Congo: delitti nascosti, elezioni e speranze



Cari amici,
vi giro un articolo che ho scritto per la rivista Altrove ( http://www.altrovelarivista.it  info at altrovelarivista.it). Il tema di questo numero, che uscirà  a fine maggio-inizio giugno, è DELITTI.

Io ho chiesto di parlare del CONGO.

Se vi sembra di qualche interesse potete fare girare, sitare o riprodurre il mio articolo, del tutto o in parte. Ma per un'ovvia correttezza verso il committente vi pregherei di indicare con precisione dove uscirà. A livello personale, gradisco molto le vostre impressioni e soprattutto le critiche.
Grazie e ciao

Daniele Barbieri


Congo, un genocidio mai visto
di Daniele Barbieri

A che servono oggi Chaplin, Conrad e Twain

11 aprile 1947, Broadway Theatre di New York: c’è l’attesa prima di “Monsieur Verdoux” di Charles Chaplin. Il film viene stroncato dalla critica statunitense  immorale e volgare viene definito e ha noie con la censura. Quel che scandalizza  [e ancor oggi colpisce] è l’arringa finale del protagonista:“Il crimine non paga se condotto su piccola scala. Un omicidio è delinquenza, un milione è eroismo”. Come si permette quel pluri-uxoricida, il “cinico mostro”[così il Pm lo definisce] di ricordare, a neppure due anni dalla fine del più orribile macello della storia, una così sgradevole verità? Così lo stesso Chaplin ribadisce il senso [marxiano disse qualcuno] del film: “Per il generale Von Clausewitz la guerra era la prosecuzione della politica con altri mezzi; per Verdoux il delitto è la continuazione degli affari con altri mezzi”.

Exterminate all the brutes”, sterminate quelle bestie: così Kurz, protagonista del “Cuore di tenebra” [1902] di Joseph Conrad conclude il suo post-scriptum sulla missione civilizzatrice della “razza bianca” fra i selvaggi. Quella frase viene ripresa da Sven Lindqvist per titolare un suo libro
(nota 1) dove scrive: “Il termine “genocidio” non era ancora entrato in uso, ma la cosa che designava esisteva già. Kurz l’aveva chiamata “sterminio delle bestie” […] Come i suoi contemporanei, Conrad non poteva certo evitare di sentir parlare dei reiterati genocidi che stavano segnando il suo secolo. Siamo noi che l’abbiamo rimosso. Noi non vogliamo ricordare. Vogliamo che il genocidio sia cominciato e si sia concluso con il nazismo. E’ più confortante così”.

E’ uno dei più famosi scrittori del mondo, eppure Mark Twain fatica nel 1905 a pubblicare “Soliloquio di re Leopoldo” (
nota 2): per raccontare uno di quei reiterati genocidi. Furono almeno 10 milioni i congolesi morti come schiavi nella raccolta del caucciù o nella repressione delle rivolte: sotto Leopoldo la popolazione venne dimezzata (nota 3).

Lumumba e Hammarskjold, la verità 30 anni dopo

E’ uno dei Paesi più ricchi eppure i suoi abitanti sono fra i più poveri del pianeta: prima sotto il dominio personale di Leopoldo, in seguito sotto il Belgio, infine “indipendente”, il Congo viene sempre saccheggiato.
Nel 1950 su 14 milioni di persone solo 1500 persone sono qualificate “evolute” dai belgi. Nel ‘58 inizia la lotta contro i colonizzatori; uno dei suoi leader è il giovane Patrice Lumumba. Il 30 giugno ‘60 re Baldovino dichiara l’indipendenza. Dura solo 20 giorni: scatta una secessione [telecomandata da compagnie minerarie belghe e statunitensi] in Katanga, poi è guerra civile. Il 17 gennaio 1961 il primo ministro Lumumba è assassinato dai ribelli. E il 18 settembre il segretario delle Nazioni Unite Dag Hammarskjold cade con l’aereo che lo porta in Congo, a una trattativa di pace. Unico “capo” dell’Onu morto “in missione” eppure anche lui viene subito dimenticato nell’amnesia collettiva che coinvolge chiunque abbia a che fare con il Congo: solo nel 1992 un’indagine conclude che quell’aereo fu sabotato, probabilmente da agenti inglesi e statunitensi, per conto di industriali belgi (nota 4).

Nel 1965 il caos si coagula nel golpe di Mobutu Sese Seku: inizia una clepto-crazia lunga 32 anni, che rende grandi servigi a Belgio, Francia e Usa mentre impoverisce i congolesi. Il dittatore regala al suo popolo un po’ di demagogia [il nuovo nome Zaire, gli abiti tradizionali o l’organizzazione, nel ‘74, dello storico incontro di boxe fra Gorge Foreman e Mohamed Alì] mentre le rivolte vengono represse nel sangue. La stragrande maggioranza del giornalismo mondiale si distrae: di Congo si parla solo a proposito del virus Ebola.
Ancora nel ’91 il tiranno si salva dalla rabbia popolare con vaghe promesse e alimentando odi “etnici”: 20 mila morti e 200 mila sfollati ma purtroppo è solo l’inizio.

