[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 803
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 803
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 8 Jan 2005 00:15:57 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 803 dell'8 gennaio 2005 Sommario di questo numero: 1. Jan Oberg, Gudrun Schyman, Christina Spaennar: L'anno nuovo nel segno dello tsunami 2. David H. Albert: Un appello da Krishnammal 3. Enrico Peyretti: Molti Schindler: dunque si poteva resistere al nazismo (parte prima) 4. Il "Cos in rete" di gennaio 5. Da tradurre: Maria da Graca Azenha, Constructivismo. De Piaget a Emilia Ferreiro 6. Da tradurre: Maria da Graca Azenha, Imagens e letras 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. JAN OBERG, GUDRUN SCHYMAN, CHRISTINA SPAENNAR: L'ANNO NUOVO NEL SEGNO DELLO TSUNAMI [Ringraziamo Renato Solmi (per contatti: rsolmi at tin.it) per averci messo a disposizione la sua traduzione di questo testo del 30 dicembre 2004 estratto dal notiziario della Transnational Foundation for Peace and Future Research (in sigla: TFF; sito: www.transnational.org) che ne detiene i diritti di copia. Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale. Jan Oberg (per contatti: oberg at transnational.org), danese, nato nel 1951, illustre cattedratico universitario, e' uno dei piu' importanti peace-researcher a livello internazionale e una figura di riflerimento della nonviolenza in cammino. Tra le sue molte opere: Myth About Our Security, To Develop Security and Secure Development, Winning Peace, e il recente Predictable Fiasco. The Conflict with Iraq and Denmark as an Occupying Power. Gudrun Schyman fa parte del comitato direttivo della Transnational Foundation for Peace and Future Research. Christina Spaennar e' cofondatrice della Transnational Foundation for Peace and Future Research] Che la nostra madre Natura sia in collera? Se e' cosi', ha le sue buone ragioni. Le proporzioni inconcepibili della tragedia umana in Asia ci offrono l'occasione piu' seria da decenni a questa parte per riflettere profondamente e pietosamente sul nostro modo di agire, su quello che facciamo e sulle priorita' che stabiliamo sulla nostra Terra comune. Se, invece della sicurezza militare, il nostro paradigma principale fosse stato la sicurezza umana, e' probabile che non avremmo assistito a nulla di simile a questo grado di morte e di distruzione. Se i governi avessero potuto disporre di un'analisi ragionevolmente obiettiva di cio' che minaccia non solo i loro propri paesi, ma il genere umano e la Terra intera, e si fossero preparati in vista di questo pericolo, l'opera di soccorso sarebbe stata predisposta assai meglio. Se la politica e l'economia si occupassero degli esseri umani e del loro benessere, e non del potere e del profitto, una maggiore quantita' di persone sarebbero ancora vive oggi. E se il mondo operasse meno sulla base del pensiero dominato dai maschi, e' probabile che ci sarebbe stata una comprensione piu' chiara della insostenibilita' della cosiddetta "razionalita' del sistema" e che si sarebbe posto, invece, maggiormente l'accento sulla razionalita' umana in quanto tale. Madre Natura ha tutte le ragioni di essere in collera, perche' stiamo facendo le cose sbagliate sia nei suoi confronti che nei nostri rapporti reciproci (o, per dirla altrimenti, facciamo del male a lei e ci facciamo del male fra noi). Che lo tsunami sia un segno di cio' che sta per arrivare, un avvertimento precoce a tutti noi che dobbiamo cambiare strada e maniere, e smettere, una buona volta, di essere cosi' miopi e cosi' ottusi? Un segno, dato giusto alla fine del vecchio anno, che, se vogliamo sopravvivere, dobbiamo cambiare le nostre priorita' e le nostre politiche, e renderle compatibili con la Terra, con la stabilita', con la permanenza, e non con la volatilita' dell'effimero? * La sicurezza umana come alternativa alla sicurezza militare Le potenze grandi e opulente sono pronte a combattere qualsiasi guerra, comprese quelle nucleari, con pochi minuti di preavviso. Ma non c'e' stato nessun preavviso per la povera gente dell'Asia, nessun pensiero per la loro sicurezza umana. Sentiamo parlare di interventi umanitari e del "bisogno" di soldati che ci aiutino o aiutino altri ad uscire da catastrofi umanitarie. Ma la maggior parte dei governi non sembrano avere la minima idea del modo in cui fronteggiare qualcosa di simile a questo tsunami ne', tanto meno, di venire a capo delle sue conseguenze. Mentre il mondo, e gli Stati Uniti in particolare, spendono somme fantastiche per "combattere il terrorismo" - che non e' mai stato un grande problema in termini di perdite umane -, e non fanno che produrre, cosi' facendo, una quantita' maggiore di terrorismo, non rivolgono alcuna seria attenzione al problema della poverta' e a quello della sicurezza ambientale. Spendono risorse scarse (e cioe' preziose) per gli armamenti e riducono i bilanci del welfare nazionale solo per favorire o per compiacere i complessi militar-industriali e senza curarsi minimamente dei bisogni umani che si manifestano altrove (e cioe' in altri campi della vita sociale o in altri paesi). Non c'e' nulla di simile alla "sicurezza umana" di cui abbiamo parlato in nessun luogo sulla terra. E perche'? A causa del nostro paradigma di sicurezza militare che reca l'impronta del dominio maschile. A causa delle nostre priorita' totalmente sbagliate. A causa dei nostri cicli elettorali disperatamente quadriennali che rendono impossibile ogni tentativo di pensare in grande e a lungo termine intorno al futuro della Terra. Perche' non ci sono diritti umani di cui si tenga il minimo conto