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Nonviolenza a Venezia
- Subject: Nonviolenza a Venezia
- From: "nello margiotta" <nellomargiotta55 at virgilio.it>
- Date: Tue, 2 Mar 2004 19:36:28 +0100
http://www.carta.org/editoriali/index.htm Pierluigi Sullo Non è privo di interesse, il fatto che, a parlare del convegno organizzato a Venezia lo scorso week end da Rifondazione sul tema della nonviolenza, siano stati solo due quotidiani: Liberazione, ovviamente, e il Corriere della Sera. Il primo è il giornale del partito, il secondo quello che con più insistenza infila coltelli nelle piaghe, diciamo così, delle sinistre. Il quotidiano milanese ha inventato il dibattito sulla "solitudine dei riformisti" aggrediti dagli estremisti-utopisti-pacifisti, e ha da mesi coltivato la divisione, del tutto fuorviante, tra un Bertinotti "calabrache" (per usare un termine usato da Pietro Ingrao per dire che quando si tratta di nonviolenza non è quello il caso) e di un "movimento" che rifiuta le tesi del segretario di Rifondazione. Puro avanspettacolo. Gli altri giornali, anche quelli di sinistra, hanno invece ignorato l'avvenimento. Eppure, sull'isola di San Servolo, in laguna, sono avvenute diverse cose molto interessanti. Ne elenco alcune. A tenere una delle relazioni di apertura, in un convegno ufficiale del partito, è stato Marco Revelli, appena definito dal capo della corrente conservatrice di Rifondazione, sul giornale del partito, "revisionista e anticomunista" (Revelli era accomunato a Carta, nell'invettiva). A tenere le altre relazioni, femministe e studiosi della nonviolenza. Il debordante pubblico era in buona parte composto da non iscritti o militanti di Rifondazione, fatto del tutto inusuale nei convegni di qualunque partito. Erano invece assenti tutti i dirigenti di Rifondazione delle due correnti conservatrice-postPci e conservatrice-trotskista, e anche questo è un fatto inedito. Molti dei partecipanti sono stati impegnati in un laboratorio serale sulle pratiche nonviolente, cosa tipica casomai della Rete Lilliput. Per finire, nelle sue conclusioni Bertinotti si è spinto fino a dire che la nonviolenza è una possibile "terza via" tra la conquista del potere per via insurrezionale e la conquista del potere per via elettorale, cioè suggerisce una trasformazione del mondo senza conquista del potere: avete mai sentito il segetario di un partito comunista fare una affermazione del genere? Insomma, ad avere una qualche curiosità per il famoso dibattito a sinistra, e perfino a voler come sempre fare del "gossip" sugli "scontri" interni, il convegno di Venezia era un bel boccone. Invece niente. La spiegazione è, come ben sappiamo noi che facciamo notoriamente un giornale "antipolitico", come ci è stato più volte rimproverato in questi anni, la pura e semplice non comprensione. Questo genere di ricerca, semplicemente, a un occhio "politico" non esiste, o quando esiste è un nemico da combattere. Non è per caso che il tema della nonviolenza sia stato, in questi mesi, messo in caricatura e vilipeso da schiere di combattenti e reduci, in un arco che va dall'estrema sinistra all'estrema destra della sinistra, tutti nemici tra loro ma tutti uniti contro il "revisionismo anticomunista" e il presunto abbandono del conflitto. Fesserie: perché si è argomentato in molti modi, anche a Venezia, che sottrarsi alla presunta necessità di uno scontro in cui simmetricamente il capitale e i suoi nemici si misurano usando gli stessi metodi è l' atteggiamento più radicale, più "altro" che si possa assumere, e che rifiutare la violenza non comporta quindi rinunciare al conflitto. E che in ogni caso il tema in discussione non è su quale spessore debba avere il randello o lo scudo che si adopera in piazza, ma se abbia senso, e futuro, organizzarsi, come nel secolo scorso, in esercito, per quanto "proletario", allo scopo di conquistare, appunto, il potere (quale? Dove? Per fare che? Usandone i metodi per fini "buoni"?). C'è una buona, vecchia (anzi vecchissima) sinistra che è in verità al capolinea, difende i suoi bunker identitari e smentisce tutto quel che è accaduto in questi anni, compresa Genova. E lo fa con il linguaggio cupo e rancoroso di sempre. Che noia.
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