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Reporter senza Frontiere:
"sì alla tortura"
La notizia è scioccante anche per chi per anni ha denunciato
le sospette attività di Reporter senza Frontiere e del Boss di questa
organizzazione, Robert Ménard. Questi, in una trasmissione alla radio francese
ha legittimato e rivendicato l'uso della tortura.
Di Gennaro
Carotenuto
Il capo di Reporter Senza Frontiere, Robert Ménard (la denuncia è stata
rilanciata in Italia da Franco Carlini de Il Manifesto), in un'emissione di France
Culture, l'audio della quale è disponibile a questo indirizzo legittima l'uso della
tortura. Lo fa con gli argomenti tipici usati dai grandi torturatori della
storia, i Videla, i Pinochet: «Se avessero preso in ostaggio mia figlia, non ci
sarebbe stato limite alcuno, ve lo dico e ve lo ripeto, all’uso della
tortura». Con "limite alcuno" Ménard intende proprio nessuno,
includendo la cattura e la tortura di familiari innocenti di presunti
terroristi.
Quanto difende Ménard è infatti quello che in Algeria fecero centinaia di volte
i francesi e poi ripeterono migliaia di volte le dittature latinoamericane i
torturatori delle quali, come è noto, furono addestrati sì dagli Stati Uniti,
ma sulla base delle tecniche sperimentate dai francesi in Algeria e Indocina.
Per essere ancora più chiaro e non lasciare adito a dubbi su quello che
intende, Ménard cita il caso di Daniel Pearl, il giornalista del Wall Street
Journal, sequestrato e assassinato in Pakistan. Per liberarlo in tempo, la
dittatura amica di Pervez Musharraf -lo ricorda Carlini- arrestò e torturò i
familiari dei presunti rapitori. La conclusione è nota. Con rara vigliaccheria
Ménard, per sostenere la sua tesi si nasconde dietro la vedova Pearl, che
secondo lui difenderebbe l'uso della tortura da parte della polizia di
Musharraf, nel vano tentativo di salvare il marito.
E qui sta il punto. Ménard, nell'affanno di creare un'impalcatura ideologica
per difendere Guantánamo e Abu Grajib, finge di dimenticare che saltare il
fosso della disumanità rende solo altrettanto disumani. In Guatemala i manuali
insegnavano a cavare gli occhi dei bambini davanti ai padri per farli parlare.
In Pakistan, come ad Abu Grajib in Iraq, giustificandosi con che fosse per una
causa nobile, usavano gli stessi manuali.
Ma il povero Pearl fu comunque barbaramente assassinato, gli algerini, come gli
indocinesi, riuscirono a liberare i loro paesi e i torturatori latinoamericani
non sanno più dove nascondersi, come testimonia l'ergastolo di ieri a Hugo
Salas Wenzer che abbiamo qui riportato.
Il discusso Ménard, due anni fa ammise di accettare soldi dalla CIA per fare in
modo che la sua organizzazione, RSF (alla quale collaborano ingenuamente
centinaia di volontari) risulti particolarmente sollecita a denunciare (e a
volte a ritoccare la verità) le persecuzioni della stampa in paesi considerati
nemici da chi paga. E allo stesso tempo accetta soldi perché RSF stia in
silenzio, o parli in maniera strumentale, quando le violazioni alla libertà
d'espressione sono commesse dagli Stati Uniti o da paesi alleati di questi.
Quando Ménard afferma testualmente: "non è più una questione di idee o di
principi, ma di guerra" ha passato il Rubicone del sistema ideologico
della guerra al terrorismo, della negazione, a partire dall' "habeas
corpus", dei diritti fondamentali dell'individuo. Ménard è oggi solo un
ingranaggio del partito della guerra, del neoconservatorismo duro e puro dei
Donald Rumsfeld, dei Dick Cheney e degli Alberto Gonzalez. Gli uomini di RSF in
Italia, gli Alessandro Oppes, i Mimmo Candito, sono contro la tortura o stanno
con Ménard? E tempo che chi costruisce la propria autorevolezza anche in quanto
membro di un'organizzazione come RSF dica da che parta sta: con Ménard e i
torturatori o per i diritti umani.
E anche quelle centinaia di volontari che credono che Reporter Senza Frontiere
sia un'organizzazione indipendente che lavora per la libertà d'espressione, che
la considerano addirittura progressista, devono scegliere tra la complicità e
l'aprire gli occhi e chiedere conto ai dirigenti del loro operato.
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