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NUOVI MONDI MEDIA newsletter #27
- Subject: NUOVI MONDI MEDIA newsletter #27
- From: <newsletter at nuovimondimedia.it>
- Date: Tue, 16 Nov 2004 16:30:44 +0100
NUOVI MONDI MEDIA newsletter #27 - novembre 2004 <http://www.nuovimondimedia.it> www.nuovimondimedia.it In anteprima per gli iscritti alla newsletter SCACCO AL POTERE COME RESISTERE AL POTERE E AI MEDIA CHE LO AMANO di Amy Goodman <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=885>Scheda - <http://www.nuovimondimedia.com/negozio2/catalog/product_info.php?products_id=218>Acquista ora (-20%) "Amy Goodman ha portato a nuove vette il giornalismo investigativo" Noam Chomsky "In tempi in cui alle persone viene detto di 'badare a ciò che dicono', Amy Goodman non ha paura di dire la verità al potere. Lo fa tutti i giorni" Susan Sarandon "Si alza tutte le mattine, tutti i giorni dell'anno (molto prima di tutti noi!) per essere l'unica voce quotidiana della verità alla radio negli Stati Uniti d'America. Com'è triste anche solo scrivere queste parole! Una nazione di 300 milioni di persone, con tutte le garanzie scritte che assicurano una stampa libera, e nessuno che faccia il lavoro che Amy Goodman fa in maniera così semplice, così profonda. Questo libro mette nero su bianco tutte le bugie che ci vengono dette dalla mattina alla sera. Amy Goodman è un tesoro nazionale, e se non riuscite a captare le sue frequenze radiofoniche, potete ora prendere questo libro, scuotere la testa increduli e disgustati mentre lo leggete, e quindi metterlo via per poter andare a scatenare un putiferio!" Michael Moore Scacco al Potere, il primo libro dell'acclamata conduttrice e reporter Amy Goodman, offre una prospettiva a tutto campo sugli eventi mondiali e sulle motivazioni segrete che muovono i personaggi al potere. Proponendo temi che vanno dagli inganni dell'Amministrazione Bush e dall'affarismo legato alla guerra in Iraq alla corruzione dei monopoli dell'informazione e all'influenza che la grande impresa esercita sul governo, Amy Goodman sferra i suoi attacchi ed espone le menzogne e le omissioni che, ogni giorno, mettono in pericolo la democrazia. In parte reportage sul campo, scritto in prima persona, in parte inchiesta vecchio stile sui grandi scandali, Scacco al Potere è un resoconto anche propositivo, dal ritmo incalzante, che riporta le lotte di quella che la Goodman definisce "la maggioranza ridotta al silenzio". E l'autrice sfida, appunto, l'ipocrisia delle grandi imprese e della politica che hanno ridotto al silenzio l'America e il mondo. Sfida temuta da tutti gli schieramenti e da tutti i centri di potere, perché condotta con la più semplice ed affilata delle armi: la verità. Bill Clinton l'ha definita "ostile, battagliera, persino sgarbata". Newt Gingrich, Repubblicano ed ex Presidente dalla Camera Usa, ha detto che era per via di "persone come lei" che aveva messo in guardia sua madre dal parlare con i giornalisti. L'esercito indonesiano l'ha bandita, definendola una "minaccia per la sicurezza nazionale". Ma il giornalismo energico, duro di Amy Goodman continua a essere il sasso nell'ingranaggio di un potere che è riuscito a tacitare quasi ogni dissenso. Prefazione all'edizione italiana di Arundhati Roy "Scacco al Potere" è un libro importante e coraggioso, con il quale Amy e David Goodman ci ricordano come dovrebbe essere il giornalismo, e come raramente è: indipendente, critico, investigativo, scettico e informato; un giornalismo che inchioda i potenti alle loro responsabilità e tiene sotto stretto controllo il potere. Quand'è stata l'ultima volta che un giornalista dell'establishment ha posto a un presidente in carica (o anche a un ex presidente) il tipo di domande che Amy Goodman ha rivolto al Presidente Bill Clinton quando ha fatto lo sbaglio di chiamare la stazione radio WBAI di New York e ha trovato una vera giornalista all'altro capo del filo? Clinton - che ha sovrinteso alle micidiali sanzioni all'Iraq, al bombardamento quasi quotidiano di quel paese già devastato, alla sanguinosa aggressione nel 1998 e ha posto le basi per l'invasione e l'occupazione dell'Iraq da parte dell'Amministrazione Bush con il suo sostegno a un "cambiamento di regime" e a un "intervento umanitario" - era abituato a fare ciò che voleva con i media accondiscendenti di proprietà delle multinazionali. Ma Amy non si è sentita intimidita quando lui le ha telefonato, e gli ha fatto le domande che andavano fatte. Né si è lasciata intimidire quando la conduttrice televisiva Sally Jessie Raphael ha cercato di mettere a tacere la questione delle armi chimiche e batteriologiche statunitensi sollevata da Yolanda Huet-Vaughan, che aveva avuto il coraggio di far sentire la propria voce di obiettore di coscienza contro l'ultima grande invasione dell'Iraq, nella