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Perché Shell ed Eni sono attaccate in Nigeria?
- Subject: Perché Shell ed Eni sono attaccate in Nigeria?
- From: Alessandro Marescotti <a.marescotti at peacelink.it>
- Date: Tue, 21 Feb 2006 08:04:46 +0100
Se ne parla poco sui TG ma la situazione è esplosiva in Nigeria. Petrolio, gas e guerriglia creano una miscela esplosiva. In Italia si vogliono costruire rigassificatori per importare il gas nigeriano e "per diversificare le fonti". Si tenta di diminuire la dipendenza dall'Algeria quanto la Nigeria è in fiamme e gli impianti vengono presidiati dall'esercito e da squadre armate.
La Shell non vuole commentare ciò che sta accadendo e l'Eni non dice quasi nulla. A testimonianza di quanto sia grave la situazione.
Per tentare di capire qualcosa ecco un po' di informazioni prese da Internet.
A.M.
WARRI, Nigeria (Reuters) - Un gruppo di militanti nigeriani ha detto oggi di aver fatto esplodere una piattaforma militare e un oleodotto, estendendo la campagna di sabotaggio che ha già portato il paese, ottavo produttore al mondo di petrolio, a tagliare la produzione di un quinto.
I militanti, che già detengono nove ostaggi stranieri, hanno giurato che non permetteranno alla Royal Dutch Shell di utilizzare la piattaforma cisterna, Forcados, già danneggiata, che conta il 15% delle esportazioni nigeriane e hanno anche minacciato attentati ancora più devastanti nell'intera regione.
"Delle unità di pattuglia hanno compiuto degli attentati alla piattaforma galleggiante, che appartiene all'esercito nigeriano e al collettore Shell Ughelli Odidi-Escravos. Sono state entrambe distrutte con dell'esplosivo" , ha comunicato in un email il Movimento per l'emancipazione del delta della Niger.
Il gruppo ha aggiunto che i soldati hanno abbandonato la piattaforma prima che si disintegrasse.
Non è stato possibile nell'immediato ottenere la conferma delle informazioni da fonti indipendenti ma i militanti hanno già fornito in passato un rendiconto dettagliato degli attentati.
La Shell ha sospeso sabato la produzione di un flusso si 455.000 barili al giorno, il 19% della produzione nigeriana, dopo la sequenza di attacchi notturni agli impianti dello stato nigeriano.
"Continueremo nella distruzione degli impianti petroliferi nello Stato del Delta mentre concludiamo la preparazione di attacchi più ampi nell'intera regione", hanno detto i militanti.
Fonte http://today.reuters.it/news 20/2/06
Altre informazioni su
http://www.tmcrew.org/csa/l38/wwi/shell/nigeria_2006.html
La situazione è critica anche per l'Agip.
Nigeria -
L'attacco all'impianto Agip: 9 morti
(AGI, 24-01-2006) Armati camuffati da poliziotti hanno sferrato oggi un attacco a impianto dell'Agip a Port Harcourt, nel Delta del Niger. L'Eni in una nota ha precisato che "dopo un conflitto a fuoco con le forze di sicurezza, la banda armata e' riuscita a raggiungere i locali della banca situata all'interno della base operativa". Durante l'attacco, prosegue la nota, "nove persone sono rimate uccise e si e' registrato un numero imprecisato di feriti. Nessun italiano e' rimasto coinvolto". Ancora l'ente petrolifero ha spiegato che "dopo una breve occupazione alle ore 15:30 circa la banda ha lasciato la base". L'Eni ha "temporaneamente" fatto sgomberare "dalla base operativa il proprio staff e i suoi contrattisti" e assicurato che "la situazione e' al momento sotto controllo". (AGI, 24-01-2006)
Ribelli nigeriani hanno attaccato oggi una piattaforma petrolifera dell'Agip. Lo ha detto un responsabile della polizia. Fonti della compagnia hanno detto che l'attacco e' stato respinto dalle guardie della sicurezza e che la produzione non e' stata intaccata. Da circa un mese nella regione del Delta del Niger, ricca di petrolio, si sono intensificate le azioni di guerriglia dei ribelli dell'etnia Ijaw, con attacchi a strutture petrolifere e rapimenti di personale straniero delle compagnie. In particolare dall'11 gennaio quattro dipendenti della Shell, un americano, un britannico, un bulgaro e un honduregno, sono tenuti in ostaggio da un gruppo armato che chiede la liberazione di due leader Ijaw. (Rainews24, 23-01-2006)
L'Eni in Nigeria
L'Ente Nazionale Idrocarburi è presente nello stato africano da più di quarant'anni. Circa il 10% del petrolio e del gas che la Nigeria (ottavo esportatore mondiale di greggio) produce finisce nel nostro paese. Una presenza, quindi,importante, che gli attacchi agli impianti Agip mettono ora a rischio.
