vicenza: il corteo e oltre



ciao, questo articolo da oggi pom sarà sul sito
<http://www.migranews.net>www.migranews.net e ovviamente può essere ripreso
citando la fonte (db)

----------------

Un sabato a Vicenza, sul fiume Mississippi

di Daniele Barbieri

"Ma cosa vogliono ancora questi negracci?". E’ una frase che si ascolta
alla partenza – e poi dopo, molte volte, sino alla fine - del corteo che
sabato 19 giugno attraversa il centro di Vicenza, in un clima tranquillo
anche se i giornalisti locali lo annunciano come esplosivo. Anche per la
benzina (mediatica) gettata sulla vicenda del call-center di via Napoli e
di Beatrice Ijeoma Okwumuo che "Migra" ha raccontato qualche giorno fa.

Quando il corteo si sta faticosamente formando chiedo a "un negraccio" – ho
avuto poi conferma che un signore dall’aria africana a Vicenza viene spesso
indicato così - come si trovino gli immigrati qui.

Pensa per 5 secondi e parte. "Lei sa come si viveva 100 anni fa sul fiume
Mississippi con quelli del Ku Klux Klan che ogni giorno davano la caccia ai
neri? Beh, qui è così: non ci ammazzano ma fanno di tutto per renderci la
vita impossibile, offenderci, umiliarci. Mi chiamo Papa e mi prendo la
responsabilità di quello che dico. Basta così o vado avanti?". Lo invito a
proseguire. "Noi siamo venuti qui per lavorare onestamente ma anche perché,
sarà bene ricordarlo, i nostri Paesi sono saccheggiati da voi,
dall’Occidente. La legge italiana ci chiede di avere lunghi contratti ma
qui tutti danno lavoro per due, tre mesi soltanto e meglio se in nero. Agli
stranieri si affittano le case a cifre scandalose e senza mezza ricevuta.
Le forze dell’ordine invece di denunciare i bianchi fuori dalla legge
perseguitano noi. Io lavoro 12 ore al giorno per tutta la settimana e la
domenica vorrei telefonare con calma ai miei, farmi un giro in centro,
incontrare qualcuno. E invece davanti ai negozi degli stranieri, ai
call-center sempre vigili e poliziotti. Controlli? No, provocazioni. E
conosco bene la differenza: i primi sono legittimi, le seconde no. Neanche
questo possiamo chiedere, di passeggiare la domenica? Qui il potere è
brutto, è una destra aggressiva, cattiva".

A parte l’espressione bianchi e il riferimento al Mississippi, il discorso
di Papa è lo stesso fatto da qualunque immigrata/o dentro il corteo (ma
anche da qualcuna/o che se ne tiene ai margini) vicentino.

Lo conferma Nirou Mortesa, un negraccio iraniano con gli occhi azzurri. "I
ritardi nel dare i permessi di soggiorno più il lavoro in nero, che però
qui tutti fingono di non vedere, danno come risultato che almeno il 40%
degli immigrati non può andarsene a casa in ferie. E’ vero, le forze
dell’ordine fanno retate fra gli immigrati che cercano di mettersi in
regola, mai invece che vadano a cercare chi li sfrutta. E se qualche
immigrato apre un negozietto… non va bene. Siccome giuridicamente non
possono impedire agli immigrati di affittare una bottega, si cerca di
creare tensioni lì intorno. E se non scoppiano casini, perché Vicenza è una
città abbastanza tranquilla, i giornalisti li inventano".

Domanda inevitabile: è una tensione alimentata dai leghisti?

"Non solo. Il sindaco è di Forza Italia, il suo vice è di An. E raccontano
gran balle. Guardate la sentenza del Tar, arrivata proprio ieri, sulla loro
ordinanza contro i negozi degli immigrati: volevano chiuderli la domenica e
tenere separate le attività di call-center da quelle degli alimentari ma il
tribunale ha detto che non possono farlo. Ma loro cantano vittoria perché
il Tar dice che il Comune può indicare alcuni limiti orari; ma questo è
logico. Bisogna aggiungere che nel vicentino non c’è una politica della
casa per gli immigrati né per gli italiani più deboli. Invece l’assessore
leghista vuole dare gli alloggi alle famiglie numerose ma per evitare che
li prendano gli stranieri si assegnano case molto piccole; si sa che gli
immigrati fanno più figli e questo diventa un modo apparentemente pulito
per tenerli fuori. Pazzesco. Perché tutti questi bimbi che crescono e
studiano qui non sono vicentini?".

