Lettera aperte alla Chiesa dai sud del mondo dopo la scomparsa di Wojtyla



Lettera aperte alla Chiesa dai sud del mondo dopo la scomparsa di Wojtyla,
pubblicate sul numero del settimanale CARTA in edicola dall'8 aprile 2005


di Daniele Moschetti, comboniano a Korogocho [Nairobi, Kenya]

Cara Chiesa, scegli i poveri

Nella tua storia, cara Chiesa, pochi pontefici hanno parlato di giustizia sociale e soprattutto sono stati pochi i tuoi capi che si sono rivolti direttamente ai poveri, come Giovanni Paolo II. Alcune sue aperture, come il dialogo interreligioso avviato con Assisi '86, fanno parte di quei percorsi della nonviolenza che a volte assumono una visibilità straordinaria e incidono davvero nei rapporti tra i popoli. Ma non c'è dubbio che rimangono anche diverse ombre su alcune scelte conservatrici di questo papa, in materia, ad esempio, di morale individuale, a cominciare dall'uso dei "condom". Credo valga la pena ripensare a Wojtyla soprattutto per la sua capacità di andare controccorrente: pensiamo alla sua chiara opposizione alla guerra e quindi alla sua protesta nei confronti delle scelte di capi di stato come Bush e Blair. Come poche autorità politiche e religiose, Wojtyla è riuscito a parlare, a nome tuo, ai governanti, ma anche alla gente semplice di tutti i sud. Con i suoi numerosissimi viaggi ha avviato un interessante e poco apprezzato percorso per aprirti ai poveri, percorso che ora però ha bisogno di nuovi passi avanti, per riuscire a farti diventare "chiesa povera" a non "povera chiesa". Per farti essere, cioè, davvero capace di condividere le lotte di tutti gli impoveriti. Chi sarà il tuo nuovo papa? Considerando l'attuale maggioranza di cardinali, il rischio di una scelta conservatrice è alto. Anche se fosse latinoamericano o addirittura africano, il problema rimane: in Africa diciamo spesso che i vescovi locali sono "più romani dei romani" e per questo vengono eletti. Il numero di papabili vicini ai movimenti di destra, come l'Opus Dei, è preoccupante. Ma mi piace pensare ad alcuni vescovi che tu, Chiesa, hai eletto in regioni del sud del mondo per consolidare esperienze pastorali "moderate", pastori che sperò una volta eletti sono stati trasformati dagli eventi e dai movimenti di base. Insomma, sono stati trasformati, per chi è credente come me, dalla forza rinnovatrice dello Spirito Santo, che cambia e converte. Ricordiamoci di monsignor Romero, di Samuel Ruiz, ma anche di vescovi come Tonino Bello e Luigi Bettazzi e persino di papa Giovanni XXIII, che tutti avevano inizialmente etichettato come conservatore e poi è stato il papa che ha avuto l'intuizione del Concilio Vaticano II. Nell'agenda del nuovo pontefice, cara Chiesa, dovranno sicuramente trovare più spazio temi come il celibato dei religiosi e il ruolo della donna, che in questi ultimi anni sono stati argomenti piuttosto chiusi. Mi auguro anche che tu sia capace di moltiplicare documenti pensati e scritti dal sud del mondo e non solo riguardanti il sud del mondo: quelli di oggi, che pur si rivolgono ai popoli impoveriti, sono troppo spesso espressione di linguaggi e mentalità delle persone che vivono nel nord del mondo. Di certo il tuo nuovo papa dovrà essere in grado di affiancarsi collaboratori diversi da quelli che ha scelto Giovanni Paolo II. La condanna della guerra di Wojtyla, come espressione radicale del neoliberismo, ad esempio, non è mai stata realmente sostenuta dagli attuali cardinali e vescovi. Lui stesso ha intuito che se la povertà aumenta in tutto il mondo, tu, Chiesa, dovresti sostenere qualsiasi esperienza antiliberista: per questo, ad esempio, l'idea dello "Stato" Vaticano dovrebbe essere superata, così come andrebbe rivista l'esistenza del suo braccio diplomatico, i Nunzi apostolici, che si dimostrano sempre più incapaci di ascoltare il grido dei poveri e scelgono di trattare solo con chi pensa di cambiare il mondo dall'alto, senza sporcarsi le mani. Nei mesi nei quali la malattia ha limitato l'attività del papa, inoltre, come non mai c'è stato un ritorno al centralismo del Vaticano, che ha spento molti tentativi per aprirti anche al tuo interno verso una democrazia più partecipata. Dimensione che quindi andrebbe presto recuparata. Immagino già nei prossimi mesi le visite dei capi di stato al tuo nuovo papa: potrebbe cominciare un periodo di compromessi davvero deleterio per la te, Chiesa, ma anche per la società. I principali pericoli da cui rifuggire, in questa fase, credo siano intanto quello della centralità della gerarchia ecclesiale a danno della corresponsabilità dei laici; mettere in discussione molte originali esperienze di comunità di base, coinvolte nei movimenti sociali che chiedono e costruiscono un altro mondo; l'accentuarsi, infine, di una formazione tradizionalista degli uomini e delle donne che, come me, hanno scelto di servirti.