http://www.warnews.it/index.php/content/view/2064/29/
Un fattore è diventato primo motivo di conflitto in Nigeria: il petrolio. Gli scontri nel ricca regione petrolifera del delta del Niger sono sempre più frequenti. I dissidi tra Ijaw, Itsekiri e Urhobo sono sempre molto accesi e la regione vive presidiata dall'esercito schierato a difesa delle piattaforme petrolifere. Le tre etnie si contendono contratti di lavoro con le compagnie petrolifere e gli Ijaw, in particolare, lamentano le politiche del governo e delle compagnie occidentali, ree di agevolare etnie minoritarie, come quella Itsekiri .
http://www.warnews.it/index.php/content/view/39/29/
Amnesty International
Rivendicare diritti e risorse: ingiustizia, petrolio e violenza in Nigeria
Diritti ancora violati dallo stato
“L’attività di estrazione di petrolio ha condotto gli Ogoni alla rovina: le terre, i ruscelli e le insenature sono totalmente e continuamente inquinati; l’atmosfera è avvelenata dai vapori di idrocarburi, metano, monossido di carbonio, biossido di carbonio e fuliggine emessi dal gas che viene bruciato 24 ore al giorno da 33 anni nelle vicinanze delle abitazioni. Pioggia acida e resti petroliferi hanno devastato la terra degli Ogoni. L’alta pressione dei condotti petroliferi attraversa dannosamente le terre coltivabili degli Ogoni”
(Intervento di Ken Saro Wiwa, scrittore e attivista per i diritti umani, all’assemblea dell’Organizzazione delle Nazioni e Popoli, Ginevra 1992)
L’esecuzione di Ken Saro Wiwa e di altri otto attivisti della comunità degli Ogoni (Baribor Bera, Saturday Doobee, Nordu Eawo, Daniek Gbokoo, Barinem Klobel, John Kpuinen, Paul Levura e Felix Nuate), avvenuta il 10 novembre 1995, suscitò un’ampia risonanza in tutta la comunità internazionale.
La loro persecuzione politica e il processo senza garanzie cui furono sottoposti, di fronte a un tribunale speciale istituito dal governo militare, sono diventati esempi della repressione dei diritti umani perpetrata dalle autorità.
Nel 1993 la Shell Petroleum Development (Shell Nigeria), a fronte delle proteste locali, ritirò il proprio personale dagli stabilimenti presenti nella comunità Ogoni. Le esecuzioni, nonostante tutti gli appelli di clemenza da parte dei capi di Stato, delle organizzazioni intergovernative e delle associazioni per la difesa dei diritti umani, ebbero come conseguenza per la Nigeria l’applicazione di sanzioni internazionali, la sospensione dal Commonwealth e denunce senza precedenti. Anche la Shell fu condannata per i suoi comportamenti ambigui e tardivi.
Dieci anni dopo gli omicidi che impressionarono e inorridirono la comunità internazionale, l’estrazione e produzione del petrolio in Nigeria continuano a essere condotte in un clima di privazioni, ingiustizia e violenza sulla popolazione civile.
Nonostante la restaurazione nel 1999 di un governo in cui i diritti civili sono formalmente garantiti, coloro che si sono resi responsabili di violazioni dei diritti umani sotto i precedenti governi militari non sono ancora stati sottoposti ad alcuna misura sanzionatoria da parte degli organi di legge.
Nel frattempo, le forze di sicurezza continuano a commettere omicidi e azioni punitive nei confronti dei singoli e delle comunità godendo ancora di uno status di impunità.
