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La nonviolenza e' in cammino. 763
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 763
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 17 Dec 2003 22:24:09 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 763 del 18 dicembre 2003 Sommario di questo numero: 1. Mao Valpiana: dal pensiero nonviolento sull'Europa all'azione nonviolenta per l'Europa 2. Giovanni Paolo II: un impegno sempre attuale: educare alla pace 3. A Torino un incontro con l'associazione "Parent's Circle" 4. Marcella Bravetti presenta "Acquaforte" di Gladys Basagoitia 5. Gladys Basagoitia: antipoesia I 6. Maria Luisa Boccia: tra corpo e linguaggio. Un articolo del 1999 7. Danilo Dolci: la scelta 8. Letture: Augusto Cavadi, Volontariato in crisi? 9. Letture: Pietro Ingrao, La guerra sospesa 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MAO VALPIANA: DAL PENSIERO NONVIOLENTO SULL'EUROPA ALL'AZIONE NONVIOLENTA PER L'EUROPA [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario] Non nascondo di essere rimasto deluso dal fatto che al termine del convegno di Venezia sull'Europa neutrale dell'8 dicembre, non siamo riusciti a realizzare la manifestazione che avevamo immaginato: alcune decine di persone sul Ponte di Rialto con cartelli ed uno striscione sarebbero bastate per rendere visibile il nostro messaggio. Ed invece ci siamo arenati: non erano stati avvisati i giornalisti, non era stata fatta la comunicazione alla Questura, non c'erano i cartelli ne' lo striscione. Non voglio colpevolizzare nessuno, ma semplicemente evidenziare una mancanza collettiva. Il pensiero senza l'azione e' inefficace; l'azione senza pensiero e cieca. Dunque dobbiamo trovare, anche per la campagna "Europa neutrale", il giusto equilibrio fra pensiero e azione. Il dibattito seguito alla proposta per l'Europa neutrale e' stato ampio e articolato. A mio giudizio l'elaborazione fatta collettivamente ha raggiunto un buon livello di maturita'. Ora si tratta di articolare i contenuti per una campagna vera e propria, e di individuare i luoghi e gli strumenti per un'azione volta a raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti. (Si badi bene che parlo semplicemente di azioni nonviolente, ed evito accuratamente il termine "azione diretta nonviolenta", per non alimentare la confusione che si sta creando attorno a questo concetto. Senza dover scomodare le caricature o le mistificazioni - mi riferisco alle pseudoazioni fatte con caschi, volti coperti, scudi, e condite con insulti alla polizia -, rimango molto perplesso quando una minima, elementare, semplicissima iniziativa viene pomposamente presentata come "azione diretta nonviolenta". Recentemente persino l'invito ad un volantinaggio per il 4 novembre e' stato presentato come azione diretta; e si sfiora quasi il ridicolo quando anche una proposta di raccolta fondi per Lilliput viene presentata come azione diretta di autofinanziamento! C'e' il rischio di creare equivoci e di perdersi in una grande confusione di termini). Penso che la nostra campagna per l'Europa neutrale abbia a questo punto urgente bisogno di una iniziativa pubblica nonviolenta. Ancor di piu' dopo il fallimento del vertice di Bruxelles. Immagino una esemplare manifestazione nonviolenta, condotta con rigore, chiara nel messaggio e nella simbologia, preparata adeguatamente da un digiuno, silenziosa piuttosto che chiassosa, propositiva piuttosto che contestativa, gioiosa piuttosto che rabbiosa, dialogante piuttosto che escludente. Essendo una manifestazione pro Europa (disarmata, solidale, nonviolenta) possiamo immaginarla in un luogo simbolico come un confine dove si combatte' nella prima guerra mondiale, magari in una di quelle trincee oggi trasformate in sentieri di pace. Se cosi' fosse potremmo programmarla in un fine settimana della prossima primavera. Immaginare e realizzare una simile iniziativa e' certo poca cosa; ma e' gia' un modo per passare dal pensiero nonviolento sull'Europa, all'azione nonviolenta per l'Europa. 2. DOCUMENTI. GIOVANNI PAOLO II: UN IMPEGNO SEMPRE ATTUALE: EDUCARE ALLA PACE [Dal sito ufficiale del Vaticano (www.vatican.va) riprendiamo il testo del messaggio del pontefice cattolico Giovanni Paolo II per la celebrazione della giornata mondiale della pace del primo gennaio 2004] A voi mi rivolgo, capi delle nazioni, che avete il dovere di promuovere la pace. A voi, giuristi, impegnati a tracciare cammini di pacifica intesa, predisponendo convenzioni e trattati che rafforzano la legalita' internazionale. A voi, educatori della gioventu', che in ogni continente instancabilmente lavorate per formare le coscienze nel cammino della comprensione e del dialogo. Ed anche a voi mi rivolgo, uomini e donne che siete tentati di ricorrere