Ricerca pubblica: in che senso? (fwd)



Ricevo da "L.A.S.E.R. - Sapienza Pirata" e rigiro...
F.




            La difesa della ricerca pubblica compare in tanti appelli che
            circolano contro la legge delega del ministro Moratti
            sull'universita'. Mobilitarsi contro la legge delega potrebbe
            diventare un boomerang se significa solo difendere lo status
            quo, in cui molte innovazioni morattiane sono gia' un dato di
            fatto.


Dopo la diffusione della legge delega sull'universita' del ministro
Moratti, si moltiplicano le proteste dei ricercatori e dei docenti, colpiti
duramente dalla precarizzazione del lavoro che introduce la riforma. La
"novita'" dei ricercatori co.co.co. e dei professori a tempo determinato,
in realta', sancisce l'esistente: gia' nel sistema attuale, infatti, le
assunzioni a tempo indeterminato dei ricercatori avvengono con il
contagocce e la stragrande maggioranza di essi vive di contratti a
brevissima scadenza.

L'attacco ai diritti che il governo Berlusconi sferra su piu' fronti (dalle
pensioni alla scuola) ha pero' creato nel paese un clima di insoddisfazione
che induce alla protesta le categorie piu' mansuete. Cosi' finiscono per
mobilitarsi, creare sigle, addirittura occupare rettorati (come e' successo
alla Sapienza il 5) i precari peggio pagati e i baroni piu' panciuti,
spaventati da ogni cambiamento e affezionati a poteri costruiti in decenni
di riunioni, consigli e commissioni, con cura certosina. Nei laboratori non
si contano piu' gli appelli in difesa della ricerca pubblica, minata da una
flessibilita' di stampo aziendale, da politiche per la formazione al ribasso
e da finanziamenti pubblici ridicoli, che le imprese non hanno mai
compensato.

Tuttavia, indicare nel ministro Moratti il principale responsabile
dell'attuale situazione e' disonesto, soprattutto se a farlo e' chi ha
governato fino a tre anni fa. Difatti, il tormentone "double face"
dell'autonomia universitaria (da difendere o attaccare secondo la moda) non
e' certo iniziato oggi, e da anni i programmi di ricerca piu' finanziati
sono quelli che dimostrano maggior spendibilita' commerciale, in termini di
innovazione e di brevetti: basta leggere i bandi per i finanziamenti
europei per accorgersene. Anche dal punto di vista degli studenti, la
transizione europea verso un'organizzazione universitaria di stampo
anglosassone non e' stata decisa ieri ad Arcore ma a Bolog na nel 1999, e
la proliferazione di stage (rigorosamente non pagati) nelle aziende per gli
studenti che rimangono all'universita' oltre i tre anni del bachelor mostra
quale servizio l'universita' renda oggi alle aziende. Se questo e' il
contesto, come stupirsi se anche i diritti dei ricercatori vengono
attaccati in nome dell'efficienza e della flessibilita'?

Le lotte che agitano accademia ed enti di ricerca non possono dunque
fermarsi in mezzo al guado, accettando la privatizzazione della formazione
e della ricerca solo finche' tocca gli studenti e i malati del terzo mondo,
quelli che davvero pagano il prezzo dei brevetti. La critica alle riforma
in discussione oggi, per essere onesta e coerente, dovrebbe riguardare
anche le riforme degli anni passati, osteggiate da movimenti studenteschi
sempre piu' deboli (gli studenti non sono piu' quelli di una volta,
letteralmente) ma caldeggiate anche da molto personale universitario di
sinistra. Occorre quindi rimettere in discussione il significato di
universita' "pubblica", ricerca "pubblica", sapere "pubblico": la difesa
del "pubblico" da parte dei ministri di vario colore, come si e' visto, ha
significato in realta' una privatizzazione strisciante, che ha introdotto
mercato e precarieta' senza leggi ne' deleghe.

Un servizio "pubblico" deve offrire diritti e garanzie sia a chi lo produce
o lo produrra' (nel caso, i ricercatori e gli studenti) che a chi ne
usufruisce, ovvero la societa' tutta (e non solo le aziende). Sul tema
delle garanzie per i ricercatori, occorre avere il coraggio di entrare nei
laboratori e, con un lavoro di inchiesta, verificare quali siano le
condizioni del lavoro di ricerca: si osserveranno giovani studenti
(laureandi o dottorandi) che frequentano stage nelle aziende, svolgono
ricerca e assicurano la didattica, non retribuiti o con salari miserrimi. E
dei ricercatori, si e' gia' detto. Proprio nei giorni scorsi una
ricercatrice del policlinico di Roma, Emilia Costa, ha pubblicato
un'indagine europea sul mobbing. Per quanto riguarda l'Italia,
l'Universita', insieme alle banche, e' il luogo di lavoro da cui provengono
il maggior numero delle denunce. La legge delega interverra' su un
ecosistema gia' degradato, dunque.

Per ovviare a questa situazione, chi si oppone alla Moratti spesso
rivendica corporativamente il ruolo strategico della ricerca scientifica
per la competitivita' del sistema-paese. Ma cosi' facendo dimentica che
proprio in nome della competitivita' vengono di solito aboliti i diritti e
le garanzie: accettarne la logica rifiutandone gli effetti non portera'
buoni frutti, in termini sindacali. Piuttosto, e' auspicabile che i
ricercatori rifiutino il ruolo speciale che viene loro attribuito (l'elite
intellettuale), e interpretino la propria funzione sociale alla stregua di
altri precari, dai tranvieri agli operatori dei call center, nell'economia
attuale in cui la conoscenza e' merce.

"Pubblico", poi, vuol dire a disposizione di tutti. Cio' collide con
l'impulso che ogni riforma universitaria e ogni ministro, da ultimo Stanca,
danno alla produzione di brevetti industriali da parte delle aziende. Anche
senza citare il genocidio farmaceutico, una letteratura ormai ampia
dimostra come brevettare la ricerca spesso la soffochi, alzando i costi
della partecipazione al dibattito scientifico. Gia' oggi molti laboratori
devono tener conto del costo dei brevetti da pagare al momento di scegliere
una linea di ricerca. Ma pochi tra gli attuali difensori della ricerca
pubblica si mossero, ad esempio, quando l'Europa minacciava di estendere i
brevetti al software, con la legge che portava la firma dei laburisti.
D'altronde, basta leggere le statistiche disponibili in rete per rilevare
che proprio negli enti in cui il precariato e' piu' diffuso (si veda
l'esempio dell'Istituto Nazionale di Fisica della Materia) ricerca pubblica
e industria vanno a braccetto e i brevetti fioccano, per quanto i numeri
rimangano inferiori a quelli statunitensi.

"Difendere la ricerca pubblica", lo slogan del momento, richiede una nuova
idea di ricerca pubblica, basata sulla circolazione delle conoscenze e non
sulla competizione per brevettarle. Mobilitarsi contro la legge delega,
dunque, potrebbe diventare un boomerang se significasse difendere lo status
quo, in cui le innovazioni morattiane sono gia' un dato di fatto.
L'assemblea dei ricercatori precari che si svolgera' alla Sapienza il 10
febbraio sara' un nuovo momento di confronto su questi problemi.


L.A.S.E.R., Sapienza Pirata