La battaglia legata all’ambiente e alla tutela del diritto alla salute e alla vita, oggetto della Campagna condotta dagli Ogoni per il rispetto dei diritti economici e sociali, resta ad oggi una realtà per molti abitanti della regione del Delta.
Le popolazioni emarginate della regione del Delta perseverano con fermezza nella campagna volta a garantire la difesa dei loro diritti. I difensori dei diritti umani e i giornalisti, anche quelli stranieri, sono stati spesso perseguitati, detenuti e qualche volta anche aggrediti per aver investigato sull’estrazione e sulla produzione del petrolio così come sulle violazioni commesse dalle forze di sicurezza. Lo stesso avviene per gli abitanti delle comunità locali, sospettati di ostacolare la produzione del petrolio o di compiere atti criminali: essi vivono continuamente sotto il pericolo di punizioni collettive a opera delle forze di sicurezza.
A fronte di tale situazione, il governo federale ha respinto ogni richiesta per condurre indagini indipendenti e imparziali contro gli abusi perpetrati dalle forze di sicurezza, sottoposte, peraltro, a un controllo diretto da parte dello stesso governo. Una Task Force costituita da personale militare e di polizia, e istituita nel 2004 per assicurare l’ordine nella regione, si è resa responsabile di uso eccessivo e letale della forza non meno di quanto lo siano stati le forze di sicurezza impiegate sotto i precedenti governi militari.
Le proteste, represse con una forza sproporzionata, trovano la loro origine e ragione dal fallimento del governo nel fornire effettivamente le garanzie di rispetto e protezione dei diritti sociali ed economici. Nessuna concreta misura, infatti, è stata adottata rispetto all’uso eccessivo della forza, ovvero in relazione alla prossimità degli oleodotti e delle fuoriuscite di gas e petrolio attigue alle case, alle fattorie e ai fiumi. Alcuni degli abitanti delle regioni hanno come risorsa solo quella di ottenere un risarcimento attraverso interminabili, costose ed incerte azioni legali contro il potere delle compagnie petrolifere nell’ambito di un sistema processuale risultante ampiamente corrotto.
A fronte del fatto che le entrate del governo nigeriano sono più che duplicate negli ultimi due anni in corrispondenza del prezzo complessivo del petrolio, gli abitanti del Delta del Niger restano tra le popolazioni maggiormente prive di petrolio e il 70% di essi vive con meno di un dollaro statunitense al giorno, raggiungendo così gli indici del sistema economico pari all’assoluta povertà.
In base alla Costituzione del 1999, le amministrazioni dei singoli Stati nigeriani produttori di petrolio dovrebbero ricevere una maggiore percentuale di petrolio – esattamente dall’1,5 al 13% - che dovrebbe essere utilizzata per obiettivi di sviluppo. Tuttavia, in risposta alle richieste legali del governo federale, la Corte suprema nel 2002 ha deciso che tale previsione dovesse essere applicata solo sul petrolio estratto da pozzi continentali, riducendo pertanto il pagamento agli stati solo in alcuni casi. Inoltre, sono ancora inevasi molti pagamenti governativi dovuti agli Stati e alla Commissione di sviluppo del Delta del Niger, istituita dal governo nel 2000. Le compagnie petrolifere che avrebbero dovuto contribuire a sostenere tale Commissione hanno anche sospeso i loro contributi. La corruzione e la cattiva amministrazione inoltre priva la popolazione del Delta del Niger di tutti i benefici caratterizzanti la propria regione.
Petrolio e diritti umani
La Regione del Delta del Niger, nel sud-est della Nigeria, ha vissuto nelle ultime due decadi un escalation del conflitto e delle violenze ad esso connesse. Il petrolio costituisce il 98% delle entrate dal commercio con l’estero. Per quasi i due terzi dei 45 anni dalla indipendenza dal sistema coloniale, il governo, spesso retto dalle forze militari, è stato caratterizzato dal cattivo funzionamento del sistema amministrativo, dalla corruzione, dalla repressione ai danni di attivisti e delle comunità in lotta per un ambiente più sano, per far cessare gli abusi e per una più equa distribuzione delle risorse. Le compagnie petrolifere sono sempre state ritenute coinvolte in questi abusi nonché nel protrarsi del conflitto nel paese.