guerra del Golfo del 1991. O quando tutta la squadra della Raphael ha cercato di impedire la trasmissione di quella puntata, spaventati all'idea che la gente comune, negli Stati Uniti, udisse una voce contraria alla guerra. Il libro di Amy e David giunge in un momento in cui il giornalismo è definito da anchorman come Dan Rather di CBS. Quando George Bush jr. stava portando gli Stati Uniti alla guerra contro l'Afghanistan, lui spiegava: "George Bush è il presidente, è lui a prendere le decisioni e, sapete, se come americano vuole che mi schieri, basta che mi dica dove". E aggiungeva: "Qualunque cosa si potesse pensare di George Bush figlio prima dell'11 settembre, ora è il nostro comandante in capo, il nostro uomo. E abbiamo bisogno di unità e stabilità. Non voglio fare la predica. Lo sappiamo tutti". Intanto Cokie Roberts, di ABC, ammetteva: "Guardate, lo confesserò, vado pazza per quelli che si alzano in piedi con tutte le decorazioni ecc. ecc. e se loro dicono che è vero sono pronta a crederci". La recente invasione dell'Iraq ha rivelato ancora di più la misura in cui i giornalisti erano "in bed", nel letto (e non semplicemente "embedded", al seguito) degli ufficiali e dei politici che hanno mandato i soldati statunitensi a uccidere - e a morire - in Iraq in base a delle bugie. Il crescente successo del programma radiofonico "Democracy Now!" è una prova del fatto che milioni di persone nel cuore dell'impero sanno di essere state ingannate e vogliono informazioni reali sulle cause della guerra. Vogliono udire le voci delle famiglie dei militari e quelle dei soldati che si stanno levando contro la guerra. Comprendono le conseguenze sociali dei miliardi sottratti all'istruzione e alla sanità e impiegati nella cosiddetta guerra al terrore. Molti lettori in Italia avranno familiarità con le questioni vitali sollevate in "Scacco al potere" a proposito della concentrazione dei media e della corruzione del governo. Il capo del regime italiano, Silvio Berlusconi, che ha sostenuto l'invasione dell'Iraq contro la volontà del suo popolo, controlla il 90% dell'audience televisiva in Italia. Di recente Berlusconi si lamentava: "Per quanto ancora dovrò fare questa vita di sacrifici?" Finora, temo, la risposta èŠ non ancora abbastanza. Non sono soltanto gli Stati Uniti ad aver bisogno di programmi come "Democracy Now!". Il mondo intero ne ha bisogno, e ne ha bisogno urgentemente. "Scacco al Potere" è un brillante esempio del fiorire del dissenso negli Stati Uniti. È un manuale emozionante, per le persone di coscienza, su come spostare l'equilibrio prima piuttosto che poi. È stato scritto da persone meravigliose che si alzano ogni mattina, un anno dopo l'altro, avendo in mente la giustizia. Avrebbe potuto annoiare o spaventare, se queste storie non fossero raccontate in modo splendido. Ma credetemi, lo sono. È un libro magnifico e rivelatore. Introduzione La maggioranza "silenziata" I soldati marciavano lentamente lungo la strada, con gli M-16 di fabbricazione statunitense pronti a fare fuoco. Era il 12 novembre 1991, un giorno che sarebbe rimasto impresso per sempre nella mia memoria, e nella storia. Ero a Dili, la capitale di Timor Est, un'isoletta a circa 500 chilometri a nord dell'Australia. Timor Est subiva la brutale occupazione delle truppe indonesiane da sedici anni, da quando era stata invasa nel 1975. I militari indonesiani avevano isolato Timor Est dal resto del mondo, trasformandola nel proprio campo di sterminio privato. Un terzo della popolazione - 200.000 persone - era morto. Fu uno dei peggiori genocidi della fine del XX secolo. Ero appena stata a messa nella chiesa principale di Dili con Allan Nairn, giornalista e attivista, che allora scriveva per The New Yorker Magazine. Dopo la funzione, in migliaia marciarono verso il cimitero di Santa Cruz per ricordare Sebastião Gomes, l'ennesimo giovane ucciso dai soldati indonesiani. La gente veniva da ogni parte: posti di lavoro, case, villaggi e fattorie. Avevano percorso una geografia del dolore: praticamente in ogni edificio i timoresi erano stati detenuti e torturati, fatti sparire o uccisi. Che si trattasse di una stazione di polizia o di una caserma, di un albergo o della casa di un ufficiale, nessun luogo era fuori della portata del terrore. Neppure la chiesa era sicura. Erano circa le otto del mattino quando giungemmo al cimitero. Per strada avevamo chiesto alla gente: "Perché marciate? Perché rischiate la vita per questo?" "Lo faccio per mia madre", rispondeva uno. "Lo faccio per mio padre", diceva un altro. "Lo faccia per la libertà". In lontananza si udiva un battito cadenzato e sinistro. Improvvisamente li vedemmo: molte centinaia di soldati indonesiani che avanzavano in fila per dodici o quindici. Sulla folla scese il silenzio. Sapevamo che i militari indonesiani avevano