[tradenews] Tradewatch: ADDIO AI SUSSIDI AMERICANI AL COTONE?



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Addio sussidi al cotone americano?

E’ finalmente di dominio pubblico la sentenza sui sussidi americani al
cotone, annunciata il 26 aprile scorso.
Il 18 giugno fonti brasiliane avevano anticipato alcuni dettagli, dopo la
consegna alle due parti interessate del testo in inglese della sentenza.
Ieri, 8 settembre, completata la traduzione nelle altre due lingue
ufficiali del WTO (francese e spagnolo), tutti possono leggere le
motivazioni con cui il collegio giudicante, allestito il 19 maggio 2003, ha
condannato gli incentivi che il governo americano elargisce ai suoi 25 mila
produttori di cotone (doc. WT/DS267/R).

Perché il Brasile avviò, il 27 settembre 2002, questa causa?
Perché voleva difendere i propri coltivatori di cotone dalla concorrenza
sleale praticata dagli esportatori statunitensi, capaci di vendere, nel
2001, il loro cotone ad un prezzo inferiore del 61% al costo di produzione.
Il Brasile sosteneva che i sussidi interni e quelli all’esportazione pagati
dal governo statunitense nel periodo 1999-20001 e quelli autorizzati dalla
Farm Bill del 2002 e validi sino al 2007, contravvenivano alle clausole
definite nell’accordo sull’agricoltura e in quello relativo ai sussidi e
alle misure compensative.

In effetti i produttori di cotone americani ricevono diversi tipi di aiuto.
Innanzitutto esiste un “Marketing Loan Program” che garantisce loro un
reddito di 52 centesimi per libbra di cotone prodotta se i prezzi del
mercato internazionale scendono sotto tale valore; questa forma di sussidio
diretto ha distribuito 898 milioni di dollari nella campagna 2003/04. In
realtà il prezzo garantito sale a 72,4 centesimi per libbra tramite
ulteriori sussidi diretti chiamati “conter-cyclical payments” nella Farm
Bill del 2002, eredi dei “market loss payments” della precedente
finanziaria agricola. Nella stagione 2002/03 la loro cifra ha raggiunto gli
869,5 milioni di dollari. Vanno poi aggiunti altri pagamenti diretti pari a
6,67 cents per libbra di cotone (gli ex ”Production Flexibility Contract”)
e un’altra forma di sussidio volta a proteggere gli agricoltori da danni
meteorologici e malattie.

Secondo il Brasile dall’agosto del 1999 al luglio del 2003 i produttori
americani avrebbero ricevuto 13,1 miliardi di dollari tramite questi
contributi.
Poiché nello stesso periodo il cotone americano prodotto sarebbe stato pari
a un valore di 13,94 miliardi di dollari se ne deduce un tasso percentuale
di sostegno pari all’89,5%. Cioè per ogni dollaro incassato da un
produttore americano di cotone, 89,5 sono stati pagati dai contribuenti
americani.

Oltre ai sussidi diretti, il Brasile aveva contestato alcune forme di
accesso al credito che facilitano gli importatori esteri di cotone
americano (349 milioni di $ nel 2002/03) definendole come forme si sussidio
all’esportazione. E per finire, aveva sostenuto che la cosiddetta Step 2,
ovvero i sussidi pagati all’industria americana consumatrice di cotone per
sostenere l’acquisto di cotone americano, contravveniva all’accordo sui
sussidi.

La difesa americana
Da parte loro, gli USA si erano difesi sostenendo che i crediti
all’esportazione non costituivano una forma di sussidio all’esportazione,
che i pagamenti diretti erano “disaccoppiati” e pertanto classificabili
nella cosiddetta “scatola verde”, il contenitore appositamente creato per
permettere un uso senza limiti di sussidi considerati non distorsivi al
commercio.
Dulcis in fundo, secondo Robert Zoellick, i sussidi citati dal Brasile
erano protetti dalla clausola di pace, apposito articolo dell’accordo
agricolo che ha difeso sino al 31 dicembre 2003 i sussidi euro-americani
dalla possibilità di dispute legali.

Cos’à dichiarato il panel del WTO?
Che la clausola di pace non protegge i sussidi citati perché il valore dei
sussidi americani, negli anni oggetto di contestazione, è stato superiore a
quello del 1992 anno utilizzato come riferimento nella definizione di
questa clausola (articolo 13 b) ii) ).
Che i crediti all’esportazione utilizzati oltre che per il cotone, per
soia, mais, riso, semi oleosi costituiscono forme di sussidio
all’esportazione e poiché gli USA non li hanno mai notificati in sede WTO,
sono illegali;
che il programma Step 2 viola l’accordo sui sussidi che impedisce la loro
erogazione vincolata all’acquisto di prodotti nazionali;
che tutte le varie forme di sussidio diretto, dai marketing loan payments
ai counter-cyclical, hanno causato e causano un rilevante danno economico
al Brasile, pertanto non sono sussidi da scatola verde, ma da scatola
arancione.