Mortesa è il presidente del Coordinamento stranieri; ha lavorato con il
sindacato e ripete che le parole d’ordine di "libertà, convivenza, no alle
divisioni etniche" devono coinvolgere tutti, gli immigrati come i nuovi
cittadini venuti qui a lavorare. "Questa nuova tensione è figlia della
cosiddetta Bossi-Fini; prima la situazione lentamente migliorava ma ora si
è tornati indietro di 15 anni. E’ tutto assurdo: se si leggono di seguito
la Bossi-Fini e la legge 30 si vede che esigono cose opposte".

Sono circa 60 mila gli immigrati residenti nel vicentino dei quali 11 mila
("forse 15 se si contano i domiciliati") in città ovvero circa il 12 per
cento della popolazione. "Ma in altri posti, come Arzignano, dove c’è il
duro lavoro della concia, le percentuali sono ancora più alte. Il numero
cresce ma certi non vogliono vedere, sapere, dialogare" conclude Mortesa.

Lin Lin guarda i bimbi della Mila (prop di titolo)

Capita di vedere nei cortei "gli spezzoni dei migranti" o gruppetti
separati, magari per nazionalità. Invece sabato a Vicenza fra i circa 8/900
presenti – gli organizzatori lo considerano un successo – era forte la
mescolanza. Spiega un’arzilla signora con i capelli bianchi: "molti
immigrati sono nostri amici, è naturale che sfiliamo insieme". Un ragazzo
invece (con tanto di pallone) precisa: "io per la verità non ho amici
migranti ma protesto contro l’Italia delle barriere e delle ingiustizie".

Elegantissimo in giacca e cravatta, Giuseppe Carollo si fa notare nel
corteo. "Di solito non sono così ben vestito" ridacchia "ma mi sembrava
utile far capire a chi ci vede sfilare che qui c'è gente normale, non quei
mostri che vorrebbero certuni". Indica un articolo su Il giornale di
Vicenza: "Vedi parlano a nome della città e dicono che c’è allarme. Ma io
abito qui da 10 anni e ho visto costruire a tavolino, letteralmente
inventare, tensioni che invece non esistono proprio. In questa zona c’erano
vecchi negozi sfitti e alcuni immigrati – cinesi, indiani, qualche africano
- li hanno riaperti per normalissime attività; mai un vero problema di
ordine pubblico. E’ bastato che si vedessero un po’ di loro in giro per
scatenare la xenofobia. Il razzismo c’entra ma anche il meschino interesse
di chi pensa: così magari si svalorizzano gli immobili".

Il corteo sfila davanti a molte saracinesche abbassate dove cartelli a
firma "Le vetrine del centro storico" urlano: più telecamere, più
controlli, più sicurezza. Sembrerebbe di essere nel Bronx. Ma a domanda
nessun vicentino rammenta fattacci recenti.

"Nel nostro palazzo abitano più immigrati che italiani e tutto va
benissimo" racconta Brigida Randon. Poi ricorda che la zona dove il corteo
sfila (via Napoli, via Firenze, ecc) è ancora chiamata "la città" perché ha
palazzi alti che a Vicenza sono rari. "Li hanno costruiti nel dopoguerra
quando arrivarono gli immigrati dal Meridione. Ora sono un po’ vecchi;
bisognerebbe ringraziare chi viene a rivitalizzare questa zona e
invece...". L’amministrazione appare terrorizzata da qualsiasi aggregazione
di non-indigeni: le donne moldave (perlopiù "badanti") che, nel giorno
libero, si davano appuntamento in centro sono state obbligate a trasferirsi
lontano, "in un luogo che non andrebbe bene neppure per le bestie" urla
Claudio Raniero dal furgoncino che apre il corteo.

"La nonna non cammina più, per fortuna c’è Liù" oppure "Toni a stirare le
camicie non se la cava, per fortuna c’è la moldava" o ancora "Lin Lin
guarda i bambini della Mila, i suoi son tutti soli a Manila": con frasi
simili un gruppo di donne-sandwich vicentine prova a ricordare alla città
quanto deve a queste straniere così maltrattate. Sempre un loro cartello
ricorda (in stretto vicentino, che dunque va tradotto) un’altra faccia
dell’ipocrisia, in questo caso maschile: "Sono stufo di guardare la tv,
vado in strada e mi compro la Lulù".

