Lettera aperta delle donne ANPI al ministro Prestigiacomo



Fonte: http://www.anpi.it/dichiarazioni/donne_180304.htm

all’On. STEFANIA PRESTIGIACOMO
Ministro delle Pari Opportunità
Via Barberini, 38
00187 ROMA

Onorevole Ministro,

abbiamo letto, con meraviglia unita a sconcerto, le espressioni con le
quali, nella Presentazione al primo volume di Italiane, ha ritenuto
opportuno non soltanto ringraziare tutte le figure femminili ricomprese
nei tre tomi dell'opera, ma sostenere che a queste figure, nessuna
esclusa, "Tutta l'Italia deve un grazie". Ci sia permesso di dissentire.

Il Suo Ministero, evidentemente, non riteneva di fare opera storica.
Infatti a nessuno è mai venuto in mente di "ringraziare" tutti i
personaggi che hanno avuto un posto nella storia, la quale annovera anche
qualche presenza problematica, tanto per fare un paio d'esempi, da Caino a
Hitler. L'intento, quindi, era sicuramente quello di offrire all'opinione
pubblica biografie di donne la cui vicenda si possa considerare esemplare
e degna di essere ricordata. Lo scrive Lei stessa in termini espliciti:
"In queste 200 donne, ricche e povere, del nord e del sud, raffinate e
incolte, belle e meno belle, umili e proterve, sensuali e angelicate, in
tutte risiede la forza e l'intelligenza. Ed il merito di avere
contribuito, clamorosamente o impercettibilmente, alla crescita collettiva
delle donne, alla loro evoluzione, alla loro coscienza d'essere
protagoniste".

Siamo curiose di sapere a quali titoli rientrino nell'ambito delineato
figure come quella di Claretta Petacci. Con tutta la pietas per l'esito
tragico della sua vita, non ci pare si possa sostenere che da lei sia
derivato un contributo all'evoluzione delle donne. La sfortunata amante
del duce apparteneva a una famiglia di noti profittatori - tutti gli
storici sono concordi nell'affermarlo - che misero a buon frutto la
relazione della loro congiunta. L'unico titolo che le si può riconoscere è
quello della fedeltà al suo uomo. Ma questa è una qualità che si ritrova,
purtroppo, anche in figure tutt'altro che commendevoli, come alcune donne
della mafia.

Fatichiamo anche a comprendere l'inserimento di Rachele Guidi, moglie di
Mussolini. Le due curatrici, Eugenia Roccella e Lucetta Scaraffia, ci
parlano di lei in questi termini: "... Rachele Mussolini, moglie appartata
che costituisce il modello della popolana italiana capace di affrontare
con coraggio e dignità la buona e la cattiva sorte...". Per la verità
"donna Rachele", come veniva chiamata, non fu molto appartata, incline
com'era a costruire attorno a sé una specie di corte di fedelissimi e
tutt'altro che aliena dal partecipare a intrighi politici e a stringere
stretti rapporti con i nazisti, come è confermato anche da documenti
emersi di recente, tra cui la denuncia ai tedeschi di quel prete
romagnolo, reo di avere fatto una predica non in linea con le esigenze del
regime, il quale, arrestato il 6 dicembre 1943, gustò le delizie di una
"villeggiatura" a Dachau.

Ma non ritiene, Onorevole Ministro, che il tipo della popolana italiana
evocato sia rappresentato molto più adeguatamente da altre figure, tra cui
la contadina Genoveffa Cocconi, madre dei sette Fratelli Cervi? Ma
Genoveffa, chissà perché, non è stata ritenuta degna di menzione tra le
oltre duecento donne di Italiane.

A proposito di "intelligenza", evidentemente sono state considerate doti
anche l'intelligenza con il nemico e il collaborazionismo, tanto da
accreditare la biografia di Piera Gatteschi, presentata trionfalmente dal
Secolo d'Italia come "... la mitica comandante del primo Corpo militare
femminile istituito in Italia: il Saf, le Ausiliarie della Rsi".

Ma il culmine, la raccolta patrocinata da Lei e dalla Presidenza del
Consiglio, a spese dei contribuenti italiani, l'ha raggiunto con Luisa
Ferida. A quanto si apprende dalle dichiarazioni di Anna Foa, che ha
curato la relativa voce, di questa donna si sottolineano nell'opera tutte
le responsabilità, che non sono poche perché la Ferida, con il marito
Osvaldo Valenti, era sicuramente collegata alla famigerata banda Koch,
formata dai peggiori criminali e torturatori della repubblica di Salò. Le
prove di questo collegamento sono inoppugnabili. Non capiamo quindi perché
dovremmo ringraziarla. Né possiamo ringraziarla per altre circostanze,
dato che gli stessi storici propensi a tesi assolutorie, scrivono che i
due, Valenti e la Ferida, finirono nel "buco nero" della banda Koch forse
più per ragioni di comune consumo di morfina, eroina, cocaina e simili che
per motivazioni politiche. Commendevole anche questo?

Tanto abbiamo ritenuto doveroso dirLe mentre, nel salutarLa cordialmente,
Le confermiamo che le donne che hanno partecipato alla Resistenza sono
disponibili a collaborare ad ogni iniziativa che sia rivolta davvero a
fini di promozione.

Il Coordinamento Femminile dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia

Roma, 18 marzo 2004