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Una sentenza
- Subject: Una sentenza
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 15 Mar 2005 17:52:39 +0100
UNA SENTENZA Ad alcuni mezzi d'informazione ad alcune persone e associazioni impegnate per la pace e i diritti umani Gentili signori, sperando che la cosa non vi dispiaccia, vi inviamo come anticipazione il testo che aprira' il fascicolo di domani del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Il Centro di ricerca per la pace di Viterbo Viterbo, 15 marzo 2005 Mittente: Centro di ricerca per la pace strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it * * * 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: UNA SENTENZA [Peppe Sini e' da decenni il principale oppositore del sistema di potere andreottiano nell'Alto Lazio e la persona che piu' ha contribuito a denunciare e contrastare le penetrazioni mafiose nell'area tra Viterbo, Montalto di Castro, Civitavecchia. Come giornalista d'inchiesta e come pubblico amministratore (gia' consigliere comunale e provinciale, alla meta' degli anni novanta fu eletto col voto unanime di tutti i gruppi del Consiglio Provinciale di Viterbo presidente della Commissione d'inchiesta sui poteri criminali istituita dall'Amministrazione Provinciale) ha realizzato numerose inchieste, iniziative e denunce. Piu' volte querelato per diffamazione a mezzo stampa ha ottenuto in tribunale sentenze vittoriose in rilevanti processi che lo opponevano a uno dei maggiori imprenditori catanesi (uno dei "quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa" come li aveva definiti l'indimenticabile Pippo Fava), e al faccendiere collegato alla 'ndrangheta che secondo attendibili ricostruzioni reco' a Pecorelli l'ultimo "avvertimento" prima dell'uccisione. A seguito di un suo articolo su "La mafia a Viterbo" che denunciava il ruolo del vertice del gruppo andreottiano viterbese e laziale nell'aver creato i prerequisiti che avevano favorito la penetrazione mafiosa a Viterbo fu querelato per diffamazione dall'allora presidente della Regione Lazio: la sentenza della magistratura in tutti i gradi di giudizio diede ragione a Peppe Sini e torto al Rodolfo Gigli querelante: attualmente il Gigli e' parlamentare di Forza Italia, e il suo delfino di allora e' parlamentare della Margherita] L'eccellente rivista palermitana "Segno", diretta da padre Nino Fasullo e da trentun anni una delle voci piu' autorevoli della riflessione morale contemporanea, nel volume n. 262 del febbraio 2005 pubblica integralmente (alle pagine da 9 a 118) le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione relativa al processo sui rapporti tra il senatore Andreotti e la mafia. E fa precedere il testo da un editoriale dal titolo Come ai tempi di Cesare Borgia, editoriale la cui lettura vivamente raccomandiamo, cosi' come - va da se' - la lettura integrale della sentenza della Suprema Corte. La sentenza, che conclusivamente "PQM rigetta il ricorso del Procuratore Generale e dell'imputato e condanna quest'ultimo al pagamento delle spese processuali", conferma quello che gia' tutti sapevamo: tutti quelli che abbiamo pianto le nostre sorelle ed i nostri fratelli assassinati dalla mafia, tutti quelli che non abbiamo volto lo sguardo da un'altra parte. Quei rapporti ci furono. Quei rapporti tra la personalita' politica piu' rappresentativa del potere governativo lungo l'arco dell'intera storia dell'Italia repubblicana, e il potere criminale piu' feroce della nostra storia, quei rapporti ci furono. Mentre donne e uomini di incomparabile generosita' venivano assassinati e dei loro corpi si faceva scempio; mentre le persone migliori che al servizio dello stato come garante del civile convivere avevano messo a disposizione l'intera loro esistenza venivano massacrate in una mattanza tale che a ricordare nomi e date non basterebbe ne' questo articolo ne' questo foglio; mentre la mafia uccideva per arricchirsi e si arricchiva uccidendo, ed i nostri piu' grandi e piu' cari maestri e compagni di lotta e di vita venivano falcidiati l'uno dopo l'altro; ebbene, mentre tutto cio' accadeva, e tuttora continua, quei rapporti c'erano stati, il piu' importante uomo di governo di mezzo secolo di storia italiana aveva intrattenuto rapporti con la mafia, si era incontrato con la mafia, si era accordato con la mafia: in segreto, da complice, da complice degli assassini, da complice degli stragisti. Quel signore siede ancora in Parlamento, quel signore e' tuttora senatore, addirittura senatore a vita: quel signore, quindi, ancora concorre a fare le leggi, ed ancora riceve il ripugnante omaggio di quanti nel consesso che detiene il potere legislativo si contendono la sua amicizia e i suoi favori vilmente adulandolo. Noi non chiediamo che a un uomo ormai anziano sia inflitta dura una pena, cio' non riportera' in vita gli assassinati. Noi riconosciamo la piena legittimita' della sentenza della Suprema Corte di Cassazione che conferma il pronunciamento della Corte d'Appello di Palermo la quale, ritenendo che "la cessazione della consumazione del reato nel 1980 ne ha determinato la prescrizione" (ed il reato di cui si parla e' la "partecipazione nel sodalizio criminoso"), ha lasciato libero il senatore Andreotti: poiche' questa puo' legittimamente esser ritenuta corretta valutazione e decisione, alla luce delle norme vigenti, nell'ambito giuridico e specificamente giudiziario in riferimento agli specifici capi d'imputazione ed agli specifici fatti oggetto di indagine e giudizio; ma altra valutazione ed altro giudizio vigono nell'ambito morale, ed in quello politico, ed in quello storiografico. Ed altri fatti ed elementi ancora, a nostro avviso, erano e restano degni di costituire oggetto di indagine e di disamina in sede processuale (fatti ed elementi che anche chi scrive queste righe ha piu' volte portato all'attenzione delle competenti magistrature). Noi non chiediamo nulla, se non che una persona che ragionevolmente deve ritenersi essere stata - per una fase almeno della sua vita pubblica e ricoprendo primari incarichi istituzionali - in rapporti, in buoni rapporti, col potere mafioso, sia allontanata dal luogo in cui si fanno le leggi, le leggi che questa persona evidentemente non rispettava quando teneva quei rapporti, ed anche in seguito quando su essi taceva mentre aveva il dovere giuridico e morale di denunciarli, di farne ammenda, e di dimettersi da ogni pubblico ufficio. Per richiedere questo fascicolo di "Segno", ed anche per abbonarsi alla rivista, si possono utilizzare i seguenti riferimenti: "Segno", c. p. 565, 90100 Palermo, e-mail: rivistasegno at libero.it, sito: www.rivistasegno.it; abbonamento 2005: ordinario euro 45, sostenitore euro 100, estero euro 100; un numero: euro 10; arretrato: il doppio. Gli abbonamenti vanno effettuati sul ccp 16666901 intestato a Centro culturale Segno, c. p. 565, 90100 Palermo. * * *
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