all'inaccettabile strumento del terrorismo, compromettendo cosi' alla radice la causa per la quale combattete. Ascoltate tutti l'umile appello del successore di Pietro che grida: Oggi ancora, all'inizio del nuovo anno 2004, la pace resta possibile. E se possibile, la pace e' anche doverosa. * Una concreta iniziativa 1. Il primo mio messaggio per la Giornata mondiale della pace, all'inizio del gennaio del 1979, era centrato sul motto: "Per giungere alla pace, educare alla pace". Quel messaggio di capodanno si inseriva nel solco tracciato dal Papa Paolo VI, di v. m., il quale aveva voluto per il primo gennaio di ogni anno la celebrazione di una Giornata mondiale di preghiere per la pace. Ricordo le parole del compianto pontefice nel capodanno 1968: "Sarebbe nostro desiderio che poi ogni anno questa celebrazione si ripetesse come augurio e come promessa, all'inizio del calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo, che sia la pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire" (1). Facendo mio il voto espresso dal venerato predecessore sulla cattedra di Pietro, ogni anno ho voluto continuare la nobile tradizione, dedicando il primo giorno dell'anno civile alla riflessione ed alla preghiera per la pace nel mondo. Nei venticinque anni di pontificato, che il Signore mi ha finora concesso, non ho cessato di levare la mia voce, di fronte alla Chiesa ed al mondo, per invitare i credenti, come tutte le persone di buona volonta', a far propria la causa della pace, per contribuire a realizzare questo bene primario, assicurando cosi' al mondo un'era migliore, nella serena convivenza e nel rispetto reciproco. Anche quest'anno sento il dovere di invitare gli uomini e le donne di ogni continente a celebrare una nuova Giornata mondiale della pace. L'umanita' infatti ha piu' che mai bisogno di ritrovare la strada della concordia, scossa com'e' da egoismi e da odi, da sete di dominio e da desiderio di vendetta. * La scienza della pace 2. Gli undici messaggi rivolti al mondo dal papa Paolo VI hanno progressivamente tracciato le coordinate del cammino da compiere per raggiungere l'ideale della pace. Poco a poco, il grande pontefice e' venuto illustrando i vari capitoli di una vera e propria "scienza della pace". Puo' essere utile riandare con la memoria ai temi dei messaggi lasciatici da papa Montini per tale occasione (2). Ognuno di essi conserva ancor oggi una grande attualita'. Anzi, di fronte al dramma delle guerre che, all'inizio del terzo millennio, ancora insanguinano le contrade del mondo, soprattutto in Medio Oriente, quegli scritti, in certi loro passaggi, assurgono al valore di moniti profetici. * Il sillabario della pace 3. Da parte mia, nel corso di questi venticinque anni di pontificato ho cercato di avanzare sul cammino intrapreso dal mio venerato predecessore. All'alba di ogni nuovo anno, ho richiamato le persone di buona volonta' a riflettere sui vari aspetti di una ordinata convivenza, alla luce della ragione e della fede. E' nata cosi' una sintesi di dottrina sulla pace, che e' quasi un sillabario su questo fondamentale argomento: un sillabario semplice da comprendere per chi ha l'animo ben disposto, ma al tempo stesso estremamente esigente per ogni persona sensibile alle sorti dell'umanita' (3). I vari aspetti del prisma della pace sono stati ormai abbondantemente illustrati. Ora non rimane che operare, affinche' l'ideale della pacifica convivenza, con le sue precise esigenze, entri nella coscienza degli individui e dei popoli. Noi cristiani, l'impegno di educare noi stessi e gli altri alla pace lo sentiamo come appartenente al genio stesso della nostra religione. Per il cristiano, infatti, proclamare la pace e' annunziare Cristo che e' "la nostra pace" (Ef 2, 14), e' annunziare il suo Vangelo, che e' "Vangelo della pace " (Ef 6, 15), e' chiamare tutti alla beatitudine di essere "artefici di pace" (cfr. Mt 5, 9). * L'educazione alla pace 4. Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del primo gennaio 1979 lanciavo gia' questo appello: "Per giungere alla pace, educare alla pace". Cio' e' oggi piu' urgente che mai, perche' gli uomini, di fronte alle tragedie che continuano ad affliggere l'umanita', sono tentati di cedere al fatalismo, quasi che la pace sia un ideale irraggiungibile. La Chiesa, invece, ha sempre insegnato ed insegna ancor oggi un assioma molto semplice: la pace e' possibile. Anzi, la Chiesa non si stanca di ripetere: la pace e' doverosa. Essa va costruita sui quattro pilastri indicati dal beato Giovanni XXIII nell'enciclica Pacem in terris, e cioe' sulla verita', la giustizia, l'amore e la liberta'. Un dovere, quindi, s'impone a tutti gli amanti della pace, ed e' quello di educare le nuove generazioni a questi ideali, per preparare un'era