compiuto molti massacri in passato, ma mai davanti a giornalisti occidentali. Allan proposte di marciare in testa al corteo, sperando che la nostra presenza potesse scongiurare quello che aveva tutta l'aria di un attacco imminente. Mi infilai la cuffia, estrassi il registratore - che di solito tenevo nascosti per non mettere in pericolo i timoresi sorpresi a parlare con noi - e tenni alto il microfono come una bandiera. Allan alzò la telecamera sopra la testa e ci fermammo in mezzo alla strada, una quindicina di metri più avanti del corteo. Ostentando i nostri attrezzi del mestiere speravamo di mettere in guardia i soldati circa il fatto che questa volta erano osservati. Il silenzio scese sui timoresi. Quelli più indietro potevano fuggire, ma a migliaia erano intrappolati dalle mura del cimitero che delimitavano entrambi i lati della strada. Il rumore dominante era il tonfo ritmato degli stivali sulla strada mentre i soldati marciavano all'unisono verso la folla. I bambini sussurravano dietro di noi. Poi, senza alcun preavviso o provocazione, i soldati girarono l'angolo, ci superarono rapidamente, puntarono le loro armi made in Usa e aprirono il fuoco. La gente veniva fatta letteralmente a pezzi. I soldati continuavano a sparare, spostando i fucili da destra a sinistra, colpendo chiunque fosse ancora in piedi. Un gruppo di loro mi circondò. Iniziarono ad agitarmi il microfono davanti al viso come a dire: "Ecco cosa non vogliamo". Poi mi sbatterono a terra con il calcio dei fucili e iniziarono a colpirmi con gli stivali. Rimasi lì boccheggiante. Allan si gettò su di me per proteggermi da altri colpi. I soldati mulinavano i loro M-16 come bastoni da baseball, poi colpirono Allan in testa fino a fracassargli il cranio. Per un momento Allan giacque sulla strada in preda agli spasmi, ricoperto di sangue, incapace di muoversi. Improvvisamente, una decina di soldati si schierarono a formare un plotone d'esecuzione. Ci puntarono i fucili alla testa e gridarono "Politik! Politik!". Ci accusavano di essere politicizzati, un crimine chiaramente punibile con la morte. Ci chiedevano anche: "Australia? Australia?". Capivamo cosa implicava quella domanda. Nell'ottobre del 1975, i soldati indonesiani avevano giustiziato cinque giornalisti televisivi residenti in Australia nel tentativo di coprire un'incursione militare che preludeva all'invasione di Timor Est del 7 dicembre 1975. L'8 dicembre, il giornalista australiano Roger East, l'unico altro reporter occidentale rimasto a Timor Est, fu trascinato fuori da una stazione radiofonica di Dili fino al porto, dove venne ucciso. Quasi sedici anni precisi dopo, mentre Allan e io eravamo a terra circondati dai soldati indonesiani, gridammo: "No, siamo americani!". Ci avevano portato via tutto, ma avevo ancora il passaporto. Glielo lanciai. Quando riuscii a riprendere fiato, ripetei: "Siamo americani! Americani!". Finalmente i soldati abbassarono i fucili. Pensai che fosse perché venivamo dallo stesso paese da cui provenivano le loro armi. Per il nostro omicidio avrebbero dovuto pagare un prezzo mai pagato per l'uccisione di cittadini timoresi. Ne morirono almeno 271 quel giorno, in quello che divenne noto come il massacro di Santa Cruz. Le truppe indonesiane continuarono a uccidere per giorni. Non fu neppure uno dei massacri peggiori a Timor Est, né sarebbe stato l'ultimo. Era semplicemente il primo a cui avevano assistito degli estranei."Un rifugio per il dissenso" Andare dov'è il silenzio. È questa la responsabilità di un giornalista: dare voce a chi è stato dimenticato, abbandonato e calpestato dai potenti. È la ragione migliore che conosco per portare le nostre penne, le telecamere e i microfoni nelle nostre comunità e fuori nel mondo. Sono una giornalista di "Pacifica Radio", l'unico mezzo d'informazione indipendente che trasmette negli Stati Uniti, fondato nel 1949 da un uomo che si chiamava Lew Hill, un pacifista che si era rifiutato di combattere nella Seconda Guerra Mondiale. Quando uscì da un campo di prigionia dopo la guerra, disse che gli Stati Uniti avevano bisogno di un'emittente che non fosse gestita dalle stesse società per azioni che traevano profitto dalla guerra. Il suo sogno era un network indipendente gestito da giornalisti e artisti, non dalle "società per azioni con niente da dire e tutto da vendere che oggi stanno crescendo i nostri figli", per dirla con le parole del professore di giornalismo George Gerbner, fondatore del movimento "ambiente culturale". KPFA, la prima stazione di Pacifica, è nata a Berkeley, in California. Erano gli albori delle trasmissioni radiofoniche in FM, perciò KPFA dovette produrre e distribuire apparecchi radio in FM perché la gente potesse sentire la stazione. Come sarebbe accaduto tante altre volte nei decenni successivi, Pacifica Radio tentò qualcosa