per i poveri ne' per coloro che non sono ancora nati. * Compassione e disposizione ad aiutare Per fortuna, la compassione umana ha mostrato ancora una volta di essere illimitata. In tutto il mondo persone di buon cuore aiutano le organizzazioni umanitarie a raccogliere denaro e a donare articoli di ogni genere per le vittime, e manifestano la loro volonta' che i rispettivi paesi accolgano di buon grado presso di se' questo tipo di vittime. E si servono di internet e della posta elettronica per suscitare e promuovere questa consapevolezza. Le persone si aiutano reciprocamente in tutti i modi possibili nelle regioni devastate dallo tsunami. Tutto cio' e' profondamente commovente. Non c'e' dubbio che la compassione umana, la capacita' di immedesimazione e l'amore siano tra le forze piu' potenti che operano sulla Terra - sempre che si permetta loro di fluire liberamente. E questa condizione, di regola, non e', purtroppo, presente. * Uno tsunami al giorno - e pochi se ne preoccupano Ma aspettate un momento. La compassione fluisce liberamente solo quando e' diretta ad una sofferenza che non e' prodotta da cause politiche. Se essa ha a che fare con l'economia o con la politica, cio' non si verifica piu'. Circa il 50 per cento delle persone che vivono sulla Terra - circa tre miliardi - vivono ancora con meno di due dollari al giorno (mentre 300.000 americani muoiono ogni anno perche' mangiano troppo o perche' mangiano cibo di cattiva qualita'). A livello mondiale, fra 60.000 e 100.000 persone muoiono ogni giorno a causa della poverta', di malattie potenzialmente curabili, di Aids, di mancanza di cibo o di acqua pulita, di riparo o di abiti, di medicine o di educazione. Nel momento in cui scriviamo, questa cifra e' quasi pari a quella dei morti vittime dello tsunami (120.000!). Le persone innocenti che muoiono in occasione di catastrofi naturali toccano i nostri cuori. Quelle che muoiono, ugualmente innocenti, a causa del capitalismo globale, dei giochi di potere, delle guerre e dell'iperconsumo (o dello spreco) militare, non toccano i nostri cuori. Perche'? Probabilmente perche' sappiamo, nel profondo del nostro essere, che muoiono per colpa nostra, a causa dei privilegiati, dei ricchi, della loro avidita', della loro autoprotezione mentale e dei loro svaghi. Essi muoiono perche' debbono morire - altrimenti tutti gli altri, tutto il resto di noi, non potrebbero nuotare nel denaro, nel materialismo e nel militarismo. Per consolarci, abbiamo inventato il concetto di sviluppo sostenibile. Ma naturalmente sappiamo bene che tutta la faccenda e' totalmente insostenibile anche a breve scadenza. E temiamo forte che le cose non cambieranno in virtu' di un'azione volontaria, ma solo in seguito a un crescente collasso globale di tutto il sistema. Ogni idea di ridurre il consumo dei ricchi e' respinta con l'obiezione che allora (e cioe' in questo caso) il sistema crollerebbe. Abbiamo bisogno di consumare sempre di piu' e di una disuguaglianza sempre crescente - per poter sopravvivere. Ma la gente muore proprio a causa della sopravvivenza di questo sistema intrinsecamente inumano. Uno dei maggiori enigmi del nostro tempo e' che la gente non si sia ancora ribellata su scala mondiale contro questa teoria autodistruttiva, irrazionale e immorale. * Anche le guerre non toccano i nostri cuori allo stesso modo Non molto tempo fa, la rivista inglese piu' rispettabile, "The Lancet", ha pubblicato uno studio che dimostrava che circa 100.000 iracheni sono morti dall'invasione e dall'occupazione del paese. Prima di allora, le organizzazioni delle Nazioni Unite avevano calcolato che le sanzioni contro il popolo iracheno - la meta' del quale e' composto da fanciulli e fanciulle al di sotto dei 16 anni - sono costate le vite di una somma da 500.000 a un milione di cittadini di questo paese. Tutto cio' non ha attirato neppure la meta' dell'attenzione rivolta ora agli effetti dello tsunami. Non e' sconcertante pensare che prestiamo un'attenzione molto minore ai disastri combinati dall'uomo e manifestiamo una compassione molto minore per i loro effetti - quando invece, in realta', essi dovrebbero suscitare una quantita' maggiore sia dell'una che dell'altra dal momento che sono quelli che potremmo prendere misure per evitare o per alterare essendo noi stessi che li causiamo? Il sistema bellico, inoltre, distrae somme inimmaginabili dall'aiuto che dovremmo portare ai dannati della terra; i governi di tutto il mondo spendono attualmente una somma molto vicina a mille miliardi di dollari all'anno per la produzione di armamenti. La guerra in Iraq costa, ai soli Stati Uniti, un miliardo di dollari la settimana. Un sistema di allarme contro gli tsunami, come quello messo in opera dal Giappone, e' detto costare, a quanto sembra, circa 20 milioni di dollari. Virgil Hawkins, nella sua tesi di dottorato recensita in altro luogo di questo sito, ci dice quanto segue a proposito delle guerre recenti. L'89% dei morti in guerra negli anni '90 sono stati registrati in Africa, il 5% in Europa, il 4% in Asia, l'1% nel Medio Oriente e l'1% nelle Americhe. Piu' di cinque milioni di persone sono morte nelle guerre combattute in Africa, di cui un milione e trecentomila nella Repubblica Democratica del Congo e un milione e centomila nel Sudan soltanto. Dice Hawkins: "Conflitti costantemente presentati nei media come fatti di grande importanza, come quello che ha avuto luogo nel Kossovo (da 8 a 9.000 decessi, 2.000 dei quali hanno avuto luogo prima che avessero inizio i bombardamenti della Nato), fra Israele e Palestina (2.710 decessi), a Timor Est (1.000 decessi), l'Irlanda settentrionale (meno