Nel 1993 la Nigeria è caduta in una fase di crisi dei diritti politici e umani allorché il Governo del Generale Sani Abachi ha sospeso le garanzie civili. Il vincitore delle elezioni del 1993, Moshood Aiola, è stato imprigionato con centinaia di politici, avvocati, giornalisti e difensori dei diritti umani. Gli oppositori politici sono stati torturati, uccisi, imprigionati e fatti “scomparire”.
Dopo la morte del Generale Abachi, nel 1999 le garanzie civili vennero restaurate e con esse le speranze di un miglioramento generale della situazione. Invece, la reintroduzione delle libertà politiche è stata accompagnata dall’insorgere di violenze in molte regioni del paese. Nel Delta del Niger, migliaia di persone sono morte in occasione di aggressioni di massa verificatesi allorché il conflitto si è concentrato sul controllo del petrolio. Il personale addetto alle compagnie petrolifere è stato varie volte preso in ostaggio, e sono stati compiuti diversi atti di sabotaggio. A fronte di tale situazione, spesso le compagnie petrolifere hanno ventilato una serie di promesse quasi mai rispettate.
Da una serie di eventi, quali l’omicidio da parte della polizia di alcuni dimostranti a Umuechen nel 1990 e l’uccisione di attivisti della comunità Ogoni nel 1995, sino ai più recenti omicidi e distruzioni di case nel Delta del Niger nel 2005, il governo ha frequentemente risposto con un uso eccessivo della forza alle richieste e proteste delle varie comunità.
Un sempre più crescente numero di attivisti nel Delta del Niger ritengono che le compagnie petrolifere siano responsabili delle violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza nigeriane, sia per quelle relative alla produzione del petrolio che per quelle relative alla protezione degli interessi a questo legati.
Loro hanno tutto, noi non abbiamo niente
“È come il paradiso e l’inferno. Loro hanno tutto. Noi non abbiamo niente… Se protestiamo, ci mandano i soldati. Loro firmano accordi con noi e poi ci ignorano. Abbiamo laureati che hanno fame, senza lavoro. E loro stanno portando persone a lavorare qui da Lagos.” Eghare W. O. Ojhogar, capo della comunità di Ugborodo.
Il 4 febbraio 2005, alcuni soldati hanno aperto il fuoco sui dimostranti al terminal petrolifero di Esecravo,s sulla costa ovest del Delta del Niger. Bawo Ajeboghuku, un pescatore di trenta anni, è stato colpito da colpi di arma da fuoco ed è morto a causa delle ferite. Almeno altri trenta dimostranti sono stati feriti, alcuni anche gravemente, con percosse inferte con il calcio delle carabine e altre armi. Il personale di sicurezza ha dichiarato di aver prima sparato gas lacrimogeno, poi munizioni, per disperdere circa due o trecento dimostranti provenienti da Ugborodo, una piccola comunità di gruppo etnico Itsekiri, che avevano superato i dispositivi di sicurezza alle prime luci dell’alba.
La Chevron Nigeria, una filiale della statunitense Chevron Corporation, che opera al terminal, ha affermato che 11 persone tra impiegati e personale di sicurezza sono stati feriti lievemente e che i dimostranti erano armati con fucili, sebbene nessuno di essi pare sia stato sequestrato o segnalato dalle forze di sicurezza. Le recinzioni poste ai confini della proprietà dell’industria sono state divelte in cinque zone diverse e sono stati spaccati i vetri delle finestre e i parabrezza degli elicotteri. Secondo quanto riferito dai funzionari della compagnia e dalle autorità, le forze di sicurezza hanno fatto ricorso alla forza e hanno ammesso di aver causato ferite, pur sottolineando che il loro comportamento sia stato blando. Le stesse fonti hanno anche dichiarato che Bawo Ajeboghuku era stato colpito da un’arma appartenente ad uno dei dimostranti, affermazione negata invece dai capi della comunità.
