Democrazia e comunicazione politica



Democrazia e comunicazione politica

Lo spazio pubblico nella sua massima espressione - la politica ­ ha ormai visto completamente cambiata la sua natura. Da luogo del dialogo, dell’esposizione argomentata, e ­ nel contempo - del confronto fra idee contrastanti e della modifica delle proprie opinioni, si è trasformato in spazio del consumo.

La comunicazione di massa ha imposto lo scenario dello spettacolo agli attori politici e al pubblico dei cittadini. Il ruolo della leadership è stato amplificato e molta parte delle èlite politiche è selezionata con criteri che non hanno più nulla a che vedere con le logiche della competizione politica.

Diventano un ricordo sia l’arte della retorica di origine greca che la persuasione di tipo clientelare, più consona alla tradizione romana. Così da un lato avviene che il candidato smette i rapporti di prossimità e si presenta in vetrina. Il caso più lampante avviene con internet. Collegandosi al sito del candidato, il cittadino si appropria di un surrogato del contatto diretto. A volte, tale collegamento virtuale non riporta nemmeno l’indirizzo mail dell’uomo politico, presentando così un negozio inaccessibile. Dall’altro lato è certificato che il comizio non rappresenta più la riunione di un popolo attorno all’oratore; non c’è più e basta.

I meccanismi democratici della delega e della rappresentanza vengono così alterati, finanche a risentirne la qualità stessa dell’esercizio del potere.

Il modello democratico - che dalla nascita dell’impero fino alla fine delle monarchie assolutiste conoscerà una pausa lunga diciotto secoli - era stato concepito per una società illiberale e poco numerosa, pur essendo legato al voto e al diritto di manifestazione del pensiero.

Solo dopo la Rivoluzione americana e quella francese, con la rinascita degli ideali libertari e democratici, si cominciano a ritrovare nuovamente delle forme di libera comunicazione politica. Con i primi sistemi elettorali prende piede un giornalismo che, sottraendosi alle censure dei regimi assolutistici, si schiera sempre più al fianco dei partiti democratici.

Il XIX - con la rivoluzione industriale, l’urbanesimo, l’inizio della scolarizzazione di massa ­ è il secolo che vede la democrazia lottare; sia attraverso sommovimenti e grandi passioni politiche, sia anche contro il ritorno di antichi privilegi e di nuovi assolutismi ideologici. Si sviluppa quindi in modo disomogeneo nei vari periodi e nei vari stati. Le libere elezioni diventano, pur senza il suffragio universale, la base delle democrazie moderne. La democratizzazione va di pari passo con la nascita della moderna comunicazione. La creazione di prestigiose testate giornalistiche, gli scontri fra partiti nei parlamenti, il sorgere dei grandi leader politici, nonché le campagne elettorali, assumono funzione di fonti primarie della comunicazione politica.

Il XX secolo - caratterizzato da una società di massa dominata man mano dal peso dei grandi numeri, dai media e dall’opinione pubblica ­ ha avuto il suo grande problema nella necessità di adattare urgentemente il modello democratico ad una società radicalmente diversa da quella per la quale era stato pensato. Si avvia un processo di mediatizzazione della politica, nell’ambito di quello di mediatizzazione della società. Il ruolo primario di agenzia di socializzazione viene intrapreso dai media - soprattutto quelli elettronici - a danno delle agenzie tradizionali quali famiglia, scuola, chiesa e partito.

E qui che la comunicazione politica assume il ruolo centrale.
Così Nimmo e Swanson (1990) danno una definizione generale della comunicazione politica: “Nella sua dimensione politica, la comunicazione è una forza per entrambi il consenso e il conflitto; le campagne elettorali nelle democrazie liberali sono per entrambi il cambiamento e la stabilità; [...] la comunicazione politica è al tempo stesso fonte di potere e di emarginazione, prodotta e consumata dai cittadini, attori più o meno autonomi, informati, determinati e creativi, ma anche modellati da potenti strutture”.


In questo inizio secolo, la democrazia mette in evidenza tutti i suoi limiti. E’ in condizione di restare in vita solo fintanto che regge una comunicazione politica condivisa.

Comunicazione politica in senso stretto, riferita cioè al rapporto fra istituzioni, partiti, movimenti, cittadini; ma anche e soprattutto che crea e veicola idee e conoscenze, gusti e stili di vita.

A tal fine, la politica si adatta, diventando pettegolezzo, scandalo, spettacolo; si arriva alla situazione in cui i media - quotidianamente - si comportano da intermediari fra il personaggio politico e il cittadino, interpretando ciò che l’opinione pubblica vuole sapere allo scopo di poter valutare l’idoneità di una persona a ricoprire cariche pubbliche. Il cinema, la radio, la televisione, internet sono gli strumenti che fanno da collante. I mezzi di comunicazione di massa esprimono informazione, intrattenimento e pubblicità in una miscela senza uguali. E’ il micidiale mix che si insinua, trovando dentro ognuno di noi la via giusta per diventare il serbatoio, l’alimento.