migliore per l'intera umanita'. * L'educazione alla legalita' 5. In questo compito di educare alla pace, s'inserisce con particolare urgenza la necessita' di guidare gli individui ed i popoli a rispettare l'ordine internazionale e ad osservare gli impegni assunti dalle autorita', che legittimamente li rappresentano. La pace ed il diritto internazionale sono intimamente legati fra loro: il diritto favorisce la pace. Fin dagli albori della civilta' i raggruppamenti umani che venivano formandosi ebbero cura di stabilire tra loro intese e patti che evitassero l'arbitrario uso della forza e consentissero il tentativo di una soluzione pacifica delle controversie via via insorgenti. Accanto agli ordinamenti giuridici dei singoli popoli si costitui' cosi' progressivamente un altro complesso di norme, che fu qualificato col nome di jus gentium (diritto delle genti). Col passare del tempo, esso venne estendendosi e precisandosi alla luce delle vicende storiche dei vari popoli. Questo processo subi' una forte accelerazione con la nascita degli Stati moderni. A partire dal XVI secolo giuristi, filosofi e teologi si impegnarono nella elaborazione dei vari capitoli del diritto internazionale, ancorandolo a postulati fondamentali del diritto naturale. In questo cammino presero forma, con forza crescente, principi universali che sono anteriori e superiori al diritto interno degli Stati, e che tengono in conto l'unita' e la comune vocazione della famiglia umana. Centrale fra tutti questi principi e' sicuramente quello secondo cui pacta sunt servanda: gli accordi liberamente sottoscritti devono essere onorati. E' questo il cardine ed il presupposto inderogabile di ogni rapporto fra parti contraenti responsabili. La sua violazione non puo' che avviare una situazione di illegalita' e di conseguenti attriti e contrapposizioni che non manchera' di avere durevoli ripercussioni negative. Risulta opportuno richiamare questa regola fondamentale, soprattutto nei momenti in cui si avverte la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del diritto. Uno di questi momenti fu senza dubbio il dramma che l'umanita' sperimento' durante la seconda guerra mondiale: una voragine di violenza, di distruzione e di morte quale mai s'era conosciuta prima d'allora. * L'osservanza del diritto 6. Quella guerra, con gli orrori e le terrificanti violazioni della dignita' dell'uomo a cui dette occasione, condusse ad un profondo rinnovamento dell'ordinamento giuridico internazionale. La difesa e la promozione della pace furono collocate al centro di un sistema normativo e istituzionale ampiamente aggiornato. A vegliare sulla pace e sulla sicurezza globali, a incoraggiare gli sforzi degli Stati per mantenere e garantire questi fondamentali beni dell'umanita', i governi chiamarono un'organizzazione appositamente costituita - l'Organizzazione delle Nazioni Unite - con un Consiglio di Sicurezza investito di ampi poteri d'azione. Quale cardine del sistema venne posto il divieto del ricorso alla forza. Un divieto che, secondo il noto cap. VII della Carta delle Nazioni Unite, prevede due sole eccezioni. Una e' quella che conferma il diritto naturale alla legittima difesa, da esercitarsi secondo le modalita' previste e nell'ambito delle Nazioni Unite: di conseguenza, anche dentro i tradizionali limiti della necessita' e della proporzionalita'. L'altra eccezione e' rappresentata dal sistema di sicurezza collettiva, che assegna al Consiglio di Sicurezza la competenza e la responsabilita' in materia di mantenimento della pace, con potere di decisione e ampia discrezionalita'. Il sistema elaborato con la Carta delle Nazioni Unite avrebbe dovuto "preservare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nell'arco di una vita umana ha inflitto indicibili sofferenze all'umanita'" (4). Nei decenni successivi, tuttavia, la divisione della comunita' internazionale in blocchi contrapposti, la guerra fredda in una parte del globo terrestre, i violenti conflitti scoppiati in altre regioni, il fenomeno del terrorismo, hanno prodotto un crescente scostamento dalle previsioni e dalle aspettative dell'immediato dopoguerra. * Un nuovo ordinamento internazionale 7. E' doveroso tuttavia riconoscere che l'Organizzazione delle Nazioni Unite, pur con limiti e ritardi dovuti in gran parte alle inadempienze dei suoi membri, ha contribuito notevolmente a promuovere il rispetto della dignita' umana, la liberta' dei popoli e l'esigenza dello sviluppo, preparando il terreno culturale e istituzionale su cui costruire la pace. L'azione dei governi nazionali trarra' un forte incoraggiamento dal constatare che gli ideali delle Nazioni Unite sono largamente diffusi, in particolare mediante i concreti gesti di solidarieta' e di pace delle tante persone che