di 400), sono stati di fatto, relativamente parlando, molto piu' esigui nei loro effetti". Chi si e' preoccupato realmente delle vere, grandi perdite di vite umane che hanno avuto luogo in questo periodo? I media e gli uomini politici del mondo occidentale, quanto meno, non lo hanno fatto. * Denaro e follia I notiziari riportano che i maggiori esperti di meteorologia della Tailandia erano in riunione il mattino dello tsunami. Essi non diffusero un allarme sull'arrivo imminente dello tsunami perche' - se avessero sbagliato - temevano che il governo li avrebbe licenziati e avrebbe chiuso il loro istituto. Perche'? Perche' il turismo e' la fonte di reddito piu' importante per la Tailandia. Uno puo' scegliere di biasimarli, oppure puo' dire: "Cosi' grande e' il potere del denaro!". Questa era l'immagine implicita della dirigenza tailandese, che ha speso somme ingenti nella "lotta contro i musulmani" nella parte meridionale del paese e per ucciderli in nome della guerra contro il terrorismo. Essa ignorava completamente la questione della sicurezza umana come pure di quella ambientale. Nello stesso modo si sono comportati i governi dell'Indonesia e dello Sri Lanka, che hanno dilapidato anch'essi cosi' a lungo le loro risorse in diverse guerre, grandemente aiutati, in questo, dai trafficanti di armamenti di tutto il mondo. Quale vita migliore sarebbe stata quella che la povera gente di questi paesi - ora colpiti, per giunta, da questa catastrofe - avrebbe potuto condurre se i loro governi avessero operato sulla base di valori piu' umani e meno mascolino-militaristici. * Speranze, nonostante tutto Lo tsunami e' una tragedia umana che supera i confini della nostra comprensione. Ma e' anche un segnale d'allarme e un monito urgente per noi tutti. L'una accanto all'altra, e dandosi per cosi' dire la mano, la sicurezza umana e la sicurezza ambientale devono prendere ora il posto della sicurezza militare. Abbiamo bisogno di un set completamente diverso di priorita' e di un'etica globale della premura nei confronti degli esseri umani, per non dire, anzi, che e' di questo che dovrebbe occuparsi, in primo luogo, la cosiddetta globalizzazione. Il nuovo anno sara' difficilmente un anno felice per il mondo. Se non usiamo costruttivamente la tragedia dello tsunami per comprendere e rispettare linterrelazione reciproca di tutte le cose - e per capire quanto sia tarda l'ora che si e' fatta sulla Terra, i prossimi anni potrebbero benissimo dar luogo a un'oscurita' sempre crescente. Ma non dobbiamo, d'altra parte, abdicare alla speranza che ci sia una quantita' sufficiente di saggezza e di coraggio accumulati tutt'intorno ad uso e consumo dell'umanita' perche' sia ancora possibile, per quest'ultima, addivenire alla pace con la propria madre, la Natura, e, al proprio interno, fra le varie parti e componenti di essa. 2. TESTIMONIANZE. DAVID H. ALBERT: UN APPELLO DA KRISHNAMMAL [Ringraziamo Daniela Righi e Stefano Longagnani (per contatti: righidaniela at yahoo.it) per averci messo a disposizione la loro traduzione di questa lettera del 3 gennaio di David Albert, amico e collaboratore di Krishnammal e del Lafti. Krishnammal Jagannathan (per contatti: Krishnammal Jagannathan, Lafti, Vinoba Ashram, Kuthur - 611 105 Nagapattinam District, Tamilnadu, India), segretaria generale del Lafti, e' insieme a suo marito Jagannathan una delle piu' grandi figure della nonviolenza nel mondo; su Krishnammal e Jagannathan cfr. il libro di Laura Coppo, Terra gamberi contadini ed eroi, Emi, Bologna 2002. Amma e Appa sono i nomignoli confidenziali con cui Krishnammal e Jagannathan sono universalmente conosciuti] Cari amici, sto scrivendo questa lettera per conto di Krishnammal Jagannathan per descrivere la nostra visita di oggi a Nagapattinam. Per quelli che non mi conoscono io sono David Albert, amico del Lafti da quasi trent'anni, e curatore della traduzione inglese del libro di Laura Coppo, The Color of Freedom [edizione originale italiana: Terra gamberi contadini ed eroi, Emi, Bologna 2002], che descrive la vita e il lavoro di Krishnammal e Jagannathan. Questo e' quello cui ho assistito oggi. * "Come sta Appa? E' ancora vivo? Sta venendo qui?". Siamo al centro della distruzione dello tzunami - la piccola cittadina marittima di Nagapattinam, 12 km dall'ufficio di Amma. I morti sono stati migliaia - l'ultima stima e' di oltre 4.000, ma onestamente davvero nessuno lo sa - e i sopravvissuti chiedono di Jagannathan. Sanno che cinque anni addietro Jagannathan ha digiunato per 58 giorni proprio a lato del mercato del pesce. L'inquinamento causato dagli allevamenti di gamberi, e la distruzione della foresta di mangrovie, ha decimato le aree di riproduzione del pesce, diminuendo cosi' il pescato di circa l'80%. La locale comunita' di pescatori stava soffrendo grandemente, ma nessuno dei partiti politici era interessato a porgere attenzione alla loro precaria situazione. Ora, con migliaia di morti o feriti, con le case, l'accesso al cibo, e la loro fonte di impiego spazzate via, chiedono di Appa a Krishnammal. Tutti quanti sembrano conoscere questa anziana signora che cammina con loro per la strada. E' quasi impossibile descrivere l'impressionante concatenazione di immagini e odori che si incontrano sul lungomare. Navi scaraventate oltre la cima delle case e fracassate addosso ad altre case distanti tre isolati dalla riva del mare. Il porto stesso e' un gigantesco intrico di imbarcazioni distrutte, rottami e attrezzature da pesca. Delle capre saltellano su quelle che erano case. Intere vie sono intrichi di cavi elettrici, mobilio, vestiti nufragati e pacchetti d'acqua gettati. L'odore