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di don Andrea Gallo, comunità di San Benedetto al Porto di Genova

Cara Chiesa, ricorda il Concilio

Cara Chiesa, come cattolico e come prete, che mai nel suo percorso è stato ammonito o scomunicato, ti confermo il mio amore, mentre sono qui, in questi giorni a pregare per il vescovo di Roma. Tu, Chiesa, anche in questo momento particolare, come dicono le scritture sei "semper reformanda" e il tuo compito è e rimane unicamente quello di valorizzare il contenuto del messaggio evangelico. I giudizi, le valutazioni, dunque, su di te e sull'impegno dei tuoi pontefici, lasciamoli alla storia. E non certo a un piccolo e vecchio prete di periferia come me. Ma lasciami descrivere, in questo momento, almeno il senso di attesa che ancora invade me e alcuni miei compagni di strada: noi, figli del Concilio Vaticano II, di quella straordinaria primavera inaugurata da papa Giovanni, dopo aver tanto atteso ci aspettavamo l'applicazione dei testi che il Concilio Vaticano ha prodotto quarant'anni fa. Certo, i viaggi di papa Wojtyla, le sue attenzioni al mondo dei giovani e ai fratelli musulmani ci hanno insegnato molto, ma contemporaneamente, ammettiamolo, è stata realmente bloccata in questi anni la "pratica conciliare". Quella dell'enciclica "Lumen Gentium", ad esempio, quella cioè della Chiesa comunione e non della Chiesa ossessivamente e possessivamente gerarchica. È stata bloccata, in questi anni, la cosiddetta "opzione dei poveri", secondo la quale tu, Chiesa, sai veramente tale solo se assicuri al tuo interno la presenza più dei poveri. Ma è stata bloccata, in questi anni, anche la profezia della Teologia della liberazione e, più in generale, della teologia politica. Quanti amici cari, hanno sofferto e sono stati inutilmente defenestrati, perché sostenitori di quella teologia. Se dunque, cara Chiesa, con Giovanni Paolo II è stato fissato come mai prima il tuo patrimonio dottrinale, allora concedici di auspicare il ritorno soprattutto al patrimonio del Concilio Vaticano II. Non ti nascondo, infatti, che noi poveri, quando nel 2003 l'Osservatore romano ha intitolato a caratteri cubitali in prima pagina "La follia della guerra", raccontando l'inizio dei bombardamenti sul popolo iracheno, abbiamo un po' gioito, perché quel giorno abbiamo potuto riassoporare il pensiero e le parole di pace e nonviolenza che papa Giovanni aveva diffuso con la Pacem in terris. Parole che la Chiesa e alcuni suoi fedeli hanno spesso dimenticato. Allora, mia Chiesa, riscopri e rimetti in discussone ora alcuni temi, a cominciare dalla collegialità dei vescovi, il ruolo della donna, la morale sessuale, la libertà religiosa, il pluralismo teologico, ma soprattutto ascolta il grido contro il neoliberismo che viene da tutti i sud del mondo. Ascoltalo e poi, non aver paura a far nome e cognome, perché non possiamo in questi giorni piangere Giovanni Paolo II accanto a chi, come l'imperatore Bush, ha scelto di imporre al mondo le proprie logiche di guerra e le sue economie liberiste. Per questo, cara Chiesa, in questo momento lasciaci sperare che, così come dopo il lungo pontificato accentratore di Pio XII, è cominciata la primavera di papa Giovanni, anche oggi dopo Wojtyla cominci per te una nuova stagione. Una stagione nella quale dare valore, tra l'altro, all'ecumenismo, cioè all'unità tra le differenti comunità dei cristiani, consapevoli anche del rammarico con il quale Carol Wojtyla non è riuscito a visitare il Patriarcato di Mosca. Una stagione nella quale i cristiani per primi impongano una giusta laicità dello stato, nel quale tutti cioè si possano davvero sentire rappresentati, senza pretese di egemonia culturali. Del resto, come cristiani, non dimentichiamoci che l'Evangelo ispira ma non detta le forme di partecipazione e di edificazione della polis. Una stagione, insomma, nella quale avviare la mondializzazione della solidarietà e la globalizzazione della giustizia e della pace, per costruire insieme una nuova capacità di governo mondiale.