operano anche nelle organizzazioni non governative e nei movimenti per i diritti dell'uomo. Si tratta di un significativo stimolo per una riforma che metta l'Organizzazione delle Nazioni Unite in grado di funzionare efficacemente per il conseguimento dei propri fini statutari, tuttora validi: "L'umanita', di fronte a una fase nuova e piu' difficile del suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un grado superiore di ordinamento internazionale" (5). Gli Stati devono considerare tale obiettivo come un preciso obbligo morale e politico, che richiede prudenza e determinazione. Rinnovo l'auspicio formulato nel 1995: "Occorre che l'Organizzazione delle Nazioni Unite si elevi sempre piu' dallo stadio freddo di istituzione di tipo amministrativo a quello di centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro sviluppando la comune coscienza di essere, per cosi' dire, una "famiglia di nazioni" (6). * La piaga funesta del terrorismo 8. Oggi il diritto internazionale fa fatica ad offrire soluzioni alla conflittualita' derivante dai mutamenti nella fisionomia del mondo contemporaneo. Tale conflittualita', infatti, trova frequentemente tra i suoi protagonisti attori che non sono Stati, ma enti derivati dalla disgregazione degli Stati o legati a rivendicazioni indipendentiste o connessi con agguerrite organizzazioni criminali. Un ordinamento giuridico costituito da norme elaborate nei secoli per disciplinare i rapporti tra Stati sovrani si trova in difficolta' a fronteggiare conflitti in cui agiscono anche enti non riconducibili ai tradizionali caratteri della statualita'. Cio' vale, in particolare, nel caso dei gruppi terroristici. La piaga del terrorismo e' diventata in questi anni piu' virulenta e ha prodotto massacri efferati, che hanno reso sempre piu' irta di ostacoli la via del dialogo e del negoziato, esacerbando gli animi e aggravando i problemi, particolarmente nel Medio Oriente. Tuttavia, per essere vincente, la lotta contro il terrorismo non puo' esaurirsi soltanto in operazioni repressive e punitive. E' essenziale che il pur necessario ricorso alla forza sia accompagnato da una coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi terroristici. Allo stesso tempo, l'impegno contro il terrorismo deve esprimersi anche sul piano politico e pedagogico: da un lato, rimuovendo le cause che stanno all'origine di situazioni di ingiustizia, dalle quali scaturiscono sovente le spinte agli atti piu' disperati e sanguinosi; dall'altro, insistendo su un'educazione ispirata al rispetto per la vita umana in ogni circostanza: l'unita' del genere umano e' infatti una realta' piu' forte delle divisioni contingenti che separano uomini e popoli. Nella doverosa lotta contro il terrorismo, il diritto internazionale e' ora chiamato ad elaborare strumenti giuridici dotati di efficienti meccanismi di prevenzione, di monitoraggio e di repressione dei reati. In ogni caso, i governi democratici ben sanno che l'uso della forza contro i terroristi non puo' giustificare la rinuncia ai principi di uno Stato di diritto. Sarebbero scelte politiche inaccettabili quelle che ricercassero il successo senza tener conto dei fondamentali diritti dell'uomo: il fine non giustifica mai i mezzi. * Il contributo della Chiesa 9. "Beati gli operatori di pace, perche' saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5, 9). Come potrebbe questa parola, che invita a operare nell'immenso campo della pace, trovare cosi' intense risonanze nel cuore umano, se non corrispondesse ad un anelito e ad una speranza che vivono in noi indistruttibili? E per quale altro motivo gli operatori di pace saranno chiamati figli di Dio, se non perche' Egli per sua natura e' il Dio della pace? Proprio per questo, nell'annuncio di salvezza che la Chiesa diffonde nel mondo, vi sono elementi dottrinali di fondamentale importanza per l'elaborazione dei principi necessari ad una pacifica convivenza tra le nazioni. Le vicende storiche insegnano che l'edificazione della pace non puo' prescindere dal rispetto di un ordine etico e giuridico, secondo l'antico adagio: "Serva ordinem et ordo servabit te" (conserva l'ordine e l'ordine conservera' te). Il diritto internazionale deve evitare che prevalga la legge del piu' forte. Suo scopo essenziale e' di sostituire "alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto" (7), prevedendo appropriate sanzioni per i trasgressori, nonche' adeguate riparazioni per le vittime. Cio' deve valere anche per quei governanti i quali violano impunemente la dignita' e i diritti dell'uomo, celandosi dietro il pretesto inaccettabile che si tratterebbe di questioni interne al loro Stato. Rivolgendomi al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il 13 gennaio 1997, individuavo nel diritto