Storia del movimento operaio: inutile e dannosa



Ricevo e inoltro questo scritto di Antonio Moscato, da decenni e fino a ieri docente di Storia del Movimento operaio a Lecce.

Soppresso brutalmente l'insegnamento di Storia del movimento operaio a
Lecce


Ho insegnato per oltre venti anni "Storia del movimento operaio" presso
l'Università di Lecce, con un indice di gradimento notevole (oltre 200 tesi di laurea, e una frequenza che in certi momenti ha raggiunto i 500 studenti all'anno). Era una materia non "fondamentale", assolutamente facoltativa, come ribadivo io stesso ogni anno agli studenti.
L'indice di gradimento alto (emerso anche nei sondaggi fatti negli ultimi
anni dalla stessa università) dipendeva da due fattori: in primo luogo
l'interesse degli studenti per le tematiche trattate, che affrontavano
problemi cruciali della storia del Novecento, ricercandone le radici e
cercando di sottrarli a una deformazione demonizzante o mitizzante; poi la metodologia usata nell'insegnamento, ma anche nella totale disponibilità in ogni momento (sessioni di esami frequentissime, in certi periodi addirittura settimanali, che permettevano di far tornare anche più volte senza traumi o attese di mesi lo studente con evidenti lacune, fino a portarlo al 30, lezioni ripetute in orari diversi per chi aveva difficoltà a frequentare, ecc.). Un metodo che avevo usato già quando insegnavo nella scuola secondaria, e che avevo cominciato a usare prima di trovarmi folgorato dalle pagine di don Milani. Anche il mio maestro, Ambrogio Donini, aveva usato questo metodo, che si legava al rifiuto di "giudicare" i risultati in astratto, ma teneva conto dello sforzo per apprendere e superare lacune. Un metodo faticoso, perché prima di arrivare al voto sui verbali e sul libretto c'erano molti passaggi.
Finché c'è stata nell'università quella sostanziale libertà di scelta che
avevo conosciuto già come studente, e che - tranne in alcuni momenti bui - aveva sempre contraddistinto le università fin dal loro sorgere, avevo una verifica del consenso, ma aumentava il fastidio dei colleghi pedanti e autoritari (anche di sinistra) che imponevano la presenza alle loro noiose lezioni aumentando il carico dei libri da studiare per chi non poteva frequentare.
Per far scoprire certi argomenti agli studenti (che uscivano dalla scuola
secondaria sempre più ignoranti e con un odio profondo per la storia
nozionistica che gli era stata imposta) prevedevo che certe ricorrenze (nel 1986 i quarant'anni dalla rivoluzione spagnola, nel 1987 venti anni dalla morte di Guevara, ecc.) portassero a celebrazioni nei supplementi dei grandi quotidiani e negli speciali televisivi che sono i grandi dispensatori del surrogato della conoscenza storica e quindi attirassero l'attenzione dei distratti.
Altri temi erano scelti in base a previsioni di avvenimenti che -
indipendentemente dagli anniversari - sarebbero finiti sulle prime pagine dei giornali: ad esempio una forte attenzione alla questione nazionale e ambientale in URSS alla vigilia del "crollo", la ricostruzione delle tragedie della Polonia e dell'Ungheria, ecc.; la politica coloniale italiana al momento dell'impresa in Somalia; il ruolo imperialistico dell'Italia nei Balcani, e - negli ultimi anni - sempre più il Medio Oriente e le premesse lontane della politica degli Stati Uniti.
Ogni anno una parte degli studenti e soprattutto dei laureati rimaneva in
contatto con la cattedra, collaborando gratuitamente e mettendo a
disposizione di altri quel che avevano appreso. Insieme a loro abbiamo
organizzato, parallelamente ai corsi, dei dibattiti invitando a parlare
docenti e soprattutto studiosi anche esterni all'università di vari paesi (da Ilan Halevy a Carlos Tablada, da Hildita Guevara a Michel Warshawsky.) nonché rappresentanti di diversi movimenti di liberazione.

Negli ultimi quattro anni il deterioramento dell'università si è
aggravato, con l'imposizione (da parte di autorità accademiche e docenti
formalmente critici nei confronti della Moratti) di nuove norme restrittive e di orari obbligati che penalizzavano guarda caso certe discipline, mettendole dalle 8,15 alle 9 del mattino quando i pendolari non erano arrivati, o dalle 17 alle 19 del venerdì quando la maggior parte degli studenti semistanziali erano già ritornati ai paesi d'origine.
Soprattutto la suddivisione in tanti corsi di laurea dai nomi
incomprensibili imponeva a certi studenti un mio corso anche se non gli
interessava, mentre impediva di sostenere l'esame ad altri interessatissimi, che seguivano le lezioni appena potevano. Storia del movimento operaio veniva assegnata solo a un corso con pochi studenti ("Comunicazioni linguistiche interculturali") mentre in quello più affollato ("Lingue e letterature euromediterranee") mi veniva data Storia contemporanea, ma solo per gli studenti col cognome tra la A e la L, assegnando gli altri a una docente con una metodologia e una capacità di interessare alle sue lezioni ben diverse. Di fronte alla fuga massiccia di studenti con iniziale M-Z verso il mio corso avvenuta il primo anno, il preside ha imposto ogni anno nuove restrizioni a chi chiedeva lo spostamento, rendendolo sempre più difficile, ma senza riuscire a bloccarlo del tutto.