e' un misto di pesce marcio e corpi in decomposizione. Da una parte i pescatori stanno discutendo con la gente che dirige i mezzi di escavazione - sembra ci siano corpi sepolti sotto diverse tonnellate di rete da pesca, e mentre alcuni sperano di recuperare i corpi altri credono ci sia una possibilita' di salvare le reti (francamente non capisco come) e non vogliono vedere scomparire l'ultima traccia della loro vita quotidiana. Krishnammal ci porta presso la casa del capo della comunita' di pescatori. La sua casa domina il mercato del pesce, dove c'erano 20.000 persone quando lo tzunami ha colpito. Questa casa si era riempita con oltre tre metri di acqua, ed ogni cosa e' andata distrutta. Noi saliamo sul suo tetto ed immediatamente riconosce Aliyah (mia figlia) e me - ci siamo incontrati gia' due volte in precedenza, e Laura Coppo lo ha intervistato per The Color of Freedom. E' tra la rabbia e il dolore, ma sa che e' l'unico rappresentante della sua comunita', ed e' preparato ad incontrare quanti sopraggiungono, malgrado l'intrico di organizzazioni umanitarie sia quasi grande quanto quello delle reti da pesca. E' un uomo di grande dignita' e fermo contegno. Abbraccia Krishnammal. * Ci sono qui tutti i tipi di organizzazioni umanitarie, ma sono estremamente disorganizzate. Un gruppo ha deciso di cremare dei corpi nel bel mezzo dell'abitato, senza verificare il pericolo di eventuali incendi. Piu' di quaranta abitazioni sono bruciate completamente e i resti rimangono tra le case dalle quali la gente sta spalando il fango. In un angolo l'organizzazione World Vision (che sta facendo un buon lavoro) sta distribuendo gettoni per l'acqua, il riso e i vestiti, ma la gente si lamenta che anche se si recano dove queste cose sono distribuite non hanno dove metterle e non hanno utensili per cucinare. In altri luoghi dove dei gruppi hanno apprestato dei centri di accoglienza non c'e' coordinamento con chi si occupa di cibo e cure mediche. Le ambulanze sono dovunque, arrivano da tutta l'India, e portano le insegne di numerose organizzazioni missionarie o di governi stranieri. I centri medici si stanno concentrando proprio ora sulle vaccinazioni antitetaniche - molti sono rimasti feriti dalla grande onda - e gli antibiotici sono dispensati gratis a chi e' rimasto ferito. Sono passati otto giorni dallo tzunami e centinaia di persone girovagano stordite. Incontro un losco personaggio che puo' al meglio essere descritto come "cacciatore di orfani", rappresentante di un certo genere di organizzazioni cristiane - egli e' chiaramente stato pagato per prendersi cura degli orfani, ma non ne ha abbastanza. Questa e' una comunita' molto unita. Ogni bambino che perde il padre e la madre viene immediatamente preso in carico da un parente, e l'ultima cosa che questa comunita' vuole e' perdere dei bambini. * Il District Collector (una specie di governatore locale) sta tenendo una riunione per cercare di districare il disordine degli aiuti, ma mia madre [affettuosa definizione per Krishnammal] non sente il bisogno di andarci. Comunica con lui direttamente, ed e' chiaro che sta pianificando cosa fare. Domani mandera' dei gruppi di volontari Sarvodaya a ripulire le scuole locali, alcune delle quali sono state colpite dall'onda e altre utilizzate immediatamente dopo il disastro come punti di raccolta per i rifugiati. Vuole che le scuole riaprano - le strade e le traverse del villaggio sono un posto davvero insicuro per dei bambini mentre i lavori di sgombero procedono; gli insegnanti non hanno lavoro e c'e' una gran necessita' di creare per i bambini almeno la sembianze di una vita normale. E inoltre si da' loro modo di avere un posto per poter parlare delle loro disgrazie e delle loro perdite. Penso che sia dove Aliyah ed io saremo chiamati domani. Il Lafti ha dato da mangiare a piu' di 74.000 persone. Amma pero' dice: "La gente non puo' vivere solo con il riso". Ha acquistato quindi una macchina per la macina di peperoni, pepe ed altre spezie e sta facendo farina per il "sambar" (il sambar e' una sorta di minestrone speziato del Sud dell'India). "La gente non avra' soldi per comprare il sambar" dice, "e per ritornare a vivere devono mangiare qualcosa al quale sono abituati." * Krishnammal mi chiede di rivolgermi a voi, cari amici, perche' non vi dimentichiate di noi alla fine di gennaio, quando molte delle organizzazioni umanitarie probabilmente saranno sparite. La situazione sanitaria probabilmente peggiorera'; ci sara' ancora bisogno di costruire case e ci saranno ancora molte cose da fare riguardo la perdita di molti posti di lavoro. Lei non andra' da nessuna parte - questa e' la sua terra e questa e' la sua gente. Tutti noi apprezziamo le vostre preghiere, i buoni pensieri, e i continui contributi. Sinceramente, David H. Albert (Potete seguire il nostro viaggio su shantinik.blogspot.com). 3. MATERIALI. ENRICO PEYRETTI: MOLTI SCHINDLER: DUNQUE SI POTEVA RESISTERE AL NAZISMO (PARTE PRIMA) [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo scritto fin qui inedito e piu' volte aggiornato. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] "Dove non c'e' alcun uomo, sii tu uomo" (Talmud, Berakhot, 63a) 1. Il messaggio di un film Nella primavera del 1994 e' uscito con grande successo il film di Steven Spielberg, Schindler's List, La lista di Schindler, premiato con sette Oscar. La singolare figura di Oskar Schindler ci interessa qui come tipo di una possibilita' di resistenza assai nonviolenta alla violenza nazista in cui ogni tedesco si trovo' coinvolto. Prima di questo film, il personaggio e la sua storia erano quasi totalmente ignorati. A Gerusalemme, nel Viale dei Giusti, davanti allo Jad wa-Shem, Museo dell'Olocausto, c'e' un albero da lui piantato e a lui dedicato, tra molti altri (uno all'italiano Giorgio Perlasca). Ho percorso il Viale dei Giusti, nell'estate del '93, ma non sapevo ancora nulla di Schindler (che pero' era citato nel libro di Elie Wiesel, uno dei massimi testimoni ebrei della Shoah, Credere o non credere, Giuntina, Firenze 1986, p. 162). Viene facile la domanda: se questo fatto e' stato largamente ignorato fino ad oggi, quanti altri simili ce ne saranno stati? E quanti resistenti caddero in simili tentativi? Il bene non fa il rumore del male. Inoltre, la conoscenza della resistenza tedesca antinazista, sia violenta che nonviolenta, e' rimasta a lungo assai scarsa. Fino ad anni recenti, quasi l'unico caso generalmente noto, insieme all'attentato a Hitler del 20 luglio 1944, era quello della "Rosa Bianca", un piccolo gruppo di studenti di Monaco che, nel 1942, diffusero volantini di appello ai tedeschi e di denuncia della dittatura, e furono giustiziati nell'ottobre 1943 (1). Il significato della storia di Schindler e' semplice: se un tedesco come lui, inizialmente nazista e profittatore, pote' salvare oltre mille ebrei, allora la tragedia della Germania, largamente succube e complice di tali delitti, e' piu' tremenda. Tanti altri tedeschi avrebbero potuto salvare tanti altri ebrei, se soltanto avessero tirato fuori da se stessi un po' di quel coraggio, nemmeno eroico, e di quell'astuzia che permisero a Schindler di utilizzare gli interstizi esistenti nel sistema nazista per sottrarsi all'obbedienza gregaria e vile, e rispondere all'appello dell'umanita', riscattando cosi' la propria dignita' di uomini e donne. E tanti altri, infatti, come vedremo, fecero come lui, perche' era possibile. Eppure questo non fu un moto di popolo, non fu il comportamento della Germania, non fu sufficiente a togliere base al potere criminale di Hitler. Autori come Joachim Fest e Peter Hoffmann (2) e comportamenti come quelli dei "molti Schindler", di cui vogliamo parlare, rivendicano e riscattano l'onore del popolo tedesco e non permettono la sua totale identificazione storica con Hitler e il nazismo. D'altra parte, si tratta di nobili eccezioni a quella vasta "fuga dalla liberta'" (cosi' Erich Fromm chiamo' l'adesione di massa al totalitarismo), senza la quale certamente non si spiega il nazismo. L'eccezione conferma la regola. Ma anche dimostra che la regola non e' assoluta. Senza entrare nel calcolo minuzioso del piu' e del meno, a noi qui interessa vedere che, anche in Germania, nel cuore del sistema, la resistenza al nazismo, sia violenta che nonviolenta, era possibile e ci fu; che neppure il nazismo era irresistibile; e che per combatterlo non c'era unicamente la violenza, cioe' l'assimilazione al suo metodo e linguaggio. In particolare, ci interessa qui la resistenza a quella forma speciale, anche se centrale, della violenza nazista, che fu la persecuzione degli ebrei. Un uomo, Oskar Schindler, ha potuto essere umano "dentro" un sistema disumano. C'e' dunque qualcosa nell'uomo che puo' sfuggire al piu' potente e violento sistema, ed essergli superiore. Schindler non ha atteso che il mondo cambiasse radicalmente attorno a lui, ne' ha cercato di uscire da quel sistema. Vi e' stato dentro senza perdere se stesso, senza che la sua anima vi affogasse, senza appartenergli (in questo senso, fu uno "nel mondo ma non del mondo", come Gesu' chiedeva ai suoi discepoli di essere). La progressiva ripulsa di quella disumanita' dominante e feroce, apparentemente totale, gli ha permesso di rintracciare, far emergere e crescere la propria umanita', quella luce interiore "che illumina ogni uomo" (Giovanni 1, 9). E' questa profonda risorsa umana l'elemento in cui possiamo aver fiducia e su cui e' possibile far conto, persino nelle piu' brutte situazioni, se non vogliamo rassegnarci a ridurre tutto a pura questione di forza, anche la difesa dal male e l'affermazione del bene. Essere umani sempre e dovunque, nonostante tutto, e' possibile. Questo e' il messaggio incoraggiante della storia raccontata da Spielberg, che deve aver raggiunto nostri spazi interiori assetati e tesi a reincontrare questa verita'. L'ethos della convenienza oggi dominante preme su di noi: non si deve far niente per niente; non si deve fare qualcosa che costi troppo. Il calcolo costi-benefici, in termini stretti, decide del valore di tutto. Invece, il mondo si regge sulla creativita', cioe' sul dare piu' di quel che si riceve; sul sopravanzare il corrispettivo. Sotto l'impero nazista, per la morale della convenienza, anche senza odio razzista, salvare un ebreo costava troppo. Rischiare la propria vita, o anche solo la propria posizione, per la vita di un altro, tanto piu' se generalmente valutato come "inferiore", e' sempre e dovunque un costo molto alto. Eppure, alcuni, non pochi, molti di piu' di quanti comunemente si immagini, hanno potuto e saputo, addirittura sotto quel feroce impero razzista, salvare molti ebrei. * Allora, sotto l'impero del calcolo nel quale viviamo noi oggi, si puo' non essere calcolatori. Noi siamo ben inseriti nel mondo ricco e omicida, che prospera sul dislivello stabilito con le ingiustizie del passato, ben ribadite e moltiplicate oggi; che fa guerra economica e alimentare, oltre che militare, al mondo impoverito. Ci rendiamo conto del sistema in cui e di cui viviamo e non vorremmo esserne complici. Siamo chiamati ad essere altrettanti Schindler, a saper vedere e inventare gli spazi, l'azione controcorrente, il salvataggio di una, due, piu' vite possibile. Al calcolo non risulta, ma e' vero che "chiunque