"Senti il negraccio" commenta un ragazzo che non vuol dire il suo nome
(magari si potrebbe indicare come biancaccio) quando al microfono un
immigrato propone: "La mondializzazione dovrebbe cominciare dal sociale,
propongo di ribattezzare la discussa via Napoli in via della Fraternità".

Il senegalese Mamadou Konte vende la rivista Solidarietà inter-etnica e fa
parte di A3F, cioè "Associazione 3 febbraio"
(<http://www.a3f.org/>www.a3f.org è il sito). "Per combattere il razzismo
bisogna conoscersi, promuovere la fratellanza" dice: "Anche le terribili
guerre in Africa potrebbero essere fermate se si sapesse chi davvero c’è
dietro". Fa anche parte dell’associazione Fulve (riunisce gli immigrati dei
16 Paesi, nei quali si parla questa che è la terza lingua dell’Africa) come
Guisse, originario della Mauritania: "Nel complesso si vive male a Vicenza
perché il clima ostile ci nega sicurezza sul lavoro e per la casa. Questo
legame burocratico, ossessivo fra lavoro e permesso di soggiorno è assurdo".

Il discorso di Guisse riprende quasi tutti i punti già esposti da Nirou
Mortesa; poi indica un bambino "Lo vedi? Lui è immigrato? No, è italiano.
Di dove vivevano i suoi genitori non sa nulla, è cresciuto qui. Dovrebbe
automaticamente avere la nazionalità, come chiunque è residente da almeno 6
anni. E poi: in gran parte del mondo è possibile avere la doppia
nazionalità, perché in Italia no? Come associazione Fulve stiamo
organizzando una raccolta di firme per modificare questa norma".

Discorsi analoghi li fa anche il senegalese Abou Sow che leggerà il
documento "Noi stranieri d’Italia" (lo trovate qui in coda). Mentre il
responsabile della moschea, il tunisino Touhami Ouelhazi (che il 22 maggio
ha voluto una marcia "contro la guerra e contro il terrorismo") denuncia
chi approfittando del terrorismo vorrebbe limitare la democrazia qui. "A me
pare che a favorire i fanatici siano le guerre di Bush" sottolinea mentre –
con altri – si avvia per un colloquio con il questore.

Nella doppia veste di operaio e di mediatore culturale sviluppa un discorso
interessante Essadik Hadire (da 18 anni in Italia). "Negli uffici ti fanno
aspettare mesi per il rinnovo del permesso quando basterebbe un clik.
Conosco molti che hanno dovuto rinunciare alle ferie per questo. Io ho
avuto problemi persino per cambiare la vecchia auto. E intorno a questa
burocrazia cresce un giro di agenzie che ci spillano altri soldi per fare
le pratiche. Poi esiste un capriccio assoluto: ad alcuni prendono le
impronte digitali, ad altri no. Qui intorno ci sono fabbrichette, come
quella dove lavoro io, con una maggioranza di immigrati. Ma certi
amministratori fanno finta di non vedere questa realtà che pure è stabile,
vecchia di anni".

In autunno un extra-sciopero? (prop di titolo)

Al corteo ovviamente c’è anche Beatrice Okwumo. Un volantino (firmato "La
finestra su via Napoli") racconta la sua storia, ricorda che il primo
luglio sarà processata; sotto il breve testo, intitolato "Una donna",
alcuni disegni ricordano che l’hanno portata via tirandola per i capelli. A
fine corteo molti insistono perché Beatrice parli ma lei pronuncia solo
poche frasi per ringraziare dio e invocare la sua benedizione su tutti;
"nonostante dolori, denunce, bugie io oggi sono contenta".

Dal microfono un immigrato urla (fra gli applausi) che "questo governo non
attacca solo i migranti ma vuole limitare i diritti di tutti i lavoratori".

Un altro ricorda che "l’unico sciopero in Italia dei migranti si è fatto a
Vicenza, e visto che qui vogliono negarci la democrazia beh in autunno lo
rifaremo" (e gli applausi raggiungono il massimo).

Dopo aver lamentato i prezzi degli affitti ("per la stessa casa 200 euro
agli italiani e 900 a noi") un immigrato invoca "dialogo" e sbaglia
l’accento. "Proprio come noi veneti pronunciamo vèdere mentre il resto
d’Italia accenta vedère" sorride un vicentino nell’ascoltarlo. E un’altra
aggiunge: "Ma oltre che indecente e razzista, ci pensi quanto è assurda
questa storia di far muro contro chi non è nato qui? Il nostro sindaco è
mezzo crucco, cioè tirolese; il vice è del Sud mentre la leghista più
scatenata fa di cognome Equizi, non so se mi spiego…Proprio loro si mettono
a parlare di radici vicentine?". Trucchi, spiega un’altra voce: "siccome
nel centro-destra vicentino litigano su tutto allora per nascondere le loro
risse si inventano l’emergenza immigrati".

