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Strategie comunicative per un massacro
- Subject: Strategie comunicative per un massacro
- From: Gennaro Carotenuto <gc at gennarocarotenuto.it>
- Date: Tue, 12 Jul 2005 14:32:39 +0200
Strategie comunicative per un massacro http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?id=215Della tragedia di Londra non ci sono immagini né di cadaveri né di sangue e, al di là dell’attribuzione ad Al Qaeda degli attentati, si veicola il rifiuto netto della connessione con la macelleria irachena. È una precisa scelta comunicativa. Vacilla invece la strategia vaticana che nega lo scontro di civiltà.
di Gennaro CarotenutoNella serata del 7 luglio migliaia di redazioni giornalistiche nel mondo hanno cercato senza trovarla un’immagine simbolica dei massacri di Londra. Non c’era.
Quella vana ricerca è stata originata da una precisa e probabilmente ponderata e preventiva decisione congiunta dei grandi media britannici, del Ministero dell’Interno e degli organi di Polizia. Non ci sono foto di quelle dure, non ci sono dettagli dall’interno del metro, né cadaveri, né sangue, fumo, zainetti abbandonati, distruzioni. Non ci sono neanche scene di disperazione, poche di persone che piangono. La totalità della stampa mondiale, venerdì come nei giorni successivi, ha utilizzato foto di feriti leggeri, in grado di camminare, e alcune foto dell’autobus della linea 30, fatte con uno zoom da considerevole distanza. Non è detto che sia un male, ma del 7 di luglio londinese non resterà una foto simbolo come l’aereo che si schianta sulle torri o l’albatros che affonda nel petrolio o altre foto storiche come quella del ghetto di Varsavia o il guerrigliero spagnolo di Robert Capa.
Nessuno dubita della libertà di stampa britannica, ma il sistema mediatico di quel paese è fin troppo centralizzato sulla BBC, un altro paio di canali televisivi nazionali ed un pugno di grandi quotidiani, Times, Guardian, Independent, Observer. Se c’è in gioco un sentimento nazionale e la percezione di un nemico esterno, non è difficile per pochi media autorevoli fare quadrato ed orientare l’opinione pubblica verso una percezione comune che appare severa e dignitosa. Non era detto che così fosse, né che questa fosse realmente l’idiosincrasia del paese vista la duratura isteria collettiva di fronte alla morte di Diana Spencer. Siamo così di fronte ad una scelta comunicativa con tratti molto diversi e più complessi dalla statunitense del 2001 e dalla spagnola del 2004.
L’11 settembre il sistema mediatico del paese e del mondo cavalcarono la commozione collettiva fino al parossismo. Niente di tutto il sangue, il fumo, la polvere, la disperazione fu risparmiato al telespettatore. Il clamoroso attentato fu immediatamente classificato come il peggior crimine della storia dell’umanità, un colpo a sangue freddo di un nemico che simbolizzava il demonio.
Tutto preludeva alla necessità e alla giustezza di una “giustizia infinita” amministrata dalle mani sicure del Presidente degli Stati Uniti. L’11 marzo spagnolo fu comunicativamente più sfortunato. Le menzogne di José María Aznar, che pretese di incolpare l’organizzazione basca dell’ETA, erano così grossolane e sfacciate che il suo Partito Popolare fu duramente castigato dagli elettori la domenica seguente.
Eppure la strategia del governo Aznar verteva sugli stessi elementi delle strategie comunicative dei due paesi anglosassoni. Primo: far passare il governo e non solo la cittadinanza come vittima. Secondo: tergiversare sulle motivazioni dei terroristi. Terzo: puntare sulla diabolicità di un nemico in guerra contro la nostra società aperta. Quarto: miscelare elementi diversi, cose vere, sfacciate menzogne e non detti per raggiungere l’obbiettivo di compattare l’opinione pubblica al fianco del governo. L’approvazione di Bush superò per varie settimane il 90%. Quella di Blair è cresciuta rapidamente in questi giorni, arrivando a toccare il 49%, molto per un dirigente che ha vinto le ultime elezioni solo per mancanza di una vera alternativa.
Tanto grossolano fu il gioco di Aznar come sottile risulta quello di Blair, ma per entrambi, l’importante è stato confutare l’idea che gli attentati fossero dovuti alla guerra. Nella strategia comunicativa britannica vi è un corpus complesso di elementi. La sobrietà è giustificata con la necessità di confinare il dolore nella sfera privata. La non esposizione del corpo delle vittime contribuisce da una parte ad alleggerire il trauma sociale e dall’altra ad evitare che gli autori capitalizzino i loro dubbiosi successi. La società statunitense, alimentata dai media, reagì all’11/9 con una ripugnante pletora di più di 200 assassini di persone con tratti fisici arabi. Decine di tassisti di religione sikh morirono così. Fu un pogrom –dimenticato dai media- che non si ripeté in Spagna e non si sta ripetendo in Gran Bretagna.
