Scala immobile



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From:   ***
Date:    Wed, December 13, 2006 10:47 pm
To:      a.marescotti at peacelink.it
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Cari amici,
riflettendo nei giorni scorsi su un evento di cronaca, digerito in meno di
poche ore dal grande stomaco della gigantesca macchina dell’informazione,
l’annuale Prima della scala di Milano, e rimanendo ancora una volta
scandalizzato per l’assenza completa di capacità critica da parte della
cultura più intelligente della nostra società, mi sono ricordato di una
pagina di Baricco che sono andato a rileggere e semplicemente ho copiato e
vi invio in allegato. Fraterni saluti
Piero Aresta


--- Scala immobile ---

     C’è qualcosa di ostinatamente fastidioso nelle cronache che in questi
giorni registrano la crisi della Scala, e nei commenti che denunciano
l’incapacità di questo paese a tutelare la propria cultura. C’è
qualcosa che impedisce di schierarsi serenamente dalla parte di quel
Teatro, che pur si vorrebbe amare, e della cultura, che pur si sa
preziosa e necessaria. Ti rigirano la faccenda in modo che ti deruba
dal piacere di stare dalla loro parte.
      Forse è questa ridicola storia della Prima: questa insistenza un po’
penosa sulla minaccia di farla saltare. Quando è così evidente che
non sarebbe un dramma per nessuno, se non per un certo numero di
facce note che perderebbero un’occasione preziosa per confermare la
loro scarsa vocazione al pudore. Chissà: forse è per questa storia.
Ma più probabilmente il fastidio nasce prima, da qualcosa di ben più
serio, e intollerabile: quello che davvero ti deprime è vedere una
certa cultura rivendicare i suoi diritti con una supponenza che non
conosce dubbi, pretendendosi necessaria, indiscutibile, intoccabile.
Non c’è niente di più triste che la cultura quando diventa incapace
di dubitare di sé stessa: quando la vedi incapace di interrogarsi e
occupata solo, ottusamente, a difendere il suo status: vagamente
offesa di doverlo fare. Qualche dubbio, per favore. Non fosse che
per una questione di stile: abbiamo bisogno di qualche dubbio. Se no
è miseria, miseria tutta leccate ed elegante: ma miseria.
     Mettiamola così. La Scala, come altre prestigiose istituzioni, esiste
per svolgere una funzione di incomparabile valore, per il paese:
lavora perché sia possibile, ancora e ogni giorno, dialogare con il
nostro passato. Lo fa in un ambito particolare, quello del teatro
musicale, che per noi è singolarmente importante perché lì risiede
molta della nostra storia: lì abbiamo molte delle nostre radici.
Dunque La Scala custodisce uno dei passaggi più significativi del
nostro dialogo con il nostro passato. Lo fa in un modo particolare: è
bene chiarire che non è l’unico possibile: e che non è il migliore.
    La Scala, come d’altronde tutto il sistema produttivo che in Italia
mantiene vivo il teatro musicale, è un luogo dove troppo spesso il
passato rimane passato e basta: dove non accade un vero dialogo con la
tradizione, ma piuttosto una cura mussale, un puro e semplice
conservare, ibernare, che non crea il presente ma coltiva solo
un’elegante e vuota nostalgia di ciò che non c’è più. La Scala è un
patrimonio di tutti ma è un luogo per pochi, è il club di un’élite, è
un tempio che si crogiola nei grandi eventi, è un rito che corre ogni
sera il rischio di celebrare se stesso, e basta. La Scala è un caveau
blindato, che non sa immaginarsi come tessera di un più ampio mosaico
culturale del paese, ma si attiene alla difesa, irremovibile, del
tesoro che custodisce in deposito. La Scala chiede soldi, ma non vuol
sapere che ne spende più lei, in un anno, di quanto per esempio non
faccia, in quello stesso anno, tutto il cinema italiano: tutto. La
Scala è uno strumento politico, nel senso più elementare: una macchina
di consenso. E’ stata puntualmente vetrina di qualsiasi regime abbia
bivaccato su questo paese. Per sua sfortuna, le sue famose Prime non
saltano mai: quelle facce le abbiamo potute vedere.
     Non si può pretendere che tutti condividano queste osservazioni. Ed è
comprensibile come la gratitudine per gli artisti che in quel teatro
lavorano, richiamando spesso dai regni dell’impossibile il miracolo
della meraviglia, renda inclini a una certa benevolente miopia quando
si tratta di giudicare. Ma La Scala è cultura: lavora nell’orizzonte
dell’intelligenza: il dubbio, e la riflessione critica, dovrebbero
essere il suo pane quotidiano. Perché non accade? Perché davanti
all’ipotesi di una Scala chiusa, fallita, la reazione istintiva
dell’uomo comune come dell’artista affermato come del Presidente del
Consiglio è, semplicemente: non possiamo permettere che ciò accada.
Perché? Chi l’ha detto? Ci si può fermare almeno un attimo e
chiedersi se davvero è così?
     Nessuno vuole che La scala muoia: ma tutti hanno il dovere di
immaginarsi un modo migliore di dialogare col passato, anche con
quello anomalo e bellissimo rappresentato dal teatro musicale. Se
questo paese avesse la capacità e la voglia di pensare lungo, di
pensare oltre, capirebbe che il problema non è salvare quel che c’è,
ma inventare quel che ci sarà. Scegliersi un futuro e trovare un
sistema per portare, fin laggiù, il nostro passato: vivo, non
cadavere. E vivo ovunque, in tutte le maglie della società civile, e
non solo nelle serate di una minoranza “migliore”. Il problema non è
trovare un trucco finanziario per permettere alla Scala di continuare
a essere se stessa: il problema è capire di che Scala abbiamo bisogno
per il futuro che ci siamo scelti: e trovare le risorse per
costruirla.
E? triste se un teatro muore per mancanza di soldi. Ma ancora più triste è
se viene tenuto in vita per mancanza di fantasia: di alternative: di
progetti migliori. Questa sì, quando accade, è la vera disfatta.
Guardatevi attorno: sta accadendo.

Alessandro Baricco
BARNUM 2
Altre cronache dal Grande Show
Feltrinelli, Milano, 1998


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