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[latinoamerica] LATINOAMERICA
- Subject: [latinoamerica] LATINOAMERICA
- From: <m.giulianetti at giannimina.it>
- Date: Mon, 5 Jan 2004 20:50:26 +0100
Gentili amici, a grande richiesta inviamo nuovamente il messaggio contenente gli atti del Primo Convegno di Latinoamerica, tenutosi lo scorso settembre a Piacenza in occasione della manifestazione Carovane Letterarie. A tutti voi un caro saluto Lo staff di LatinoAmerica Piacenza, 8 settembre 2003 I° Convegno di Latinoamerica "Obbligati a resistere all'informazione negata" Partecipanti: Mempo Giardinelli (scrittore argentino), Dante Liano (scrittore guatemalteco), Wayne Smith (ex responsabile sotto il governo di Jimmy Carter dell'Ufficio di interessi nordamericano all'Avana e ora docente universitario e membro anziano del Centro per la politica internazionale di Washington D.C.), Ramon Chao (Padre di Manuel, scrittore e giornalista), i direttori di Latinoamerica Alessandra Riccio e Gianni Minà e l'editore incaricato Loredana Macchietti. Il seminario è iniziato alle ore 21.30 in piazza Duomo, Piacenza. Gianni Minà - Prima di iniziare questo primo Convegno di Latinoamerica, vorrei ringraziare Maurizio Bottigelli e Renzo Carra, organizzatori di "Carovane", per la disponibilità offertaci. Questi appuntamenti piacentini hanno permesso a "Carovane" di diventare una palestra, un confronto di idee sulle ferite del mondo scomparse, in questo momento, dalle rassegne giornalistiche del nostro paese. Siamo in un momento storico molto complicato e anche molto sofferto nel quale la concentrazione della comunicazione è in mano a pochissime persone al mondo. Abbiamo quindi una sola verità che non è nemmeno giornalistica o di parte, cioè una verità di destra piuttosto che di sinistra, ma è la realtà di chi possiede, di chi controlla l'economia e quindi usa i mezzi di comunicazione perché evidenzino, appoggino, portino avanti, facciano progredire gli interessi economici di chi ha in mano questi strumenti. Molte volte questi mezzi di comunicazione si sono trasformati nel megafono, nell'ufficio promozione degli interessi di una determinata persona o di un piccolo gruppo e questo non è solo un problema italiano, che è così palese, ma è un problema internazionale. L'altro giorno negli Stati Uniti, per fortuna, è stata bloccata all'ultimo momento una Legge che concentrava ancor di più l'informazione in poche mani. Ne ha avuto paura perfino Bush, sapendo evidentemente che è molto labile la fedeltà di certi gruppi di potere ed economici. Ora la legge si è bloccata, ma la concentrazione del potere dei media in mano a pochi è un problema preoccupante anche per gli Stati Uniti. Noi di Latinoamerica, una rivista che ha più di 20 anni e che io ho l'onore di dirigere con Alessandra Riccio -una delle fondatrici- abbiamo avuto la forza di non cedere al fatto che il mercato non offre spazi alla controinformazione. L'enorme quantità di notizie delle realtà che si sviluppano nel mondo hanno il diritto di essere conosciute dalle persone. Potete rendervi conto della situazione con le pagine degli esteri dei nostri giornali, anche di quelli più accreditati, che sono al massimo due; quando sono tre è successo veramente qualcosa di clamoroso. Ora, come si fa a concentrare il mondo in due pagine mentre si hanno quattro fogli sul pettegolezzo politico della nostra povera Italia? E' una sperequazione insensata, ma nata dalla convinzione, evidentemente, che il pettegolezzo della nostra politica fa vendere copie e fa audience. E' imposto e ognuno fa i suoi interessi. Certamente ai giornali ora conviene allinearsi su questa linea ed è quasi grottesco, perché poi, quando certi accadimenti ci travolgono e non ne conosciamo gli antefatti, non sappiamo perché improvvisamente bisogna preoccuparci. Quando la televisione ci sta parlando improvvisamente di guerra o dei problemi di sopravvivenza, non ti hanno mai esposto le tappe per le quali si è arrivati a quel fatto clamoroso. Latinoamerica ha voluto, nell'ambito di "Carovane", aprire questo spazio nella prima giornata proprio per fare la controinformazione, per raccontarvi alcune storie di vari paesi che probabilmente non avete letto sui giornali, non avete visto in televisione, ma che vale la pena di conoscere per farsi un'idea di qual è il momento, l'epoca che stiamo vivendo. Qui alla mia sinistra c'è Loredana Macchietti, l'editore delegato della nostra rivista, che brevemente vi racconterà come è nata questo trimestrale che è in vendita nelle librerie Feltrinelli e in un circuito di librerie indipendenti, scavalcando il problema della diffusione che, come per il cinema, è il problema fondamentale per farsi conoscere nel famoso mercato. Latinoamerica ci ha permesso di conoscere alcuni testimoni del tempo, grandi scrittori latinoamericani, diplomatici come Wayne Smith che sta qui alla mia destra o missionari che vivono nei punti nevralgici del mondo e che nella rivista scrivono della loro esperienza umana che la gente non conosce, perché qualcuno ha deciso che non conosca questa realtà. Allora Loredana Macchietti vi racconterà questo itinerario cominciato venti anni fa, nel quale io sono coinvolto da tre anni. Loredana Macchietti - Il primo convegno è nato dall'esigenza di tirare le somme, dopo tre anni di corsa forsennata sulle pagine di questa rivista, Latinoamerica, che ha attraversato 23 anni di storia. Abbiamo sentito la necessità di affrontare questo seminario perché penso che si possa capire di più, che si possa intravedere il nostro futuro analizzando e conoscendo la storia di paesi geograficamente lontani, ma culturalmente molto vicini al nostro vivere. A me pare, ma ripeto, è una mia sensazione, che attraverso gli scritti di Latinoamerica, si riesca a tradurre, a leggere più chiaramente perfino la nostra congiuntura politica, soprattutto in questo momento di grande incertezza tra i partiti della sinistra italiana. Ma questo convegno è nato anche dall'esigenza di far conoscere realtà, storie, dati, informazioni che non vengono segnalati da nessuna fonte, né valorizzata dalla carta stampata o dalla televisione. Siamo convinti che il solo fatto di metterle in circolo equivale a costruire una zona di ossigenazione per diventare (parafrasando una famosa frase di Bateson sull'"ecologia della mente") quasi degli ecologisti della notizia. La rivista Latinoamerica è nata nel 1979 a Roma, in una riunione nei locali dell'Anpi, l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, da una idea di Bruna Gobbi, sostenuta dal professor Enzo Santarelli, docente all'Università di Urbino. Era un'idea che nasceva anche per opporsi al disinteresse che il Pci sembrava mostrare allora verso gli aneliti e le sconfitte del mondo latinoamericano. Il numero zero, ormai leggendario (penso lo abbiano solo Alessandra Riccio e Bruna Gobbi) e con un altro titolo nella testata, Cubana, uscì nel luglio del '79, ma solo a giugno dell'80 cominciarono le pubblicazioni che dovevano essere trimestrali. In realtà furono sempre quadrimestrali. Tra i fondatori, oltre ad Alessandra Riccio che ormai dirige la rivista da sempre, c'erano Vanni Blengino, Nicola Bottiglieri, Luisa Cortese, Giorgio Oldrini e Dario Puccini. La prima direttrice fu la generosa Gabriella Lapasini, saggista e traduttrice, una persona che dedicò tutta sé stessa, anche quando il suo lavoro di giornalista era molto precario. Gli altri fondatori erano in maggioranza di provenienza universitaria ed è per questo che nel corso degli anni la redazione è andata cambiando o diversificandosi. Alla morte di Gabriella Lapasini, Alessandra Riccio ha continuato nella sua stessa linea, sostenuta dalla vera anima della rivista, Bruna Gobbi, che materialmente la confezionava, la pagava e la distribuiva. Al suo fianco, lucidissimo e coraggioso punto di riferimento intellettuale, il professor Enzo Santarelli. Latinoamerica ha riunito così studiosi, osservatori, commentatori, testimoni intorno al progetto di parlare in Italia di un'area di mondo che Minà in un suo libro ha definito "un continente desaparecido". Proprio per vincere un olvido che rischiava di far sparire