Alle motivazioni psicosociali bisogna sommare un altro elemento. I britannici sono stati indotti a rivivere uno dei momenti più gloriosi della loro storia, che sentono come parte positiva del carattere nazionale. Con l’effetto Churchill, che Tony Blair ha citato ripetutamente, la società è stata chiamata alla stessa compostezza mostrata di fronte ai bombardamenti nazisti in piena seconda guerra mondiale. La zona Est della città fu allora completamente distrutta e perfino Buckingam Palace fu colpito due volte. Eppure l’immagine che il paese volle dare fu di assoluta normalità, con teatri e ristoranti pieni. Sono gli inglesi che non si fecero invadere quelli che si vogliono riprodurre oggi.
A questi elementi, in maggioranza positivi, è stato necessario offrire alcuni elementi collaterali di tergiversazione per completare l’immagine offerta all’opinione pubblica interna e internazionale.
Blair, come Bush, hanno manipolato l’interpretazione degli attentati fino a legarla all’impegno del G8 a favore dell’Africa. Una bugia così sfacciata da essere paragonabile a quella del loro ex-complice Aznar. Per nessuno è conveniente collegare i morti di Madrid e Londra a quelli di Baghdad. In questi giorni sono stati sguinzagliati migliaia di opinionisti in tutto il mondo che ripetono in maniera martellante lo stesso messaggio: l’Iraq non ha niente a che vedere. Non esiste una concatenazione etica che dia giustificazione morale agli attentati come rappresaglia alla guerra. Ma chiunque neghi il nesso causale politico e militare tra i due eventi sta fuorviando l’opinione pubblica. E’ lo stesso messaggio finto ingenuo lanciato l’11 settembre: perché ci odiano tanto?
La BBC, docilmente, durante tutto il pomeriggio del giorno 7 ha contribuito a proiettare tale immagine. È arrivata perfino a ripetere in vari servizi che il motivo degli attentati di Madrid doveva cercarsi nella volontà di Osama Bin Laden di riconquistare la penisola iberica dopo la caduta di questa nel 1492. È una testimonianza in più che contribuisce a scolorire l’immagine della BBC come organo autorevole ed indipendente. Ce ne fornisce un’altra, che per lo spettatore attento affiora sovente, di organo tendenzioso e parziale. Se Madrid è davvero stata la vendetta per la caduta del Regno di Granada di 513 anni fa, e Londra voleva impedire gli aiuti ai bambini affamati in Africa, temiamo che prima o poi l’autorevolissima BBC reinterpreterà le Torri Gemelle incolpando gli indiani Mohawks, che popolavano Manhattan fino al secolo XVII.
UN MISTERO ANTICRISTIANO Nel pomeriggio di giovedì, gli osservatori più attenti hanno percepito come un terremoto il primo comunicato uscito dal Vaticano sui fatti di Londra. Alle 13.45 le agenzie attribuivano al Papa Joseph Ratzinger, in una lettera al Cardinale di Londra Murphy O’Connor, la definizione di “anticristiani” per gli attentati.
Sarebbe stata una svolta di 180 gradi rispetto alla politica del suo predecessore Karol Wojtyla. Questo aveva sempre rifiutato l’idea dello scontro di civiltà e religioni voluto dai neoconservatori e dai governi anglosassoni. Tanto dopo l’11 settembre 2001 e l’11 di marzo 2004, come di fronte alle aggressioni all’Afghanistan e all’Iraq, Giovanni Paolo II era stato la voce più alta nel distinguere chiaramente tra i presunti responsabili degli attentati e l’Islam come religione ed opporsi alla guerra frustrando la tentazione di molti –da entrambe le parti- di presentare le guerre come conflitti interreligiosi ed evitare che il mondo mussulmano potesse considerare tutto il mondo cristiano come aggressore.
In pochi minuti la lettera fa il giro del mondo e arriva sulla bocca di migliaia di politici e comunicatori che non aspettano altro per martellare –con bolla pontificia- sulla guerra dichiarata da tutto l’Islam a tutta la cristianità. Pochi minuti ancora e il sito Internet del Vaticano pubblica la lettera in versione integrale. Il termine “anticristiano”, è sostituito con “barbarico”, totalmente neutrale. Non c’è nessuna smentita né niente da aggiungere: per il comunicato ufficiale gli attentati non furono anticristiani ma solo barbari. Se è stato un errore, è un disastro, forse il più grave in decenni per la diplomazia vaticana e –silenziosamente- qualche testa dev’essere caduta nell’ufficio stampa pontificio. Sarebbe un gesto così superficiale da potere avere conseguenze gravissime sull’autorità del Vaticano stesso come mediatore nei conflitti che coinvolgono il Medio Oriente e il mondo musulmano. Se invece è stato un ballon d’essai saremmo alla vigilia di un cambiamento insolito, radicale e pericoloso della linea diplomatica vaticana con il nuovo pontefice. Benedetto XVI –interpretiamo- non scarta l’ipotesi che, nel caso si facessero endemici gli attentati in Europa, possa fare una piena scelta di campo a fianco delle potenze occidentali. Non sappiamo ancora se Ratzinger abbia la vocazione del nuovo Urbano II o Innocenzo III, i papi che proclamarono la prima e la quarta crociata, nel 1095 e 1198. Sappiamo però che da un lato l’idea d’Occidente e delle radici cristiane dell’Europa sono profondamente radicate nel suo pensiero e dall’altro che tutto il discorso vaticano su Londra –a parte la scivolata “anticristiana”- ha seguito finora scrupolosamente il cammino conciliatorio del suo predecessore.
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