Secondo Mazzoleni (2004), in particolare: “La televisione ha cambiato profondamente la politica e la leadership politica a tal punto che non è esagerato affermare che l’invenzione della televisione è stata una delle pietre miliari della storia della politica e della democrazia, alla pari di eventi quali la rivoluzione francese e la caduta del muro di Berlino”.
La comunicazione politica diventa linguaggio e codice della televisione.
Già vent’anni fa Meyrowitz affermava: “Le telecamere invadono le sfere individuali dei politici come spie che penetrano nei retroscena. Li osservano sudare, li vedono fare delle smorfie dopo una frase mal riuscita, li registrano freddamente quando soccombono alle emozioni e quasi annullano la distanza fra pubblico e attore [...]. Le telecamere offrono al pubblico una ricca gamma di informazioni espressive; mettono in risalto la caducità dei politici e riducono la retorica astratta e concettuale. Se la retorica verbale può trascendere l’umanità e raggiungere la divinità, spesso le informazioni intime ed espressive mettono a nudo le debolezze umane”.

L’identità, la visibilità e il peso della vita pubblica vengono attribuiti a cura dello spazio mediatizzato.
Il video è l’agorà.

I canali della comunicazione diventano i perni del discorso politico e del dibattito pubblico che caratterizza il processo democratico. La commercializzazione e l’accennata esigenza di tener su l’attuale modello di democrazia hanno finito col sopprimere l’ispirazione originariamente democratica dei media stessi.

Scrive Tonello (2005): “La novità più importante del giornalismo americano degli ultimi anni è stata il consolidamento di un importante settore politicizzato in senso conservatore, che rifiuta esplicitamente l’ideale dell’obiettività. Si è creata una vasta area di testate che fanno riferimento ai neoconservatori e coprono tutti i segmenti del mercato: dalla televisione via cavo alle radio locali, dai settimanali di opinione ai quotidiani generalisti, alle newsletter. Fox News, il conduttore radiofonico Rush Limbaugh, Wall Street Journal e Weekly Standard respingono il consenso esistito per decenni attorno al modello professionale e si propongono di convertire l’America alle loro tesi, agendo con uno spirito di partito assolutamente disciplinato e compatto”.

Thompson (1995) ricorda la ricostruzione di Habermas in merito al percorso che va dalla fioritura alla morte della sfera pubblica borghese: “Non appena gli stati cominciarono ad adottare un atteggiamento interventista, assumendosi responsabilità sempre maggiori nella gestione del benessere dei cittadini, e i gruppi di pressione organizzati fecero la loro comparsa sulla scena politica come attori capaci di imporsi, la separazione tra stato e società civile ­ la separazione, cioè, che aveva creato lo spazio istituzionale per la nascita della sfera pubblica borghese ­ si richiuse. Analogo destino sarebbe spettato alle istituzioni che avevano funzionato da foro: esse sarebbero scomparse o avrebbero subito mutamenti radicali. Secondo Habermas, i salotti e i caffè persero importanza, mentre la stampa periodica si sarebbe trasformata in una componente di un insieme di istituzioni mediali, organizzate in misura sempre maggiore come imprese commerciali su larga scala. La commercializzazione avrebbe stravolto l’essenza stessa dei media: ciò che una volta fungeva da foro ideale della discussione critica e razionale viene tramutato in nulla più che un altro ambito del consumo culturale, e la sfera pubblica borghese degrada nel falso mondo della creazione di immagini e del controllo delle opinioni. La vita pubblica assume un carattere quasi feudale. Le sofisticate tecniche dei nuovi media vengono utilizzate per dotare l’autorità pubblica di quel tipo di aura e prestigio di cui un tempo le cerimonie della vita di corte ammantavano i re. Tale Rifeudalizzazione della sfera pubblica trasforma la politica in uno spettacolo controllato, nel quale i leader politici e i partiti cercano di tanto in tanto il consenso entusiasta di una popolazione spoliticizzata. La massa è esclusa dalla discussione pubblica e dai processi decisionali, e trattata come una risorsa controllata dalla quale i leader politici possono trarre, con l’aiuto tecnico dei media, il grado di consenso sufficiente a legittimare i loro programmi”.

A questo punto, cosa rimane?
Secondo Bardoel (1996) resta ciò che il più recente Habermas definisce come “periferico” rispetto al centro politico: “Lo spazio dei mass media non esaurisce, tuttavia, lo spazio pubblico perché esiste un territorio, quello della società civile, al cui interno nascono sensibilità verso issues (per esempio la pace, il nucleare, il terzo mondo, il femminismo e le questioni etniche), si sviluppa un dibattito tra intellettuali, piccoli gruppi, viene raccolto e diffuso da associazioni e da una stampa specializzata, si trasforma lentamente in movimenti e nuove subculture e finalmente raggiunge per mezzo dei mass media l’opinione pubblica più ampia, interessando lo spazio pubblico generale”.


