Pierluigi Sullo sull'"aggressione" a Fassino



L'"aggressione" a Fassino

Pierluigi Sullo

Metto le mani avanti. Chi legge questo sito, si presume, conosce il lavoro
di Carta e, in particolare, l'impegno che mettiamo nella promozione della
nonviolenza. Nell'Almanacco di Carta per il 20 marzo, tuttora in edicola,
pubblichiamo il saggio di Marco Revelli su "Marxismo, violenza e
nonviolenza", ultimo atto di una lunghissima serie di altre iniziative di
questo tipo. Di questo impegno fa parte integrante la critica di certi
atteggiamenti di piazza (come il 4 ottobre al vertice europeo, ad esempio),
di una certa concezione concorrenziale dell'azione politica, della
separatezza dei "ceti politici", e così via. Ciò che ci ha procurato alcune
radicate antipatie. Dunque, credo che abbiamo il credito per dire che
nonviolenza, per noi, è anche prudenza nei giudizi e attenzione alla verità
dei fatti.
Ora, capisco bene, perché è anche la mia, l'amarezza nel constatare che un
fatto straordinario come la manifestazione per la pace sia ridotta su
giornali e televisioni all'"aggressione" subita dal segretario del Ds,
tutti dicono dai Disobbedienti. Un fatto dato per scontato, a cui è seguito
un
"dibattito" incredibile. Il direttore del Corriere della Sera, Stefano
Folli, è arrivato a paragonare quel che è avvenuto sabato alla cacciata di
Lama dall'università, nel '77. E ha aggiunto che vi è "un soffio di cupa
violenza" tra "gli ingenui pacifisti": ossia, oggi come allora, il ventre
del movimento sta generando il terrorismo. La tentazione di dare la colpa
di tutto questo ai Disobbedienti è perciò molto forte.
Ma siamo proprio sicuri che le cose siano andate così?
Invito tutti a un esercizio spirituale che, controvoglia, noi abbiamo
compiuto domenica mattina, e che documenteremo sul prossimo numero di Carta:
la lettura, dettagliata e comparata, di editoriali e cronache, a proposito
della "aggressione", sui principali quotidiani. La conclusione cui siamo
arrivati è che, a leggere con mente sgombra, a trombonate come quelle di
Folli non corrisponde alcuna realtà. E lo affermo non sulla base delle

numerose testimonianze di persone di nostra fiducia - nessuna delle quali
fa parte degli "sconsiderati" che avrebbero "aggredito" Fasino - ma grazie
proprio alle cronache dei giornali, da cui si ricava questa successione dei
fatti:
a) Fassino si presenta, circondato da un numeroso (nervoso e armato)
servizio d'ordine, mentre su via Cavour sta transitando lo spezzone dei
Disobbedienti (il loro camion, per la precisione, è in quel momento fermo
all'imbocco di via Amendola, la via da cui Fassino proviene);
b) Fassino viene variamente insultato e fischiato, mentre è fermo in via
Amendola, da persone sparse (io non condivido affatto l'epiteto di
"assassino", ma fischiare e gridare "Kosovo" non mi pare qualificabile come
"violenza", a meno di non sancire la fine del diritto di critica);

c) i Disobbedienti schierano un po' di gente, "incordonata" ma del tutto
"disarmata", per impedire il passo al servizio d'ordine di Fassino, cioè
per evitare che piombi in mezzo ai loro e, soprattutto, agli "antagonisti"
che gli stanno davanti e al "Campo antimperialista" che gli sta dietro,
eventualità le cui conseguenze potevano essere molto gravi, anche perché
nel frattempo, come fa notare l'Unità, il cordone della Cgil non c'è più;
d) appena arriva all'altezza di via Amendola lo spezzone dei Ds, che era in
coda (come da accordi con gli organizzatori), i Disobbedienti sciolgono il
blocco, e Fassino, dicono tutti i giornali, può entrare in via Cavour,
mentre dai marciapiede (dice la Repubblica) gente sparsa continua a
gridargli cose come "vai a casa";
e) tra questi contestatori, vi è un gruppo di ricercatori precari in camice
bianco e cappio al collo (protestano contro Letizia Moratti, e vogliono
dire che la ministra "sta strangolando noi e l'università", e non "vogliamo
impiccare Fassino", come fa intendere l'Unità), uno dei quali si avvicina
troppo e il servizio d'ordine di Fassino lo allontana "con forza"
(l'Unità), così che altri suoi compagni accorrono a difenderlo e, dicono in
questo caso diversi testimoni, vengono presi a pugni e calci;
Ripeto: tutto (o quasi tutto) questo racconto è ricavabile dalle cronache
degli stessi giornali che negli editoriali di domenica, e ancora lunedì in
un diluvio di interviste (a Fassino, principalmente), danno per assodato
che i Disobbedienti abbiano "aggredito" il segretario dei Ds. Né le
immagini dei
telegiornali documentano l'"aggressione". Non arriverò al punto da dire che
i Ds abbiano cercato questo incidente, come qualcuno sostiene: molto
probabilmente è stato tutto assai casuale, oltre che mal gestito dalla
"sicurezza" del segretario diessino.
D'altra parte, non solo il comunicato dei Disobbedienti (abituati, come si
sa, a firmare sempre quel che fanno, buono o cattivo che sia), dice secondo
me, tra le righe, che vi era un accordo per lasciar passare Fassino (come
anche scrive l'Unità), ma nel momento e nel luogo giusti, e che la loro è
stata una reazione all'atteggiamento aggressivo del servizio d'ordine
diessino. Ma anche uno come Paolo Flores D'Arcais, che non è certo un
Disobbediente, fa nel sito dei Girotondi una ricostruzione simile.
In conclusione. La discussione sull'autonomia, sui modi di relazione, sugli
scopi e i metodi nel movimento per la pace, o altermondialista, o come lo
si voglia chiamare, è necessaria e urgente, soprattutto dopo quel che è
accaduto in Spagna e dopo l'enorme successo del 20 marzo, in Italia e in
molti altri luoghi nel mondo, ciò che, secondo noi, dà sostanza al titolo
apparentemente un po' folle del libro di John Holloway: "Cambiare il mondo
senza prendere il potere". E' per questo che bisogna liberarsi di ogni tipo
di vecchiume. Ma questa discussione va fatta a partire dal rispetto per la
verità.
Infine: se il movimento dipendesse dai media, sarebbe morto appena nato, ad
esempio dopo Genova, quando si cercò di attribuirgli la paternità dei
"black bloc". Invece capita che un milione di persone, o non so quante, ha
partecipato a quella straordinaria cosa che è stata la manifestazione di
sabato, nonostante l'attivo boicottaggio, la diffamazione e altre slealtà
dei media: prima della manifestazione, non solamente dopo. In Italia si
vendono ogni giorno meno di cinque milioni di copie di quotidiani. Con
quante persone parleranno, una volta tornate a casa, tutte quelle che sono
venute a Roma il 20 marzo?

Pierlugi Sullo
direttore settimanale Carta