internazionale uno strumento di prim'ordine per il perseguimento della pace: "Il diritto internazionale e' stato per molto tempo un diritto della guerra e della pace. Credo che esso sia sempre piu' chiamato a diventare esclusivamente un diritto della pace, concepita in funzione della giustizia e della solidarieta'. In questo contesto, la morale e' chiamata a fecondare il diritto; essa puo' esercitare altresi' una funzione di anticipo sul diritto, nella misura in cui gli indica la direzione del giusto e del bene" (8). Rilevante e' stato, nel corso dei secoli, il contributo dottrinale offerto dalla Chiesa, mediante la riflessione filosofica e teologica di numerosi pensatori cristiani, per orientare il diritto internazionale verso il bene comune dell'intera famiglia umana. In particolare, nella storia contemporanea i papi non hanno esitato a sottolineare l'importanza del diritto internazionale quale garanzia di pace, nella convinzione che "un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace" (Gc 3, 18). Su tale via e' impegnata, mediante gli strumenti che le sono propri, la Chiesa, alla luce perenne del Vangelo e con l'ausilio indispensabile della preghiera. * La civilta' dell'amore 10. Al termine di queste considerazioni ritengo, pero', doveroso ricordare che, per l'instaurazione della vera pace nel mondo, la giustizia deve trovare il suo completamento nella carita'. Certo, il diritto e' la prima strada da imboccare per giungere alla pace. Ed i popoli debbono essere educati al rispetto di tale diritto. Non si arrivera' pero' al termine del cammino, se la giustizia non sara' integrata dall'amore. Giustizia e amore appaiono, a volte, come forze antagoniste. In verita', non sono che le due facce di una medesima realta', due dimensioni dell'esistenza umana che devono vicendevolmente completarsi. E' l'esperienza storica a confermarlo. Essa mostra come la giustizia non riesca spesso a liberarsi dal rancore, dall'odio e perfino dalla crudelta'. Da sola, la giustizia non basta. Puo' anzi arrivare a negare se stessa, se non si apre a quella forza piu' profonda che e' l'amore. E' per questo che, piu' volte, ho ricordato ai cristiani e a tutte le persone di buona volonta' la necessita' del perdono per risolvere i problemi sia dei singoli che dei popoli. Non c'e' pace senza perdono. Lo ripeto anche in questa circostanza, avendo davanti agli occhi, in particolare, la crisi che continua ad imperversare in Palestina e in Medio Oriente: una soluzione ai gravissimi problemi di cui da troppo tempo soffrono le popolazioni di quelle regioni non si trovera' fino a quando non ci si decidera' a superare la logica della semplice giustizia per aprirsi anche a quella del perdono. Il cristiano sa che l'amore e' il motivo per cui Dio entra in rapporto con l'uomo. Ed e' ancora l'amore che Egli s'attende come risposta dall'uomo. L'amore e' percio' la forma piu' alta e piu' nobile di rapporto degli esseri umani anche tra loro. L'amore dovra' dunque animare ogni settore della vita umana, estendendosi anche all'ordine internazionale. Solo un'umanita' nella quale regni la "civilta' dell'amore" potra' godere di una pace autentica e duratura. All'inizio di un nuovo anno voglio ricordare alle donne ed agli uomini di ogni lingua, religione e cultura l'antica massima: "Omnia vincit amor" (l'amore vince tutto). Si', cari fratelli e sorelle di ogni parte del mondo, alla fine l'amore vincera'. Ciascuno si impegni ad affrettare questa vittoria. E' ad essa che, in fondo, anela il cuore di tutti. Dal Vaticano, 8 dicembre 2003. Giovanni Paolo II * Note 1. Insegnamenti, V (1967), 620. 2.1968: Primo gennaio: Giornata mondiale della pace 1969: La promozione dei diritti dell'uomo, cammino verso la pace 1970: Educarsi alla pace attraverso la riconciliazione 1971: Ogni uomo e' mio fratello 1972: Se vuoi la pace, lavora per la giustizia 1973: La pace e' possibile 1974: La pace dipende anche da te 1975: La riconciliazione, via alla pace 1976: Le vere armi della pace 1977: Se vuoi la pace, difendi la vita 1978: No alla violenza, Si' alla pace 3. Ecco i temi delle successive 25 Giornate mondiali della pace: 1979: Per giungere alla pace, educare alla pace 1980: La verita' come forza della pace 1981: Per servire la pace, rispetta la liberta' 1982: La pace, dono di Dio affidato agli uomini 1983: Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo 1984: La pace nasce da un cuore nuovo 1985: La pace e i giovani camminano insieme 1986: La pace e' valore senza frontiere. Nord-Sud, Est-Ovest: una sola pace 1987: Sviluppo e solidarieta', chiavi della pace 1988: La liberta' religiosa, condizione per la pacifica convivenza 1989: Per costruire la pace, rispettare le minoranze 1990: Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato 1991: Se vuoi la pace, rispetta la coscienza di ogni uomo 1992: I credenti uniti nella costruzione della pace 1993: Se cerchi la pace, va' incontro ai poveri 1994: Dalla famiglia nasce la pace della famiglia umana 1995: Donna: educatrice alla pace 1996: Diamo ai bambini un futuro di pace 1997: Offri il perdono, ricevi la pace 1998: Dalla giustizia di ciascuno nasce la pace per tutti 1999: Nel rispetto dei diritti umani il segreto della vera pace 2000: "Pace in terra agli uomini, che Dio ama!" 2001: Dialogo tra le culture per una civilta' dell'amore e della pace 2002: Non c'e' pace senza giustizia, non c'e' giustizia senza perdono 2003: "Pacem in terris": un impegno permanente 4. Preambolo. 5. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 43: AAS 80 (1988), 575. 6. Giovanni Paolo II, Discorso alla 50a Assemblea Generale delle Nazioni Unite, New York (5 ottobre 1995), 14: Insegnamenti, XVIII/2 (1995), 741. 7. Benedetto XV, Appello ai Capi dei popoli belligeranti, primo agosto 1917: AAS 9 (1917), 422. 8. N. 4: Insegnamenti, XX/1 (1997), 97. 3. INCONTRI. A TORINO UN INCONTRO CON L'ASSOCIAZIONE "PARENT'S CIRCLE" [Dagli amici del Centro studi Sereno Regis (per contatti: regis at arpnet.it) riceviamo e diffondiamo] Venerdi' 19 dicembre, alle ore 17, nella sala dell'antico macello, in via Matteo Pescatore 7, a Torino, si terra' un incontro con Lotty Camerman, Aaron Barnea e Khaled Abu Awad dell'associazione Parent's Circle. Nata nel 1995, Parent's Circle raccoglie oggi circa 500 famiglie israeliane e palestinesi, che svolgono attivita' rivolte all'opinione pubblica nei due campi, talora insieme, talora separatamente. "Siamo un gruppo di genitori in lutto che desidera impegnarsi per portare la pace tra israeliani e palestinesi. Noi, che abbiamo perso i nostri figli nella guerra tra i due popoli, sosteniamo la pace. Noi, madri e padri, vogliamo arrivare a un accordo fra i due popoli e desideriamo rafforzare i dirigenti di ambo le parti durante i negoziati". "Un progetto avviato di recente, dal nome Hallo Shalom, Hallo Salam, consiste in un numero telefonico gratuito che consente a israeliani e palestinesi di parlare tra di loro: negli ultimi due mesi in questo modo - ci racconta Frankenthal - 44.000 persone hanno potuto comunicare tra di loro. La filosofia ispiratrice di Parent's Circle e' la volonta' di reagire alla violenza, non con la pulsione della vendetta e l'istigazione all'odio, ma ricercando il dialogo e la riconciliazione con l'altro per fermare lo spargimento di sangue e agire per la pace, muovendo dall'esperienza traumatica del lutto che cosi' dolorosamente ha segnato le famiglie delle vittime" (Giorgio Gomel). L'incontro e' organizzato da: Centro studi Sereno Regis, Comitato oltre il razzismo, Donne in nero di Torino, Fondazione Istituto Piemontese A. Gramsci. 4. LIBRI. MARCELLA BRAVETTI PRESENTA "ACQUAFORTE" DI GLADYS BASAGOITIA [Ringraziamo Marcella Bravetti, animatrice del Comitato internazionale 8 marzo (per contatti: e-mail: donnemondo1 at interfree.it, sito: www.donnemondo.com) per questa segnalazione. Perugina, Marcella Bravetti e' nata nel 1938 da famiglia proletaria. E' presidente del "Comitato internazionale 8 marzo" dalla sua fondazione; e' stata operaia tessile alla Luisa Spagnoli dai 14 ai 50 anni (eta' in cui e' stata prepensionata), qui ha svolto attivita' sindacale prima nel consiglio di fabbrica e poi da distaccata alla Filtea-Cgil di Perugia. E' rientrata in fabbrica giusto in tempo per condividere con le proprie compagne la cassa integrazione e poi la lotta contro i licenziamenti, culminata con l'occupazione della fabbrica, di cui e' stata tra le principali protagoniste. Il "Comitato internazionale 8 marzo", che Marcella Bravetti presiede, e' una associazione multiculturale impegnata nella promozione dei diritti e per la valorizzazione delle culture delle donne; nasce nel 1987 a Perugia su iniziativa di un gruppo di donne di diversa nazionalita' e cultura; ha un sito (www.donnemondo.com) e pubblica un'agenda annuale "Di marzo in marzo"] Voglio segnalarvi l'uscita dell'ultima raccolta di poesie di Gladys Basagoitia (per contatti: luisagladys at interfree.it): Acquaforte, Fara Editore, Sant'Arcangelo di Romagna 2003, euro 10 (per richieste all'editore: fara at kaleidon.it). Gladys e' nata a Lima (Peru') biologa, vive da molti anni a Perugia; ha pubblicato in molti paesi tra cui, oltre che in Peru', in Argentina, Messico, Stati Uniti, Nicaragua e Portogallo. Molto impegnata per i diritti sociali e umani, molte sue poesie ne sono fortemente impregnate; sempre presente nei momenti cruciali come la guerra del Golfo, le stragi di mafia, fino alla guerra attuale: in tutti questi dolorosi momenti la sua poesia si e' fatta alta e drammatica di denuncia e, insieme, dolce e di speranza. Gladys, che oltre ad avere una grande vena poetica ha anche grandi doti recitative, ha partecipato a recital di poesie, insieme ad associazioni, come la nostra, che hanno dato vita alla rete di donne contro tutte le guerre attiva a Perugia dall'aggressione armata in Irak fino all'assemblea dell'Onu dei popoli. 