Iniziative nel ricordo della Kater



Questo articolo sarà, fra poco, sul sito dell'agenzia Migra
(www.migranews.net). Può essere utilizzato ma citando la fonte.

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Che il 28 marzo diventi la giornata del migrante: da Bologna una proposta
nel ricordo della Kater

di Daniele Barbieri

Una lettera aperta a Silvio Berlusconi, Romano Prodi e Fatos Nano, la
proposta di fare del 28 marzo una "Giornata del migrante e del profugo" ma
soprattutto l'accorata denuncia che il processo per l'affondamento della
Kater i Rades rischia di insabbiarsi per sempre. Sono questi i punti
affrontati da Shoqeria Skenderbeu ovvero l'associazione Skanderbeg (che
riunisce molti albanesi residenti nel bolognese) nella conferenza stampa
del 17 febbraio a Bologna.

Dopo aver ricordato quanto accadde alla motovedetta albanese Kater la sera
del 28 marzo 1997, Giuseppe Chimisso ha raccontato che sta nascendo un
comitato promotore della Giornata del migrante e del profugo (adesioni al
fax 051 263720 o alla e-mail giornatamigrante at hortusmusicus.com):
"Chiediamo che il 28 marzo di ogni anno sia dedicato a tutti gli immigrati.
A quelli tragicamente morti in mare o soffocati nei container ma anche a
chi è vittima in Italia di una discriminazione giuridica. Questi nostri
fratelli sono i nuovi paria della società".

Il "venerdì di Pasqua" del 1997 al largo di Otranto morirono centinaia di
albanesi, in gran parte donne e bambini, annegati dopo lo speronamento, da
parte della Sibilla - cioè di una nave della Marina militare italiana -
della Kater (Qater nella grafia albanese) che li conduceva in Italia.
Neppure oggi si sa quanti furono i morti: i più dicono 106, forse 108 o di
più. Di certo si sa solo che i cadaveri recuperati furono 86; tutti gli
altri vennero considerati "dispersi". L'allora presidente del Consiglio,
Romano Prodi - come ricorda Chimisso - dichiarò che era stato fatto tutto
il possibile per evitare la tragedia e poi per soccorrere i superstiti ma
in seguito molte testimonianze lo hanno smentito. Fra queste anche un
anonimo marconista, intervistato dal Tg-5, che dichiarò: "l'ordine di
speronare venne da terra". Va ricordato il clima di quei giorni a esempio
con l'affermazione di Irene Pivetti, all'epoca presidente della Camera, la
quale proprio pochi giorni prima del 28 marzo dichiarò al quotidiano Il
tempo che bisognava "buttare a mare gli albanesi". E altri esponenti
politici di primo piano auspicarono l'uso di "pallottole intelligenti".

Accanto a Chimisso c'è Krenar Xhavara, uno dei superstiti di quella
tragedia. Era in Italia dal '91 ma allora non riuscì a mettersi in regola;
"Avevo chiesto asilo politico senza ottenere risposta, poi scrissi anche a
Mary Robinson delle Nazioni Unite per chiedere che mi aiutasse" racconta.
Così Xhavara nel '97 torna in Albania nel tentativo di portare via la sua
famiglia da una guerra civile aperta. Quel tragico "venerdì di Pasqua" del
'97 è sulla Kater: lui si salva per miracolo ma annegano 7 suoi familiari.
"I soccorsi sono arrivati molto in ritardo. E io continuo a sospettare che
si preferisse eliminare testimoni scomodi. Fra gli altri superstiti c'è
chi, quando è riuscito ad arrivare alla Sibilla, è stato anche respinto a
calci. Poi siamo stati trasferiti su un'imbarcazione della Guardia costiera
che però ha girato per ore prima di portarci a terra: alcuni pensarono che
volessero disfarsi di noi, altri che volessero solo impedirci di incontrare
i giornalisti e raccontare quel che era successo."

"Si vuole chiudere il processo di Brindisi" spiegano Chimisso e Xhavara.
Per questo il presidente dell'associazione Skanderbeg ha scritto una
lettera a Silvio Berlusconi, Romano Prodi (in quanto presidente Cee) e
Fatos Nano, presidente del consiglio albanese.