Un video girato da un osservatore indipendente mostra alcune guardie che colpiscono un uomo rannicchiato e che lo picchiano sulla testa con il calcio di una carabina. Una delle molte persone che ha parlato di simili aggressioni, Utieyin Jemeregben, di 28 anni, ha così descritto cosa ha visto: “Alcune persone alle dipendenze della Chevron (forze del Governo responsabili per la sicurezza della Chevron) iniziarono subito a sparare: erano soldati, facevano parte della Jtf (unità operativa locale), della Marina, della Polizia mobile paramilitare), e delle NPF (Forze di polizia nigeriane). Noi avevamo un volantino che diceva “La Chevron Texaco ci dia lavoro, dia contratti alle nostre donne”. I soldati fecero fuoco sparando proiettili, tutto intorno e senza interruzioni. Tutto ciò continuò per almeno un’ora. Avevano grandi fucili, ma usavano anche gas lacrimogeni, e alcuni membri della sicurezza avevano anche coltelli ed aste di ferro… Io fui colpito con il calcio del fucile da tre uomini e svenni.”
Trascorsero diverse ore prima che i dimostranti feriti raggiungessero un ospedale, dopo un viaggio in barca molto lungo. Né le forze di sicurezza né la Chevron Nigeria fornirono adeguate cure mediche o assistenza per trasportare i feriti. Nessuna inchiesta trasversale o indipendente – per stabilire cosa era accaduto, chi era stato ferito e chi era responsabile – venne intrapresa dal governo o dalla Chevron Nigeria. La compagnia dichiarò che non avrebbe potuto controllare le azioni delle forze di sicurezza in alcun modo, e non espresse alcuna intenzione di fare qualcosa per evitare un inasprimento delle reazioni in questo caso.
La protesta scaturiva dal del Memorandum d’intesa sottoscritto dai rappresentanti della comunità di Ugborodo e la Chevron Nigeria nel 2002 dopo le dimostrazioni di centinaia di donne al terminal e a Warri, capitale commerciale dello Stato del Delta. I dimostranti Ugborodo sostenevano che la Chevron Nigeria non aveva offerto il lavoro e avviato i progetti di sviluppo promessi in cambio di “una possibilità di operare in una situazione ambientale non distruttiva”. Il fatto che non fosse stato fornito il lavoro promesso ed i progetti di sviluppo venne attribuito da parte della compagnia alla massiccia distruzione delle attrezzature e dei materiali di sua proprietà, che provocò anche la chiusura delle operazioni per un periodo di tempo, quando si verificarono di nuovo nel 2003 e nel 2004 molte uccisioni e violenze tra le comunità vicine.
Ugborodo, una comunità situata in un luogo da cui si vede il terminal petrolifero, presenta un quadro di povertà e miseria. Dipende completamente dai trasporti via acqua ma il suo molo è decrepito e pericoloso. Ha la corrente elettrica per due ore al giorno grazie a un generatore che è stato installato con il denaro degli abitanti del villaggio. La Chevron Nigeria fornisce l’acqua per tre ore alla volta, due volte al giorno. L’unica scuola ha lavagne e banchi, ma nessun altro tipo di materiale scolastico. I giovani disoccupati si lamentano del fatto che si trovano di fronte a discriminazioni nell’assegnazione di lavoro o contratti con la Chevron Nigeria dovute a motivi etnici o alla povertà, un’accusa che la compagnia respinge.
Morte e devastazione dal gommone
“I soldati arrivarono verso le dieci in 15 gommoni. Ce n’erano all’incirca un centinaio. Iniziarono a versare il petrolio nelle case. Io non ho potuto contare il numero di bombe a fuoco che impiegarono, ce n’erano troppe. Fecero fuoco con grosse pistole, ma non usarono gas lacrimogeni . I bambini di due-tre anni e gli anziani erano nelle loro case e il dodicenne Lucky morì colpito da uno sparo”.
Chief L.D.I. Orumiegha-Bari, Presidente del Consiglio dei Capi, Odioma
Almeno 17 persone siano state uccise e due donne violentate quando membri della Joint Task Force attaccarono la comunità ljaw di Odioma con gommoni e altre imbarcazioni. Odioma è sulla costa dello Stato di Bayelsa, al centro della Regione del Delta del Niger. L’attacco del 19 febbraio 2005 fu condotto apparentemente per arrestare membri di un gruppo armato vigilante sospettato di avere ucciso 4 consiglieri locali e, nei precedenti mesi, altre otto persone. I sospettati non vennero catturati ma, in pochi giorni, l’80% delle case fu saccheggiato. Due delle persone uccise, Balasanyun Omieh, una donna di 105 anni, e Inikio Omieye, un bambino di due anni, morirono bruciati. E’ stato riferito che altre tre persone furono colpite a morte. Molti abitanti fuggirono dalla violenza e quelli le cui case furono distrutte non sono ancora in grado di poter rientrare.
