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Quaderno 8. Litania dei morti in preghiera
- Subject: Quaderno 8. Litania dei morti in preghiera
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 31 Mar 2005 03:25:57 +0200
Corso di educazione alla pace presso il liceo scientifico di Orte, anno scolastico 2004-2005 Materiali per la riflessione. 8 LITANIA DEI MORTI IN PREGHIERA, ED ALTRI LUTTI Testi estratti da "La domenica della nonviolenza" n. 14 Orte, 31 marzo 2005 * 1. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: LITANIA DEI MORTI IN PREGHIERA [Questa litania l'autore scrisse nell'ottobre 2000, alla notizia del ritrovamento dei cadaveri di sei migranti abbandonati in una discarica. Inviata questa lettera all'amico suo Dino Frisullo, questi rispose con la sua che di seguito si riporta come quarto testo. Benito D'Ippolito e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo] Leggo sul giornale la notizia assente lungo una strada una discarica abusiva sulla discarica deposti, scaricati morti asfissiati sei giovani migranti: sei clandestini, leggo sul giornale che aggiunge: il tir partendo in fretta e furia con una ruota ha calcato il capo spento di uno dei morti, schiacciandolo facendone scempio. Vedo la scena tutta: la strada, il grande camion il cumulo maleodorante dei rifiuti la fretta di sgravare a terra il carico inerte, lo sguardo da lupo il fiato affannoso le bestemmie masticate in gola di chi scaglia tra i residui i residui corpi. Vedo il camion pesante macigno, il fumo dei gas di scappamento, il crocchiare orribile che non posso, non posso dire. E vedo ancora come sacchi quei corpi rotti che attendono l'alba, il giorno, il passaggio delle automobili, il sole che alto si leva, il tempo che passa e che fermenta, finche' viene qualcuno e si ferma ed e' tardi. Poi vedo che arrivano uomini molti, si fermano auto e furgoni, ed e' tardi. Vengono le telecamere, le macchine fotografiche, un momento ancora, ancora un momento prima di gettare un velo pietoso, il pubblico cannibale vuole vedere il sangue, lo scempio. Poi tutto si avvolge. Tutto torna nero. Tutto resta nero, e nel nero un piu' cupo nero che sembra quasi rosso. E un silenzio tumescente. Leggo il giornale, uno dei poveri cristi ammazzati cosi' dalle leggi di Schengen e dalle mafie transnazionali cui lo stato ha appaltato il mercato del diritto a fuggire dalla morte altra morte trovando, leggo il giornale uno dei cristi poveri stringeva ancora in mano una piccola, una piccola coroncina da preghiera. Mentre affogavano tra le balle di cotone pregavano, pregavano i miseri clandestini. Ascoltala tu la loro pia preghiera. Ascoltala tu, che leggi queste righe. Tu poni mano a far cessar la strage. Ipocrita lettore, mio simile, mio frate. Ascoltala tu la voce dei morti e poni mano tu, poniamo mano insieme, a far cessar la strage. * 2. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: BALLATA PER UNA REGINA [Questa "Ballata per una Regina morta ammazzata sulla strada tra Tuscania e Tarquinia nell'estate del duemilauno" l'autore scrisse il 3 agosto 2001, alla notizia del ritrovamento del cadavere, scempiato dagli animali selvatici, di una giovane donna prima resa schiava e poi assassinata] Ci sono cose che non sai come dirle e allora le scrivi a righe interrotte. Dilaniata dai randagi la salma e' stata scoperta giorni addietro di una giovane donna nigeriana resa schiava in Italia e venduta come carne e cavita' sulla strada tra Tuscania e Tarquinia, tra le tombe etrusche, le romaniche chiese, le ubertose campagne che vanno alla maremma. Leggo sui giornali gli impietosi dettagli di cronaca nera, gli empi segni di sempre da quando Caino al campo invito' suo fratello. Leggo sui giornali, i giornali locali (non e' notizia da cronaca italiana una persona annientata e abbandonata ai cani: e' invece fatto che sconvolge l'ordine del mondo, ma di questo sapevano dire Eschilo e Mimnermo, non le aulenti di petrolio pagine quotidiane). E dunque leggo sui giornali locali: dicono che si chiamasse Regina, venisse dalla Nigeria, presa e recata schiava in italia, dicono chi l'abbia uccisa non