l'America Latina dall'informazione italiana e spesso anche da quella europea, gli appassionati fondatori decisero fin dall'inizio di parlare di quelle terre, di quelle culture, di quelle esperienze politiche senza superficialità, con grande rispetto e con tutta la competenza possibile, cercando da una parte di incentivare gli studi italiani su quel continente e dall'altra, di offrire punti di vista, bibliografie, analisi, denunce provenienti direttamente da quella che Che Guevara definiva nuestra grande America. Così Cubana, poi diventata Latinoamerica è stato un luogo di lavoro disinteressato e generoso, di stima e di amicizia che ha ricompensato chi, in più di vent'anni, si è impegnato solo per ideali e per non interrompere uno dei pochi circuiti di contro-informazione su un mondo che ora rappresenta, con l'Africa, la cattiva coscienza di quei pochi paesi che gestiscono l'attuale economia globalizzata. Le difficoltà continue che il contesto propone ai piccoli editori, suggerirono a Bruna Gobbi tre anni fa, di passare la mano, una volta terminato il numero 71, dedicato quasi interamente alla lunga e sofferta storia della restituzione del canale di Panama da parte degli Stati Uniti. Il prezioso impegno di Alessandra Riccio e di alcuni dei suoi allievi all'Istituto universitario Orientale di Napoli, ha permesso poi l'uscita del numero di aprile- maggio Duemila, il n. 72 "numero della speranza", un fascicolo che contiene articoli ed estratti di tesi di laurea, presentate in alcune università italiane. Il nuovo corso di Latinoamerica è iniziato a settembre del 2000, tre anni fa esatti, con il n. 73. ed è strettamente legato alla vita professionale di Minà. In quell'epoca, infatti, era stato costretto a interrompere la collaborazione con la Rai dopo alcune interviste scomode nel programma "Storie". I piani alti dell'Azienda di stato, avevano deciso infatti che il contributo di Minà doveva cessare dopo il fastidio suscitato dalle puntate su Antonino Caponnetto, su Ilaria Alpi, ma soprattutto su Luis Sepúlveda. Un detto siciliano dice: "Ogni impedimento è giovamento", così Minà che da qualche anno aveva intrapreso un'avventura con la Sperling & Kupfer, si trovò nella condizione di poter spendere del tempo nell'editoria. Aveva esordito con un libro "Continente desaparecido" la cui stesura era stata una prova dura per il giornalista che non raccontava più solo la cronaca, ma provava, tentava di offrire, attraverso la voce di alcuni protagonisti dell'America Latina, tesi e conclusioni ai drammi di quel continente. Questo libro (il cui titolo è anche quello della collana editoriale che Minà ora dirige per la Sperling & Kupfer) ha rappresentato anche una svolta professionale per lui, anzi, io una vera e propria mutazione genetica: nonera più solo un giornalista, ma anche uno scrittore. Minà aveva sempre collaborato sia con il Corriere della sera, sia con Repubblica, sia con l'Unità. Gradatamente, però, queste collaborazioni si erano interrotte. Era rimasta L'Unità, fino a quando, nel Duemila, un articolo sull'Africa venne "ammorbidito" attenuandone gli aggettivi e tagliandone le conclusioni senza nemmeno avvisarlo. Insomma, tutte le porte, poco a poco, si erano chiuse. Questo lo racconto non per vittimismo (perché è nel gioco: resisti, non accetti il compromesso di cambiare un aggettivo, una frase, una dichiarazione e la controparte, ovviamente, reagisce) ma perché spesso siamo convinti che esiste veramente la libertà di stampa e ridiamo di certi giornali di alcuni paesi detti del terzo mondo che reputiamo un po' troppo filo-governativi. Noi, sicuramente, non stiamo meglio. Allora Minà che aveva avuto dalla Gobbi l'ultimo numero di Latinoamerica, decise di accettare l'offerta di non far morire la rivista. Abbiamo scelto, allora, di passare dalla parte del manovratore: di costruire, cioè lo spazio per riportare senza censure, in modo integrale quello che molti collaboratori (missionari dall'Africa, giornalisti indipendenti latinoamericani, associazioni di volontariato e grandi scrittori) ci fornivano quotidianamente via fax o via internet con grande generosità. Cominciò così l'avventura. Finalmente. La frustrazione e la rabbia di non sapere in che giornale pubblicare i dati, le notizie, le riflessioni di una realtà in continuo cambiamento si tramutò in forza e passione. Compagni d'avventura la mitica Alessandra Riccio e Silvia Baraldini, che in quel periodo viveva una condizione di profonda solitudine. Sono convinta comunque che il nostro entusiasmo collettivo ci abbia aiutato a non soffermarci troppo su alcuni "dettagli" negativi che avrebbero sconsigliato chiunque ad intraprendere questa nuova attività di piccoli editori. Nell'ultimo decennio, infatti, il panorama editoriale italiano si è trasformato a causa della progressiva immissione, dagli anni '80, di capitali extraeditoriali nel mondo del libro e inoltre per la concentrazione e fusione di marchi editoriali in mano ad alcuni gruppi, capaci di controllare tutto il mercato della informazione e della comunicazione (dai libri, alla tv, ad internet). Si è affermata così una editoria affaristico-manageriale. Questo ha significato la ricerca esasperata del best-seller usa e getta da lanciare in grande stile sul mercato, mettendo a rischio il pluralismo culturale i cui spazi di espressione sono stati ridotti progressivamente dall'imposizione di una vera e propria "monocultura" massificata. Il rapporto tra editoria e potere ha sempre caratterizzato la storia della comunicazione, sospesa da sempre tra istanze di libertà e tentativi di controllo, ma in questo mondo globalizzato e con questo capitalismo, ha assunto aspetti preoccupanti: da noi, ad esempio, una delle più grandi aziende librarie, la Mondadori, è in mano al nostro capo del governo, insieme al sistema televisivo e alla maggior parte delle radio. Allora, se la logica del profitto tiene ancora in piedi alcuni editori indipendenti, per i piccoli, la situazione è diventata deprimente. In questo assurdo panorama, sconsigliati dagli amici che lavorano nel ramo dell'editoria, abbiamo iniziato questo cammino. Abbiamo deciso di cambiare lo stile grafico. Minà chiese consiglio a Piergiorgio Maoloni, il maestro che ha ridisegnato quotidiani come la Repubblica, il Manifesto, lo Specchio. E Maoloni, invece di dargli un consiglio, gli ha regalato il progetto del nuovo Latinoamerica, molto raffinato, ma con soluzioni, nella grafica e nel colore, economicissimi. Ma, malgrado ciò, cominciammo subito male, con un sonoro fallimento: del n. 73, nell'euforia generale, tirammo ben 8mila copie perché pensavamo ad una distribuzione nelle edicole. Fu un fiasco sia perché si persero un buon 30% di copie lungo le strade della distribuzione, sia perché la rivista in edicola era sommersa da altre pubblicazioni di settore. In più la sua esposizione era penalizzata perché non era supportata da un distributore potente. Morale: Micromega e Limes erano sempre in bella vista, mentre Latinoamerica era immancabilmente imballata sotto i piedi del rivenditore. Ma, sull'orlo della disperazione, ci venne in aiuto Luca Domeniconi della Feltrinelli che subito credette nell'idea. Da quel momento prendemmo il volo: il n. 73 con 3580 copie vendute e i primi 310 abbonati (inizialmente erano circa 17); il 74 con 3.700 copie vendute e 540 abbonati; il 75, il numero più bello, l'unico che stampammo a 4 colori, con le foto del popolo Sarahwi vendette 3800 copie con 589 abbonati; il primo numero doppio, il n. 76-77 che si attestò a 3800 copie vendute con 653 abbonati e via via, siamo arrivati ad attestarci a circa 4000 copie vendute con il n. 79-80, raggiungendo la soglia dei 1000 abbonati con il recente n. 82. Poi abbiamo allargato la distribuzione alla Diest di Torino, alla Nda di Rimini e ad alcune botteghe del mercato equo e solidale di "Roba dell'altro mondo". Il vero, grave problema della distribuzione è la mancanza di punti vendita alternativi nel centro Sud e Isole. Certo, una grande mano pubblicitaria la dà Minà quando va a reclamizzare la rivista da Maurizio Costanzo o in qualche altro programma tv, ma a tutt'oggi noi non abbiamo usufruito