che nessuno pensava avrebbe funzionato: la creazione di un network basato sul sostegno economico dei singoli ascoltatori. Ciò segnò la nascita in questo paese dei media sponsorizzati dagli ascoltatori, un modello ripreso successivamente dalla Radio Pubblica Nazionale e dalla televisione pubblica. La rete radiofonica di Pacifica si allargò a cinque stazioni: KPFA a Berkeley, KPFK a Los Angeles, WBAI a New York, WPFW a Washington e KPFT a Houston. Nel 1970 KPFT divenne l'unica stazione radio negli Stati Uniti il cui trasmettitore è saltato in aria, per mano del Ku Klux Klan. Nel 1981, il Grand Wizard del KKK descrisse come la sua azione più grandiosa "l'aver organizzato un attentato dinamitardo contro una stazione radiofonica di sinistra" perché aveva capito quanto potesse essere pericolosa Pacifica. La nostra radio è, infatti, un rifugio per il dissenso. Negli anni '50, quando il leggendario cantante e leader afro-americano Paul Robeson finì sulla "White List" durante la caccia alle streghe del senatore Joseph McCarthy, bandito da quasi tutti gli spazi pubblici negli Stati Uniti a eccezione di poche chiese nere, sapeva di poter andare a KPFA ed essere ascoltato. Il grande scrittore James Baldwin, che discuteva con Malcolm X dell'efficacia dei sit-in non violenti nel sud, trasmetteva sulle onde radio di WBAI. Oggi Pacifica porta avanti quella tradizione. I miei colleghi di WBAI, compresi Elombe Brath e il compianto Samori Marksman, mi hanno insegnato come una stazione radio locale possa essere la porta d'ingresso a un mondo ricchissimo. Samori era un esponente del panafricanismo che mi ha insegnato tanto sulla storia dell'Africa e dei Caraibi. Elombe Brath ha dato voce per tanto tempo ai leader dei movimenti di liberazione africani. Questi uomini hanno fatto del mondo intero la nostra comunità. Grandi leader africani come Kwame Nkrumah, Sékou Tour e Julius Nyerere erano voci familiari per gli ascoltatori di WBAI. In qualità di direttore dei programmi di WBAI, Samori era solito convocarmi nel suo ufficio con il pretesto di discutere qualche particolare burocratico. Ne uscivo tre ore dopo avendo imparato qualcosa di nuovo su qualche movimento di liberazione in Africa o nei Caraibi. È ancora così. Ogni giorno potete ascoltare le notizie alla CNN o alla Radio Pubblica Nazionale, poi sintonizzarvi su una stazione di PacificaŠ e pensare che state ascoltando servizi da pianeti diversi. In realtà viviamo sullo stesso pianeta, ma lo vediamo con occhi diversi. Sulle onde radio locali, il colore non è quello fornito dai commentatori sportivi, né compito esclusivo di un giornalista incaricato di seguire la "diversità". Siamo un incrocio di razze, caratteri etnici e classi sociali, e spieghiamo il mondo che vediamo intorno a noi. Prendiamo, ad esempio, il mio collega di WBAI Errol Maitland. Nel marzo 2000, mentre trasmetteva in diretta il funerale di Patrick Dorismond - un haitiano americano ucciso dalla polizia - aveva cercato di intervistare alcuni poliziotti di New York che si stavano dirigendo verso la folla dei partecipanti. Lo sentimmo fare domande ai poliziotti, che lo gettarono a terra. Errol fu picchiato da ufficiali della polizia di New York e rimase in ospedale per settimane. Quando l'andai a trovare, lo trovai ammanettato al letto. E tutto questo per cosa? Per aver fatto il giornalista pur essendo nero. Erano storie come quella di Errol, a New York e in giro per il mondo, che il mio collega di WBAI Bernard White e io abbiamo raccontato ogni giorno per dieci anni durante la trasmissione del mattino "Wake Up Call". Abbiamo ascoltato gente che parlava di sé, anziché accettarne la definizione ufficiale. Bernard, un ex insegnante di New York, è profondamente radicato nella comunità locale. Che sia in classe, in trasmissione o al posto di Samori, a cui è succeduto come direttore dei programmi, l'idea di educazione di Bernard è permettere alla gente di raccontare la propria storia, di documentare la propria vita. Ho cominciato a condurre "Democracy Now!" nel 1996, quando iniziò ad andare in onda come unico programma elettorale quotidiano tra tutte le emittenti pubbliche. La risposta degli ascoltatori fu enorme. Improvvisamente le lotte quotidiane della gente comune - operai, immigrati, artisti, occupati e disoccupati, chi aveva una casa e i senzatetto, dissidenti, soldati, gente di colore - erano elevate al rango di notizie. Io lo chiamo giornalismo "goccia a goccia". Sono le voci che forgiano i movimentiŠ i movimenti che fanno la storia. Sono le persone che cambiano il mondo quanto i generali, i banchieri e i politici. Sono la tendenza dominante, eppure sono ignorati dai media che fanno tendenza. Dopo le elezioni del 1996 abbiamo deciso di continuare a trasmettere sotto forma di notiziario politico quotidiano di base. Dopo l'11 settembre 