sapersi. E invece io so chi l'ha uccisa: anche se non l'ho mai vista ne' da viva ne' ormai resa cosa immota e deturpata. Io so chi l'ha uccisa, e lo sappiamo tutti. E non solo l'eventuale fruitore di servigi che in un raptus puo' averle torto il collo a quel piccolo giocattolo che costava quattro soldi e non solo il racket che fornisce carne giovane e fresca di fanciulle ai lupi che usciti di scuola o dall'ufficio sulle loro carcasse di ferro perlustrano i fiumi d'asfalto alla caccia di prede e non solo lo stato italiano che vede tanto orrore per le sue strade e non agisce per salvare le vite concrete di esseri umani, non agisce per far valere quella legge che vieta nel nostro paese la schiavitu' e non solo. Io stesso mi sento le mani sporche di sangue, io stesso che so che a questo orrore resistere occorre e che da anni non so fare altro che spiegare come applicare quell'articolo della legge 40 combinato con quell'altro articolo del codice penale e come e qualmente le istituzioni potrebbero salvare la vita di tante Regine assassinate. E nulla di piu' ho saputo fare. E queste parole che ho aggiunto avrei voluto tacerle. * 3. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: CANTATA A CONTRASTO DEL TERRORISTA E DELL'UOMO DI PACE [Questa "Cantata a contrasto del terrorista e dell'uomo di pace, pietrificati entrambi. Solo la nonviolenza puo' sciogliere l'incantesimo e salvare l'umanita'" l'autore scrisse il 14 settembre 2001. Tre giorni dopo quell'undici settembre] Ecco, mi ascolti adesso? Lo senti adesso il mio dolore, lo senti quanto male faceva e io urlavo ed urlavo sotto le torture e tu eri troppo distratto per sentirmi? Ecco, mi ascolti adesso, adesso che e' troppo tardi, che sono morto e morto nella morte trascinando i tuoi cari? Ecco, mi ascolti adesso? Ecco, adesso ti vedo, ti vedo e tu svanisci ed io io non ti vedo piu'. Ma avrei voluto fermarti, avrei voluto fermarti e fermare la mano che a scorpioni e frustate ti ha allevato nell'odio e nel dolore che porta all'abisso dell'orco. Ecco, fossi venuto un poco prima, mi avessi detto parole di pane, parole di luce un poco prima, forse forse in pianto mi si sarebbe sciolto il sale dell'umiliazione che accieca i miei occhi, e forse saremmo oggi vivi e io e i tuoi cari. Eri tu che dovevi salvarli salvandomi. Ecco, ora che e' tardi per salvarti la vita ora che e' tardi per salvare i miei cari anche dai miei le scaglie cadono occhi ora che e' tardi. Uccisi per parlarti in un sussurro Ma quel gran rombo tutti rende sordi Uccisi per colpire gli empi simboli di un empio potere che disumana, che ha disumanato anche me Ma quelli che uccidesti non erano simboli, erano uomini e donne di carne e di osso di pianto e di riso, ed ora sono fumo Cercavo una strada da aprire alla giustizia di furia, a tentoni, battendo la testa nel muro Ma per la giustizia vi e' una sola strada salvare tutte le vite, tutte le vite salvare salvare tutte le vite salvarle tutte le vite umane. Commisi l'orrore ma tu cosa facesti tu, cosa facesti Nulla seppi fare per fermarti del sangue che tu hai sparso anche le mie sono lorde mani. Perdonami, figlio, perdonami. Perdonami, perdonami, padre. * 4. LUTTI. DINO FRISULLO: CRONACA NERA [Nell'ottobre 2000 Benito D'Ippolito invio' ad alcuni amici la litania qui riprodotta come primo testo; Dino Frisullo gli rispose con la lettera che pubblichiamo di seguito. Dino Frisullo, impegnato nel movimento antirazzista e per i diritti umani, per la pace e la liberazione dei popoli, per il suo impegno di solidarieta' con il popolo kurdo e' stato detenuto in Turchia. E' deceduto nel giugno 2003. Tra le opere di Dino Frisullo: L'utopia incarcerata, L'altritalia, Roma 1998; e' apparso postumo un suo nuovo libro, Sherildan. Alcune testimonianze in ricordo di Dino Frisullo sono nel n. 577 del 10 giugno 2003 de "La nonviolenza e' in cammino"] Ali veniva, poniamo, da Zako. Portava in tasca un pane di sesamo comprato in fretta nel porto a Patrasso profumo di casa garanzia di vita prima di calarsi nel buio del ventre del camion. Ali aveva gia' visto l'Italia, poniamo. Aveva l'odore dolciastro del porto di