Il comandante della Joint Task Force ha confermato che almeno tre civili vennero uccisi nel corso dell’attacco. Nonostante non fosse in grado di dire ad Amnesty International quali armi le sue forze avessero dispiegato o di conteggiare le munizioni usate nell’operazione, tuttavia fornì un elenco di armi a quanto sembra trovate in Odioma. Una Commissione d’Inchiesta istituita dal Governatore dello Stato per indagare sugli incidenti produsse un rapporto nel Giugno del 2005 che non è stato reso pubblico. Non si conosce nessuna azione che sia stata intrapresa per determinare il numero e l’identità di coloro che sono stati uccisi; per ordinare l’esumazione delle salme; per indagare sulla responsabilità delle forze di sicurezza; sui morti, sui feriti o sulle distruzioni delle case; o per assicurare alla giustizia i sospettati di violazioni dei diritti umani. Alle vittime di Odioma è stata negata giustizia e risarcimento. Due mesi dopo l’attacco, nella città deserta ci sono pochi segni visibili dell’assistenza umanitaria promessa dallo Stato di Bayelsa.
Le origini della violenza si trovano in un contenzioso fra le comunità per il controllo della terra interessata dallo sfruttamento del petrolio tramite la Shell Nigeria dal 1998. La Shell Nigeria ha identificato proprietari terrieri come le comunità di Obioku e Nembe-Bassambiri. Tuttavia, la compagnia si ritirò dall’area nel Gennaio del 2005, a quanto sembra, dopo che giovani di Odioma chiesero un arresto delle operazioni e divenne chiaro che era in discussione la proprietà del territorio. E’ stato riferito che i membri del gruppo di vigilanti di Odioma, sospettati di aver ucciso i 12 rappresentanti della Shell, furono reclutati da un subappaltatore della Shell Nigeria responsabile della sicurezza nell’area, nonostante i loro supposti precedenti criminali. L’attacco successivo corrispondeva a un modello di punizione collettiva da parte delle forze di sicurezza nei confronti di queste comunità.
Non si è a conoscenza che la Shell abbia espresso preoccupazione per l’attacco nei confronti della gente di Odioma, o di aver preso alcuna misura per prevenire simili azioni delle forze di sicurezza nel futuro.
“Mi venne detto di inginocchiarci sulla spiaggia con molti dei capi e le loro mani vennero legate dietro la schiena. Poi i soldati cominciarono a picchiarli con fruste, e ci dissero di mangiare sabbia”
Cadbury George Omieh, Igno XXI, Amanyanabo (Re) di Odioma, Aprile 2005
Le compagnie non rispettano i principi inerenti ai diritti umani
Nonostante una pesante presenza militare per ristabilire l’ordine e per proteggere i pozzi petroliferi, il Governo è pressoché assente nella zona del delta del Niger. In assenza di servizi, infrastrutture o lavoro forniti dal Governo, gli abitanti della comunità del Delta del Niger, spesso isolate, si rivolgono alle unità di potere più visibili in quella area, le compagnie petrolifere.
Tutte le industrie petrolifere trasnazionali costituiscono delle joint venture con il Governo Nigeriano e quindi vengono percepite dalle comunità e dai capi locali come parte del Governo, d’accordo con questi per sfruttare le risorse locali e, perciò, responsabili nei confronti della popolazione di ciò che normalmente è responsabile il Governo.
Il Governo ha l’obbligo, secondo il diritto internazionale, di rispettare, proteggere e concretizzare i diritti civili, politici, sociali ed economici delle popolazioni. I Governi devono anche assicurare che le compagnie petrolifere trasnazionali operino nel rispetto degli standards internazionali in materia di diritti umani nell’ambito delle loro attività. Le compagnie hanno la responsabilità di rispettare i diritti umani entro la loro sfera di influenza ed area di operazioni, così come hanno l’obbligo di rispettare la legge e di non violare i diritti umani.
