Una lettera ad alcune persone amiche



Una lettera ad alcune persone amiche

Carissime e carissimi,

se un nostro umile e limpido gesto puo' contribuire a salvare delle vite
umane, quel gesto dobbiamo farlo. E' un gesto non solo onorevole, ma giusto,
ma buono.

Cosi' di tutto cuore, senza esitazioni, senza distinguo e senza sofismi,
anch'io rispondo di si' all'appello dei familiari dei tre giovani italiani
rapiti e minacciati di morte. E manifestero' con loro la speranza e
l'impegno contro tutte le uccisioni.

Quando diciamo di essere contro la guerra e contro il terrorismo cosa altro
diciamo se non che siamo contro tutte le uccisioni?

Ci tireremo forse indietro proprio quando un nostro gesto, onorevole, giusto
e  buono, puo' contribuire a salvare delle vite umane e indicare una via
nonviolenta di intervento nel conflitto, di questo presente orribile
conflitto che tutti ci lacera e coinvolge?

Se della necessita' morale e intellettuale della nostra opposizione alla
guerra e al terrorismo, alle stragi e alle uccisioni, eravamo convinti gia'
prima, oggi dobbiamo esserlo ancor piu'.

Senza ipocrisie, senza abulie, senza ambiguita'.

*

Del ripudio della menzogna

Capisco i dubbi e le esitazioni di tanti. Ma non accetto le menzogne e il
cinismo.

Con parole che sento insufficienti e non di rado insincere sento parlare in
questi giorni di ricatti e di terrorismo.

Ma la guerra è il primo e il principe degli atti di terrorismo, che tutti
gli altri incuba ed alleva; l'occupazione militare dell'Iraq che si prolunga
da oltre un anno con il suo corteggio di stragi e devastazioni e' con tutta
evidenza un crimine immane e spregevole un ricatto; i carri e i mitra
americani (e degli stati loro tributari, e dei governi mercenari, tra cui
quello italiano) tengono ostaggio l'intero popolo iracheno, ed incessanti
seminano morte.
I terroristi rapitori dei giovani nostri concittadini, gli assassini di uno
di loro, riproducono e proseguono nella misura dei loro mezzi un crimine e
un orrore piu' vasto, un crimine e un orrore di cui anche il nostro stato,
il nostro paese, ed infine - e suo malgrado - il nostro stesso popolo e'
complice.

*

Della nostra vergogna

Non esser riusciti lungo un anno a far quasi nulla contro la guerra (e le
poche cose fatte, sovente purtroppo vacue e confuse, reticenti e ambigue,
talora persino inquinate) ha reso il movimento pacifista del nostro paese
avversario inetto ed in certi momenti ed atteggiamenti talora quasi
paradossale complice del governo, del parlamento e del presidente della
Repubblica fedifraghi e felloni, cioe' delle istituzioni che sciaguratamente
l'Italia in guerra hanno precipitato, tradendo il proprio mandato e il
giuramento fatto sulla Costituzione della Repubblica Italiana, violando per
sempre la legge su cui la civile convivenza del nostro paese si fonda,
facendo morire anche degli italiani, ed altri italiani rendendo assassini;
tutti inabissandoci nell'illegalita' e nel crimine, nel terrore e nella
barbarie.

Un'orgia di sangue. Di cui non si vede la fine. E non se ne vede la fine per
responsabilita' anche nostra. Non solo dei sanguinari che governano il mondo
e il nostro stesso paese, sciagurati fuorilegge che fanno quel che pensano e
che loro conviene. Nostra di noi che avremmo dovuto fermarli e non lo
abbiamo fatto. Nostra di noi che dovevamo difendere la legalita'
costituzionale e il diritto internazionale e non lo abbiamo fatto. Nostra di
noi che dovevamo difendere la democrazia, il civile condursi e convivere, il
diritto alla vita che inerisce ad ogni essere umano, e non lo abbiamo fatto.
Abbiamo tentato, ma non siamo riusciti.

E' anche la nostra incertezza interiore ed effettuale inadeguatezza, che fa
crescere il duplice crimine della guerra e del terrorismo che la guerra
imita e riproduce ed espande vieppiu'. Dovevamo fermarli e non lo abbiamo
fatto. Abbiamo tentato, ma non siamo riusciti.

Perche' non lo abbiamo fatto? Perche' non siamo riusciti? Per la piu'
semplice ed essenziale delle ragioni: perche' neppure noi, nel nostro agire
comune e condiviso come ampio e plurale movimento per la pace, abbiamo
saputo fare in pienezza e in profondita' la scelta della nonviolenza, la
scelta teorica e pratica della nonviolenza, la scelta esistenziale e
politica della nonviolenza, la scelta assiologica e giuriscostituente della
nonviolenza.

Non siamo ancora un persuaso movimento per la pace, e non essendo un
persuaso movimento per la pace non siamo neppure un persuasivo movimento
contro la guerra. Perche' c'e' un solo modo per essere un movimento per la
pace che possa la guerra sconfiggere: e questo solo modo e' la scelta della
nonviolenza. La nonviolenza dei forti, la nonviolenza che nitida e
intransigente si oppone a tutte le guerre, a tutti gli eserciti, a tutti gli
armati, a tutti i terrorismi, a tutte le uccisioni.

Anche le nostre mani sono sporche di sangue.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

*

Dal silenzio al digiuno

Per quanto riguarda la mia personale, di responsabilita', per piccola cosa
che essa possa essere, ho deciso di uscire dal silenzio che mi sono imposto
da mesi per prender le distanze dal rumore di fondo che non mi persuade,
dalle troppe stoltezze e scelleraggini dette e fatte anche nel campo
pacifista da chi pretende di rappresentarci e ci sfigura; e per cercare una
piu' essenziale misura, una piu' esatta disciplina.
Da quel silenzio esco ora per dire una parola, per esprimere un voto,
dichiararmi a favore di un gesto per salvare tutte le vite umane che salvate
possono essere, a cominciare da quei tre giovani nostri concittadini in
Iraq. Un gesto che e' di pace e per la pace, coerente nella forma e nel
contenuto, nei mezzi e nei fini, un gesto nonviolento che a partire da noi
testimoni la necessita' e la possibilita' che cessi la guerra, che cessi
l'occupazione militare, che cessi il terrorismo, a cominciare dall'Iraq.

E per veder piu' chiaro in me al digiuno della parola, al silenzio,
sostituisco a cominciare da ora un altro e piu' alto, piu' severo digiuno,
dell'alimentazione. Un digiuno gandhiano, misero segno di condivisione di un
dolore e di assunzione di una penosa e ineludibile responsabilita', e ancora
nitido gesto di pace e di reciproco riconoscimento di umanita'; un digiuno
gandhiano, non per ricattare, non per adire i mass-media, ma per condividere
una sofferenza che altre vite afferra e strozza, per illimpidire il mio
sentire e il mio fare, per vedere piu' chiaro, per cercare una via all'agire
che occorre, per rispondere al compito dell'ora.

Vi abbraccio forte,

Peppe

Viterbo, 27 aprile 2004

Mittente: Peppe Sini
responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo
str. S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532
e-mail: nbawac at tin.it