In un corteo tranquillo (oltretutto pieno di bimbi e carrozzine) non è
sembrato proprio utile che di continuo uomini in divisa, con caschi e
manganelli, facessero dentro-e-fuori. Si suppone obbedissero a ordini… Ma
prima di andar via un immigrato insiste con i (pochi) cronisti presenti:
"per favore scrivetelo, quando mandano i vigili a chiederci i documenti si
vede che loro sono comandati e vengono mal volentieri ma molti poliziotti
no, sono entusiasti di venire a provocarci". Forse un Mississippi (morale)
passa davvero vicino a Vicenza però il corteo di ieri sembra confermare che
nativi e migranti – insomma biancacci e negracci? - possono trovare
un’intesa, buttar giù il muro di paure e menzogne, per poi liberarsi di
quelli che si sentono il nuovo Ku Klux Klan.

--------------------

Ed ecco ampi stralci di "Noi Stranieri d'Italia", il documento letto da
Abou Sow al termine del corteo.



Sia quello che vive in questo Paese da tanti anni o da poco, sia quello in
possesso di permesso di soggiorno o quello in attesa di quel documento,
tutti avevamo all'inizio avuto lo stesso sogno: quello di vivere in pace
con i cittadini, di partecipare attivamente alla vita e allo sviluppo del
Paese.

Un Paese di grande democrazia, ricordiamolo, di rispetto delle legge e dei
diritti umani.

La democrazia non è solamente limitata alla libera circolazione dei beni e
delle persone, né anche solo una libera scelta di un modo di vivere o una
libertà nella scelta alla politica. La democrazia è un insieme di tutto
questo ma in più è il rispetto reciproco dei cittadini, dei conviventi e
delle loro culture.

Noi diciamo che oggi viviamo in un Paese dove i nostri diritti non sono
riconosciuti ne rispettati: cioè non esistiamo. (…)

Noi siamo vittime della politica della destra italiana che cerca di fare
credere al popolo italiano che gli stranieri sono tutti e sempre la causa
dell'insicurezza, della criminalità e del terrorismo in Italia, facendo
costruire muri di sicurezza fin nei pensieri e causando un allontanamento
senza fine dei popoli.

Siamo dei combattenti con un altro modo di combattere: utilizzando armi
come il dialogo, lo scambio delle idee, l’avvicinamento dei popoli,
tradurre la diversità delle nostre origini geografiche in una forza di
scambio e in una ricchezza culturale importante.

Nessuno parla del contributo o della partecipazione degli extra comunitari
allo sviluppo del Paese. I nostri diritti non vengono sempre riconosciuti e
rispettati nei luoghi di lavoro dove c'è una grande discriminazione. Una
grande discriminazione che si vede anche nelle agenzie di lavoro temporaneo
e nelle proposte di lavoro.

La legge Bossi-Fini ha dato più potere ai datori di lavoro, privando gli
immigrati di libertà, dignità umana e giustizia.

I nostri documenti e la possibilità di cambiarli sono legati al lavoro,
come prevede la legge. Oggi, sappiamo tutti che è diventato impossibile
trovare lavori fissi e che il tasso di disoccupazione è molto elevato. Per
poter cambiare un documento, i più fortunati vanno verso grandi business
ben organizzati che sono nati e cresciuti intorno a noi e ai nostri
documenti.

Da disoccupati siamo senza copertura sociale. I documenti che abbiamo già
avuto sono in via di essere strappati uno per uno in tutto l'Italia. Noi
pensiamo che queste sono vie per lo sviluppo del terrorismo e della
criminalità. Dobbiamo cercare di farlo capire agli altri (democratici o
no). Anche attraverso media radio-televisivi per portare la nostra voce al
di là delle frontiere. Proponiamo che siano organizzate manifestazioni
nazionali in tutte le grande città italiane e cerchiamo di portare le
nostre rivendicazioni dal livello nazionale fino al Parlamento europeo. (in
<http://www.geocities.com/sowabou>www.geocities.com/sowabou il testo
completo)

-------------------------------

f i n e