MAI, dico MAI, di una qualsiasi recensione da parte dei giornalisti del settore cultura di una qualsiasi testata italiana. Neanche una segnalazione, niente, a parte le recensioni degli amici de Manifesto e le manchette anche in prima pagina accordateci con grande generosità. Alla faccia del pluralismo dell'informazione. Noi comunque continuiamo a inviare ai capi pagina dei media più importanti e ai loro direttori la copia omaggio. Non si sa mai, magari Latinoamerica può servir loro come zeppa per un tavolino sbilencoŠ In questi tre anni, comunque, siamo riusciti a mettere in rete Latinoamerica, <http://www.giannimina-latinoamerica.it/>www.giannimina-latinoamerica.it , con una mailing list di più di 3000 persone che si sono registrate per ricevere notizie, ogni volta che ci arrivano e che non possiamo mettere sulla rivista per motivi di spazio e di tempo; abbiamo messo in piedi una dignitosa redazione e siamo riusciti a impiegare anche se part time una segretaria di redazione, Marilena Giulianetti e una redattrice, Silvia Baraldini. Paghiamo i collaboratori, mentre i grandi (Sepúlveda, Paco Taibo, Galeano e altri) preferiscono doni in natura, come le bottiglie di grappa Nonino messe a disposizione dalla simpatica signora Gianola che appoggia la nostra avventura in questo modo pratico. Però non spediamo nulla perché le spese postali sono arrivate alle stelle!!! Quando i nostri autori passano da Roma se le prendono direttamente. Il nostro prossimo passo sarà non solo pagare gli altri collaboratori fissi (me, Gianni e Alessandra) ma espatriare, "allargarci" come si dice a Roma, espanderci in America Latina e forse anche in Europa con un gemellaggio in corso con Le Monde diplomatique. ChissàŠ Per ora abbiamo raggiunto il pareggio nel bilancio annuale e questo è importante. Ma a questo punto, l'avventura di Latinoamerica è obbligata a continuare, perché, come dice il nostro amatissimo amico Lucho Sepulveda, "raccontare è resistere agli assalti della mediocrità planetaria, alla mostruosa proposta unica di esistenza e cultura che incombe sull'umanità alla svolta del millennio. Millennio caratterizzato dallo scontro fra la globalizzazione e i diritti umani." E se Sepúlveda scrive perché crede nella forza militante della parola, Latinoamerica crede nell'esercizio continuo della memoria. Un popolo senza memoria, come sappiamo tutti, è condannato a ripetere gli stessi errori e a produrre gli stessi mostri del suo passato. Insomma, questo primo convegno serve anche e soprattutto per sottolineare la non complicità con l'amnesia dei nostri mass media davanti alle troppe storie di infamie cilene, argentine, guatemalteche che abbiamo conosciuto e che continuano ad accadere, anche se ignorate. Latinoamerica ci aiuta anche a vivere meglio. Un luogo comune afferma infatti che non bisogna pensare tanto alle disgrazie, alla gente che soffre, ai poveri, ai violentati, perché se no si vive male, si intristisce. Noi invece pensiamo che questa coscienza della realtà ci aiuta ad alzare la guardia, perché i nostri figli non debbano sperimentare sulla propria pelle le stesse ingiustizie. Vivendo con la mente, gli occhi e il cuore aperti si respira la democrazia vera e si impara il rispetto per chiunque ci sta vicino. Gianni Minà - pensiamo che un giornale si deve denudare di fronte ai prorpi lettori e noi lo abbiamo fatto in modo estremo. Voglio dirvi che questo numero 83-84 di Latinoamerica ha la collaborazione di Gabriel Garcia Marquez, W. Smith, Adolfo Perez Esquivel premio Nobel per la pace, Mempo Giardinelli grande scrittore argentino, Luis Sepulveda grande scrittore cileno, Pablo Gonzales Casanova sociologo messicano, Daniel Chavarria scrittore uruguayano, Roberto Fernandez Retamar poeta cubano, Miguel Barnett grande scrittore cubano, Ernesto Cardenal grande religioso voce profetica del Nicaragua, poeta, Leonardo Boff che è un teologo della liberazione, Frei Betto teologo della liberazione assistente di Lula da Silva presidente del Brasile, Emir Sader docente dell'università di Rio, Silvia Baraldini, Alex Zanotelli. Forse c'era qualche cosa tra questi scritti che poteva interessare qualche quotidiano del nostro paese o qualche televisione. Certo non c'era Taricone, non c'erano le veline, non c'era l'interpretazione grottesca della guerra in Iraq non c'era tutto quello che fa parte di questo bestiario che è ormai la comunicazione nel nostro paese, però c'era sicuramente qualcosa che poteva interessare. E' la prova tangibile, non è che abbiamo mai sperato di avere nessun tipo di attenzione, non è che siamo delusi, ma c'era sicuramente una presenza forte e anche un modo di raccontare le cose da molti punti di vista perché la gente si facesse poi una propria opinione. Per esempio c'era stato in aprile-maggio il caso Cuba raccontato in modo vergognoso dalla televisione e dai giornali italiani, compresi quelli della sinistra, che hanno eluso una realtà che invece ha preoccupato perfino analisti nordamericani come Wayne Smith che mi sta qui, sulla destra. Noi per esempio il caso Cuba lo abbiamo affrontato da tutte le parti, cioè visto dagli Stati Uniti, visto dal premio Nobel per la pace Perez Esquivel, visto dalla parte di Garcia Marquez, visto dalla parte di Mempo Giardinelli, che è qui dietro di me, visto dalla parte di Daniel Chavarria, visto da quelli dell'isola di Cuba, visto da quella che è la stampa italiana. Certo è una rivista di settore, ma questo è un modo per dare alla gente tutti gli angoli della visuale, non nascondendo le notizie che mettono in discussione il teorema già imbastito: i buoni sono questi e i cattivi sono questi altri. Allora io questa sera, ovviamente in modo molto più ridotto, vi darò un ventaglio di opinioni sull'America latina, ma in particolare su Cuba, visto che il numero è centrato per 70 pagine delle 250 su quest'isola, presentandovi subito le persone che sono a questo tavolo. Alla mia sinistra c'è Dante Liano, docente alla Cattolica di Milano, guatemalteco, che è dovuto fuggire, a un certo momento della sua vita, dal Guatemala durante gli anni del genocidio avvenuto nel 1980: 200.000 uccisi, 30.000 desaparecidos, 3.000 cimiteri clandestini - e non 10 come in Kossovo-. Ramon Chao, che è un operatore culturale di molte nazioni, figlio di molte nazioni, un letterato, un giornalista, uno scrittore, ma ha anche un merito in più: è il padre di Manu Chao! Alessandra Riccio, alla quale devo l'ingresso a Latinoamerica, che, come ho detto, è la direttrice storica ora insieme a me di questa rivista; Loredana Macchietti che, come avete capito, si occupa dei pochi euro che transitano per fare questa rivista, Mempo Girdinelli, un prestigioso scrittore argentino che, con il suo ultimo libro "Una rivoluzione in bicicletta" è un best seller europeo, ed è uno dei grandi della generazione di mezzo della letteratura latinoamericana. Mi onoro di avere due articoli in questo numero di Mempo Giardianelli. Wayne Smith è l'espressione che gli Stati Uniti non hanno una sola faccia; è il volto di un diplomatico americano che ha tenuto sempre presente l'etica nella sua vita. E' stato infatti il protagonista di una stagione in cui Jimmy Carter, alla fine degli anni '70, voleva fare la pace con Cuba -l'unica volta che è stata tentata la pace tra questi due paesi- e lo stesso Wayne fu l'inviato di Jimmy Carter da Fidel Castro. Si era arrivati quasi a una conclusione (nell'80 sarebbe finita la storica inimicizia fra Stati Uniti e Cuba) ma si perse tempo in questa trattativa, perché Cuba era coinvolta nelle guerre d'Africa, a fianco, ad esempio, della Namibia diventata poi una nazione libera perché i cubani hanno vinto la battaglia di Quito Canavale ed hanno cacciato dopo 30 anni i sudafricani che avevano occupato indegnamente e indebitamente questo paese, senza che le nazioni civili e democratiche avessero mai fatto sloggiare il Sudafrica dalle sue terre. Brezinski, consigliere per la sicurezza nazionale di Carter, pretendeva che i cubani uscissero dall'Africa prima di firmare la pace. Si perse tempo, Carter perse le elezioni con Ronald Reagan e questo sogno svanì. Due anni dopo Wayne Smith lasciò la diplomazia. Pensate, il