviluppo cinese è legato a doppio filo alla sinergia con il dollaro. Il Banco
Centrale Cinese, come del resto la BCE, prenderebbero una decisione molto
grave, per le loro stesse economie innanzitutto, se decidessero di smettere di
sostenere il corso del dollaro che oggi sembra interessare loro più di quanto
non interessi alla stessa FED che per il caso dei mutui si è mosso sul tasso di
sconto senza alcuna considerazione per le ripercussioni internazionali, come il
clamoroso NO saudita dimostra. Gli Stati Uniti dimostrano continuamente di muoversi da impero senza
poterselo più permettere. Al di là di scorciatoie belliche che i fondamentalisti
protestanti al potere in quel paese hanno nel loro DNA, non sarebbe necessaria
una nuova Bretton Woods che ridisegni completamente i nuovi equilibri monetari
mondiali, pensando ad una uscita soft e non traumatica dal predominio del
dollaro sull'economia mondiale? Al momento non è all'ordine del giorno, perché sarebbe la presa d'atto del
fallimento finanziario prima ancora che etico del modello neoliberale di
globalizzazione. Aspettiamoci traumi. Se
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