Nigeria, liberati i tecnici italiani. Il MEND: "Abbiamo mostrato a tutti i crimini dell'ENI, le compagnie hanno la coscienza sporca"



Grande sollievo, fra poco saranno a casa.

Sono infatti liberi da stanotte i due tecnici italiani dell'Eni sequestrati da guerriglieri nel delta del Niger: Francesco Arena e Cosma Russo. Erano stati rapiti il 7 dicembre scorso assieme al collega Roberto Dieghi (poi liberato il 18 gennaio) e al tecnico libanese Imad Saliba, liberato il 21 febbraio.

PeaceLink - assieme ad Alex Zanotelli e a varie associazioni - aveva lanciato un appello per la loro liberazione.

Si era fatto ciò sottolineando però le gravi condizioni di abbrutimento e di inquinamento imposte dalle multinazionali in Nigeria, non esclusa l'ENI.

Si veda http://italy.peacelink.org/editoriale/articles/art_19928.html

In queste ore si è mandata in onda in TV un'informazione abbastanza censurata in cui del MEND e delle ragioni dei nigeriani non è stata fatta praticamente menzione.

Ma non è mancato invece il commento dell'ENI per bocca di Scaroni, a dimostrazione di come vengono trattati e maltrattati i nostri neuroni.

I tenici petroliferi che sono avvicinati dai giornalisti hanno paura di parlare liberamente e chiedono il più stretto anonimato: "Se sanno che incontriamo i giornalisti siamo finiti rischiamo il licenziamento".

Questo ci riferisce Alberizzi del Corriere della Sera.

Compensiamo l'omertà e la censura con un po' di informazioni.


A. M. - www.peacelink.it

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15 mar 09:01  Nigeria: Mend, "Prenderemo altri ostaggi"

ROMA - Il Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger annuncia che
verranno sequestrati "nuovi ostaggi prelevati da installazioni petrolifere'' dopo il rilascio di Francesco Arena e Cosma Russo. Il Mend fa sapere che i due tecnici italiani dell'Eni sono stati rapiti "per portare all'attenzione del popolo italiano i crimini commessi dall'Agip nel Delta del Niger''.
(Agr)

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Massimo A. Alberizzi: «Liberati i due italiani rapiti in Nigeria» News del 15-03-2007

I guerriglieri se ne sono andati sulle loro quattro barche, finalmente
liberi; *Francesco Arena* si tiene su i pantaloni con le mani, la cintura l'ha regalata a uno dei suoi carcerieri, come promesso: «Ci hanno trattato bene, in fondo le loro ragioni sono comprensibili».

Eccoli, gli ultimi due ostaggi italiani sequestrati in Nigeria. Barbe
lunghe, gli stessi vestiti che indossavano quando furono rapiti più di 4
mesi fa. Ridono. Sono in buone condizioni. Notte fonda sul pontile della *Saipem*, aspettando un passaggio verso la terra ferma.

Finalmente liberi: «Alla partenza lo stregone del gruppo ci ha persino
benedetto con whiskey e amuleti ju-ju».
Dopo 98 giorni di prigionia il guerriglieri nigeriani del *Mend* (Movement for the Emancipation of the Niger-Delta) hanno liberato Cosma *"Mimmo" Russo* e Francesco Arena, i due ostaggi italiani, tecnici dell'*Eni*, catturati il 7 dicembre al terminale petrolifero di Brass, in Nigeria.

Non hanno ancora chiamato casa. Fine di un incubo. I guerriglieri del
*Mend*hanno rilasciato Cosma «Mimmo» Russo e Francesco Arena, i due
tecnici dell'Eni catturati il 7 dicembre al terminale petrolifero di Brass con altri due colleghi. Sono stati consegnati all'inviato del Corriere della Sera, invitato dai ribelli in uno dei numerosi rami del delta del Niger dove hanno una base, dopo un'ora di viaggio in barca nell'intrico dei canali.
«Abbiamo mangiato riso, il trattamento è stato decente, anche se vivere
nella foresta è duro» hanno detto Russo e Arena subito dopo il rilascio
avvenuto ieri notte (alla presenza dell'agenzia Reuters e dell'inviato del programma tv «Le Iene»).

Tutti a casa, finalmente. Il sette gennaio era stato liberato Roberto Dieghi mentre il 21 febbraio il libanese Imad Saliba era riuscito a scappare, dopo che qualcuno aveva corrotto le guardie pagando poco meno di 180 mila euro. Adesso è il turno di Francesco e Mimmo. «Non abbiamo mai avuto una grande paura. Peccato che sia durata così tanto».