Quest'anno mi era stato imposto un carico di lezioni enorme e in orari
assurdi e a volte sovrapposti. Sapevo che fra tre anni sarei andato in
pensione, e poiché ignoravo che negli ultimi tre anni prima del
pensionamento è previsto una specie di limbo (la collocazione transitoria "fuori ruolo"), in cui avrei potuto fare conferenze e seguire tesi, ma non dare i famosi crediti che sono diventati la sostanza della nuova università, avevo cominciato a discutere col preside la possibilità di chiedere un "anno sabbatico" dedicato alla ricerca, facendo assegnare per "affidamento" (cioè una specie di supplenza) i corsi a qualcuno dei tanti miei collaboratori laureati da tempo e non retribuiti, e in particolare a una che ha già al suo
attivo più pubblicazioni di certi docenti. Che la supplenza venisse
affidata - anche gratuitamente - a persona con gli stessi interessi
culturali e la stessa metodologia, mi pareva una richiesta legittima, dato che ricordo con orrore una supplenza che anni fa avevo dovuto accettare per cortesia verso un collega, e che mi obbligò a fare esami basandomi su testi incomprensibili e assurdi che egli (un ex "manifesto" passato a Forza Italia), aveva scelto per suoi calcoli di relazioni accademiche.

Invece l'11 maggio, mentre parlavo ancora una volta di questo problema col
preside aspettando che iniziasse un Consiglio di facoltà, egli mi ha
comunicato brutalmente che non c'era più nulla da discutere: dato che dal 1° novembre sarei andato "fuori ruolo", il giorno prima era stato già "disattivato" (cioè soppresso) l'insegnamento di Storia del movimento operaio, mentre Storia contemporanea veniva affidata tutta alla famosa collega da cui gli studenti tendevano a fuggire. Quando la protesta ha cominciato ad allargarsi, e una TV locale ha intervistato me e diversi studenti, il preside ha reagito con un comunicato in cui ribadiva che non c'era niente da fare: aveva solo applicato le "ultime disposizioni ministeriali", che tendono a "sfoltire" gli insegnamenti (specie quelli che alla ministra Moratti, appartenente per nascita e ideologia al ceto imprenditoriale, paiono inutili e dannosi, come la storia in generale e quella del movimento operaio in particolare).
Per giunta ha detto che i miei collaboratori "non hanno titoli". Non
alludeva a quelli culturali, ma a quelli formali e burocratici, che non
hanno perché sono rimasti sempre tagliati fuori dai concorsi per
ricercatori, gestiti dai soliti noti che si sono spartiti tutto quello che c'era da spartire. (Giugni sul "Corriere della sera" ha denunciato i criteri per i concorsi "truccati", ma era già tutto noto; si è parlato di "parentopoli", ma quel che si vede è una punta di iceberg, perché gran parte dei parenti sono collocati in altre università con un sistema di scambi, da sempre!)

Dopo quell'11 maggio sono rimasto come folgorato e quindi sostanzialmente
passivo per almeno due settimane. A che serve che il pensionamento sia
ritardato di tre anni, mi chiedevo, se tutte le mie attività nell'Università rimangono sospese nel vuoto, perché non ci sono più le mie cattedre? Poi alcuni studenti mi hanno detto che se rinunciavo alla lotta "non mi riconoscevano più" e parecchi laureati si sono fatti vivi e hanno lanciato un appello contro la soppressione di Storia del movimento operaio (non "per me", non di questo si tratta) che ha raccolto già centinaia di firme di studenti, e alcune significative adesioni di docenti, soprattutto di altre Facoltà e di qualche altra università, alcuni dei quali hanno anche suggerito una strada - magari lunga - per "recuperare" un insegnamento che ha avuto un ruolo importante in questa Università. Vedremo.

Intanto ho ritenuto utile informare più ampiamente chi mi ha conosciuto
solo attraverso i libri e gli articoli (compresi quelli apparsi solo su
questa lista). Può essere che vengano altri suggerimenti, e soprattutto
proteste contro un atto che colpisce non tanto me quanto quel poco che
rimane di libertà nell'Università. Più che testimonianze di stima (ne ho già avute tante, e mi hanno aiutato a resistere), mi piacerebbe ricevere impegni di lotta contro la progressiva involuzione dell'Università, di cui questa piccola vicenda è solo una delle tante manifestazioni. Una vicenda comunque che è stata possibile solo perché tanti docenti e presidi sedicenti "di sinistra" indicono magari scioperi simbolici (e politicistici) contro la Moratti, ma si sono affrettati ad applicarne zelantemente le direttive.
Lecce 27 giugno 2005
Antonio Moscato

P.S. Se volete mandare messaggi di solidarietà o proposte, scrivete non a
questo indirizzo, peraltro di prossima chiusura, e su cui arrivano
moltissimi messaggi inutili e dannosi spediti automaticamente da computer infettati, ma ai miei due indirizzi personali:
antonio.moscato at unile.it   e a.moscato at flashnet.it   a cui potete anche richiedere ulteriore
documentazione, una raccolta di messaggi arrivati, ecc.
Possibilmente scrivete su tutti e due gli indirizzi, perché su quello
dell'Università, forse per disservizi, spariscono negli ultimi tempi interi blocchi di posta in arrivo.