2001, quando i media hanno cominciato a battere i tamburi di guerra, "Democracy Now!" si è allargata alla televisione avviando la più vasta collaborazione tra mezzi d'informazione pubblici del paese. Ora trasmettiamo su centinaia di radio locali e stazioni televisive di pubblico accesso. Trasmettiamo via satellite e siamo in streaming sul sito Internet <>www.democracynow.org. Perché "Democracy Now!" è cresciuta così in fretta? A causa del silenzio assordante dei grandi mezzi d'informazione sulle questioni - e le persone - che più contano. La gente si trova ad affrontare le questioni più importanti del millennio: guerra e pace, vita e morte. Ma chi conduce il dibattito? I generali, i dirigenti di multinazionali e i funzionari governativi. In un paesaggio mediatico in cui ci sono più canali che mai, la mancanza di una qualunque diversità d'opinione è sconvolgenteŠ e noiosa. Come ripete spesso il mio collega Juan Gonzales: "Puoi fare zapping tra centinaia di canali per scoprire che alla TV non c'è niente". In una società in cui la libertà di stampa è solennemente tutelata nella Costituzione, i nostri mezzi di comunicazione fungono in massima parte da megafono dei potenti. Ecco perché la gente è così avida di media indipendentiŠ e inizia a crearne di propri.Il dissenso imbavagliato L'acceso dibattito e il dissenso esistono in questo paese, ma non ne leggete né sentite parlare nei grandi mezzi d'informazione. Se siete contrari alla guerra, non appartenete a una minoranza marginale e neppure a una maggioranza silenziosa. Fate parte di una maggioranza silenziata, messa a tacere dai grandi media. Dopo l'11 settembre, i personaggi mediatici in televisione - molti dei quali si possono definire giornalisti - hanno continuato a dire che il 90% degli americani era favorevole alla guerra. Siete mai stati chiamati a esprimere la vostra opinione? E se vi è capitato, cosa vi è stato chiesto? Perché se qualcuno vi avesse telefonato e vi avesse chiesto: "Pensa che l'uccisione di civili innocenti vada vendicata con l'uccisione di civili innocenti?", sono sicura che il 90% degli americani avrebbe risposto di no. Siamo un popolo capace di compassione. Ma il popolo non può agire senza informazioni precise. Uomini politici che non hanno mai conosciuto una guerra che disapprovassero (e nel caso di Bush, Cheney e Rumsfeld, non ne hanno mai combattuta una) hanno iniziato a far rullare i tamburi di guerra dopo l'11 settembre. Le multinazionali assentirono, sapendo che avrebbero potuto trarne profitto. E poi arrivarono i grandi mezzi d'informazione a fabbricare consenso, per dirla con Noam Chomsky. Per capire come i media forgiano i messaggi, guardate chi sono i messaggeri. L'osservatorio sui media Fairness and Accuracy in Reporting (FAIR) ha condotto uno studio sugli "esperti" apparsi nei principali notiziari durante le due settimane critiche precedenti e successive il 5 febbraio 2003, giorno in cui il Segretario di Stato Colin Powell espose le proprie ragioni per invadere l'Iraq al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Era un momento in cui il 61% degli americani chiedeva più tempo per la diplomazia e le ispezioni. Lo studio del FAIR scoprì che soltanto 3 delle 393 fonti chiamate in causa - meno dell'1% - erano legate all'attivismo pacifista.2 3 su quasi 400 interviste. E questo nei "rispettabili" notiziari serali di CBS, NBC, ABC e PBS. Perciò se siete corsi al bagno mentre guardavate la TV durante quelle due settimane cruciali - peccato! - potreste esservi persi l'unico parere dissenziente offerto dai notiziari. Questi non sono mezzi d'informazione al servizio di una società democratica, dove una molteplicità di punti di vista è vitale per formare opinioni informate. Questa è una macchina propagandistica perfettamente oliata, che raccoglie le imbeccate del governo facendole passare per giornalismo. Perché è così importante? Beh, considerate l'alternativa: immaginate se anziché tre voci contro la guerra, le emittenti ne avessero diffuse 200, il che corrisponde all'incirca alla percentuale di opinione pubblica contraria al conflitto. E immaginate se della guerra i media statunitensi avessero mostrato immagini infernali, non censurateŠ anche solo per una settimana. Quale impatto avrebbero avuto? Penso che saremmo stati in grado di abolire la guerra. Invece, dopo che i nostri cari e i nostri vicini obbedirono agli ordini e andarono in guerra (a differenza dei figli di chi la guerra l'ha voluta), i network ci hanno mostrato una versione colorata in technicolor, da videogioco, di ciò che stava accadendo. In Iraq, il governo statunitense ha scoraggiato una copertura indipendente della guerraŠ talvolta con la minaccia delle armi. E quando gli aerei hanno cominciato a riportare a casa i resti dei soldati morti nelle bare avvolte dalla