Durante il rilascio è andato tutto liscio. Neanche l'ombra di soldati
nigeriani. Nessuno scontro a fuoco. Eppure il rischio c'era: verso la fine del viaggio di ritorno, i guerriglieri hanno spostato verso l'esterno i barconi con le mitragliatrici pronte a sparare.
La partenza nel campo della prigionia è stato un addio. Grida di guerra,
saluti, raffiche in aria, tutti uomini (le femmine di ogni specie sono
proibite al campo, «pure le galline — ridacchia Arena —. Intorno c'erano
solo galli»). Infine la benedizione dello stregone che ha sparso whiskey e amuleti sulle nostre teste. E la corsa sulle lance: sette uomini per ognuna delle quattro barche.

La liberazione di Russo e di Arena era stata annunciata lunedì mattina al *Corriere* da *Jomo Gbomo*, il portavoce del *Mend*, (Movement for the Emancipation of the Niger-Delta), con una mail nella quale veniva spiegato con chiarezza che i due ci sarebbero stati consegnati. «Per favore — c'era scritto nel messaggio — tieni la notizia riservata e portali alla sede della Saipem a Port Harcourt. Mi raccomando — aveva aggiunto Jomo, certamente un nome di battaglia — non all'Agip con cui non vogliamo avere alcuna relazione, ma alla Saipem». Pochi giorni prima, in un'altra mail aveva avvisato che tutto era pronto, ma solo per la liberazione di uno degli ostaggi: «Da questo istante ogni momento è buono per la liberazione di Russo. Ma attenzione: l'esercito nigeriano sta attaccando le nostre posizioni e sappiamo che vuole colpirci».

Effettivamente da qualche giorno elicotteri da combattimento si alzano in cielo dall'aeroporto di Port Harcourt, la capitale nigeriana del petrolio, intorno alla quale si concentrano i ribelli. Martedì i militari con una rapida azione hanno liberato un gruppo di slavi prigionieri da qualche settimana.

I tre italiani, che lavorano per l'*Agip* e il loro compagno libanese, erano stati rapiti il 7 dicembre da un commando con un'azione spettacolare al terminale petrolifero di Brass, nello Stato meridionale di Bayelsa, sul delta del Niger, dove ogni giorno sono imbarcati 200 mila barili di greggio.
Un gruppo di miliziani armati aveva attaccato la base petrolifera.
I soldati e i poliziotti del *Mopol* (agenti dello Stato ma pagati dalle
compagnie petrolifere) si erano lanciati all'inseguimento degli assalitori lasciando sguarnite le loro posizioni. Era una trappola.

Mentre militari e agenti erano impegnati fuori dalla base, un altro gruppo di ribelli è arrivato dal mare. Dopo aver attraccato al molo, il commando è penetrato negli alloggi e si era ritirato portando via i quattro ostaggi. Mentre Russo, *Dieghi* e *Imad*, lavorano per ditte subappaltatrici dell'*Agip*, Francesco Arena è un diretto dipendente della società petrolifera, capo dell'équipe che lavora al terminale di Brass.
La scorsa settimana, quando Jomo ha spiegato che non sarebbe stato liberato,
si è temuto che il Mend volesse in questo modo esercitare una pressione
sull'Eni, in vista anche delle elezioni presidenziali, il cui primo turno è previsto per metà aprile.

La situazione nel delta del Niger si sta deteriorando sempre più. Gli
espatriati hanno paura di essere rapiti, mentre le gang si affrontano in
battaglie campali che ogni giorno fanno morti e feriti. Gli stranieri hanno paura di parlare liberamente e chiedono il più stretto anonimato: "Se sanno che incontriamo i giornalisti siamo finiti — spiega un tecnico del petrolio —, rischiamo il licenziamento".

Perché questo riserbo?

Perché la compagnie hanno la coscienza sporca e sanno che il malcontento che serpeggia tra la popolazione potrebbe trasformarsi in attacchi indiscriminati contro gli impianti, le strutture civili ma anche contro il personale».
La Nigeria è un Paese che galleggia sul petrolio.

Con seicento campi, 5284 pozzi, 700 chilometri di oleodotti, dieci terminali di carico, 275 stazioni di pompaggio, 10 impianti liquefazione gas, quattro raffinerie.
Sul pontile, mentre aspettiamo l'arrivo degli uomini della *Spaipem*,
chiediamo a Francesco e a Mimmo se torneranno mai in Nigeria. «Se ci sarà un po' di pace e di giustizia, torneremo».

*Corriere della Sera, 15 marzo 2007, Massimo A. Alberizzi*