Polveri di carbone inquinano Taranto. Italcave al centro di un'indagine



Inquinamento: maxisequestro al porto di Taranto

I sigilli ad un’area di stoccaggio di pet-coke per lo spargimento di polveri di carbone nell’atmosfera e in mare. Indagato il direttore tecnico della società concessionaria

Un’area di 20.000 metri quadrati del molo polisettoriale e 40.000 metri cubi di petcoke sono stati sequestrati. A far scattare i sigilli è stata la magistratura a conclusione delle indagini condotte dai Carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica e della Polizia Ambientale della Provincia. Su richiesta del sostituto procuratore Antonella Montanaro, il gip Pio Guarna ha firmato il provvedimento di sequestro preventivo che è stato eseguito ieri mattina.
Dall’attività investigativa è emerso che nell’area di stoccaggio all’interno del porto di Taranto, grossi cumuli di carbone di petrolio scaricati dalle navi vengono depositati in attesa di essere prelevati dai mezzi dell’Ilva e di altre aziende. L’area di stoccaggio è ritenuta sprovvista di accorgimenti sufficienti per evitare la diffusione di polvere nell’atmosfera e in mare. Sempre da quanto riscontrato da militari e agenti, i sistemi di smaltimento delle acque meteoriche mancano oppure risultano inadeguati. Di conseguenza, il vento solleva le polveri spargendole nell’aria e, a seconda della direzione, in alcuni casi le spinge verso la città. Mentre la pioggia, inevitabilmente, lava le montagne di carbone trascinando con sè i residui del materiale; un fiume di acqua nera che finisce in Mar Grande. Sono state queste le contestazioni degli inquirenti che il giudice per le indagini preliminari Guarna ha ritenuto sufficienti per far scattare il provvedimento. Ma non sono scattati soltanto i sigilli. Nell’inchiesta figura anche un indagato, si tratta del direttore tecnico della società che gestisce l’area in concessione, l’Italcave, considerato responsabile del coordinamento dei lavori di carico e scarico del pet-coke sul molo polisettoriale. Gli inquirenti hanno contestato l’immissione sul suolo e nelle acque marine di acque meteoriche di dilavamento in assenza dell’autorizzazione prevista dal decreto n. 282 del 21 novembre 2003 del commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia e di “getto di cosa pericolosa”. Reato, quest’ultimo, che, secondo le accuse ipotizzate, nella fattispecie si concretizza nell’immissione nell’atmosfera e nell’ambiente circostante delle acque meteoriche contaminate da polveri di carbone e da altre sostanze movimentate nell’area in questione. Quella finita sotto la lente di ingrandimento dell’autorità giudiziaria è una vicenda molto simile a quella dei parchi minerali dell’Ilva per il tipo di immissioni riscontrate nel corso delle indagini. Infatti, anche in quella circostanza, è stata contestata la dispersione nell’atmosfera di polveri di minerali.

Corriere del Giorno, 6 maggio 2006