George Bush e il
revisionismo revanscista sul Vietnam
"Il prezzo della ritirata
degli Stati Uniti dal Vietnam fu pagato da milioni di innocenti". Su
queste basi, George Bush, parlando nello stato del Missouri davanti a un
pubblico di ex-militari, ha impostato i motivi del perché l'esercito degli
Stati Uniti deve continuare a restare in Iraq, nonostante l'evidenza del
fallimento di ogni prospettiva di stabilizzazione nel paese mediorientale, a
quattro anni e mezzo dall’invasione del 2003. E' la prima volta che Bush
collega direttamente il Vietnam con l'Iraq, ma soprattutto è la prima volta da
tempo immemorabile che qualcuno faccia propria, sia pure con una
circonlocuzione, la stravagante tesi che il ritiro dal Vietnam fu un errore.
di Gennaro Carotenuto
George Bush toccando la corda vietnamita parla innanzitutto da revanscista. E'
mancato solo che additasse il fiacco nemico interno pacifista e agitasse miti
da "vittoria mutilata". Bush non parla più semplicemente da uomo di
estrema destra, che ha visto crollare in pezzi la tragica pretesa
neoconservatrice di imporre, armi in pugno, la volontà delle élite protestanti
statunitensi sul pianeta. Parla da revanscista; se avesse un po’ più di
cultura userebbe toni dannunziani e se avesse un po’ più di coraggio
volerebbe su Hanoi lanciando volantini. Ma, soprattutto, George Bush parla da
improvvisato revisionista storico. Sono conosciuti i guasti del revisionismo
storico fondato sui malumori e non sulle carte. Di per sé l’autorità
della carica di presidente degli Stati Uniti d’America provocherà il
guasto dell’aprire un insulso dibattito sul tema. Dico aprire e non
riaprire perché la lettura condivisa di tutti gli storici statunitensi è che
l'intera guerra del Vietnam fu un errore (o un crimine) dall'inizio alla fine.
E non ci sono fatti nuovi, carte nuove, testimonianze nuove; c’è solo la
volontà di Bush di torcere il braccio alla storia.
E' bene pertanto rimettere le cose in chiaro di fronte al revisionismo storico
di George Bush. Non furono gli Stati Uniti a ritirarsi, ma i vietnamiti ad
espellerli dal loro territorio dopo trent'anni di guerra di liberazione, prima
contro il colonialismo francese, quindi contro il fraterno aiuto statunitense.
L'esercito degli Stati Uniti in Vietnam fu sconfitto militarmente nonostante
avesse usato così tanta violenza da ammazzare due milioni di vietnamiti (contro
appena 58.000 caduti vietnamiti) e nonostante che oggi, dopo 32 anni, decine di
migliaia di vietnamiti convivano con malattie e malformazioni derivate dagli
erbicidi all'agente arancio sparsi su villaggi e foreste dall'esercito
statunitense liberatore, per stanare il nemico. Questo non fu stanato,
resistette e sconfisse l'occupante costringendolo ad una ignominiosa fuga.
E’ un conosciuto riflesso tolemaico che mette l’Occidente al centro
dell’universo e che non fa succedere nulla senza che l’occidente
voglia. E invece in Vietnam successe. Gli Stati Uniti non volevano ritirarsi,
ma furono costretti a farlo.
Ma il revisionismo bushiano si spinge oltre. Secondo il presidente
statunitense, colui che dichiarò che gli “Stati Uniti resteranno in Iraq
anche se ad appoggiarmi restassero solo mia moglie Laura e il mio cane
Barney”, anche la tragedia della Cambogia sarebbe stata causata dalla
ritirata statunitense. Fa finta di non sapere (o forse davvero non lo sa, ma
questo non lo scusa) che anche in questo caso gli storici dimostrano che non ci
fu alcun rapporto di causa-effetto tra i massacri dei Khmer rossi e il ritiro
statunitense. Anzi, furono gli Stati Uniti ad estendere il conflitto alla
Cambogia nel ’70 e fu il Vietnam liberato a invadere la Cambogia e metter
fine allo sterminio.
Bush vende fumo perché non sa più cosa fare in Iraq. Nel giro di 24 ore ieri ha
ritirato e poi riconcesso fiducia ad Al Maliki, il primo ministro iracheno che
lo sta palesemente utilizzando per raggiungere i propri scopi, non viceversa.
Ma il Nerone texano non ha di meglio. L'unica idea chiara è che non vuole
essere lui a ritirarsi. Lascerà l’onta al suo successore. Il presidente
di guerra, il comandante in capo della (presunta) missione compiuta, non ha il
coraggio né la dignità per prendere atto della tragedia causata dal suo delirio
volontarista. E per questo evoca il fantasma del Vietnam. Un’altra
sconfitta.
PS Non posso non citare nuovamente il mio amico trovatore Quintín Cabrera:
“In nome della democrazia /soggiogarono e mentirono
/giustiziarono, uccisero / bombardarono, sottomisero / Per questo e per molto
di più / la cosa della quale lo Yankee ha più bisogno / è di una dose ancora
più forte / di bastonatura vietnamita"
http://www.gennarocarotenuto.it
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