Nel tentativo di dimostrare una responsabilità sociale, le compagnie petrolifere hanno recentemente sottoscritto degli accordi con le comunità locali detti “memorandum di accordo”, in cui spesso si promette di costruire scuole, ospedali ed altri servizi sociali. In alcuni casi, i servizi sono stati istituiti dove prima non esisteva niente. In altri casi i servizi non hanno funzionato od erano inutili.
Questi accordi hanno spesso diviso le comunità ed aumentato il livello di violenza. In molti casi le compagnie hanno agito arbitrariamente e senza trasparenza, o semplicemente non hanno rispettato le loro promesse. La violenza è esplosa in quanto le popolazioni, che sono estremamente povere, hanno dovuto competere tra loro per la terra, per controllare le autorità locali che hanno accesso alle royalty delle compagnie petrolifere, per il lavoro, i contratti e l’assistenza nello sviluppo del territorio. I furti di petrolio su larga scala hanno portato nel Delta del Niger ad una proliferazione di armi leggere e ad un aumento del loro utilizzo per attività criminali, comprese le aggressioni contro le comunità o le fazioni rivali.
In seguito all’esecuzione dei “nove Ogoni”, molte delle compagnie più importanti hanno iniziato a fare attenzione ai diritti umani all’interno della loro attività ed alla loro sfera di influenza attraverso l’adozione di codici di condotta volontari. Un effetto delle esecuzioni è stato che le compagnie hanno riconosciuto la necessità di politiche attente in materia dei diritti umani e di guardare oltre le divisioni esistenti nelle comunità circostanti. Le compagnie hanno risposto a questa sfida adottando standards volontari sui diritti umani e sulla sicurezza.
Alcune delle compagnie petrolifere che operano nel Delta del Niger, comprese la Shell e la Chevron, hanno adottato i “principi volontari per la sicurezza dei diritti umani” relativi alle compagnie del settore petrolifero. Questi principi aiutano le compagnie a mantenere la sicurezza ed a garantire le loro operazioni all’interno di una struttura che assicuri il rispetto per i diritti umani.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (Ocse), che comprende 30 paesi industrializzati, ha stabilito le linee guida per le imprese multinazionali. Sebbene queste linee guida non siano vincolanti, le compagnie dovrebbero rispettarle in ogni caso in cui operino. Esse comprendono solo disposizioni limitate e generali che offrono una piccola indicazione su come risolvere le questioni in materia di diritti umani.
Queste linee guida hanno permesso di far aumentare la consapevolezza delle questioni chiave tra le compagnie. Fino ad oggi, comunque, non sono riuscite a dissipare la diffidenza dell’opinione pubblica, né ad assicurare la responsabilità per i diritti umani nelle attività societarie e, cosa più importante, non sono riuscite a ridurre in modo significativo l’impatto negativo delle attività di alcune compagnie in materia di diritti umani.
Il governo nigeriano spesso non è riuscito ad adempiere ai suoi obblighi di rispettare, proteggere e soddisfare i diritti umani. Mentre ha assicurato la sicurezza all’industria petrolifera, a causa della sua importanza per l’economia, esso non è riuscito a proteggere la società. La regolamentazione autonoma delle compagnie petrolifere e la protezione della popolazione sono chiaramente inadeguate.
La Dichiarazione universale dei diritti umani richiama tutti gli organi della società al rispetto dei diritti umani, comprese le industrie. C’è una chiara tendenza, appoggiata da Amnesty International, ad estendere le obbligazioni internazionali altre agli Stati anche alle industrie ed agli altri attori non statali. Una struttura internazionale sui diritti umani può agire come catalizzatore e punto di riferimento per una riforma della legge nazionale. Insieme alle altre organizzazioni sui diritti umani, Amnesty International sta promuovendo le norme Onu sulla “Responsabilità delle compagnie trasnazionali e altre imprese commerciali con riguardo ai diritti umani”, che forniscono la base più appropriata per lo sviluppo degli standard globali sulle responsabilità delle compagnie in materia di diritti umani. Le Norme si rivolgono a tutte le imprese e costituiscono le più completa dichiarazione di standard e regole per le compagnie relativamente ai diritti umani. Esse stabiliscono il giusto equilibrio tra gli obblighi del Governo e le responsabilità delle compagnie in materia di diritti umani.