Un percorso, quindi, non solo tortuoso, ma che lungo la strada dà l’idea di essere - esso stesso - prima la via crucis e poi la tomba dei potenziali contributi a cura della società civile.

I media, col trascorrer del tempo, da un lato hanno prodotto una profonda modifica dei caratteri tradizionali della politica e dei partiti, dall’altro hanno creato quella che viene chiamata la “democrazia del pubblico”. Politica e partiti hanno i nuovi fori della deliberazione e della rappresentanza esclusivamente nei media. E’ nel contesto mediale che le istituzioni, le forze politiche, i leader e i candidati comunicano fra di loro e con i cittadini-spettatori. I media rappresentano la ribalta condizionante della scena politica. I tre attori dello spazio pubblico sono così in una relazione asimmetrica e piramidale: sistema dei media, sistema politico e cittadino elettore. Lì dove, secondo la definizione di McQuail (2000), “il sistema dei media è l’insieme delle istituzioni mediali che svolgono attività di produzione e di distribuzione del sapere (informazioni, idee, cultura)”.

Si può affermare per quanto sopra che i simboli, i rituali, l’agenda, il dibattito, i linguaggi, la narrazione, l’offerta e l’intera comunicazione politica, oggi producono un’identificazione diretta fra spazio pubblico e media?

Per rispondere in qualche modo a tale domanda, potrebbe tornare utile prendere a riferimento quelli che ­ secondo chi scrive ­ rappresentano due aspetti centrali della recente comunicazione politica: l’opinione pubblica e l’immagine.

La prima però salta subito all’occhio per via dei contrapposti punti di vista di cui è oggetto. L’opinione pubblica rappresenta da un lato una moderna forma di espressione della volontà popolare per chi la vede come un fenomeno vivo che attraversa la storia del genere umano. Noelle-Neumann (1984) la definisce così la nostra “pelle sociale”, la superficie del nostro senso di appartenenza alla comunità che esalta o comprime le nostre possibilità di esprimerci liberamente. Dall’altro lato, c’è chi come Bourdieu (1976) vede l’opinione pubblica come un soggetto improprio, finendo con l’affermare che “l’opinione pubblica non esiste”. In effetti, accadimenti come quello di Madrid del marzo 2004, mettono in discussione l’idea stessa di opinione pubblica, nel momento in cui centinaia di migliaia di spagnoli cambiano il proprio indirizzo politico a seguito di un seppur importante ma singolo evento (mi riferisco sia alle stragi che al conseguente tentativo del governo in carica di manipolare i mass media).

E per quanto riguarda l’immagine?
Beh, per quella ci sono linee di tendenza più chiare.
Innanzitutto, l’abbondanza del numero di media a disposizione cambia le modalità di ricezione da parte dei cittadini. Emergono ­ come accennato all’inizio - abitudini di consumo della politica che assomigliano alle modalità di acquisto in un supermercato. Contenuti e messaggi politici riaffiorano ovunque; non solo nei contenitori informativi tradizionali. Si entra così in relazione anche con persone altrimenti non contattabili o non disponibili all’ascolto di questo o quel personaggio. Si produce inoltre un fenomeno di diluizione e, nel contempo, di ridondanza della politica. Nascono allora nuove professionalità come quella dello spin doctor. Il consulente che nel rapporto con i media ha lo specifico compito di far risaltare, da ogni qualsivoglia situazione, tutto il meglio di quanto espresso dal proprio leader-datore di lavoro. L’immagine forte e vincente del politico diviene il prodotto di chi interpreta la logica dei media.

Il cerchio è chiuso.

Giunti a questo punto, è credibile un’ipotesi che fa intravedere la scomparsa dei mass media? Ritornare all’alba della democrazia, in un mondo cioè che sostituisce i mass media con i personal media. Su questa strada - a mio avviso - il primo passo da compiere spetta ad ognuno noi. E’ quello di una maggiore azione interattiva, al momento appena agli esordi. Più che a un originario rapporto faccia a faccia, ritornare a un naturale e assiduo rapporto dare-avere.

26/5/5 ­ Leopoldo BRUNO

Materiale di riferimento:
Bardoel J., in European Journal of Communication, (1996), 293.
Bourdieu P., trad. it. L’opinione pubblica non esiste, Problemi dell’informazione, (1976), n.1, 88.
MazzoleniG., La comunicazione politica, Il Mulino, (2004), 76.
Meyrowitz J., (1985), trad. it. Oltre il senso del luogo, Baskerville, (1993), 463.
McQuail D., trad. It. Sociologia dei media, Il Mulino, (2001), 33.
Nimmo D.D. e Swanson D.L., The field of political communication, (1990), 22.
Noelle-Neumann E., (1984), La spirale del silenzio, Meltemi, (2002), 112.
Thompson J.B., (1995), trad. it. Mezzi di comunicazione e modernità, Il Mulino, (1998), 111.
Tonello F., Il giornalismo americano, Carocci, (2005), 135.

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