5. POESIA E VERITA'. GLADYS BASAGOITIA: ANTIPOESIA I [Ringraziamo Marcella Bravetti per averci inviato questa poesia di Gladys Basagoitia apparsa in Gladys Basagoitia, Acquaforte, Fara Editore, Sant'Arcangelo di Romagna 2003] Accaniti armati fino alla punta dei capelli fino al filo dei denti in nome della pace lanciano l'amo e l'esca latte in polvere farina medicine scadute lanciano bombe e sorridono sperando che i bambini uccisi prendano il latte dai seni assassinati. 6. RIFLESSIONE. MARIA LUISA BOCCIA: TRA CORPO E LINGUAGGIO. UN ARTICOLO DEL 1999 [Ringraziamo Maria Luisa Boccia (per contatti: maluboccia at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo intervento gia' apparso sul quotidiano "Il manifesto" nell'agosto 1999. Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974 lavora all'Universita' di Siena, e attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore", "Reti" - ed a diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista, oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed ha concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato moltissimi interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002] Dunque la riproduzione artificiale sara', a breve, compiuta. La soglia, ultima e decisiva, per la nascita extracorporea, ovvero la possibilita' non solo di fecondare, ma di far compiere l'intera gestazione ad una macchina, sembra essere scientificamente acquisita, e diverra', sembra, praticabile, entro dieci anni. Questa la notizia appresa ieri dai giornali, che riferivano l 'ennesimo "annuncio-choc", ad opera, questa volta, di Robert Forman, direttore del Centro di medicina riproduttiva di Londra, senza alcuna preoccupazione di verificarne attendibilita' e consistenza. Liquidate in poche righe le informazioni sulla sperimentazione dell'utero artificiale (la cui riuscita e sviluppi sono, a quanto pare, indiscutibili), quest'ultimo e' gia' realta'; e come si conviene ai fatti, nudi e crudi, diviene istantaneamente oggetto dell'immaginario. Ci viene raccontato infatti con vivezza, da "La Repubblica", uno sceneggiato della Bbc sull'inusuale attesa di un figlio dal grembo artificiale (ma, rassicuratevi!, si provano "le stesse ansieta' di ogni genitore"); con subitaneo passaggio all'asettica terminologia scientifica, sono poi descritti i tre stadi della gestazione artificiale "nella realta'". Ne' manca - e come potrebbe? - la solita distinzione tra buoni e cattivi: ad avere il figlio "pronto" saranno le coppie sterili (sfortunate, ma la cui patologia e' legittimante, potenzialmente, di tutte le tecniche e sperimentazioni, compresa quest'ultima) e quelle in carriera (responsabili, al contrario, di una colpevole patologia sociale, e stigmatizzate quale simbolo della "fredda" fabbricazione di bambini). * La prima reazione e' quella di trovarsi di fronte all'ennesimo tassello di uno scenario noto, composto dai soliti ingredienti, miscelati piu' o meno ad arte; in modo, comunque, da confermare una lettura consolidata della ormai lunga vicenda della riproduzione artificiale. Oscurate, perche' assunte come tappe scontate del progresso scientifico-tecnologico, tutte le questioni, ed i dubbi, le curiosita', gli interrogativi, relativi alle sperimentazioni, all'effettivo cammino che nei laboratori si sta compiendo; semplificate, ed allo stesso tempo enfatizzate, le implicazioni sociali, nel duplice registro della mostrificazione e della rassicurazione, sembra che nessun evento-notizia susciti un'interrogazione appropriata alla effettiva portata della rivoluzione in atto. Che e' rivoluzione dei significati, o meglio e prima ancora, della capacita' stessa di comprendere i fatti, dei quali di volta in volta abbiamo notizia, secondo le coordinate di senso delle quali disponiamo. E, dunque, proviamo a interrogare l'annuncio di Londra, oltre la rappresentazione, purtroppo scontata, che ne e' stata offerta. Partendo dalla domanda piu' semplice: siamo di fronte a una effettiva novita', e di che tipo, e quanto e' credibile la prospettiva di un' applicazione dell'utero artificiale nella medicina procreativa? La notizia della sperimentazione sugli animali, in particolare il riferimento all'esperimento su embrioni di capra, non e' nuova. Gia' un anno fa suscito' commenti sui giornali, e non pochi distinguo quanto all'effettiva natura della macchina utilizzata. In particolare Carlo Flamigni sottolineo' che non si trattava di un utero