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Dalla Nigeria: «Vogliamo scuole non riscatti»
- Subject: Dalla Nigeria: «Vogliamo scuole non riscatti»
- From: a.marescotti at peacelink.it
- Date: Sun, 7 Jan 2007 23:02:39 +0100 (CET)
- Importance: Normal
Ci sono già arrivate via email le prime adesioni all'appello lanciato due ore fa da padre Alex Zanotelli per la liberazione dei tecnici rapiti in Nigeria dal Mend: LIBERARE GLI OSTAGGI, DISINQUINARE I NIGERIANI http://italy.peacelink.org/ecologia/articles/art_19928.html Sono le adesioni di Enrico Peyretti (Movimento Nonviolento/MIR, Torino), Etta Ragusa (Casa per la Pace, Grottaglie), Bruno Fini(Associazione per la Pace Verona), Bruno Giaccone (Pastore Metodista). Chi vorrà aderire apporrà pubblicamente la propria firma sotto l'appello (scrivere a volontari at peacelink.it). E' importante notare che il governo italiano "fa finta" di trattare, come documenta il Corriere della Sera, per tranquillizzare le famiglie. In realtà sia l'ENI (di cui fa parte l'Agip) sia la Farnesina eludono il problema politico: «Vogliamo scuole non riscatti», fanno sapere i guerriglieri del Mend. Massimo D'Alema, ministro degli Esteri, non ha fino a ora rilasciato dichiarazioni sui tecnici rapiti. Sul sito del Ministero degli Affari Esteri la questione è tenuta in sordina e l'unica pagina web rintracciabile parla di un incontro alla Farnesina del 21 dicembre in cui i familiari hanno espresso (o hanno dovuto esprimere?) "fiducia" nell'azione delle autorità italiane e anche "nei confronti delle Autorità nigeriane". Le "Autorità" che la Farnesina scrive con la A maiuscola sono quelle che Amnesty International classifica nella sua lista nera per le violazioni sistematiche dei diritti umani (si veda la scheda di Amnesty in appendice a questo messaggio). La Farnesina parla di "recrudescenza delle violenze" nel sud della Nigeria senza spiegare il perché e senza citare le violenze delle Autorità... Ecco qui sotto allora un recente pezzo del Corriere della Sera e la scheda di Amnesty. ---- Nigeria. Il Mend: «Vogliamo scuole non riscatti» Il leader del Mend, Jomo Gbomo, aveva già sottolineato in parecchi messaggi inviati al Corriere della Sera: «Se l’Agip tenterà di usare altri mezzi per cercare di liberare gli ostaggi, metterà a rischio la loro incolumità; non tentate di servirvi di gente che si spaccia per negoziatori, né di corrompere le nostre guardie, altrimenti saranno guai». Jomo, probabilmente un nome di battaglia, aveva anche minacciato di far fuori gli ostaggi se qualcuno avesse tentato di liberarli con la forza. E aveva poi aggiunto in un messaggio successivo: «I miei combattenti si sono sentiti insultati dall’atteggiamento dell’Agip che ha offerto soldi per la liberazione degli ostaggi, mentre non sono state prese in considerazione le nostra richieste: migliorare la situazione della gente che vive nel delta del Niger e tirar fuori di galera chi sta cercando di lottare per l’emancipazione della popolazione di qui. Ci trattano come banditi e criminali, mentre noi siamo un movimento politico». «Per dimostrare che non accettiamo i loro soldi insanguinati, potremmo giustiziare gli ostaggi e spedire i loro corpi all’Agip», aveva concluso. All’obiezione che in fondo i quattro tecnici sequestrati (tre italiani, Francesco Arena, capo del terminale petrolifero di Brass, Cosma Russo e Roberto Dieghi, e un contrattista libanese, Imad Abed) sono solo dei lavoratori e non si possono loro attribuire le colpe per la società per cui lavorano, aveva risposto: «Non so se questi signori sono innocenti. Loro sono testimoni del comportamento diabolico di chi cerca di mantenere la nostra popolazione calma e tranquilla. Gli stranieri stanno nei loro alloggiamenti e aiutano il governo nigeriano a rapinare le nostra