Chiamiamole "interne", "primarie" è un anglismo che non vuol dire nulla.



Chiamiamole "interne", "primarie" è un anglismo che non vuol dire nulla.

Alle 8.15 di stamane ho votato per le cosiddette "primarie". Ebbene,
subisco il fascino della scheda elettorale. Ci ho messo un po' a trovare
il seggio perché la stradina dov'era rintanato non la conosceva nessuno,
neanche i poliziotti della Questura che gentilmente mi hanno tirato
fuori lo stradario. Era in un "Circolo Alcide de Gasperi", e chissà cosa
avrebbero detto Alcide e Palmiro a ritrovarsi tutti insieme in coda ed a
scoprire che nel '48 insieme a Pietro  (Nenni) rappresentavano il 95%
del quadro politico ed oggi appena la metà. Ricordare che il Polo nasce
innanzitutto per far saltare il tavolo dei valori condivisi della nostra
Repubblica, non è mai pleonastico.
di Gennaro Carotenuto

Ho sottoscritto il cosiddetto programma, una serie di enunciazioni così
generiche da essere condivisibili dalla Mussolini fino alla Panzino e mi
sono appartato con la solita voglia insoluta di... fregarmi la matita.
Ho votato in libertà per una persona in carne ed ossa, ed ho pensato che
alle politiche non potrò farlo, irregimentato come sarò da una lista
bloccata a dover scegliere chi il partito, qualunque partito, ha deciso
che io debba votare. Ma niente rimpianti, anche col maggioritario così
caro al centrosinistra, non ero io a scegliere il mio candidato. Quindi
la nuova legge non è peggiorativa.

Ho provato una bella sensazione, perché al di là del fatto che è
scontato che vinca Romano Prodi (ma anche Vendola era dato solo al
20-25%), le sette opzioni offerte sono sufficientemente diverse tra loro
e c'è spazio perché il popolo di sinistra manifesti un proprio
equilibrio, al di là degli apparati all'opera. Tutto bene insomma, al
seggio c'era gente, ma l'attesa non è stata lunga.

La cosa che strideva allora era proprio quel nome: "primarie".

In italiano questo termine non significa nulla. Noi parliamo di settore
primario per l'agricoltura ed abbiamo i primari d'ospedale. Ma la
"primaria importanza" andrebbe destinata alle politiche di aprile 2006,
non a queste consultazioni che semmai sono delle "preliminari".
E' chiaro che si chiamano "primarie" perché si scimmiotta l'anglismo del
termine utilizzato negli Stati Uniti. Al di là della pigrizia mentale,
che non depone bene per chi l'ha deciso di trovare soluzioni originali
per il paese, è chiaro che l'esercizio democratico realizzato oggi dagli
elettori di centro sinistra italiani, non ha nulla a che vedere con
quello statunitense.

Quello è un circo mediatico che dura mesi, si basa solo sulla capacità
di ottenere e spendere denaro senza limiti, organizzato sulla base di
tradizioni che non sono certo regole certe e dove i candidati piccoli
vengono stritolati in poche ore e non arrivano mai neanche a sottoporre
le loro proposte agli elettori degli stati più popolosi. Quello di Ivan
Scalfarotto non avrebbe potuto essere un "sogno americano". Negli Stati
Uniti della sua candidatura non si sarebbe accorto nessuno. Il suo
semmai è un "sogno italiano", della nostra democrazia e di quel poco di
includente che ancora salviamo.

Qui da noi, il centrosinistra, con titubanza, ma anche con orgoglio, si
è ritrovato a dovere accettare un processo decisionale che restituisce
una quota di potere (senza esagerare) agli elettori, come il caso
Vendola in Puglia ha dimostrato. Giova ricordare che, fosse stato per la
cupola, Vendola non sarebbe mai stato candidato né tanto meno eletto.

Ed allora perché "primarie", se non c'è nulla di condiviso col sistema
del paese nordamericano? Se ci siamo inventati un nostro sistema, ben
più consono alla nostra democrazia, perché abbiamo scimmiottato il nome?

C'è il termine "preliminari", ma c'è soprattutto il termine "interne"
che è quello che per le lingue neolatine fedelmente rappresenta quello
che stanno facendo gli elettori di centrosinistra nella giornata di
oggi. La differenza non è solo nominalistica ma è anche di sostanza. Le
"interne" 2005 del centrosinistra potrebbero restare un modello isolato,
ma potrebbero essere anche un primo passo verso un cambiamento positivo.

Con una sola sostanziale differenza, le nostre "interne" sono
assolutamente identiche a quelle che si svolgono in Uruguay. I candidati
sono espressione delle forze politiche ma devono ottenere la
ratificazione del popolo prima di poter legittimamente aspirare alla
guida del paese. Anche il sistema di voto è sostanzialmente identico, ma
giammai un italiano ammetterà che qualcosa di buono venga ripreso da un
paese del Sud. Se il Sud sa che "o inventa o sbaglia", forse anche noi
dovremmo arrivare alla stessa considerazione e trovare nostre soluzioni.
Per esempio in tema di economia, dove le soluzioni delle sinistre sono
sempre più simili a quelle delle destre e sfido chiunque, quando parlano
economisti come Nicola Rossi o Michele Salvati, a capire che sono di
centro-sinistra, magari come nel caso di Rossi, deputato diessino. Anche
perché questi personaggi ottengano (o meglio "non ottengano") una
legittimazione popolare, servono le "interne".

La sostanziale differenza è che l'Uruguay ha una legge che gestisce le
"interne" come parte irrinunciabile del proprio sistema elettorale. I
partiti votano in un solo giorno, tutti insieme, negli stessi seggi dove
si votano le politiche. Quindi in teoria, nel giorno di oggi, anche
Berlusconi o chi per lui dovrebbe ottenere la sua ratifica popolare in
elezioni interne.

Nelle presidenziali del 31 ottobre 2004, in Uruguay si sfidarono Tabaré
Vázquez, Jorge Larrañaga e Guillermo Stirling che pochi mesi prima
avevano vinto le elezioni interne dei propri partiti o coalizioni. Non
solo: il tenere le elezioni interne obbligatoriamente e in maniera
contemporanea offre due ulteriori vantaggi. Da un lato gli elettori di
una parte non possono andare a mettere i piedi nel piatto nelle interne
dell'altra parte come oggi sicuramente accadrà in Italia. Dall'altro, le
"interne" sono una misurazione efficace e democratica (e non legata a
sondaggisti) delle forze in campo. Anche noi non dobbiamo copiare,
altrimenti sbagliamo. Ma dobbiamo conoscere chi al mondo ha trovato
soluzioni efficienti e democratiche, soppesarle ed adattarle alla nostra
realtà. Altrimenti una delle prossime "primarie" le faremo in un rodeo,
ci ritroveremmo Romano Prodi a cavallo e col cappellone ma non sarà
vestito da buttero maremmano.

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