Un'analisi critica del servizio sanitario pugliese. Intervento del dott. Portaluri



AL SERVIZIO SANITARIO PUGLIESE SERVE UNO SCOSSONE.

Il sistema sanitario pugliese è in affanno. Lo dicono i numeri prima
ancora dei cittadini che ne fanno ricorso. Cerco di leggere il DIEF, il
documento che ogni anno divide la torta del finanziamento del SSR tra le
aziende sanitarie. La mobilità passiva è salita nel 2006 a 235 milioni di
euro rispetto ai 163 dell’ultima rilevazione. 400 milioni il deficit 2006.

Qualche giorno fa ho dovuto inviare a curarsi fuori regione un uomo con un
tumore raro della coscia perché in Puglia non si è mai pensato di formare
un gruppo di ortopedici dedicati all’oncologia, neppure nell’Istituto
Tumori che dirigo. E tante altre cose non facciamo perchè alla
registrazione della mobilità passiva non segue una programmazione
risolutiva. I professionisti, quando non sono guidati da una
programmazione, fanno e chiedono di fare ciò che a loro più piace o ciò
che a loro torna più utile.

Così non va!

Eppure il finanziamento al servizio sanitario regionale è cresciuto negli
ultimi anni del 25%, dai 5 miliardi del 2003 ai 6,2 del 2007, di quasi 400
milioni solo nell’ultimo anno (+6.5%). Ma questo aumento in parte è stato
“rosicchiato” dai 235 milioni di mobilità passiva, circa 70 in più
rispetto all’ultima rilevazione. Raddoppia, da 235 a 476 milioni, la quota
non assegnata alle ASL e gestita direttamente dall’assessorato alla
salute, all’interno della quale  trovano spazio una miriade di progetti,
del cui impatto, prodotto negli anni, sulla qualità del servizio nulla si
sa.

L’unico dato certo è la crescita costante della mobilità passiva. Tra
queste attività centrali colpisce la spesa per le case protette che passa
da 19 milioni nel 2006 a 33 milioni nel 2007. Una spesa che mi chiedo se
non si sarebbe potuto in parte indirizzare verso l’assistenza domiciliare,
questa grande sconosciuta della nostra sanità, considerato anche che le
ASL non possono assumere personale per effetto delle limitazioni imposte
dalle ultime finanziarie di centro destra e di centro sinistra.

Quanto nel 2007 viene assegnato alle ASL, le vere responsabili
dell’erogazione dei servizi, si riduce dell’1% mentre aumenta del 2.5 % la
quota assegnata ad aziende ospedaliere, enti ecclesiatici e istituti di
ricovero e cura a carattere scientifico. Ma tra queste ultime istituzioni
non si fanno parti uguali. L’ospedale di Castellaneta perde l’8% rispetto
all’anno precedente, San Giovanni Rotondo guadagna il 3,7%, cioè 8 milioni
di euro, l’Oncologico appena un milione di euro, il Miulli 3 milioni e
l’ospedale di Tricase 4 milioni e mezzo. Non capisco la logica di questa
ripartizione.

In definitiva, l’incremento di finanziamento nazionale, circa 400 milioni,
viene assorbito dall’aumento della spesa per coloro che si curano fuori
regione, dai maggiori finanziamenti agli enti ecclesiastici e da una
maggiore quota gestita direttamente dall’assessorato competente.
Questi sono i numeri! Poi ci sono le difficoltà denunciate dagli operatori
dedicati al servizio pubblico. Non si riesce ad utilizzare a pieno le sale
operatorie nei nostri ospedali per carenza di operatori. Alcuni ne
mancano, alcuni non si possono spostare da un ospedale all’altro per
benefici o privilegi. Un quarto degli infermieri non fa l’infermiere! I
dipendenti amministrativi sono circa il 10% degli organici, una
percentuale congrua, ma spostarli secondo le esigenze reali è molto
difficile, quasi impossibile.
Intanto i sindaci reclamano la riapertura di reparti inutili in
ospedaletti fatiscenti sotto la spinta di operatori che vogliono
conservare vicino casa comodità, potere e possibilità di carriera. Non
sono buone motivazioni per impiegare denaro pubblico!

I pugliesi come i meridionali in genere  pagano più degli altri italiani
le cure di tasca propria. Sono di più in Puglia le famiglie povere in base
ai consumi (24% nel 2004 contro 11.5% Italia), sono di più quelle che
impoveriscono per spese sanitarie (2,3% contro 1,3%) e quelle che
sostengono spese catastrofiche (7% contro 4,2%). Farmaceutica, disabilità
e visite specialistiche sono i motivi principali di esborso diretto da
parte delle famiglie (Dati CEIS Sanità 2006). Bene si è fatto quindi ad
allargare nel 2005 il beneficio dell’abolizione del ticket farmaceutico,
ma come si tiene conto delle condizioni di povertà all’interno della
regione quando si distribuiscono le risorse tra le varie ASL?

L’Emilia Romagna destina nel 2007 30 milioni all’innovazione. Quale è il
piano regionale in Puglia per le macchine pesanti (TAC, RM, PET-TAC.
Radioterapia), per l’informatizzazione dell’attività clinica e per la
ricerca?

Credo che sia giunto il momento di svegliarsi, gli slogan non bastano più.

Bisogna chiudere i piccoli ospedali, sostituirli con ambulatori generali e
specialistici, attrezzare adeguatamente i grandi ospedali, formare medici
e infermieri nelle attività in cui siamo carenti. Si è perso già molto
tempo prezioso.

Maurizio Portaluri
Direttore Generale
Istituto Tumori di Bari

6 settembre 2007


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