bandiera, l'Amministrazione Bush ha ordinato di erigere un muro attorno alla Base Aerea di Dover. In effetti, l'Amministrazione ha vietato di filmare qualsiasi feretro di ritorno dall'Iraq. All'inizio del 2004, con oltre 500 americani morti e più di 11.000 feriti o evacuati per ragioni mediche, Bush non era ancora andato a un solo funerale di un soldato ucciso in azione durante la sua presidenza, in Afghanistan o in Iraq.3 La squadra di Bush ha invocato un principio base della propaganda: controlla le immagini e controllerai la gente. Una lezione imparata in Vietnam, la lezione della manipolazione. In Iraq non erano previste immagini televisive quotidiane del tributo di vite umane riscosso dal conflitto. Il governo e i media intendevano ritrarre una guerra asettica, pressoché priva di vittime.Infrangere la barriera del suono È assolutamente essenziale infrangere subito la barriera del suono quando si tratta del dissenso. Il governo statunitense ha impiegato la guerra al terrorismo come giustificazione per il peggiore giro di vite imposto alle libertà civili dal maccartismo degli anni '50. In questo preciso momento, delle persone sono gettate in prigione senza alcuna imputazione. Uomini del Medio Oriente e del Sud dell'Asia sono indicati come nemici. Gli avvocati che difendono i dissidenti sono sotto attacco. Questi sono i primi avvertimenti. Il prossimo potresti essere tu. La Costituzione degli Stati Uniti è stata ignorata da una miriade di misure draconiane che formano l'Usa Patriot Act. Quando George W. Bush e i suoi fanti non possono costruire un caso legale ineccepibile, sono sufficienti il sospetto e la xenofobia. I prigionieri classificati dal presidente degli Stati Uniti come "combattenti nemici" possono ora essere processati da tribunali militari su navi ormeggiate in acque straniere, irraggiungibili dalla protezione del Bill of Rights (legge del 1791, che costituisce i primi dieci emendamenti della Costituzione degli Stati Uniti riguardanti i diritti dei cittadini, dei singoli Stati e del governo federale; NdT). Alcuni sono torturati per estorcere loro informazioni. Centinaia di cittadini stranieri sono attualmente detenuti dagli Usa - nella Baia di Guantanamo a Cuba o nella base aerea di Bagram in Afghanistan - senza sapere di che cosa li si accusa. Secondo un ordine presidenziale del 13 novembre 2001 possono esser processati in segreto e giudicati colpevoli da un tribunale di giudici militari nominati dal segretario della difesa. Se il tribunale condanna a morte il prigioniero all'unanimità, questo può essere giustiziato. Noi non ne sapremmo nulla e a quanti sono a conoscenza delle azioni di quei tribunali è proibito parlarne. Se ci fosse un dibattito onesto in seno ai grandi media, se presentassimo davvero delle alternative ai tribunali irregolari e alla guerra, la gente sarebbe in grado di immaginare una gamma molto più vasta di opzioni. Questa è una delle responsabilità più importanti dei media: vivacizzare la discussione. La maggioranza silenziata si sta spazientendo dietro il bavaglio imposto dai media di proprietà delle grandi società. I fronti non sono più così nitidi tra democratici e repubblicani, conservatori e liberali. I conservatori, come i progressisti, si preoccupano della privacy, del controllo delle società sulla loro vita. Gente di ogni colorazione politica è indignata per le multinazionali profittatrici - le società criminali che sponsorizzano Bush, tra cui Enron, WorldCom e Halliburton - che saccheggiano il nostro tesoro, fanno razzia delle nostre pensioni, devastano le nostre aree naturali e scappano con il bottino. Un numero sempre crescente di persone dice di no alle bugie del governo, all'avidità delle multinazionali e ai mezzi d'informazione servili. La maggioranza silenziata sta ritrovando la voce. INDICE Prefazione di Arundhati Roy Introduzione La maggioranza "silenziata" "Un rifugio il dissenso" Il dissenso imbavagliato Infrangere la barriera del suono Capitolo 1 L'effetto boomerang Non in nostro nome Il cerchio si chiude L'11 settembre nel mondo Il nostro uomo: da USA "USAma" Il nostro scià Il nostro Saddam La macchina da guerra irachena: "made in Usa" Le guerre di Bush Usa! Usa!