Pertanto, il collegio giudicante, conclude le 377 pagine del suo rapporto,
invitando gli Stati Uniti ad agire coerentemente con gli impegni assunti
all’atto della firma degli accordi negoziati durante l’Uruguay
Round, “prendendo le appropriate misure per rimuovere gli effetti
distorsivi dei propri sussidi o a eliminarli”.

Quali effetti avrà questa sentenza?
Sicuramente si tratta di un risultato importante per il Brasile e per tutti
i paesi in via di sviluppo poiché vedono riconosciuto quanto hanno
sostenuto negli ultimi anni, soprattutto nel difficile avvio del Doha
Round. La sentenza risulta più efficace dell’iniziativa settoriale avviata
nel 2003 dai paesi dell’Africa occidentale e di quanto sottoscritto
nell'ambito dell’accordo quadro concordato nel consiglio generale di fine
luglio (vedi analisi pubblicata su Tradewatch), anche se proprio tale
accordo potrebbe ridimensionarne gli effetti.
Quando il capo negoziatore americano, Bob Zoellick, entrò nel conclave
ginevrino, già conosceva il verdetto del panel su cotone e sapeva che i
sussidi diretti, considerati dagli USA come non distorsivi e pertanto
classificati come scatola verde, avrebbero dovuto essere “spostati” in
quella “arancione” dei sussidi vietati, su cui però grava un tetto massimo
che per gli USA vale 19,1 miliardi dollari.
Questo tetto sarebbe stato superato, come ai tempi dell’approvazione della
Farm Bill, aveva fatto notare anche uno studio commissionato dalla
Commissione europea per capire gli effetti della nuova finanziaria agricola
americana (Bruxelles 2002).
Ma come è riuscito Bob Zoellick a difendere i propri sussidi concordando un
accordo giudicato quasi unanimemente come primo storico passo per ridurre i
sussidi agricoli dei paesi occidentali?
Semplice, ottenendo l’ampliamento della cosiddetta scatola blu, la scatola
creata per contenere i sussidi “parzialmente” distorsivi, utilizzata sino
ad oggi praticamente solo dall’Unione Europea con i suoi sussidi vincolati
alla riduzione della produzione.
La dichiarazione finale del general coucil del 31 luglio scorso afferma che
nella scatola blu finiranno anche i sussidi non legati a riduzioni
produttive, pertanto i counter-cyclical (che non sono sussidi “accoppiati”
perche’ sono pagati non in base al cotone coltivato ma in base alla
produzione ottenuta in un periodo storico di riferimento) dopo
Ginevra “diventano” sussidi classificabili nella scatola blu e pertanto
rientrano nella “legalità” del WTO.
Questo non significa che per il governo americano tutto si risolto, ma che
l’entità delle modifiche richieste dalla sentenza pubblicata oggi si sono
decisamente attenuate.

Cosa farà ora il governo americano?
Certamente ricorrerà in appello per guadagnare tempo, ma sicuramente sta
studiando le possibili variazioni all’attuale Farm Bill che scadrà nel 2007.
A nostro parere questa sentenza conferma che la politica agricola
americana, così come quella europea, produce “effetti collaterali”
devastanti su milioni di contadini che vivono nelle aree rurali del pianeta
e danneggia gli stessi agricoltori americani che continuano a ridursi di
numero perché nonostante il progressivo aumento dei sussidi, il loro
reddito si riduce inesorabilmente.
L’agricoltura rimane l’attività umana più praticata nel mondo, quella che
serve a produrre il cibo necessario al sostentamento di 6 miliardi di
persone. Dobbiamo far sì che i contadini possano vivere del loro lavoro e
che sia difesa la ricchezza di varietà colturali ancora esistente.
Il modello di agricoltura industriale che stiamo perseguendo non è in grado
di far si che i prodotti agricoli abbiano un prezzo corrispondente al loro
costo di produzione, produce utilizzando prodotti chimici e pratiche che
inquinano acqua e suolo, produce in eccesso “obbligandoci” a smaltire la
sovrapproduzione sui mercati esteri sottocosto danneggiando altri milioni
di agricoltori e, per finire, non ci da prodotti che siamo sicuri siano
genuini e salubri.
Perché non cambiare? Perché non ripartire da quella sovranità alimentare
totalmente dimenticata nella dichiarazione del 31 luglio? Perché non
lasciare da parte i tre pilastri dell’Accordo agricolo (sussidi interni,
accesso al mercato e sussidi all’esportazione) e sposare il sostegno ai
contadini (veri) piuttosto che quello ai cartelli delle multinazionali
agroalimentari? Vere beneficiarie dei sussidi e dei prezzi sottocosto delle
materie prime agricole che costituiscono l’input dei loro processi di
trasformazione?
Forse è questo l’insegnamento che gli USA, e non solo loro, dovrebbero
trarre dalla “sconfitta” rimediata in questa causa.


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Testo redatto da Roberto Meregalli (Beati i costruttori di pace - Rete
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delle organizzazioni che sostengono Tradewatch.