salva una vita salva il mondo intero", come dicono gli ebrei a Schindler alla fine del film, traendo questo pensiero dalla loro antica sapienza, anche a nome dei tanti morti (3). La verita' di questo paradosso, che cioe' una vita valga come il mondo, e che il mondo, cioe' tutti, anche i tanti morti, siano salvati dall'azione di Schindler, sta nell'unita' profonda di tutti e del tutto. L'azione che salva una vita tiene aperta e attiva la salvezza generale, al di la' dei bilanci immediati. Probabilmente per questo il mondo ancora vive, pur sotto l'impero dell'ingiustizia mondiale. Ma per quanto riguarda ciascuno, cio' si verifica soltanto se salviamo una vita, e un'altra vita, e tutte quelle che incontriamo nelle nostre possibilita', potenziate dal desiderio che tutti siano e vivano. Non e' dalla nicchia di un santo che Schindler ci parla, col dirci semplicemente che il prezzo piu' alto, davvero da non pagare, e' la vendita della coscienza umana, la negazione dell'umana pieta'. Egli ha l'astuzia e la fortuna (che per lo piu' e' il buon uso del caso) di esercitare la sua risvegliata umanita' conservando la propria precedente fisionomia di convenienza personale e di adesione al sistema generale nazista. Da questa posizione e' partito e la mantiene come guscio entro il quale trasforma la sua persona e la sua azione. Non rinnega il nazismo a parole (avrebbe perduto gli operai ebrei e se stesso), ma nei fatti. Gli concede le parole per tradirlo con i fatti. Inganna l'inganno. Fino alla fine vediamo Schindler col distintivo del partito nazista: gli serviva al suo scopo; ne fa parte e ne e' fuori. Dunque, mai possiamo ridurre un uomo al suo distintivo, al quadro in cui egli vive, perche' egli potrebbe essere tutto diverso. Schindler usa il sistema stesso contro i fini del sistema. Senza la guerra non avrebbe potuto far funzionare la sua fabbica salva-ebrei. Se avesse rinnegato il nazismo, avrebbe testimoniato probabilmente col sangue, ma avrebbe perso gli operai insieme a se stesso; lo rinnega nei fatti. In tal modo l'Oskar Schindler del film e' il tipo di buona parte degli altri che, come lui, agirono dall'interno contro il sistema nazista. Certo, Schindler ha denaro, e con quello riscatta gli ebrei. Ma la sua storia non e' l'elogio del buon profitto, come qualcuno ha detto, bensi' del buon fallimento. Tommaso Moro, nell'Utopia, nel capitolo sulla guerra, dice che gli Utopiensi, mentre si vergognano molto di una vittoria sanguinosa, "grandemente si gloriano di vincere i nemici con l'arte e con l'inganno". E, prima, dice che essi disprezzano oro e argento, ma ne tengono in serbo una grande quantita' "ben sapendo che con molto denaro si possono comprare anche i nemici". Questo uso nobilita ai loro occhi il denaro. Schindler, con ogni probabilita' non aveva mai letto Tommaso Moro, ma ha fatto questo e, dalla iniziale passione per la ricchezza, e' passato a consumarla tutta nell'uso migliore: riscattare vite umane. Ha realizzato quella parola: "Fatevi degli amici con la ricchezza ingiusta" (Luca 16, 9). Sicuramente non basta introdurre eccezioni in un sistema di violenza: occorre fermarlo e smontarlo. Non e' sempre possibile. In tante tremende situazioni si puo' solo ridurlo. Nel film di Spielberg (non nel romanzo storico di Keneally, a cui si ispira), Schindler piange per non aver saputo salvare altre vite di ebrei. E' una reazione che si riscontra anche in altre figure simili, che vedremo, ed e' il prezzo di quella pseudo-collaborazione che consentiva, mediante l'inserimento nel sistema, qualche spazio d'azione ad esso contraria. Chi oppone all'ingiustizia la totale noncollaborazione paga altri prezzi, e prova altri rimorsi. In quest'ultima scelta prevale l'intenzione manifesta, la purezza, l'effetto a lungo termine, ma non c'e' il salvataggio immediato almeno di alcuni. Nelle scelte come quella di Schindler, prevale la responsabilita' prossima, l'effetto immediato, l'efficacia limitata ma concreta. In tutti i casi, la resistenza al male e' drammatica e costosa, mai facile, appagante, trionfale. * 2. Le testimonianze storiche Il film di Spielberg e' molto piu' noto del romanzo dello scrittore australiano Thomas Keneally, La lista di Schindler (4). Il libro e' costruito come un romanzo, ma sulla solida base dei racconti di una cinquantina di testimoni diretti. E' quindi una valida ricostruzione dell'ambiente storico, politico, morale e delle vicende personali del protagonista e di tanti altri personaggi reali. Con molte piu' sfumature del film, naturalmente, il libro permette di seguire tutte queste vicende e, in particolare, l'evoluzione psicologica, morale, politica e operativa di Schindler, che qui ci interessa, dicevamo, come tipo di una possibilita' di resistenza quasi completamente nonviolenta alla violenza in cui e' immerso. Nel libro appaiono anche caratteristiche sorprendenti del sistema nazista. Dopo aver assistito dalla collina alla feroce razzia nel ghetto, Schindler - dira' piu' tardi - giunge alla determinazione di "sconfiggere il sistema" (p. 121). Non compie solo azioni umanitarie, ma precisamente politiche. Prende contatti regolari con la Resistenza polacca e con l'organizzazione sionista, alla quale fa precisi rapporti orali e scritti sulla situazione che conosce, si presta come tramite dei suoi finanziamenti, arriva persino ad introdurre nel lager due capi dell'organizzazione ebraica facendoli passare per "colleghi industriali" e uno dei due riesce, con un piccolo apparecchio, a fotografare immagini dei prigionieri per la documentazione internazionale e storica (p. 207 e ss.). Schindler non solo, col lavoro dei suoi