Š Usa? Capitolo 2 La petroligarchia La petroligarchia - personaggi e interpreti Speculare sui morti Incensare i sauditi L'Iraq in vendita And the Winner isŠ Un vincitore! - Science Applications International Corporation (SAIC) Un vincitore! - Flour Corporation Un vincitore! - DynCorp Un vincitore! - Vinnell Corporation Un vincitore! - Gruppo Bechtel Un vincitore! - The Washington Group International L'amicone in capo Capitolo 3 Trivelle e fucili: la Chevron e la dittatura petrolifera in Nigeria Capitolo 4 Sotto accusa Gli studenti nel mirino Nessuna legge è valida Una retata Eroe o terrorista? "Lasciate stare mio padre!" Capitolo 5 Sotto tiro Giochi patriottici La voce della coscienza Il Patriot Act emendato renderà illegale leggere il Patriot Act I bibliotecari diventano combattenti per la libertà La Total Information Awareness Le basi dell'istruzione: leggere, scrivere, far di contoŠ ed essere reclutati? Qualche esempio della repressione in atto Potrebbe succedere qui? Capitolo 6 Sotto chiave Il complesso carcerario-industriale Condannato al silenzio Capitolo 7 Bugie dei nostri Times Dal Dipartimento delle Rettifiche del New York Times In fumo Manifestanti? Quali manifestanti? Capitolo 8 Media di Stato, American Style "Uno per la gente, zero per le teste di cavolo!" Senti chi parla! Educare Charlie Rose La propaganda per il Pentagono Capitolo 9 A letto con i militari Il giornalismo "puntate-fuoco!" Le confidenze a letto: quello che gli in-bed si dicono, ma non vengono a dire a voi La solita vecchia analisi a posteriori Capitolo 10 Ambasciatore porta pena Bersagli unilaterali Mettere a tacere Al-Jazeera Un triste giorno per il giornalismo Contrario alla guerra? Licenziato! Capitolo 11 Indorare la pillola "Non è il momento" CNN: Il network di cui l'America si fida? Rovesciare la verità "Nessuno che conti" "Una combriccola di sinistra" Un anno dopoŠ Capitolo 12 Andare dove c'è silenzio La repressione indonesiana, il sostegno americano Un massacro Trarre profitto dalla repressione I timoresi vincono Capitolo 13 Mai in ginocchio Gingrich non demorde Capitolo 14 Le psyops tornano a casa Mito e realtà: la bufala di Jessica Lynch Soldati mediatici Il mazzo di carte della morte Capitolo 15 Che pasticcio, Sally Jessy! Imbavagliati e maltrattati L'accesso del male Capitolo 16 L'insabbiamento di Hiroshima: come il giornalista del Times e collaboratore del Dipartimento della Guerra ha vinto un Pulitzer Le radiazioni: ora le vedi, ora non le vedi Capitolo 17 Le onde radio del popolo Capitolo 18 Conclusione: liberiamo i media I media popolari Speranze e vittorie Ringraziamenti Note SCACCO AL POTERE Come resistere al potere e ai media che lo amano ed. Nuovi Mondi Media pagine 240, ¤ 19,5 ISBN 88-89091-10-X Traduzione di Giuliana Lupi <http://www.nuovimondimedia.com/negozio2/catalog/product_info.php?products_id=218&osCsid=8170e5ec820b8cfd8b1806c34aae8f94>Acquista ora (-20%) NOVITA' SU NUOVIMONDIMEDIA.IT (articoli di Norman Solomon, Naomi Klein, Greg Palast, Uri Avnery, Arundhati Roy, John Pilger, Howard zinn, Nelson Madela e molti altri... ) <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=896&mode=thread&order=0&thold=0>Cambiare i prossimi quattro anni di Norman Solomon Le attuali notizie sono uno spettacolo orribile e sembrano precludere una speranza realistica. Ma se la storia è in qualche modo una guida, noi andremo avanti: combatteremo contro dolore, paura, disperazione, rabbia. Parlando al primo social forum mondiale, Eduardo Galeano pronunciò una frase che aveva letto sul muro: "Riserviamo il pessimismo a tempi migliori". Nei momenti tranquilli di questo incolore novembre, è ancora possibile percepire deboli rumori di speranza, picchiettii dall'interno di duri gusci. Dobbiamo ancora nascere. <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=895>Far esplodere il voto di Naomi Klein In una lettera al segretario generale delle Nazioni Unite, il primo ministro iracheno Allawi ha spiegato che l' attacco a Falluja è stato necessario "per salvaguardare vite umane, le elezioni e la democrazia in Iraq". Con tutti i milioni spesi per la "costruzione della democrazia" e della "società civile" in Iraq, si è arrivato a questo: se riesci a sopravvivere all'attacco da parte dell'unica superpotenza mondiale, allora potrai imbucare la scheda elettorale. Gli abitanti di Falluja voteranno, dannazione, anche se devono prima morire. <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=894>Il segreto nascosto nelle tasche della CIA di Robert Scheer L'agenzia sta negando la consegna di un rapporto schiacciante sulle omissioni dell'intelligence prima dell'11 settembre. Nonostante il rapporto redatto dall'ufficio dell'ispettore generale della CIA sia stato completato lo scorso giugno, non è stato messo a disposizione delle Commissioni sull'intelligence del Congresso che ne avevano commissionato la stesura quasi due anni fa. <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=893>Capitalismo d'avventura di Greg Palast Perché sono state posticipate le elezioni in Iraq? Perché Jay Garner è stato licenziato? Perché le nostre truppe sono ancora in Iraq? Il giornalista Greg Palast rivela nuovi documenti che rispondono a queste domande e all'imponente progetto dell'amministrazione Bush in Iraq. Come ogni altra questione affrontata durante questa amministrazione, il piano di revisione dell'economia irachena porta ovunque le impronte delle lobby