Ecco una sintesi del testo. "Mi rivolgo a voi, potenti nelle cui mani è
riposto il destino di milioni di uomini, per rappresentarvi il dramma di
poche centinaia di famiglie. Si tratta dei familiari e dei superstiti della
tragedia del venerdì di Pasqua del '97 (…). Persone che fuggivano da una
patria dilaniata da lotte intestine, devastata da una lunga dittatura e da
un epocale isolamento internazionale che li aveva portati alla miseria ed
esposti a gravissimi pericoli. Cercavano aiuto e solidarietà: hanno trovato
la morte. Sono ormai 7 anni che i sopravvissuti e i familiari delle vittime
si battono per ottenere verità e giustizia: inutilmente. Il processo ormai
langue in una generale indifferenza (…) Molti familiari esausti e
sopraffatti dalla disperazione per un defatigante andirivieni dalle loro
case in Albania al tribunale di Brindisi hanno finito per sottoscrivere le
proposte di transazione del governo italiano: 35 mila euro per la perdita
del coniuge o di un figlio e 4500 euro per la perdita di un nipote. Molti
di loro hanno firmato ritenendo di ottenere un rimborso parziale e
provvisorio in attesa di una pronuncia del tribunale; non si sono neppure
resi conto che la somma loro riconosciuta era condizionata a una completa e
definitiva soluzione del contenzioso. (…)

Mi rivolgo a voi a nome degli umili rimasti: non dobbiamo e non possiamo
accettare che con una elemosina si compri il silenzio su un così grave
misfatto. E' tempo di accertare le responsabilità (…). Renderemo così onore
ai tanti italiani che si sono prodigati nel nome di una autentica
solidarietà: alle popolazioni rivierasche che hanno sempre soccorso i
deboli alla deriva, agli uomini come l'avvocato Giuseppe Baffa che si sono
spesi in difesa delle vittime e dei superstiti (…) Voi potete dire una
parola di verità (…). Voi potete proporre una soluzione che restituisca
dignità a coloro che sono chiamati a ritrovare fiducia nelle istituzioni
(…)".

Con amarezza Chimisso e Xhavara spiegano che questa lettera è quasi
un'ultima occasione. "Siamo fra i pochi che seguono questa tragedia. Non
vogliamo che, con la Kater, affondi anche la dignità del popolo italiano.
Anche i massmedia non si occupano più di questa tragedia e ci chiediamo il
perché".

Ci tiene Chimisso a ricordare che "Non tutti in Italia ci hanno lasciato
soli. L'associazione Skanderbeg ha chiesto al governo albanese di dare un
riconoscimento all'avvocato Giuseppe Baffa, morto in circostanze che noi
consideriamo misteriose il 13 gennaio del 2000; e siamo felici di poter
dire che dal 18 gennaio dell'anno scorso il governo albanese ha concesso a
Baffa una medaglia d'oro alla memoria".

Offrire "quattro lenticchie" a condizione che ci si ritirasse dal processo
è una "beffa dolorosa" insistono Chimisso e Xhavara, "tanto più che quella
firma è stata estorta a molti con l'inganno e dunque non ha alcun valore
legale".

Il processo è sospeso dall'ottobre scorso e riprenderà solo nell'ottobre
del 2004 "perché un giudice è in maternità" e Chimisso commenta "tutte le
occasioni sono buone perché il processo non vada avanti". Così anche
"l'ultimo barlume di speranza si sta spegnendo". Si parla molto di memoria
storica, conclude Giuseppe Chimisso, "ma ancor più ci serve salvare la
memoria del presente" e ricorda che, fin dal '97, l'associazione Skanderbeg
aveva scritto "un popolo che non ha memoria è senza futuro".

"Fu una vergogna allora ma anche adesso c'è da vergognarsi" aggiunge
Xhavara: "La nostra nave fu colpita in acque internazionali e questo è un
crimine internazionale ma il tribunale di Strasburgo non può occuparsene
finché non è concluso il processo italiano che viene trascinato per le
lunghe".

Chi sta ostacolando la ricerca della verità? "Come cittadino italiano"
risponde Chimisso (che è di lontane origini albanesi) "posso solo ricordare
che una lunga scia di sangue e misteri ha attraversato la storia recente di
questo Paese. Ma sulla strage del 28 marzo '97 c'è ancora più silenzio.
Forse perché le vittime erano solo albanesi?".