ebrei, fabbrica armi che non funzionano (p. 327), quindi esercita un vero e proprio sabotaggio all'industria di guerra nazista, ma addirittura si procura armi (funzionanti, queste) e addestra gli ebrei ad usarle, per l'eventualita' di una rivolta (p. 332). Inutile dire il totale rischio personale e il coraggio di queste azioni. Sotto le divise di SS ci sono spesso degli uomini che ritrovano drammaticamente la loro umanita', anche se non trovano una via d'uscita dal sistema che li usa. "Ogni ufficiale delle SS aveva degli amici che si erano suicidati" (p. 161). Il maresciallo Oswald Bosko diserta (5) e passa ai partigiani polacchi, viene catturato e giustiziato per tradimento; non aveva i mezzi finanziari di Schindler per contrastare il sistema. Commenta Keneally: "Proporzionalmente alla loro natura, l'avversione morale di entrambi quei membri del partito, Bosko e Schindler, era di uguale portata" (pp. 203-204). Attraverso dettagli delle storie vere raccolte da Keneally si scoprono, nel sistema nazista, anche certi inauditi spiragli, che dunque non giustificavano completamente la paura e potevano anzi incoraggiare la resistenza, almeno gesti di pieta' umana. Un giovane SS, con le lacrime agli occhi, durante una selezione di adulti e deportazione di bambini, aveva denunciato quello che stava accadendo, impegnandosi a offrirsi volontario per il fronte orientale (che era il castigo peggiore per i militari) (p. 247). Hans Schreiber, un SS di 25 anni, e' rabbonito dalla reazione audace di Poldek Pfefferberg, ebreo prigioniero, diventa gentile con lui e una sera, ubriaco, davanti a lui e ad altri prigionieri si mette a piangere per "le cose orribili" che aveva fatto e dice di volerle espiare sul fronte orientale, come in effetti fara' (p. 278). Quando un gruppo di genitori e bambini viene scortato verso Auschwitz da un sergente, viaggiando su un normale treno passeggeri (questo particolare, pero', mi sorprende), una donna avanza nel corridoio e, guardando il militare con aria di sfida, da' ai bambini un pezzo di pane e una mela. Il sergente la lascia fare. Anzi, ad una stazione compra di tasca propria biscotti e caffe' per i prigionieri, poi permette loro di scrivere qualche lettera ai parenti offrendogli alcuni fogli della carta che usava per scrivere alla propria moglie. Tutti i prigionieri, compresi i bambini, sapevano di andare alle camere a gas. Il sergente capisce che parlano di questo, compaiono delle lacrime nei suoi occhi. Il bambino Olek "guardo' fisso l'uomo, quelle sue lacrime che sembravano cosi' fraterne, come fossero di un compagno di prigionia. 'So che cosa succedera'', disse l'Unterscharfuehrer [il sergente]. 'Abbiamo perso la guerra. Vi tatueranno e sopravviverete'. Henry [il padre di Olek] ebbe l'impressione che l'uomo, piu' che al bambino, facesse delle promesse a se stesso, che un giorno - magari fra cinque anni, quando avesse rammentato quel viaggio in treno - gli sarebbero servite per consolarsi" (p. 309-310). Al momento di un altro trasferimento, questo in carro bestiame, una sentinella delle SS, che doveva separare i bambini dagli adulti, permette al padre di tenere con se' il figlio (p. 340). Quando Schindler acquista dal parroco del villaggio di Deutsch-Bielau un piccolo pezzo di terra accanto al cimitero cattolico per farne un cimitero ebraico, e consente ai suoi prigionieri di celebrare i riti funebri ebraici, fatto che infonde loro un'enorme forza morale, ingaggia un sergente SS di mezza eta' per tenere in ordine il cimitero ebraico e gli versa per questo un compenso (p. 342-343). A quel bambino, nell'episodio riferito sopra, il sergente che lo accompagna ad Auschwitz sembra un compagno di prigionia. La sera del 20 luglio 1944, Schindler chiama Garde, uno dei suoi ebrei, e con lui brinda alla notizia dell'attentato a Hitler, spera che sia riuscito, poi soffre la delusione, e dice a Garde: "Dovremo aspettare ancora un po' per essere liberi". Cioe', si sente prigioniero come lui, compagno di prigionia, come il bambino aveva intuito nel sergente. All'ebreo Garde cio' non sembra strano (p. 253-255). Se c'e' talora un volto umano, per lo piu' assente o invisibile, del personale nazista, moltissimi sono peraltro i corrotti o corruttibili, in alto e in basso, e sono il vero punto d'appoggio dell'azione di Schindler per inceppare la macchina distruttiva. Egli ha agito, dapprima per se' e poi per salvare gli ebrei, servendosi di questo "sistema corrotto e feroce" (p. 2). C'e' dunque una debolezza del potere, anche nei sistemi piu' duri: l'assenza di scrupolo nell'uccidere toglie gli scrupoli (a maggior ragione, direi) anche nel lasciarsi corrompere dal denaro; chi compie azioni infami per obbedienza diventa comunque capace di bassezze. I delitti di palazzo sono l'ultimo risultato del palazzo dei delitti. Ancora piu' facilmente, puoi far conto sulla corruttibilita' di chi delinque. All'inizio del suo libro, Keneally cerca di trovare il senso di questa storia: "Questa e' la storia del trionfo del bene sul male, in termini misurabili, statistici, inconfutabili", attestati dall'abbondante migliaio di ebrei salvati da Schindler. E' facile descrivere "i prevedibili successi che il male solitamente ottiene", piu' rischioso scrivere della virtu'. Ma - osserviamo - quella di Schindler non e' semplicemente una storia di virtu', dato che non era personalmente virtuoso e che "ha operato nell'ambito di una certa ambiguita', o, perlomeno, servendosi di un sistema corrotto e feroce, che ha riempito l'Europa di campi disumani" (cfr. pp. 1 e 2). In ogni modo, fu la "strana virtu'" di Schindler che permise a millecento ebrei prigionieri di