Bari l'Italia, e il primo italiano che vide vestiva la divisa di polizia di frontiera e fu anche l'ultimo. Respingeteli, disse, Ali non capi' le parole ma lesse lo sguardo guardo' a terra poi si volse perche' un uomo non piange. Ali veniva da Zako, poniamo, e sapeva gia' usare il kalashnikov ma di raffiche ne aveva abbastanza e di agenti turchi irakeni americani arabi e di kurdi che ammazzano kurdi e di paura masticata amara con la fame e dell'eco delle bombe Qendaqur come Halabje bombardieri turchi come gli aerei irakeni gli stessi occhi sbarrati contro il cielo che uccide. Ali, poniamo, aveva una ragazza rimasta sola, la famiglia in Germania, con lei aveva sognato l'Europa con lei aveva cercato gli agenti turchi e turkmeni e kurdi, maledizione, anche kurdi per contrattare il passaggio della prima frontiera, batteva forte il loro cuore al valico di Halil divise verdeoliva nel buio fasci di banconote stinte di tasca in tasca e poi liberi corre veloce l'autobus da Cizre verso Mardin ogni mezzora un posto di blocco divise verdeoliva banconote via libera colonna di autobus veloce di notte tre notti trenta posti di blocco da Mardin fino a Istanbul, e quella notte ad Aksaray nel piu' lurido degli alberghi fra ubriachi che russano e scarafaggi per la prima volta avevano fatto l'amore e per l'ultima volta. Sul comodino un vaso di fiori secchi stecchiti lei gliene regalo' uno come fosse una rosa di maggio. Fu all'alba che vennero a prenderli taxi scassati il cielo grigio del Bosforo poi a piedi verso un'altra frontiera in fila indiana nel fango in silenzio fino alle ginocchia l'acqua del Meric ha la pistola il mafioso, "piu' in fretta" sussurra, di la' la Grecia l'Europa e' calda la mano di Leyla si chiamava Leyla, poniamo era calda la mano di Leyla prima che scoppiasse sott'acqua la mina prima che i greci cominciassero a sparare prima dell'inferno. Un uomo non piange ma il cuore di Ali galleggiava nell'acqua sporca del Meric mentre si nascondeva nel canneto perche' i greci non scherzano e se ti consegnano ai turchi e' la fine i maledetti verdeoliva che hanno intascato i tuoi soldi ti fanno sputare sangue nelle celle di frontiera. In Grecia l'uomo si fa gatto si fa topo ragno gazzella a piedi di notte fino a Salonicco un passaggio da Salonicco a Patrasso giovani turisti abbronzati, poniamo Ali ha la febbre batte i denti fa pena rannicchiato sul sedile della Rover e' bella la ragazza straniera ma la sua Leyla era piu' bella piu' profondi del mare i suoi occhi. La Rover frena sul mare di la' c'e' l'Europa davvero gli ultimi soldi per il biglietto per Bari Ali il mare non l'aveva mai visto fa paura di notte il mare ma un uomo non ha paura e il cielo dal mare non e' poi diverso dal cielo dei monti di Zako nelle notti chiare. Fa piu' paura la polizia di frontiera "ez kurd im" "ma che vuoi, che lingua parli, rispediteli a Patrasso, ne abbiamo abbastanza di curdi qui a Bari, chiudeteli dentro, che non scendano a terra senno' chiedono asilo..." E' triste il cielo dal mare come il cielo dei monti di Zako nelle notti scure. E' duro esser kurdi sperduti fra il cielo ed il mare erano in dieci, poniamo che quella notte a Patrasso contrattarono in fretta seicento dollari a testa disse il camionista seimila dollari quei dieci corpi valgono quanto un carico intero e il suo amico Huseyn pago' anche per lui prima di coricarsi abbracciati stretto il pane di sesamo in tasca stretto in mano un fiore secco in dieci stretti fra le balle di cotone che ti prende alla gola che ti toglie il respiro... E' cronaca "Morti soffocati a Foggia sei clandestini in un tir" e' politica "Piu' di mille clandestini respinti nel porto di Bari" e' diplomazia "Accordo con la Grecia sui rimpatri" e' ipocrisia "Roma chiede collaborazione ad Ankara" e' propaganda "Inasprite le pene contro i trafficanti" e' nausea e' rabbia e' dolore sotto le stelle di Zako mille Ali sognano l'Europa in Europa sogneranno il ritorno nella fredda nebbia di Colonia Huseyn bussa a una porta ha da consegnare una cattiva notizia un fiore secco e un pane di sesamo... * * *
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