suo primo incarico giovanile, a 25 o 26 anni, era stato quello di terzo segretario dell'ambasciata degli Stati Uniti all'Avana quando gli Usa dichiararono l'embargo a Cuba. Lui fu testimone di quella tappa della storia e anche testimone dell'unico tentativo di pace fra Stati Uniti e Cuba. Ora insegna alla John Hopkins University di Washington ed è un democratico degli Stati Uniti. Quel signore è Carlos Martì, presidente degli scrittori cubani della famosa Uneac, unione degli scrittori cubani; scrittore a sua volta, poeta, diplomatico, uomo colto. Infine laggiù con quel cappello, infreddolito, c'è uno dei più grandi cantautori latinoamericani, Daniel Viglietti, che è stato per molto tempo esule in Francia quando c'era la feroce dittatura in Uruguay, uguale per brutalità a quella dell'Agentina, del Cile, del Paraguay, del Guatemala. Lì operavano i militari educati alla Escuela de las Americas di Panama o a Fort Benning, mostri di quel continente che hanno prodotto solamente desaparecidos, torturati e ammazzati. Daniel era, pensate, venerdì sera allo Stadio Nazionale di Santiago del Cile (lo stesso luogo dove erano stati arrestati e poi torturati 8.000 persone al tempo del golpe di Pinochet) ha reso omaggio ad Allende con un concerto memorabile. Insieme a Daniel c'era il nostro amico (ora anche Ministro della cultura del Brasile) Gilberto Gil con i Quilapayun, uno dei gruppi musicali come gli Intillimani, che rappresenta l'esilio degli intellettuali cileni. In quegli anni, infatti, rimasero in Europa tentando di sopravvivere e aspettando la liberazione del Cile. Mi fa piacere che Daniel, che era invitato per stasera a cantare allo stadio in memoria di Victor Jara, si sia fatto convincere ed è venuto a Piacenza, a prendere il premio dato al più grande poeta uruguayo, Mario Benedetti con cui lui ha avuto l'avventura di girare il mondo. Ma prima di andare avanti e dare la parola ad ognuno di loro, vorrei darla ad Alessandra Riccio, alla quale dobbiamo l'esistenza di Latinoamerica. A te, Alessandra. Alessandra Riccio - Io, veramente, devo esprimervi la mia soddisfazione perché l'avventura che cominciammo nel '79 va avanti, cresce, è in mano ad altre forze, altre persone, altre sensibilità che forse nel '79 non pensavamo potessero integrare il collettivo della rivista . Sarò brevissima perché la giornata è stata stancante ma bella. Questo pomeriggio, con molta emozione, ho ascoltato Luigi Ciotti e due giudici Giancarlo Caselli e Gherardo Colombo. Tre voci molto differenti nel tono ma molto simili nello spessore etico e nell'appello che ci hanno lanciato in quel teatro. Io mi sono interrogata. C'era una richiesta: che ciascuno di noi guardasse in se stesso. Mi sono interrogata che cosa faccio io in questo momento così delicato per la vita del nostro paese e del mondo e ho trovato proprio in Latinoamerica una piccola ancora, quasi una piccola giustificazione del mio stare al mondo in questo momento. Continuare a lavorare a questa rivista, continuare a portarla avanti è un modo di essere presenti nella battaglia a cui ci chiama la realtà attuale di questo terzo millennio. Non è solo una questione di sensibilità, ma è anche un modo per comunicare altre culture, per farsi intermediari fra mondi diversi e cercare di favorire la comunicazione, anzi, la corretta informazione che in questo periodo è veramente scarsa. I nostri giornalisti in gran parte (so che non si deve generalizzare ma io lo devo dire) sono di una superficialità imbarazzante, attenti a quello che dicono, dove molte informazioni vengono scartate. Vi voglio solo fare un piccolo esempio che ho sotto mano, perché mi sembra adatto per parlare proprio della superficialità; la malafede, infatti, ci induce a una lotta politica con mezzi più forti, ma la superficilità invece è qualcosa che richiede da noi una vigilanza di cittadini. C'era sul Venerdì di Repubblica una bella intervista al nostro simpaticissimo e bravo Ramon Chao che è un personaggio straordinario; Mempo Giardinelli parlava, nel pomeriggio, delle presenze di rivoluzionari professionali in America Latina, ma ce le abbiamo anche noi e Ramon Chao è uno di questi esempi. Forse da noi molti si sono accomodati, molti hanno cambiato idea, siamo in tutto più vecchi degli americani, e in questa intervista simpatica, divertente anche piuttosto onesta di Anais Ginori (a me ora piace dire nome e cognome dei giornalisti, perché penso che chi firma è autore, cioè ha l'autorità e la responsabilità di quello che ha scritto) in questo simpatico ritratto di Ramon Chao che è nelle sue risposte assai sincero, a un certo momento la giornalista, a proposito della simpatia che Ramon Chao nutre nei riguardi di Cuba e Fidel Castro, insinua la domanda: " Fucilare i dissidenti non è repressione?". Ramon risponde da par suo, però forse neanche lui nota che la giornalista ha parlato di "fucilazione di dissidenti". Ciò non è avvenuto, sono stati fucilati non dei dissidenti, ma piuttosto dei terroristi che avevano sequestrato le imbarcazioni con 40 civili a bordo e ne avevano messo gravemente in pericolo la vita. Io non voglio entrare nella questione della pena di morte, credo che sia del tutto inutile dire come siamo tutti contrari alla pena di morte; io voglio solamente con la penna rossa e blu, da buona maestrina come spesso mi accusano di essere, sottolineare una frase scorretta della giornalista che non può dire "fucilare i dissidenti", perché non è quello che è avvenuto e quindi non può dare per certa una cosa che è falsa. Questo tipo di leggeri slittamenti della falsificazione porta alla lunga a ritenere che un paese x nel mondo, per esempio, che ha dei sistemi politici diversi dai nostri, per questa diversità sono poi bollati come selvaggi, inferiori, barbari, non civilizzati, ecc. Voi vi rendete conto, con le esperienze degli ultimi mesi, che qualunque diversità oggi è pericolosa, qualunque diversità autorizza l'"occidentalcentrico" a imporre poi la sua norma e il suo codice che è l'unico ammesso. Volevo dire solo questo. Gianni Minà - Cominciamo con gli interventi. L'America Latina ha due nazioni, anzi tre, che sono a loro volta un continente: il Brasile, con 176 milioni di abitanti -noi infatti ogni tanto parliamo dimenticando la realtà geografica, fisica di che cosa stiamo parlando-; l'Argentina che, con i suoi 35 milioni di abitanti, ha una ricchezza e una estensione da mezzo continente e il Messico, 110 milioni di abitanti. Mempo Giardinelli sta vivendo questo vento nuovo che, con l'elezione di Lula in Brasile e ora con l'elezione di Kirchner in Argentina, sta soffiando dall'America latina, influenzando perfino la un po' addormentata e amorfa sinistra europea e italiana. Potro Alegre è una realtà, malgrado i giornali l'abbiano voluta un po' ignorare, perché è il luogo dove stanno nascendo le idee per cambiare un mondo che sembra ineluttabile; idee che sono ogni anno inviate alle cancellerie, ai governi che dicono che non ci sono altre vie se non quelle del capitalismo e del neoliberismo, idee e soluzioni ai problemi che però finiscono nel cestino dei ministeri degli Esteri delle nazioni che si autodefiniscono civili e democratiche. Porto Alegre come laboratorio importante che ti mette ora nelle condizioni di rispondere sul perché si cestinano le proposte di alcuni fra i più grandi scienziati nei vari settori come la risorsa idrica, la cui mancanza raggiunge più di 1 miliardo e mezzo di persone; il cibo a cui accede solamente il 30% dell'umanità, mentre l'80% ne è priva; la desertificazione. Da lì arrivano proposte concrete, non è un laboratorio di sognatori. Lì ho visto 20.000 persone assistere alla conferenza di Noam Chomsky e del teologo Leonardo Boff allo stadio Gigantinho (lo stesso stadio dove giocava Falcao); ho visto 20.000 persone assistere alla conferenza di Edoardo Galeano e di Arundati Roy, la giovane, piccola tenace indiana de "Il Dio delle piccole cose", ma non ho visto reportage nei giornali italiani di questi eventi dove migliaia di persone andavano a sentire degli scrittori, non certo Bono degli U2. Qualcosa sta avvenendo: perché si nascondono questo tipo di realtà che per un giornalista è obbligatorio raccontare? Forse perchè questo messaggio che arriva dall'America Latina dà fastidio ai partiti bolliti della sinistra europea e italiana? Allora credo che dobbiamo cominciare a parlare del Brasile e dell'Argentina. E chi meglio di uno scrittore -che non è solo uno scrittore, ma una coscienza critica in Argentina- come Mempo Giardinelli? Mempo Giardinelli: Tante grazie Gianni. Oggi il Brasile, il Venezuela e l'Argentina sono considerate per il grande potere del mondo come un nuovo regno del male. In un primo tempo il governo di Lula è stato visto come un leone pericoloso per i poteri mondiali. Noi argentini sappiamo, per quel che ci riguarda, che il nostro non è un piccolo paese, nè un paese povero, ma è una nazione bruciata. In Argentina, 200 giorni fa tutto è cominciato a cambiare, soprattutto per il vento che viene dal Brasile. Il paese di Lula è oggi il big brother del Sud America, è come un treno per noi argentini, uruguayani, cileni, paraguayani, peruviani, tutti. Sappiamo che il Brasile è il centro dell'attenzione mondiale, per questo per noi è importante, anzi fondamentale tenere una relazione con il Brasile attraverso quello che noi chiamiamo Mercosud. Il Mercosud è incominciato 15 anni fa come il primo accordo fra nazioni del Sud America, con infinità di problemi e squilibri ma noi in Argentina, con il governo di Carlos Menem e di Fernando della Rua , negli ultimi 13 -14 anni, non abbiamo mai collaborato a questo accordo, al contrario degli altri paesi. L'Argentina ha sempre guardato all'Europa come modello e per noi è sempre stata presente una sorta di amara "constatazione permanente" per cui siamo troppo indiani per l'Europa e troppo europei per l'America Latina. Ma abbiamo incominciato a cambiare 200 giorni fa con l'avvenimento del presidente Kirchner che ha inaugurato quello che i mezzi di comunicazione hanno battezzato come "lo stile k". E' quasi uno scherzo e ricorda Kafka, un processo kafkiano, ma allo stesso tempo è una incognita quasi matematica. Kirchner è il presidente più debole di tutta la storia argentina, perché ha vinto le elezioni solamente con il 22% dei voti della gente. Nessuno credeva in Kirchner, né io, tanto meno tutta l'intellettualità argentina, ma quest'uomo nei suoi primi 80-90 giorni, ha fatto cinque cose che rappresenta quasi una rivoluzione democratica dell'Argentina: per prima cosa ha iniziato un cambiamento nella Corte Suprema di Giustizia, assolutamente corrotto durante il governo di Menem e poi ha fatto, per la prima volta nella nostra storia, la dichiarazione per cui la giustizia in Argentina non deve essere dipendente dal governo. La seconda azione importante è stata aprire tutti gli archivi della Side (la Segreteria di Informazione delle Stato) per la prima volta per dimostrare che il governo, lo stato argentino, è stato legato alle bombe che ha distrutto nel '92 l'Ambasciata di Israele e nel '94 le bombe contro l'Ammia, l'organizzazione civile di solidarietà della comunità ebraica. Gianni Minà - Il governo quindi era coinvolto. Mempo Giradinelli - Kirchner ha fatto togliere il segreto da tutti i documenti e adesso noi sappiamo come si svolsero i fatti. Proprio Menem sarà convocato come imputato in questi crimini. Gianni Minà - Niente di nuovo sotto il sole. In Italia negli anni 70 c'era l'Ufficio affari riservati del Ministero dell'Interno che più o meno faceva lo stesso lavoro. Mempo Giardinelli - La terza cosa che ha fatto questo governo è la revoca di tutte le leggi che dichiaravano l'impunità dei militari responsabili per 30.000 desaparecidos. Gianni Minà: La legge del punto finaleŠ. Mempo Giardinelli - La legge del punto finale , la legge "de obedencia de vida"Š Gianni Minà: Sono state tutte cancellate.. Mempo Giardinelli - Queste leggi state tutte cancellate e i militari argentini che avevano chiesto di essere giudicati dalla giustizia spagnola, italiana, francese, adesso dovranno essere giudicati in Argentina, come deve essere. (applauso) Questo applauso è per il presidente KirchnerŠ La quarta cosa che ha sorpreso tutto il paese è stata la revisione di tutte le privatizzazioni, di tutte le imprese che hanno fatto i favoritismi, che hanno accettato la corruzione durante il menemismo. Noi argentini durante il menemismo abbiamo perduto la benzina, le telecomunicazioni, la luce,l'acqua, il gas Gianni Minà - la grande distribuzioneŠ Mempo Giardinelli - Le autostrade. Abbiamo perduto le linee aeree, le linee di mare, i porti, il pesce, abbiamo perduto tutto. Gianni Minà - Tutto privatizzato e preso dalle multinazionali straniere Mempo Giardinelli - Il patrimonio sociale di Argentina è attualmente praticamente zero. Kirchner sta rivedendo tutte le leggi riguardanti la privatizzazione che hanno fomentato la corruzione con il governo di Menem e, quinta cosa, ha incominciato una relazione adulta e seria con il Fondo monetario internazionale, riconoscendo per la prima volta il debito argentino ma non dicendo "Vogliamo pagare come vuoi" né "Noi non vogliamo pagare perché siamo oberati". Ha incominciato una relazione che sarà lunga, o almeno ci aspettiamo sia lunga, perché noi argentini sappiamo che questo debito è impagabile. Ora potrei finire questo mio discorso con due idee. Adesso l'87, l'88% di argentini hanno espresso simpatia per questo "stile K": è più di una speranza, più di una illusione, è una quasi un vento di innovazione che possiamo insperato. Naturalmente tutto questo non è sufficiente perché il presidente Kirchner ha governato solamente per 200 giorni; nello stesso tempo mantiene relazioni di partito, il partito peronista, ma anche con molti orribili personaggi del menemismo. Questa è una contraddizione essenziale perché, ancora oggi, non ha "affettato", nessun pesce grosso della politica o della economia corrotta dell'Argenitna. Insomma, tutto questo non può rappresentare una nuova speranza bruciata ma, certo, noi siamo argentini e con noi tutto è possibile. Grazie. Gianni Minà - Mentre si apre dal Brasile e dall'Argentina questo vento di speranza che significa per esempio rafforzare il Mercosud sull'esempio della Comunità europea e non accettare invece l'Alca con cui vogliono imporre all'America latina le multinazionali degli Stati uniti. L'Associazione libero commercio de Las Americas, con i suoi regolamenti, annichilirebbero definitivamente tutte le economie dei paesi latinoamericani come è successo in Messico che ha firmato il famoso Nafta (il trattato con Stati uniti e Canada che ha annientato la loro economia). Ci sono invece paesi latinoamericani dove sembra che si è tornati indietro di 20 anni e uno di questi è il Guatemala. Ve lo dico perché le notizie riguardanti queste nazioni sono sparite dai giornali italiani, mentre se c'è qualche notizia su Cuba sì. Per il resto è meglio ignorare situazioni infami, spaventose. Dante Liano è guatemalteco, ed è preoccupato della situazione in cui riversa il suo paese. Dante Liano - Passo subito a raccontarvi qualcosa, il titolo potrebbe essere "Nessuno iscrive il generale", ed è la storia del nostro generale Rioss Mont, guatemalteco per disgrazia fra noi guatemaltechi, che nel 1982 era colonnello dell'esercito del Guatemala (generale è diventato dopo) e allo stesso tempo era pastore protestante, a capo di una chiesa chiamata "il Verbo" una chiesa nuovaŠ Gianni Minà - Una di queste sette che stanno proliferandoŠ Dante Liano - Quelle che compaiono in televisione, che guariscono, parlano lingue, che impazziscono e Rioss Mont era diventato pastore di questa pseudo chiesa. Un giorno di giugno dell'82 dei giovani militari guatemaltechi, stanchi di 20 anni di dittatura, affranti perché a loro non aveva toccato nessuna fetta della torta che gli altri si spartivano, fecero un colpo di stato (cosa che era abbastanza normale nel nostro paese). Per me la marcia di Radetzky, infatti, ogni volta che la sento al concerto di fine d'anno, mi fa ricordare automaticamente che è caduto il governo perché ogni volta che c'era il colpo di stato in Guatemala mettevano questa marcia prima del discorso: "Popolo del GuatemalaŠeccetera, eccetera". E marcia di Radetzky e colpo di statoŠ Questa volta però i giovani ufficiali avevano scelto quello che chiamavano "il babbino", il loro piccolo papà, Rioss Mont insomma. Andarono a cercarlo alla chiesa dove lui era pastore e gli dissero: "Colonnello lo vogliamo fare presidente della Repubblica". Lui chiese 10 minuti per ritirarsi a pregare e parlare con Dio e dopo 15 minuti uscì dicendo: "Accetto, il Signore mi ha scelto per raddrizzare questo paese". Morale della favola, avevamo un inviato di Dio come Presidente della Repubblica. Gianni Minà - Anche lui unto dal SignoreŠ Dante Liano - Ma lui lo era per davvero, lui sì, aveva parlato direttamente con Dio ed era stato così entusiasta della sua investitura che durante un solo anno ha ucciso 17.000 guatemaltechi. Spaventò persino i macellai che lo avevano messo come presidente della Repubblica e, atterriti, lo hanno deposto. Un anno. Per un anno lui si è macchiato veramente di crimini contro l'umanità, ma avendo esagerato anche di fronte ai suoi stessi compagni di avventura, è tornato nell'ombra. Dopo di che nel 1985, dopo 30 anni di guerra, i militari ci hanno concesso graziosamente elezioni democratiche. Si faceva automaticamente, infatti, l'equazione: elezioni = democrazia, e allora, a quel punto, si è annunciato, festeggiando, che la democrazia era tornata in Guatemala. Nel '96 si sono firmati gli accordi di pace e nel 2000 ci sono stati di nuovo le elezioni. Rioss Mont aveva un conto in sospeso con la presidenza della Repubblica perché lui, nel 1974, s'era presentato come candidato della sinistra del Guatemala (la sinistra era la Democrazia cristiana all'epoca. Aveva vinto le elezioni e, devo dirlo con lacrime agli occhi, anche io votai per lui, perché si era presentato con un programma che toccava la dottrina sociale della chiesa. Era democratico cristiano ed era cattolico a quell'epoca) e aveva pure vinto. Però ai suoi colleghi militari quella vittoria non piacque e lo dimostrarono piazzandogli un carroarmato davanti casa sua. Nello stesso periodo, durante il conteggio dei voti, ci fu un un improvviso black out di una settimana e quando ritornò l'energia elettrica, si scoprì che non aveva più vinto. Così Rios Montt, aveva accettato, con il cannone del carro armato puntato sulla sua casa, di essere consigliere militare dell'Ambasciata di Spagna e questa situazione gli procurò una grande depressione. In Spagna andò sotto cura, ma si convinse che la sua guarigione poteva avvenire solamente se avesse riconquistato la presidenza della Repubblica. Così nel 2000 tentò di presentarsi, ma c'era lo scoglio della Costituzione della Repubblica che proibisce, chiunque sia stato assunto al potere con un colpo di stato, di ripresentarsi come candidato alla presidenza. A quel punto ha presentato un suo pupillo, il licensiado, il dottore Alfonso Portillo, non esattamente un angelo, perché aveva ucciso due studenti in Messico, ma questa è un'altra storia. Ovviamente, ci sono storie dentro le storie e non ho purtroppo il tempo materiale per raccontarle tutte. Alfonso Portillo, con l'aiuto del monopolio dei mezzi di comunicazione di massa, che in GuatemalaŠ. Minà: Ma va? Liano: E sì, anche noi, nella nostra arretratezza, abbiamo il problema dei mezzi di comunicazione di massa. Insomma, Portillo vinse le elezioni. Purtroppo non aveva tanta voglia di governare, ma usò il suo mandato per rubare tutto quello che poteva, poi andò a vivere a Miami tutto contento. Ma facciamo un passo indietro: quando Rios Montt diventò Presidente del Parlamento, avendo la maggioranza assoluta, cominciò a modificare le leggi del paese, acquisendo il potere, tra le altre cose, di nominare i magistrati e lo fece nominandone alcuni del Tribunale supremo elettorale. Adesso che ci saranno le elezioni e si presenterà di nuovo (perché deve guarire la sua depressione, lui) il Tribunale supremo, con l'aiuto del Congresso della Repubblica modificherà la legge ad hoc e lui sarà libero di presentarsi. Il 4 di novembre avremo il nostro carnefice come possibile vincitore alle elezioni. Perché possibile vincitore? Perché lui si avvale di una struttura chiamata "pattuglie di auto-difesa civile", piccole cellule armate che sono estese in tutto il territorio nazionale, la maggior parte sono contadini che hanno molto bisogno, pagate per il loro lavoro sia in contante oppure con arnesi. Applicano un ragionamento molto semplice: noi abbiamo bisogno o di soldi o di arnesi, quindi voti in cambio di soldi o di arnesi e poi controllo sull'altra popolazione. Questi contadini, infatti, sono armati e nei piccoli centri è possibile sapere chi vota e chi non vota; quindi, in questo senso, le elezioni sono democratiche, però abbastanza orientate. Infine, purtroppo, durante il governo di Portillo si sono formate 3 narcomafie in Guatemala (una delle quali ha come capo lo stesso Rioss Montt) che si occupano di traffico di droga, di immigranti verso gli Stati uniti, di bambini, di organi umani e di opere d'arte. Hanno un giro d'affari molto alto, sono molto potenti, e formano coi militari e l'oligarchia, un gruppo di potere molto forte. Per questo motivo è molto probabile che Rioss Montt possa vincere le elezioni. Questo panorama viene accompagnato da una violazione costante dei diritti umani, in modo particolare i diritti umani dell'opposizione. Come diceva l'ex presidente Lucas del Guatemala: "Io non perseguito i diritti umani, io perseguito i sinistri umani" e lo stesso hanno fatto Portillo e Rioss Mont. Con questo problema che abbiamo, avete per caso letto qualcosa sui giornali? Mentre ogni volta che (non vorrei fare una polemica) che Fidel Castro starnutisce, c'è un tifone che magari ammazza qualche zanzara. Ed invece, per queste cose gravi che succedono nel mio piccolo, triste, malinconico paese, non c'è mai una riga, un trafiletto sui giornali. Questa è informazione negata. Grazie. Gianni Minà - Il tuo paese è piccolo ma ha prodotto la civiltà Maya, una grande civiltà, ed è per questo che sta nel nostro cuore ma è anche per questo che sentiamo come una ferita tutto quello che succede in Guatemala. Hai accennato a Cuba, e allora la domanda che vi faccio è la seguente: avete mai visto in qualunque trasmissione di Vespa, di Ferrara, anche di Santoro, raccontarvi queste cose che vi ha appena raccontato il professor Liano, docente alla Cattolica di Milano? Sono cose molto più gravi di qualunque cosa sia successa a Cuba, però non ve le hanno raccontate; non le dovete sapere, non dovete fare confronti, non dovete avere il dubbio che quando vi dicono democrazia vi stanno prendendo in giro... E allora uno si preoccupa. Io ho fatto il discorso di Cuba parlando dell'ipocrisia dei media quando si parla di questo paese. Certo, anch'io sono contro la pena di morte, ho fatto campagne contro, e quindi la fucilazione di tre che non erano, come dice Alessandra, dissidenti, procurano dolore. Ma pensate se fosse successo in Italia dove in 15 giorni dirottano 3 aerei e il ferryboat Reggio Calabria- Messina. Forse potremmo pensare che sta accadendo un atto terroristico nel nostro paese e quando poi scopri che le azioni previste erano 16 (ci dovevano essere altri 16 sequestri) allora cominci a pensare che c'è un'organizzazione che sta tramando qualcosa per delegittimare e atterrare il paese. Ma questo non ve lo hanno raccontato eppure è noto in tutti i mezzi d'informazione. Però tutto questo ai miei occhi non giustificava la pena di morte, e quindi ho inviato una lettera di protesta. C'è però anche da dire che da quasi 4 anni vigeva la moratoria sulla pena di morte, mentre il boia negli Stati uniti continua ad agire ogni giorno. Hanno fatto sensazione le fucilazioni di Cuba, non hanno fatto sensazione le fucilazioni negli Stati uniti. Da cattolico questa mi sembra doppia morale. Rimane il problema che per me la pena di morte è assolutamente inaccettabile e allora ho chiesto (e questo è il lavoro che ho fatto nella rivista) anche ai cubani le loro ragioni perché i fatti si capiscono soltanto parlando con tutti. Ci sono molte cose che non capisco, ad esempio quella dei Ds che, per quello che è successo e succede in Guatemala non hanno chiesto un dibattito parlamentare e non hanno fatto una giornata di dibattito a Torino, però per quello che è accaduto a Cuba lo hanno subito organizzato. Non capisco perché, qual è il metro e qual'è la differenza? In Perù e in Bolivia i presidenti hanno mandato i carriarmati per strada per respingere la folla che protestava per la fame, per le nuove ricette del Fondo monetario. I carri armati hanno sparato e hanno ammazzato sei persone in Perù, molte di più in Bolivia, ma non c'è stato nessun interesse, nessuna iniziativa politica in Italia. Allora com'è questa storia? Il dovere di difendere certi principi non ce li ha soltanto Cuba, ovvero li ha anche Cuba ed è legittimo chiedergli ragione di questo, ma li hanno anche tutti i paesi del mondo. Io penso che il discorso vada affrontato in questo modo: le responsabilità di Cuba e anche le sue conquiste; si ammazza infatti anche la gente solo con le leggi economiche; in tutta l'America Latina ci sono dei killer del Fondo monetario e della Banca mondiale che ammazzano le persone senza neanche far loro un processo sommario, le ammazzano con le leggi economiche. E per questo credo sia giusto sentire il Presidente degli artisti e degli scrittori di Cuba, Carlos Martí, che vi esporrà le ragioni del suo paese. Carlos Martí - Grazie Gianni per la tua introduzione, perché mi eviti di dover parlare della pena di morte e di ripetere argomenti già spiegati qui. Credo sia necessario parlare della necessità di vivere e di evitare, con la battaglia per la cultura che è quella che sta liberando Cuba, la pena di morte. In un mondo pieno di contrasti tra i progressi tecnologici del "cyber-paradiso" da una parte, e la fame di coloro che mai si affacceranno allo schermo di un semplice televisore dall'altro, già si parla della clonazione umana. Ho letto poco tempo fa su internet che alcuni scienziati affermano di avere clonato il primo essere umano, ovviamente una donna, bellezza inclusa, e ovviamente chiamata Eva. Ma la cosa più curiosa è che si afferma anche che si prova a clonare altri personaggi partendo dalla mappatura genetica. E perché parlo di tutto questo? Perché tra le tante eccentricità tecnologiche si perde di vista la valanga crescente della sottocultura che distribuiscono le transnazionali. La controutopia del mercato come incubo regressivo e l'addio all'umanesimo che è protagonizzato da quelli che pragmaticamente dividono la cultura tra scienze esatte, sociali e umane, e relegano queste ultime a un semplice ruolo decorativo. Ci sono università con perversi programmi accademici alle quali interessa solo formare futuri i impiegati dell'implacabile mercato globalizzato. Confondono la conoscenza pratica con la raffinatezza. Internet presuppone l'apoteosi della lettura ma molte poche volte di una lettura autonoma, intelligente, colta. Si distribuisce letteratura di poco prezzo chiamata letteratura kleenex perché si usa e si getta. Si potrebbero fare molti altri esempi ma non basterebbe il tempo. Contro tutte queste tendenze, il movimento intellettuale e artistico cubano si è posto all'avanguardia della crociata umanista che la Rivoluzione sta rendendo reale. Con una grande vocazione sociale ci uniamo agli scienziati, agli accademici, professionisti di ogni tipo e insieme alle istituzioni culturali, centri di istruzione, istituti di ricerca e sviluppo vogliamo appoggiare con fermezza la politica culturale e educativa. Abbiamo la fortuna di avere una organizzazione di scrittori ed artisti che si mobilitano con in modo risoluto per stimolare il pensiero articolare i frammenti dispersi della realtà, creare coscienza, risolvere la tensione tra scienza ed etica, mercato e cultura, manipolazione e libertà. Propugniamo l'umanizzazione piena, l'uguaglianza di accesso alla cultura e valutiamo inoltre, come abbiamo fatto recentemente, le fatidiche tendenze attuali verso una globalizzazione di segno fascista che gli Stati Uniti pretendono di imporre, con il loro appetito di dominio mondiale e il saccheggio delle ricchezze ad unico beneficio dell'impero. L'informazione è negata, come si è detto qui, ed è anche assassinata dai media, come nel caso del Venezuela. Recentemente sono venuto a conoscenza di una manifestazione di più di due milioni di persone in Venezuela e comunque so che se c'è stata informazione è stata in qualche modo sequestrata dai grandi media. Ora, comunque, specialisti cubani partecipano ad una crociata per alfabetizzare in pochi mesi più di un milione di venezuelani. Non posso dimenticare una frase che circolava nei momenti della guerra in Iraq. Alcuni Yankees che domandano agli arabi: "che ci fa il nostro petrolio sotto le vostre sabbie?". La realtà dimostra che la rapina più crudele oggi si sta effettuando nella mancanza totale di rispetto della sovranità, dell'ordine e della sicurezza internazionale. Per questo noi scrittori e gli artisti lanciamo una convocazione alla costituzione di un fronte mondiale antifascista, non tanto per salvare Cuba, ma per salvare il mondo. Fronte al quale ha dato appoggio pieno la comunità intellettuale cubana, le sue istituzioni e le organizzazioni professionali del paese. Vogliamo fare un appello a tutti voi e ovviamente alle personalità che hanno partecipato a questo evento così importante e ben organizzato, affinché si sottoscrivano obiettivi simili e si uniscano le forze. Bisogna arrestare la scalata arrogante dell'impero e la distruzione nella cultura promossa dal mercato con i suoi feticci pseudo-culturali. Però vogliamo anche conoscere a fondo quella che è la cultura nordamericana, per questo il 4 luglio di quest'anno abbiamo indetto una serie di gare culturali durante le quali i nostri intellettuali, i nostri scrittori hanno letto le grandi opere della letteratura nordamericana e sono state illustrate anche le creazioni dell'arte. Volevamo dare solidarietà alla grande cultura nordamericana, la quale pure è tacitata dalla spazzatura mediatica e dall'audiovisivo che impoverisce gli spiriti e dare solidarietà infine contro tutto questo che è stato definito macdonaldizzazione. Su questo e su molti altri temi dobbiamo portare avanti un approfondimento continuo. Non possiamo essere trascinati dalla miseria intellettuale ed etica di un impero che sta condannando continenti interi come succede con l'Africa, dove ci saranno esseri che non sapranno mai cos'è un computer, né impareranno mai semplicemente a leggere e a scrivere. Per tematizzare questi temi in modo plurale, per ascoltare opinioni diverse, per dialogare ed anche organizzarci mentalmente e culturalmente, abbiamo lanciato un sito web nella Uneac, che si chiama <http://www.noalfascismo.uniec.com/>www.noalfascismo.uneac.com. Vi invito affinché lavoriamo per questa via nello scambio di conoscenze e informazioni. Osservando la velocità con cui vogliono relegare la cultura in secondo piano, confermo che si è messo in moto un piano volto ad annichilire i valori umani più trascendentali. Per questo ricordo una barzelletta messicana di una maestra che chiede a un alunno: "Rispondimi molto rapidamente quanto fa due più due" e il bambino risponde "cinque". Sorpresa della risposta, la maestra rimprovera il bambino e lui risponde: "Lei mi ha chiesto rapidità, mica precisione". Per questo, mentre ci si affanna a realizzare la clonazione umana che ci porterebbe solo a personaggi identificabili fisicamente, bisognerebbe esigere di trovare la forma di clonare l'etica, la cultura, il senso di solidarietà di paradigmi umani come il Che Guevara. Perché in fin dei conti, come diceva Shakespeare, noi siamo fatti della materia dei nostri sogni. Grazie. Gianni Minà - Carlos Martí ha preferito raccontare la loro avventura dal punto di vista culturale. Chiedo allora più direttamente al professor Wayne Smith, docente della John Hopckins University di Washington, il suo punto di vista, che sia però più politico sulla assurda inimicizia che da 40 anni divide Cuba e gli Stati Uniti. E' stata giusta o sbagliata la politica degli ultimi 40 anni? C'è la possibilità che questa politica cambi? Wayne Smith: In primo luogo voglio ringraziarvi per essere ancora qui, è mezzanotte. Fa molto freddo quindi ci sono due spiegazioni per questo: o siete tutti senza tetto, ma siete un po' troppo vestiti bene per esserlo, oppure siete molto interessati a quello che stiamo dicendo, e di questo vi ringraziamo. Vorrei fare qualche commento sulla pena di morte. Gianni si oppone alla pena di morte, io pure, ma negli Stati Uniti, quando si tira fuori la questione delle esecuzioni a Cuba, dicono: "Ma come si può pensare di potere avere rapporti con un paese come quello?". Ma allora come si possono avere rapporti, come si può avere un presidente come George W. Bush che quando è stato governatore del Texas si vantava di avere avuto il maggior numero di esecuzioni nella storia di tutti gli altri stati degli Stati Uniti? Durante il suo governatorato sono state eseguite 154 esecuzioni. Così è meglio osservare la questione da più punti di vista e con una certa oggettività. Vi sono certe cose ovviamente nel sistema di Cuba e degli Stati Uniti sulle quali io non sono d'accordo, ma non per questo non ci sono ragioni per cui gli Stati Uniti e Cuba non potrebbero sedersi ed iniziare un negoziato. Vorrei chiarire un episodio del passato e poi parlare di una situazione del presente prima di concludere la serata. Si diceva negli Stati Uniti che Jimmy Carter aveva tentato di migliorare i rapporti con Cuba, ma che il presidente Castro aveva organizzato un flusso di rifugiati, il famoso Programma Mariel in cui 125.000 cubani sbarcarono in territorio americano privi di documenti e a quel punto la possibilità di negoziato finì. Ma il flusso di rifugiati, in realtà, si ebbe perché gli Usa non risposero alle domande circa i dirottamenti marittimi, nè fornirono dettagli. Una quantità enorme di cubani avevano, infatti, preso l'abitudine di dirottare questi mezzi navali in punta di fucile, minacciando l'equipaggio e obbligandolo a dirigersi verso gli Stati uniti. Gli Usa ovviamente li accoglievano subito sulle loro coste, non solo, ma alcuni di loro la mattina dopo venivano intervistati da The Voice of America. Per tutti questi casi Cuba aveva inoltrato una protesta dicendo anche che se gli Stati Uniti non avessero assunto una chiara posizione contro questi dirottamenti, quest'ultimi avrebbero continuato ad aumentare. Io ero il principale rappresentante diplomatico all'Avana all'epoca e non feci altro che mandare numerosi telegrammi al mio governo chiedendogli di emettere un documento in cui dichiarasse di non accettare questo genere di dirottamenti e che, comunque, tutti i cubani che fossero giunti in territorio americano in questo modo, sarebbero dovuti essere processati secondo le leggi americane. Non dovevano essere rinviati a Cuba, sottoposti a processo secondo le leggi Usa. Ebbene, non ho mai ricevuto una risposta, né ai miei telegrammi né è mai stata inoltrata una replica alle proteste di Cuba. Nel febbraio del 1980 io inviai una nota al vice presidente Carlos Rafael Rodriguez. La risposta che mi diede fu che lui sperava che il governo americano prendesse in considerazione le proteste del governo cubano, perchè il rischio, senza una risposta dei nordamericani, era di protrarre il processo di emigrazione all'infinito. Poi iniziò questo famoso flusso chiamato Mariel. Ma non era causato da una reazione aggressiva da parte dei cubani. Si era semplicemente palesato il rischio che aveva anticipato lo stesso Rodriguez e tutto questo perché non avevano mai ricevuto nessuna risposta soddisfacente da parte del governo americano. Questo atteggiamento, secondo me, è stato veramente una cosa molto stupida. L'episodio, comunque, non ha fermato i negoziati che si stavano trascinando tra gli Stati Uniti e Cuba anzi, ha fatto capire a qualcuno, nell'ambito dell'amministrazione americana che Cuba forse valeva la pena essere presa seriamente. Qualcuno presso il Dipartimento di stato, ovviamente non in modo ufficiale, ha dichiarato che Cuba non ha armi nucleari però ha centinaia e centinaia di persone che può mandare via. E così per la prima volta iniziò un vero, serio processo di negoziato fra gli Stati Uniti e Cuba. Per la prima volta iniziarono i negoziati seri raggiungendo un accordo: Cuba aveva fermato il flusso di Mariel e lentamente ripresero i negoziati per i quali non c'era una tabella di marcia fissa. Noi però contavamo sul fatto che Carter sarebbe stato rieletto e calcolavamo, tramite questi negoziati, di arrivare alla normalizzazione dei rapporti tra Cuba e Stati Uniti. Fino al giorno delle lezioni, le previsioni erano così vicine per i due candidati che non c'era nessuno in grado di prevedere quale fosse stato il risultato. Comunque, da quello che sappiamo adesso, ci fu un accordo fra gli iraniani e i repubblicani: gli ostaggi americani che erano trattenuti a Teheran non sarebbero stati liberati fino a dopo le elezioni. Questo fu un colpo fortissimo per Carter che lo portò ovviamente alla sua non rielezione. E che cosa orrenda e disprezzabile è stata la negoziazione con gli iraniani perché tenessero prigionieri gli ostaggi americani finchè un repubblicano non avesse vinto le elezioni. E così l'unica possibilità che c'era stata fino a quel momento di una soluzione negoziata fra Cuba e gli Stati Uniti andò persa. E invece di cercare di migliorare i rapporti, Ronald Reagan descrisse Cuba come il peggior rappresentante dell'Impero del male. Forse c'era qualche piccola logica nella nostra politica nei confronti di Cuba durante la Guerra fredda. Ma la Guerra fredda ormai era finita da oltre dieci anni e noi non avevamo ricevuto nessuna minaccia dai cubani e non c'è stata nessuna ragione di politica estera per cui non potevamo iniziare i negoziati. Perché non si cambia questa politica? Perché per vincere le elezioni nello stato della Florida bisogna assicurarsi i voti della comunità cubanoamericana che vive in quello stato e che rappresenta il 6% degli elettori e per vincere i voti di questo 6% di elettori, bisogna mantenere la linea dura nei confronti di Cuba. Comunque oggi la maggioranza degli americani vorrebbero che si arrivasse a una normalizzazione dei rapporti con il governo cubano; i contadini del Middle West vorrebbero vendere i loro prodotti a Cuba e anche la maggior parte degli abitanti della Florida oggi desidera la normalizzazione dei rapporti. Ed è cambiato l'atteggiamento di parte della comunità cubano americana. Un sondaggio ha dato questi risultati: il 55% dei cubani americani ritengono che l'embargo sia fallito e che bisognerà iniziare una nuova politica; il 75% vorrebbe che venissero eliminati tutti gli impedimenti ai viaggi e al libero movimento; il 65% di questa comunità desidera che si inizi un nuovo dialogo tra la comunità cubanoamericana residente in Florida e i cubani dell'Isola. Credo che ci deve esser qualcosa, per quanto riguarda Cuba, che impedisce ai nostri uomini politici, alle nostre amministrazioni di ragionare in modo razionale. Dopo che lasciai il servizio diplomatico, durante un'intervista al New York Times, ho detto che Cuba sembra avere per i nostri politici, lo stesso effetto che ha la luna piena sui licantropi. Io non credo che ci sia alcuna speranza di cambiamento della politica degli Stati Uniti nei confronti dell'Isola finché sarà presidente George W. Bush. Ma vorrei aggiungere che questa è la minore delle nostre preoccupazioni. Gorge W. Bush sta distruggendo la nostra economia, sta distruggendo il sistema internazionale, sta danneggiando gravemente l'ambiente. Io ritengo che Gorge W. Bush è il peggior presidente che io abbia mai visto in tutta la mia vita ed è il più dannoso in tutta la storia degli Stati Uniti e se verrà rieletto, che Dio salvi l'America. Gianni Minà - E' terminato un racconto che sarebbe una prima pagina dei giornali se i nostri quotidiani fossero veramente coerenti come dicono di essere. Vi ha lacerato il velo su una realtà storica che non conoscevate. Diplomatico americano nell'era di Carter, di quando c'era la morale e l'etica nella politica invece che la politica sporca. Grazie Piacenza, scusateci se questo lungo viaggio è finito tardi, ma grazie a Wayne Smith che ci ha dato l'emozione di un racconto, di una realtà che ormai è diventata storia. Grazie ancora.
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