respirare fino alla liberazione. L'ambiguita' permane. La storia emblematica di Schindler, e quelle simili, non sono sempre storie splendide, ma un misto di ombre e di luci. Quanto basta, pero', per non darla vinta al buio del male. La nonviolenza non e' una astratta purezza dal male, proprio perche' e' lotta al male tentando di non ripetere il male. Simone Weil indica l'estensione della tragedia della violenza: l'"impero della forza" assoggetta ogni cosa e la tira irrimediabilmente verso il basso, come la forza di gravita', e macchia anche le sue vittime. "Si maneggi la forza o se ne sia feriti, in ogni modo il suo contatto pietrifica e trasforma un uomo in cosa. Merita il nome di bene solo cio' che sfugge a questo contatto. Ma Dio solo sfugge a questo contatto e anche, in parte, quelli tra gli uomini che per amore hanno trasferito e nascosto in lui una parte della loro anima" (6). Forse il primo passo per sfuggire al contatto pietrificante col male e porre in Dio la propria anima, anche senza atti ne' pensieri "religiosi", e' l'identificazione con la vittima, la compassione umana, che lascia emergere il nocciolo redento della nostra umanita' e annuncia la redenzione del mondo. I credenti dicono che far questo e' fare cio' che Dio fa verso di noi. Nei resistenti come Schindler non contano tanto le ambiguita', piu' o meno grandi, il coraggio maggiore o minore, ma questa scelta di riconoscersi nelle vittime. Il sergente SS sembra al bambino un compagno di prigionia; Schindler si sente prigioniero come Garde. Qui sta la radice del rifiuto e superamento della violenza che tutti degrada: non stare dalla sua parte, ma di fronte ad essa, insieme ai colpiti, e non volere (o volere il meno possibile) che ad essa si risponda con altra violenza, perche' essa non conquisti e non contamini anche gli innocenti, perche' non vinca totalmente. * Note 1. Indico i due libri piu' accessibili: Paolo Ghezzi, La Rosa Bianca, Edizioni Paoline 1993 (e' la storia dettagliata di tutta la vicenda). Romano Guardini, La Rosa Bianca, a cura di M. Nicoletti, appendice di P. Ghezzi, Morcelliana, Brescia 1994 (si tratta di due conferenze commemorative tenute dal grande teologo tedesco nel 1945 e 1958). 2. Joachim Fest, Obiettivo Hitler, Garzanti, Milano 1996. Peter Hoffmann, Tedeschi contro il nazismo. La Resistenza in Germania, (1988), Introduzione di Paolo Pombeni, Il Mulino, Bologna 1994. 3. Scopro personalmente con vivo interesse che questo detto si trova tanto nella tradizione ebraica (Mishnah Sanedrin 4, 5) quanto ugualmente nel Corano 5, 32, dove viene fatto risalire proprio alla sapienza religiosa ebraica. 4. Thomas Keneally, La lista di Schindler, Frassinelli, Milano 1985 (originale del 1982). 5. Sulla diserzione di soldati dall'esercito nazista, vedi notizie e dati nelle pagine 243-254 del mio contributo La nonviolenza cammina con l'uomo: altre testimonianze da scoprire, in AA. VV., Maestri e scolari di nonviolenza, a cura di Claudio Tognoli, Milano, Franco Angeli, 2000, pp. 235-256. 6. Simone Weil, La Grecia e le intuizioni precristiane, Rusconi, Milano, pp. 152-154, riportato in G. Gaeta, Simone Weil, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole 1992, pp. 129-130; v. anche ivi p. 138. (Parte prima - continua) 4. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI GENNAIO [Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: l.mencaroni at libero.it) riceviamo e diffondiamo] Vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di gennaio 2005 del "C.O.S. in rete" (www.cosinrete.it). Nello spirito del C.O.S. di Capitini, le nostre e le vostre risposte e osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo. Tra cui: Tsunami, La cacciata di don Lorenzo, Un altro bilancio e' possibile, Cavie e nonviolenza, Le banche e i poveri, L'assoluzione dell'euro, Miseria e verita', L'oscurantismo in pillole, Eva contro la sinistra, Le radici della democrazia, La lettera di Cristoforo, Il libro dei movimenti, Un reddito di base per tutti, La felicita' dei giusti, Il bombardamento di Maastricht, Basta con il velo, Come cessera' la violenza sulle donne, ecc. Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al C.O.S. in rete e' libera e aperta a tutti mandando i contributi a capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog del C.O.S.: http://cos.splinder.com Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato indirizzo in www.aldocapitini.it 5. DA TRADURRE. MARIA DA GRACA AZENHA: CONSTRUCTIVISMO. DE PIAGET A EMILIA FERREIRO Maria da Graca Azenha, Constructivismo. De Piaget a Emilia Ferreiro, Editora Atica, Sao Paulo 2003 (settima edizione), pp. 112. Un agile libro che analizza il contributo del costruttivismo alla teoria e alla pratica dell'apprendimento della lingua scritta. 6. DA TRADURRE. MARIA DA GRACA AZENHA: IMAGENS E LETRAS Maria da Graca Azenha, Imagens e letras. Ferreiro e Luria. Duas teorias psicogeneticas, Editora Atica, Sao Paulo 1997 (terza edizione), pp. 198. La psicogenesi della lingua scritta nella riflessione di Emilia Ferreiro a confronto con quella di Aleksandr Lurija. Alla prima parte del libro, di presentazione teorica, fa riscontro la seconda parte, di verifica empirica. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 803 dell'8 gennaio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
- Prev by Date: Sul notiziario "La nonviolenza e' in cammino"
- Next by Date: una mailing list e un sito per Kimbau (Congo) a sostegno di Chiara Castellani
- Previous by thread: Sul notiziario "La nonviolenza e' in cammino"
- Next by thread: una mailing list e un sito per Kimbau (Congo) a sostegno di Chiara Castellani
- Indice: