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Kossovo: è cambiato tutto e non è cambiato niente
- Subject: Kossovo: è cambiato tutto e non è cambiato niente
- From: "ibrizie\@libero\.it" <ibrizie at libero.it>
- Date: Mon, 15 Mar 2004 14:47:25 +0100
Il Kossovo dopo quattro anni: è cambiato tutto e non è cambiato niente Un viaggio breve, di cinque giorni, ma quanto basta per permettermi di affermare che dopo quattro anni in Kossovo è cambiato tutto e non è cambiato niente. Vi ero stato con l'Operazione Colomba (Corpo Nonviolento di Pace dell'Ass. Papa Giovanni XXIII) nel 1999 per diversi mesi, sia prima dei bombardamenti NATO, con un progetto di riconciliazione in uno dei pochi villaggi "misti" che in quel momento di forte tensione era rimasto abitato da serbi e albanesi, sia subito dopo i bombardamenti con progetti di protezione nonviolenta delle minoranze: albanese nella parte nord di Mitrovica e serba in un villaggio vicino Pec - Peja. Avendo avuto la possibilità di conoscere personalmente il Kossovo sia prima dei bombardamenti che subito dopo, già allora mi ero fatto un'idea abbastanza chiara: qui è cambiato il dominatore, ma non la logica del dominio. la violenza potrebbe ritrovare presto terreno fertile. Se prima l'arroganza e la supremazia imposta con la forza dalla minoranza serba era tangibile, subito dopo la mafia albanese e la logica della vendetta avevano preso sistematicamente potere. Mentre fosse comuni rinvenivano con tutto il loro orrore e fetore, donne serbe violentate e sgozzate divenivano oggetto di vendette e rese dei conti. Mentre si piangeva sulle case albanesi che erano state bruciate dai serbi prima dei bombardamenti e durante la ritirata, venivano bruciate le case dei serbi in fuga verso l'ennesimo campo profughi della periferia di Belgrado. fuoco, fiamme, profughi e dolore prima; fuoco, fiamme, profughi e altro dolore dopo. E in tutto questo che ruolo svolgeva l'ingresso trionfale della NATO e in seguito dell'ONU? La NATO mi sembrava avesse più interesse a guadagnare e affermare velocemente le proprie posizioni sul campo che altro. Anche se devo riconoscere l'importanza di alcune azioni (più che prettamente militari, le definirei di polizia con la limitatezza dei mezzi militari) a difesa e protezione delle minoranze e di gestione del caos che si era creato in questo vuoto amministrativo, avevo sempre più l'impressione che fossero iniziative dovute all'impegno e alla sensibilità di qualche singolo piuttosto che alle capacità della "struttura" militare. Il giubilo era tanto nell'accoglienza delle truppe NATO, ma presto si era trasformato in sospetto e rabbia, fino al punto che qualcuno osava confidarti a bassa voce nell'orecchio: quando c'erano i serbi non si stava poi così male . D'altra parte l'ONU, in un contesto così difficile, senza un mandato ben preciso, spesso perso nelle sue lentezze burocratiche e diplomatiche, faceva fatica a ritagliarsi un ruolo centrale che sarebbe stato di immediata e assoluta importanza nella gestione di un tale caos. Questo il Kossovo che avevo lasciato quattro anni fa, ma il Kossovo di oggi, apparenze a parte, non è poi così diverso. Sì, non ci sono più sparatorie selvagge, case che bruciano, fughe di profughi in preda al panico, caos per le strade, omicidi di massa. la ricostruzione è ben avviata grazie soprattutto agli ingenti aiuti economici dell'occidente, grossi palazzi risplendono nei centri abitati, addirittura ho visto una limousine parcheggiata sotto uno dei tanti Hotel sorti come funghi... ma chi va in vacanza in Kossovo? La ricostituita polizia locale apparentemente multietnica gestisce l'ordine pubblico e la presenza militare NATO, anche se ben allocata nelle enormi basi costruite ad hoc sulle colline delle periferie delle grandi città (quella italiana, per esempio, vicino Pec - Peja, si chiama "Villaggio Italia" e di notte risplende come una stella nel firmamento kossovaro, tanto è grande e tanta è l'illuminazione che necessita), almeno per le strade è molto discreta. L'amministrazione delle Nazione Unite è a regime, ci sono state libere elezioni che hanno eletto Ibraim Rugova Presidente e così, almeno apparentemente la situazione procede nel migliore dei modi. Ma dove è allora, almeno secondo me, il problema vero? Perché dico che non è cambiato nulla? Le esperienze che ho fatto come civile in zone di guerra mi hanno fatto maturare una convinzione: interessi economici a parte, a cosa serve ricostruire case, tetti, hotel, ponti e così via se non si lavora contemporaneamente per una vera ricostruzione del tessuto sociale? Basterà un scintilla per riaccendere il conflitto e con esso rimandare in fiamme tutto. E' su questo punto che ho trovato le falle più grosse di un Kossovo che cerca di ritrovare una propria identità dopo tanta sofferenza. Se la speranza di alcuni era quella di vedere la minoranza serba completamente in fuga verso Belgrado lasciando un Kossovo etnicamente "pulito" e più facile da "gestire", gli è andata male. Oggi una parte della minoranza serba è ancora in Kossovo, rinchiusa in piccole enclave sparpagliate sul territorio, determinata a non lasciare le proprie case, origini e radici. I motivi credo siano essenzialmente due: il primo riguarda una poco pubblicizzata ma tangibile pressione delle autorità di Belgrado nel mantenere in Kossovo una presenza serba che legittimi la sovranità nazionale. La si può mettere in maniera più o meno diretta ma, autonomia a parte, il Kossovo è ancora Serbia. Il secondo giace nei cuori di ogni persona: "questa è la casa dove sono nato e cresciuto, altrove non ho nulla, meglio che andare peregrinando ed elemosinando in una Serbia già colma di profughi delle tante guerre recenti, rimango qui in questa specie di prigione". Perché queste enclave in altro modo non si possono definire. Sebbene facciano eccezione alcune zone dove la convivenza tra serbi e albane si si riaffaccia alla finestra dell'audacia grazie soprattutto ad alcune personalità carismatiche che hanno saputo fare della riconciliazione e del perdono un impegno concreto (per esempio Don Lush Giergji, sacerdote cattolico albanese, parroco in un piccolo paese ai confini con la Macedonia), per il resto oggi i serbi vivono rinchiusi nei propri villaggi, circondati e "protetti" dai militari della NATO, rischiando un linciaggio ogni qualvolta che ne escono anche solo per andare a fare la spesa in città. E' proprio in uno di questi villaggi che ho passato i miei pochi giorni in Kossovo, uno di quei villaggi-prigione dove l'Operazione Colomba ha avuto l'intuizione di andare a vivere. Si chiama Gorazdevac, è un villaggio abitato esclusivamente da qualche centinaio di serbi, si trova alla periferia di Pec - Peja, zona a Nord del Kossovo, confinante con il Monte Negro, sotto amministrazione delle Nazioni Unite, militarmente controllato dai soldati italiani. Il lavoro dell'Operazione Colomba in quest'area è inserito in un progetto del "Tavolo Trentino con il Kossovo" (che è un coordinamento promosso dalla Provincia Autonoma del Trentino) e si basa essenzialmente su due pilastri. Da un lato dare risposte tangibili alle esigenze quotidiane delle persone più in difficoltà e bisognose. Questo lavoro attualmente appare più urgente ed essenziale dalle parte serba: famiglie povere, profughe, senza casa, con bambini piccoli, magari con parenti disabili e soprattutto impossibilitate a muoversi. Si tratta di accompagnarle a fare dei sopralluoghi delle loro ex-case, per la maggior parte ormai distrutte o bruciate, di andargli a fare la spesa, di provvedere a documenti e permessi ufficiali, di sollecitare aiuti materiali, di raccogliere denuncie e così via. Dall'altro ricostruire i ponti del dialogo e della convivenza pacifica tra le parti attraverso un lavoro quotidiano di instaurazione di rapporti umani e di fiducia. E' solo nel momento in cui entrambe le parti in conflitto acquisiscono fiducia in te, magari perché vedono che vivi come loro, in una condivisione diretta delle condizioni di disagio e che nonostante la limitatezza dei mezzi e delle forze li aiuti e gli sei vicino, che ti riconoscono come garante della propria identità e ti accettano come ponte, zona franca per un incontro con l'"altro". In questo credo che l'Operazione Colomba sia rivoluzionaria, nel riuscire a creare spazi di dialogo cercando sempre di rispettare i tempi e i modi che la storia di ogni conflitto impone. Nel concreto in Kossovo queste attività passano attraverso il "centro giovanile Zoom", un locale sito nella città di Pec-Peja (parte albanese) dove vengono effettuati corsi di teatro, computer, fotografia, incontri - dibattito a tema. Fino allo scorso Agosto questo luogo era frequentato sia da ragazzi albanesi che serbi, poi qualche estremista albanese esterno al "centro" ha avuto la splendida idea di sparare su Gorazdevac e uccidere alcuni ragazzi. Questo ha bloccato il tutto e ci ha riportati indietro nel tempo ad una situazione di "inizio progetto". Gli incontri solo oggi, a distanza di mesi, cominciano saltuariamente a riproporsi, ma la voglia di andare avanti è forte e questo ci dà e dà loro speranza. Una delle cose che più mi ha positivamente colpito, sono proprio gli incontri a tema che attualmente, visto quanto appena raccontato, si svolgono separatamente: al "centro" con gli albanesi, a casa dell'Operazione Colomba con i ragazzi serbi. Alcuni nostri volontari presentano situazioni di conflitto nelle quali hanno operato, tipo il Congo, la Cecenia, il Chiapas o la Palestina, sempre geograficamente lontane e apparentemente svincolate dal Kossovo. I ragazzi puntualmente si animano e incominciano a formulare tesi sulle cause di "quei" conflitti e stringono virtuali alleanze con una delle parti in causa. Ad un certo punto scatta la molla del paragone e lì diventa estremamente interessante vederli in difficoltà nel rileggere il proprio conflitto sotto un'altra dimensione, non più quella spesso imbevuta di patriottismo e revisionismo storico, ma dal lato della vittima di una esasperata propaganda figlia di tatticismi geopolitici ed interessi economici. E' un processo lento e lungo, ma fondamentale per una ricostruzione vera di un Kossovo multietnico, pacifico, libero e democratico. Daniele Aronne
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