tragedia in Uganda



Ancora una drammatica notizia ci giunge dall'Uganda .... che i media italiani non diffondono, perchè l'Africa è lontana dagli interessi occidentali.
Pierangelo

da MISNA 5 febbraio 04  ,(padre Giulio Albanese)

MASSACRO DI ABIA

Lo ammetto: oggi sono sceso all'inferno! Un inferno dimenticato, da tutto e da tutti, in una remota periferia del Nord Uganda. Tengo a precisare che non mi sento affatto un eroe: sono solo stato testimone oculare, assieme al mio confratello padre Sebhat Ayele, segretario e portavoce del 'Lango religious leaders forum' (Lrlf), dell'ennesimo massacro perpetrato dai sanguinari ribelli del sedicente Esercito di resistenza del signore (Lra). Avendo appreso la notizia delle uccisioni, molte delle quali perpetrate all'arma bianca, da alcuni sopravvissuti giunti in mattinata nell'ospedale distrettuale di Lira, dopo averli visitati negli angusti corridoi del piccolo presidio sanitario, abbiamo deciso di recarci sul posto, ad 'Abia Camp', una località circa trenta chilometri a nordest di Lira. Mentre il nostro pick-up procedeva lungo la pista, a destra e sinistra, due file interminabili di sfollati tentavano di sfuggire alla cattiva sorte. Dopo oltre un'ora abbiamo raggiunto il campo profughi. Molte erano le case e le capanne che ancora bruciavano e un tanfo tremendo rendeva l'aria irrespirabile. Un militare, un sergente sulla trentina, ci ha accolto a braccia spalancate dicendo in lingua Lango: "Peko dwong" ("È un gran disastro"). Abbiamo visto in lontananza alcuni cadaveri, almeno un paio carbonizzati. Successivamente siamo stati informati che nell'attacco ribelle, iniziato alle 17:00 ora locale di mercoledì e terminato quattro ore più tardi alle 21:00, hanno perso la vita 51 civili mentre i feriti sarebbero più di una settantina, inclusi quelli che avevamo incontrato prima della nostra partenza da Lira. Ho cominciato a pregare e confesso di aver pianto. Siamo rimasti 20 minuti ad 'Abia Camp' in quanto i pochi soldati che presidiavano il campo ci hanno invitato a lasciare la zona, secondo loro, ancora infestata dai ribelli. Siamo ripartiti con la macchina piena di sfollati, tre dei quali feriti; una di loro, una donna sui vent'anni, riportava una vistosa ferita alla testa. Abbiamo poi corso come dei disperati, saltando sulle buche della strada - in certi tratti vere e proprie voragini - temendo che i ribelli potessero tagliarci la strada. È disgustoso vedere la gente morire, ma è ancor più disgustoso constatare il silenzio che circonda questo dannato conflitto in cui a morire è sempre gente innocente. Joseph Kony, il pazzo visionario che ha fondato lo Lra, quanto a crudeltà potrebbe dare ripetizioni a Saddam Hussein. Una cosa è certa: la guerra è tutt'altro che finita se si considera che oltre al distretto di Lira, i ribelli seminano morte e distruzione attorno a Gulu, Kitgum, Apac e Pader. Molta gente vive nelle zone rurali fuori dal circuito delle agenzie umanitarie. Era il caso degli sfollati sopravvissuti di 'Abia Camp' che questa notte dormiranno all'addiaccio avendo perso tutto. Sono circa 8mila disperati che si aggiungeranno ai trecentomila ospitati nel centro di Lira. Per non parlare delle centinaia di migliaia che sopravvivono nella savana infestata dai ribelli. La popolazione Lango ha soprannominato questi criminali, chiamandoli "totong": "macellai"! E lo sono davvero! Padre Sabhat mi ha confessato, mentre stavamo rientrando, un suo presentimento: "I ribelli hanno lanciato un chiaro segnale a chi scrive sui giornali che sono stati sconfitti o addirittura fuggiti nel vicino Sudan". Come dargli torto?