Una sentenza



UNA SENTENZA

Ad alcuni mezzi d'informazione
ad alcune persone e associazioni impegnate per la pace e i diritti umani

Gentili signori,
sperando che la cosa non vi dispiaccia, vi inviamo come anticipazione il
testo che aprira' il fascicolo di domani del notiziario telematico
quotidiano "La nonviolenza e' in cammino".

Il Centro di ricerca per la pace di Viterbo

Viterbo, 15 marzo 2005

Mittente: Centro di ricerca per la pace
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo
tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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1. EDITORIALE. PEPPE SINI: UNA SENTENZA
[Peppe Sini e' da decenni il principale oppositore del sistema di potere
andreottiano nell'Alto Lazio e la persona che piu' ha contribuito a
denunciare e contrastare le penetrazioni mafiose nell'area tra Viterbo,
Montalto di Castro, Civitavecchia. Come giornalista d'inchiesta e come
pubblico amministratore (gia' consigliere comunale e provinciale, alla meta'
degli anni novanta fu eletto col voto unanime di tutti i gruppi del
Consiglio Provinciale di Viterbo presidente della Commissione d'inchiesta
sui poteri criminali istituita dall'Amministrazione Provinciale) ha
realizzato numerose inchieste, iniziative e denunce. Piu' volte querelato
per diffamazione a mezzo stampa ha ottenuto in tribunale sentenze vittoriose
in rilevanti processi che lo opponevano a uno dei maggiori imprenditori
catanesi (uno dei "quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa" come li aveva
definiti l'indimenticabile Pippo Fava), e al faccendiere collegato alla
'ndrangheta che secondo attendibili ricostruzioni reco' a Pecorelli l'ultimo
"avvertimento" prima dell'uccisione. A seguito di un suo articolo su "La
mafia a Viterbo" che denunciava il ruolo del vertice del gruppo andreottiano
viterbese e laziale nell'aver creato i prerequisiti che avevano favorito la
penetrazione mafiosa a Viterbo fu querelato per diffamazione dall'allora
presidente della Regione Lazio: la sentenza della magistratura in tutti i
gradi di giudizio diede ragione a Peppe Sini e torto al Rodolfo Gigli
querelante: attualmente il Gigli e' parlamentare di Forza Italia, e il suo
delfino di allora e' parlamentare della Margherita]

L'eccellente rivista palermitana "Segno", diretta da padre Nino Fasullo e da
trentun anni una delle voci piu' autorevoli della riflessione morale
contemporanea, nel volume n. 262 del febbraio 2005 pubblica integralmente
(alle pagine da 9 a 118) le motivazioni della sentenza della Corte di
Cassazione relativa al processo sui rapporti tra il senatore Andreotti e la
mafia.
E fa precedere il testo da un editoriale dal titolo Come ai tempi di Cesare
Borgia, editoriale la cui lettura vivamente raccomandiamo, cosi' come - va
da se' - la lettura integrale della sentenza della Suprema Corte.
La sentenza, che conclusivamente "PQM rigetta il ricorso del Procuratore
Generale e dell'imputato e condanna quest'ultimo al pagamento delle spese
processuali", conferma quello che gia' tutti sapevamo: tutti quelli che
abbiamo pianto le nostre sorelle ed i nostri fratelli assassinati dalla
mafia, tutti quelli che non abbiamo volto lo sguardo da un'altra parte. Quei
rapporti ci furono. Quei rapporti tra la personalita' politica piu'
rappresentativa del potere governativo lungo l'arco dell'intera storia
dell'Italia repubblicana, e il potere criminale piu' feroce della nostra
storia, quei rapporti ci furono.
Mentre donne e uomini di incomparabile generosita' venivano assassinati e
dei loro corpi si faceva scempio; mentre le persone migliori che al servizio
dello stato come garante del civile convivere avevano messo a disposizione
l'intera loro esistenza venivano massacrate in una mattanza tale che a
ricordare nomi e date non basterebbe ne' questo articolo ne' questo foglio;
mentre la mafia uccideva per arricchirsi e si arricchiva uccidendo, ed i
nostri piu' grandi e piu' cari maestri e compagni di lotta e di vita
venivano falcidiati l'uno dopo l'altro; ebbene, mentre tutto cio' accadeva,
e tuttora continua, quei rapporti c'erano stati, il piu' importante uomo di
governo di mezzo secolo di storia italiana aveva intrattenuto rapporti con
la mafia, si era incontrato con la mafia, si era accordato con la mafia: in
segreto, da complice, da complice degli assassini, da complice degli
stragisti.
Quel signore siede ancora in Parlamento, quel signore e' tuttora senatore,
addirittura senatore a vita: quel signore, quindi, ancora concorre a fare le
leggi, ed ancora riceve il ripugnante omaggio di quanti nel consesso che
detiene il potere legislativo si contendono la sua amicizia e i suoi favori
vilmente adulandolo.
Noi non chiediamo che a un uomo ormai anziano sia inflitta dura una pena,
cio' non riportera' in vita gli assassinati.
Noi riconosciamo la piena legittimita' della sentenza della Suprema Corte di
Cassazione che conferma il pronunciamento della Corte d'Appello di Palermo
la quale, ritenendo che "la cessazione della consumazione del reato nel 1980
ne ha determinato la prescrizione" (ed il reato di cui si parla e' la
"partecipazione nel sodalizio criminoso"), ha lasciato libero il senatore
Andreotti: poiche' questa puo' legittimamente esser ritenuta corretta
valutazione e decisione, alla luce delle norme vigenti, nell'ambito
giuridico e specificamente giudiziario in riferimento agli specifici capi
d'imputazione ed agli specifici fatti oggetto di indagine e giudizio; ma
altra valutazione ed altro giudizio vigono nell'ambito morale, ed in quello
politico, ed in quello storiografico. Ed altri fatti ed elementi ancora, a
nostro avviso, erano e restano degni di costituire oggetto di indagine e di
disamina in sede processuale (fatti ed elementi che anche chi scrive queste
righe ha piu' volte portato all'attenzione delle competenti magistrature).
Noi non chiediamo nulla, se non che una persona che ragionevolmente deve
ritenersi essere stata - per una fase almeno della sua vita pubblica e
ricoprendo primari incarichi istituzionali - in rapporti, in buoni rapporti,
col potere mafioso, sia allontanata dal luogo in cui si fanno le leggi, le
leggi che questa persona evidentemente non rispettava quando teneva quei
rapporti, ed anche in seguito quando su essi taceva mentre aveva il dovere
giuridico e morale di denunciarli, di farne ammenda, e di dimettersi da ogni
pubblico ufficio.
Per richiedere questo fascicolo di "Segno", ed anche per abbonarsi alla
rivista, si possono utilizzare i seguenti riferimenti: "Segno", c. p. 565,
90100 Palermo, e-mail: rivistasegno at libero.it, sito: www.rivistasegno.it;
abbonamento 2005: ordinario euro 45, sostenitore euro 100, estero euro 100;
un numero: euro 10; arretrato: il doppio. Gli abbonamenti vanno effettuati
sul ccp 16666901 intestato a Centro culturale Segno, c. p. 565, 90100
Palermo.

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