Perché gli standard in materia di diritti umani per le compagnie abbiano realmente un senso, ci devono essere meccanismi e procedure trasparenti per valutare la acquiescenza delle compagnie. Un esempio chiaro è costituito dal fallimento dell’applicazione dei Principi volontari. Le Linee guida dell’Ocse possono essere controllate dai governi di paesi in cui le compagnie sono registrate ma hanno un’intrinseca debolezza, ad esempio non hanno potere investigativo. Comunque, esse forniscono un meccanismo che le comunità e le altre parti interessate possono usare per proporre esposti ai Punti nazionali di contatto, che ciascun stato aderente all’Ocse deve costituire.
Il fatto di comprendere le importanti disposizioni dei Principi volontari all’interno delle Linee guida dell’Ocse potrebbe essere un primo passo per controllare la loro applicazione. Ricomprendervi le Norme Onu aiuterebbe le compagnie a comprendere quali responsabilità abbiano in materia di diritti umani.
Che cosa è la complicità aziendale?
Le aziende devono rispettare la legge, non creare danni, ed essere guidate nel rispetto dei diritti umani, in qualsiasi campo esse operino. Nel rapporto del Novembre 2004, l’alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite affermò che una azienda è complice negli abusi dei diritti umani se autorizza, tollera o semplicemente ignora gli abusi anche di una struttura ad essa collegata, oppure se consapevolmente fornisce un’assistenza pratica o un incoraggiamento senza il quale l’abuso non sarebbe accaduto con la stessa intensità.
Perfino se una azienda non è direttamente collegata con le violazioni dei diritti umani, un tribunale potrebbe rilevare la complicità dell’azienda se si ritiene probabile che essa abbia contribuito o tratto beneficio dalla violazione. I principi utilizzati per identificare la complicità comprendono :
- la vicinanza dell’azienda e la conoscenza della violazione
- Il beneficio ottenuto dall’azienda dalla violazione
- La natura del rapporto dell’azienda con chi ha effettuato l’abuso
- La durata della violazione e la conoscenza della violazione da parte dell’azienda
- Le intenzioni della azienda relativamente alla violazione
In entrambi i casi di Ugborodo e Odioma, le violazioni dei diritti umani del febbraio del 2005 furono commissionate dalle forze di sicurezza, ma le aziende sono rimaste per beneficiare della presunta “stabilità” che sarebbe seguita – in particolare nel caso di Odioma dalla frammentazione della comunità. Le aziende erano direttamente sul posto o molto vicino al luogo dove gli abusi si sono verificati. Hanno operato in Nigeria per più di 40 anni e sono registrate negli archivi delle forze di sicurezza. Hanno relazioni di lungo periodo con queste forze, le quali garantiscono loro protezione. In tali circostanze si espongono loro stessi al rischio di essere complici.
Norme e standard sui diritti umani
Il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, entrambi ratificati dalla Nigeria, includono obblighi vincolanti che debbono essere rispettati dal paese, proteggono e completano i diritti riconosciuti in quelle convenzioni senza discriminazioni ed allo scopo di fornire aiuti concreti alle singole vittime.
La Nigeria ha inoltre ratificato la Carta africana sui diritti umani e dei popoli, la quale riconosce un largo spettro di diritti civili, politici, economici, sociali e culturali . Il Codice di condotta Onu per le forze dell’ordine del 1979 ed i Principi fondamentali Onu sull’uso della Forza e delle armi da fuoco da parte delle forze dell’ordine del 1990 prevedono restrizioni nell’uso della forza e delle armi da fuoco da parte delle forze di sicurezza.
Negli anni recenti si è avuto un crescente riconoscimento della necessità di regolare l’attività aziendale dal punto di vista dei diritti umani. Sebbene principalmente rivolta agli Stati, la Dichiarazione universale dei diritti umani stabilisce il fondamento degli impegni morali se non addirittura legali, da applicare negli affari privati e tra gli altri soggetti non statali.
Per ulteriori informazioni: coord.africaoccidentale at amnesty.it
Fonte: http://www.amnesty.it/pressroom/documenti/Nigeria
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