Nel 1993 e ‘94 nei vicini Burundi e Ruanda (nota 5) esplodono i massacri fra etnie hutu e tutsi: due milioni di profughi finiscono in Congo, combustibile per nuove tragedie. Nel ’96 la rivolta dei “banyamulenge” [di lontana origine tutsi ruandese] e poi l’offensiva delle truppe di Laurent Désiré Kabila precipitano il Congo nel sangue: nel ’97 già si contano un milione di morti e tre di profughi ma il mondo è sempre distratto. Delitti poco interessanti, chissà di chi sarà il “cuore di tenebra”? Il 16 maggio ’97, Mobutu crolla. L’uomo forte, appoggiato dagli Usa, è Kabila che però scontenta i suoi alleati. Nell’agosto 1988 scoppia la seconda guerra del Congo che si allarga a mezzo continente. Gli accordi di pace non danno esito. Il Paese è in pezzi: intere zone sotto il controllo di ribelli, mercenari o banditi. Fra agosto ’98 e maggio 2000 si contano un milione e 700 mila morti. I rapporti di Amnesty International calcolano in 16 milioni i congolesi vittime di violazioni dei diritti umani, privati di alimenti e farmaci.

Nel novembre ’99 inizia la missione di pace [Monuc]: una sfida immensa con 15 mila “caschi blu”e costi oltre il miliardo di dollari. Un complotto stronca Kabila il 16 gennaio 2001. Sale al potere il figlio Joseph che a oggi sembra guidare il Congo verso una transizione pacifica. Se davvero - e perché - questo oggi convenga anche a chi finora ha armato “i signori della guerra” è materia da esperti… Chi non si abbandona al cinismo attribuisce qualche piccolo merito anche alla mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale. In ogni caso si arriva a nuove trattative: e i vari accordi di pace  fra luglio 2002 e aprile 2003 - riaprono le speranze. Si può davvero aver fiducia nella ricostruzione o meglio nella vera indipendenza di un Paese che oggi resta devastato quanto diviso e ri-colonizzato?

Se la storia è spiegata dalla geologia

I “monsier Verdoux” sono congolesi ma i delitti di massa sono decisi all’estero; per esempio a Losanna, in Arkansas o in Canada nelle sedi di grandi compagnie minerarie. Le ricchezze di Kivu, Kasai, Shaba-Katanga spiegano perché sui milioni di morti non si accendano i riflettori dei mass media. I nomi di chi arma “i signori della guerra” sono noti: accanto, ancora una volta, alla belga Union Miniére ecco l’anglo-americana Corporation di Nicky Oppenheimer, la svizzera Swipco, la francese Filma, la britannica Lonhro [attraverso una filiale in Ghana], l’australiana Bhp, due società canadesi, una cinese… Si possono trovare in un rapporto del 2000 dell’Ogt [Osservatorio governabilità-trasparenza] congolese ma persino in due indagini delle Nazioni Unite che però non hanno destato l’interesse dei grandi mass media.

La prima disgrazia del “povero” Congo è la geologia. Diamanti, cobalto [primo al mondo], rame [sesto], zinco [ottavo], oro, manganese, uranio, catrame minerale e ancora petrolio, carbone, stagno, niobio, piombo, nichel. E coltan, materiale fondamentale per far funzionare cellulari e playstation. Terre vulcaniche fertilissime. Immense foreste, seconde solo all’Amazzonia, più enormi potenzialità agricole, per ora pochissimo sfruttate. Un Paese stra-ricco che resta al 167° posto nelle classifiche sullo sviluppo umano: persino il reddito pro-capite [di per sé ingannevole] colloca la popolazione molto sotto “la soglia della povertà”.

E’ bene ricordare che i Congo sono due: quello di cui si parla è l’attuale Rdc [repubblica del Congo] che viene spesso indicato come Kinshasa per distinguerlo dal confinante Brazzaville. E’ grande 2 milioni e 300 mila kmq, 8 volte e mezzo l’Italia, con circa 55 milioni di abitanti ma un vero censimento è pressoché impossibile. Persino la tragica contabilità dei morti è difficile: le Nazioni Unite e altri organismi internazionali stimano che, dal ’98 a oggi in Congo siano stati intorno ai 4 milioni, ai quali vanno aggiunte le vittime nei confinanti Burundi [300 mila], Ruanda [un milione] e Uganda, Paesi che a vario titolo restano coinvolti nel saccheggio delle ricchezze congolesi.

Oltre 50 anni fa, l’intellettuale caraibico-algerino Frantz Fanon aveva scritto: “se l’Africa fosse raffigurata come una pistola, il grilletto si troverebbe in Congo”. Una profezia che purtroppo si è avverata.