ricchezze. Per questo abbiamo chiesto a chi lavora per le compagnie petrolifere di andarsene. Siamo stanchi di minacciare solamente come abbiamo fatto finora. Hanno bisogno che ammazziamo qualcuno per farci prendere in considerazione seriamente? Lentamente stiamo diventando dei mostri, contro la nostra volontà. Pensavamo che loro portassero lavoro per la nostra gente e prosperità per il nostro Paese. Invece la Nigeria è una delle nazioni più degradate del continente. Hanno portato miseria e morte. Qui c’è disoccupazione, mentre il lavoro viene dato alle persone che arrivano da altre parti del Paese». Il riferimento è ai dirigenti mussulmani del nord che hanno governato la Nigeria per anni e raccomandato i loro concittadini alle compagnie petrolifere. «Quando ieri (cioè il 2 gennaio, ndr) abbiamo scoperto che il signor John Weri aveva cercato di corrompere le guardie per far scappare gli ostaggi i miei uomini hanno minacciato di ucciderli subito e spedire i corpi all’Agip. Si sentono raggirati, giacché nessuno prende in considerazione le nostre richieste e cioè liberare quattro persone che sono giustamente rinchiuse in carcere». Alla domanda se sia vero che state aperte trattative per il rilascio dei rapiti, in questi giorni, in diverse mail, Jomo aveva spiegato: «Non abbiano mai parlato con emissari né dell’Agip, nè del governo di Bayelsa, nè con il ministero degli esteri italiano». E all’osservazione che in Italia si parla di trattative in corso, ha così smentito: «E’ falso. Lo dimostra il fatto che il Segretario dello Stato di Bayelsa, il signor Igali, è stato incaricato di seguire i negoziati per le liberazione degli ostaggi. Igali è partito per le vacanze invernali prima di Natale, prima in Gran Bretagna, ora in America e non è ancora tornato. Una chiara indicazione che non c’è nessun contatto in corso. E’ un chiaro tentativo di tener tranquille le famiglie». «L’Agip deve capire che deve spendere il denaro per costruire scuole e altre infrastrutture per le comunità che vivono nei territori che loro hanno distrutto. Non deve pagare riscatti. Rilasceremo i quattro senza prendere un centesimo, ma quando le nostre richiesta saranno accettate. Non devono cercare l’aiuto di criminali che vogliono guadagnare sulla pelle degli altri. Sappiamo che la compagnia italiana ha speso un sacco di soldi finiti nelle tasche di chi faceva loro credere di essere in rado di liberare gli ostaggi. No, le condizioni sono chiare e precise. Ripetiamo: non cerchino altre strade». Jomo aveva anche spiegato perché le comunicazioni telefoniche sono state interrotte: «Per la sicurezza degli ostaggi. Ogni volta che li facciamo parlare con qualcono dobbiamo cambiare rifugio per evitare di essere individuati». L’ultima conversazione con il corriere data 24 dicembre. Dopo Natale gli ostaggi riuscirono a comunicare brevemente con le famiglie. «Grazie a un telefono che avevano ricevuto di nascosto. Abbiano scoperto il trucco e glielo abbiamo tolto». E sul fatto che uno di loro, Roberto Dieghi, stava male? «E’ guarito. Ma avevamo chiesto un medico. Dicono che era pronto, ma nessuno ci ha mai fornito il suo numero, come avevamo chiesto». Jomo aveva chiesto di poter avere quel numero anche attraverso il Corriere, ma la Farnesina si era rifiutata di darlo anche a noi. (fonte Corriere.it 3/1/07) --- CS130-2005: 03/11/2005 Nigeria: Amnesty International presenta nuove prove di violazioni dei diritti umani nella regione petrolifera del Delta del Niger “È come il paradiso e l’inferno. Loro hanno tutto, noi niente. Se protestiamo, ci mandano i soldati…” (Eghare W. O. Ojhogar, capo della comunità Ugborodo) “Mi hanno detto di inginocchiarmi sulla sabbia insieme agli altri capi, con le mani legate dietro la schiena. Poi i soldati hanno iniziato a picchiarci con