industriali. <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=891>Sulla via della guerra civile di Uri Avnery In Israele tutti parlano della prossima guerra. Non un'altra guerra contro gli arabi. Non la minaccia iraniana a Israele. Non il costante confronto sanguinario con i palestinesi. Non l'ennesima sensazione creata dai media. Non solo un nuovo tentativo di estorsione dei colonizzatori. E nemmeno una nuova manipolazione politica di Sharon. Si tratta della prossima guerra civile. <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=890>Doppio gioco dell'inviato di Bush in Iraq di Naomi Klein James Baker, inviato speciale del presidente George W. Bush, cerca di persuadere il mondo a condonare il pesante debito dell'Iraq, ma allo stesso tempo, lavora per un gruppo commerciale, la Carlyle, che sta tentando di recuperare denaro dagli stati arabi e dal Kuwait. <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=889>Quella che chiamiamo pace è poco più che la capitolazione al golpe delle multinazionali di Arundhati Roy Sappiamo molto bene chi trae beneficio dalla guerra nell'epoca dell'impero. Ma dobbiamo anche chiederci chi trae beneficio dalla pace nell'epoca dell'impero? Vendere la guerra è un crimine. Ma parlare di pace senza parlare di giustizia può facilmente diventare la difesa di una specie di capitolazione. E parlare di pace senza smascherare le istituzioni e i sistemi che perpetrano l'ingiustizia va ben oltre l'ipocrisia. <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=888>Kerry ha vinto di Greg Palast Kerry ha vinto. Questi sono i fatti. Gli exit poll erano accurati: i sondaggisti hanno chiesto: "per chi avete votato?". Sfortunatamente però, non hanno fatto la domanda cruciale: "E' stato contato il tuo voto?". Gli elettori non potevano saperlo. Sebbene gli exit poll mostrino che la maggior parte degli elettori dell'Ohio hanno votato per Kerry-Edwards, migliaia di questi voti semplicemente non sono stati considerati. <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=887>L'ottimismo dell'incertezza di Howard Zinn Il cambio rivoluzionario non arriva in un unico momento di cataclisma ma come una successione senza fine di sorprese, di un muoversi a zigzag verso una società più decente. Non dobbiamo impegnarci in azioni grandi ed eroiche per partecipare al processo del cambiamento. Piccole azioni, quando moltiplicate per milioni di persone, possono trasformare il mondo. <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=886>Ci sarà una guerra contro il mondo intero dopo il 2 novembre? di John Pilger L'"americanismo" ha significato democrazia all'interno e guerra per la democrazia fuori. Dal Guatemala all'Iran, dal Cile al Nicaragua, alla lotta per la libertà in Sud Africa, fino al Venezuela dei giorni nostri, il terrorismo dello stato americano ha combattuto le forze democratiche e aiutato i totalitarismi. La maggior parte delle società, attaccate e sovvertite dalla potenza americana, è debole e indifesa. Un piccolo stato che si libera e istituisce una propria politica di sviluppo rappresenterebbe un ottimo esempio per il mondo, ma una minaccia per Washington. <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=884>La mappa dei costi reali del petrolio: il Mondo da Ecology Center Non esiste angolo al mondo che non sia stato colpito dagli effetti dell'estrazione e dell'uso del petrolio. Molti effetti negativi sono ben documentati, come il riscaldamento globale, la distruzione dell'habitat naturale e i conflitti politici per l'approvvigionamento di petrolio. Ma l'economia petrolifera si estende spesso in modo poco evidente in molti altri aspetti della vita del nostro pianeta. <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=875>Addio all'eroe di Nelson Mandela Dal fondo della mia prigione ho osservato con attenzione l'azione del presidente Arafat, e ho ammirato la sua perseveranza. Il suo popolo ha creduto in lui e l'ha seguito nei momenti buoni e in quelli meno buoni. Grazie a lui la questione palestinese è all'ordine del giorno nel dibattito internazionale, e il suo popolo è diventato una nazione a pieno titolo superando lo status di «rifugiato». Errata corrige Nella precedente newsletter è stata erroneamente attribuita la traduzione di <http://www.nuovimondimedia.com/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=878>Soldi - Il libro nero della finanza internazionale a Giuliana Lupi anzichè a Marco Saba. NUOVI MONDI SHOP Nella<http://www.nuovimondimedia.it/negozio/catalog/default.php> libreria online di Nuovi Mondi Media sconti dal 20 al 50% su tutto il catalogo (che comprende oltre ai nostri titoli, libri di: Derive Approdi, EMI, Frilli, Malatempora, Massari, Minimum Fax, NdA Press, Sensibili alle foglie, Shake, Stampa alternativa). Tra le offerte, "VENDERE LA GUERRA. 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