Nonostante tutto, una speranza

Questi delitti impuniti e mai visti, i piccoli e grandi “Verdoux”, la permanenza del “cuore di tenebra”, le amnesie giornalistiche indurrebbero alle previsioni più fosche. Eppure vi è chi spera che le elezioni congolesi aprano un cammino di pace. C’è chi lavora perché sia così. Come gli italiani Bcp, Beati costruttori di pace (nota 6): alcuni di loro si recheranno in Congo come “euro-osservatori” per le elezioni presidenziali e legislative. E’ importante essere presenti come “osservatori”, spiegano Lisa Clark e Albino Bizzotto: “Siamo di fronte alle prime elezioni multi-partitiche nella storia di questo Paese e sulle quali anche le ong, la società civile congolese [molto articolata e capace di farsi ascoltare, nonostante il costante ricatto di chi usa le armi] riversa grandi aspettative”. A metà luglio dovrebbe  esiste ancora qualche incertezza sulla data esatta - iniziare la più importante tornata elettorale: per il capo dello Stato, con eventuale ballottaggio, poi per l’Assemblea nazionale, Senato, governatori, amministrazioni locali. Intanto il 18 e 19 dicembre c’è stato un referendum sulla Costituzione, con una grande e forse inattesa partecipazione: questo dà fiducia per le prossime votazioni, pur in una situazione che resta caotica.
“La nostra volontà è di essere accompagnatori cordiali e non semplici ispettori” si legge in un comunicato dei Bcp. Un compito importante anche se non esente da difficoltà e qualche rischio, soprattutto nelle zone “calde” del Kivu dove i Bcp sono presenti da anni e nelle quali la loro presenza è stata espressamente richiesta della société civile e delle organizzazioni locali che “vigileranno” sulla correttezza del voto.

Nella lunga vicenda dei Bcp la svolta africana avviene nel 2000 quando da Bukavu arriva l’invito “a non chiudere gli occhi sui terribili massacri in corso”. In un appello si legge questo grido disperato: “ancora di quanti milioni di morti avete bisogno perché i vostri giornalisti scoprano il Congo?”. Nel febbraio 2001, si verifica a Butembu qualcosa di mai accaduto e, secondo molti, persino “impossibile”: una grande assemblea di pace in zone di guerra alla quale si aggiungono i Bcp, “300 bianchi, né soldati né missionari né capi-progetto” con la sola voglia di aiutare il dialogo inter-congolese che faticosamente cerca di decollare (nota 7).

“Abbiamo continuato ad appoggiare il processo di transizione e ora vogliamo dare il nostro piccolo contributo a questa nuova fase” spiega Lisa Clark: “I nostri amici laggiù ci chiedono un aiuto per far sì che il voto sia il più libero possibile. Siamo accreditati dalla commissione elettorale congolese. Andremo nelle zone turbolente dell’Est perché lì la nostra presenza può essere un deterrente contro possibili brogli o violenze. Uomini e donne del Congo sono consapevoli che il voto è solo il primo passo di un lungo e difficile cammino ma sanno che questa è un’occasione attesa da tempo e bisogna non vada sprecata”. Forse gli occhi del mondo, chiusi su un genocidio lungo più di un secolo, dovrebbero aprirsi su questa speranza.

                       NOTE

1  Sven Lindqvist, “Sterminate quelle bestie”, 1992; edizione italiana Ponte alle grazie, 2000

2  “Soliloquio di re Leopoldo” resta inedito o viene censurato in molti Paesi; la prima edizione italiana (Dedalo) arriva nel 1982.

3  Per una ricostruzione storica si veda “Gli spettri del Congo: re Leopoldo II del Belgio e l’olocausto dimenticato”[xxxx] di Adam Hochschild; divulgativo, aggiornato e molto accurato è “Congo, Ruanda, Burundi” [Editori Riuniti] di Jean Léonard Touadi.

4 - A riaprire le discussioni sulle responsabilità del Belgio sono i film dell’haitiano Raoul Peck [nel ’91 con “Lumumba, la morte del profeta”, un documentario, poi nel 2000 con una fiction, il lungometraggio “Lumumba”] e l’uscita d’un libro di Ludo De Witte con documenti segreti finalmente de-classificati; la pressione dell’opinione pubblica costringe le istituzioni belghe ad ammettere le loro responsabilità storiche.

5  Molti i libri che hanno raccontato la lunga tragedia ruandese ma assai meno quelli che han tentato di far luce sulle connivenze internazionali; uno dei testi più approfonditi è “Ruanda, diritti umani” di Chistian De Beule e Martin Syoen , nel febbraio 2006 tradotto dalla Emi.

6  Per chi voglia saperne di più è attiva la mailing list osservatori_rdc at liste.beati.org mentre molte notizie si trovano sul sito http://www.beati.org.

7- L’indifferenza dei giornalisti italiani per questa vicenda fu quasi unanime; fra le poche eccezioni “Carta” [mensile all’epoca] che nel marzo 2001 dedicò un lungo reportage allo “strano viaggio di 300 persone partite da Milano e arrivate in Kivu, ad accoglierle 200 mila congolesi che resistono alla guerra”.