i frustini e ci hanno fatto mangiare la sabbia.” (Cadbury George Omieh, Igno XXI, Re di Odioma) Dieci anni dopo l’esecuzione dello scrittore e attivista per i diritti umani Ken Saro- Wiwa e di otto suoi compagni, nuove prove raccolte da Amnesty International mostrano come gli abitanti della regione petrolifera del Delta del Niger continuino a rischiare la morte e la fame per colpa delle forze di sicurezza nigeriane. Secondo un rapporto reso pubblico oggi da Amnesty International, le poverissime comunità che protestano contro le compagnie petrolifere o sono sospettate di sabotare le attività estrattive vanno incontro a punizioni collettive. “È un insulto alla memoria di Ken Saro-Wiwa e dei suoi compagni che i responsabili di uccisioni, pestaggi e stupri siano ancora al riparo dalla giustizia. Le campagne degli attivisti per i diritti economici e sociali restano più che mai attuali, dato che il 70% della popolazione del Delta del Niger vive nella più assoluta povertà, nonostante il boom delle rendite petrolifere” – ha dichiarato Stefano Meoni, responsabile delle campagne sull’Africa occidentale della Sezione Italiana di Amnesty International. Basato su una recente missione di Amnesty International nel Delta del Niger, il rapporto “Rivendicare diritti e risorse: ingiustizia, petrolio e violenza in Nigeria” dedica particolare attenzione alle violazioni dei diritti umani commesse quest’anno al terminal di Escravos e nella comunità di Odiosa, sulla costa del Delta del Niger. Il 4 febbraio i soldati della Task force congiunta hanno aperto il fuoco contro un gruppo di persone della comunità Ugborodo che stavano manifestando di fronte al terminal di Escravos, di proprietà della Chevron Nigeria. Un uomo è morto e altre 30 persone sono rimaste ferite, alcune in modo grave. Ci sono volute diverse ore per portare i feriti in ospedale, a bordo di un battello. Né il governo, né Chevron Nigeria hanno fornito assistenza medica o logistica adeguata e non è stata aperta alcuna inchiesta sull’accaduto. Il 19 febbraio, almeno 17 persone sono state uccise e due donne sarebbero state stuprate nel corso di un raid della Task force congiunta all’interno della comunità Ijaw di Odioma. L’operazione era stata ufficialmente lanciata per arrestare un gruppo di vigilantes armati, ma gli arresti non hanno avuto luogo mentre circa l’80 per cento delle abitazioni sono state distrutte. Il mese prima, Shell Nigeria aveva rinunciato a un progetto di prospezione nell’area, pare venendo incontro a una richiesta dei giovani di Odioma e rendendosi conto che esisteva una contesa sui terreni oggetto della prospezione. Sui fatti di febbraio non è stata aperta alcuna inchiesta e oggi Odioma è pressoché disabitata. Amnesty International chiede al governo federale nigeriano di condurre inchieste complete e indipendenti sulle denunce di uccisioni, ferimenti, stupri e distruzione di proprietà ad opera delle forze di sicurezza. I risultati delle inchieste dovranno essere resi pubblici e i responsabili delle violazioni dei diritti umani portati di fronte alla giustizia. L’organizzazione chiede inoltre che la Chevron commissioni un’indagine indipendente e imparziale sul ruolo avuto dalla compagnia nel corso degli incidenti del 4 febbraio al terminal di Escravos, e che la Shell indaghi sulle denunce riguardanti un accordo di sicurezza tra un subappaltatore di Shell Nigeria e un gruppo criminale di Odioma. FINE DEL COMUNICATO Roma, 3 novembre 2005 Leggi il rapporto completo "Rivendicare diritti e risorse: ingiustizia, petrolio, violenza in Nigeria" Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste: Amnesty International Italia - Ufficio stampa Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press at amnesty.it
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