artificiale, ma piuttosto di una sorta di incubatrice, piu' complessa e potente, non essendosi avuta una totale sostituzione del grembo materno. Secondo il ginecologo, autore a sua volta di sperimentazioni sulla gestazione extracorporea, la possibilita' di non avere alcun passaggio nell'utero materno, restava di difficilissima soluzione. Non sappiamo se nel frattempo questa difficolta' sia stata risolta, ne' se la macchina di cui parla Robert Forman sia altra da quella utilizzata a Tokio. Certo non e' indifferente, riguardo alle possibili applicazioni nella medicina procreativa, se si riesce o meno ad evitare quel malaugurato passaggio nel corpo femminile, del quale finora, nonostante tutto, non si e' riusciti a fare a meno. Sappiamo, invece, che non e' nuova la sperimentazione per ottenere questa difficilissima soluzione, al fine, appare ovvio, di poter svolgere, e controllare, l'intero processo riproduttivo nei laboratori. Detto in altri, e piu' sostanziali, termini: di sostituire alla procreazione umana la riproduzione tecnicoscientifica. Solo con l'utero artificiale si realizzerebbe infatti l'intento, fin qui perseguito (e soltanto fantasmatizzato nella fecondazione in vitro) di sostituire le tecnologie al corpo, la competenza scientifica alla capacita' generativa della madre. Prima di dare per acquisito che il traguardo sia raggiunto, fermiamoci a considerare cosa esso comporterebbe. Proprio per non perdere il vantaggio, concessoci anche da Forman quando rinvia di un decennio la sua attuazione pratica, di problematizzarne non tanto la concreta fattibilita', ma la portata simbolica, a partire dall'intenzionalita' che guida ricerche e sperimentazioni. * E' preliminare, a mio avviso, acquisire che tra le tecnologie procreative, attualmente operanti, e l'utero artificiale, la discontinuita' e' radicale. Nonostante siano ricorrenti definizioni quali "nati dalla provetta", o "figli della scienza", finche' le operazioni extracorporee restano il concepimento, il congelamento di gameti ed embrioni, le eventuali sperimentazioni o terapie su questi ultimi, si viene al mondo da donna. Ovvero la madre e' la mediazione primaria tra ogni essere umano e il mondo, tra la singolarita' e la specie, tra la nascita, quale evento naturale, e la sua iscrizione sociale e culturale. E' questo aspetto rilevantissimo che viene oscurato dal discorso, largamente prevalente, sulla contrapposizione tra tecnologia e natura, che venga fatto in una ottica favorevole, o viceversa contraria, all'inarrestabile "denaturalizzazione" della procreazione. Da questo punto di vista il discorso sulle tecniche fin qui operanti, sulle pratiche sociali e sulla loro regolamentazione, resta invariato. Per non innescare derive restauratrici paradossali, alla lunga inefficaci, ne' d'altra parte affidarsi con ingenuo ottimismo agli effetti liberatori della scienza (ampiamente smentiti dalla storia della medicalizzazione della nascita), la sola bussola per orientarsi e' l'insostituibile presenza di una donna, poiche' il suo grembo, e la gestazione che in esso si compie, non e' riducibile a un organo e alla sua funzione biologica. E' questo che costituisce tuttora la differenza tra uomo e donna nelle relazioni procreative; differenza, come ben sappiamo, non solo corporea e che, tuttavia, e' da sempre cosi' potente simbolicamente, perche' significa anche la corporeita'. Vorrei dire e' il tramite, per questa strana e peculiare specie che e' la nostra, di umani, tra corpo e linguaggio. * La prospettiva dell'utero artificiale e', a me sembra, l'estremo e percio' radicale tentativo di togliere di mezzo la differenza femminile, ora che non appare piu' plausibile assoggettarla. Con l'utero artificiale si compiono le fantasie opposte e pero' convergenti, maschili e femminili, di dissolvere questo aspetto, cosi' ingombrante, della differenza; quello, appunto, del quale non possiamo interamente disporre, che ci rinvia, piu' di quanto le libere menti e volonta' desiderino, alla nostra corporeita', vale a dire alla finitezza umana. Per le donne solo l'utero artificiale renderebbe infatti possibile pensarsi, anche e sopratutto nella procreazione, come gli uomini, e non piu' esposte a quella che Shulameith Firestone defini' "la gravidanza barbarica". Si puo' facilmente comprendere, credo, che possa risultare a molte donne allettante un compimento tecnologico, quale e' quello dell'utero artificiale se solo si consideri a quali e quanti costi le stesse tecniche fecondative espongono le donne, finche' quel grembo resta uno strumento biologico insostituibile. Per gli uomini, basta l'accanimento nelle sperimentazioni, teso a raggiungere il traguardo della completa riproduzione artificiale, a testimoniare quale, e quanto rilevante, sia per loro la posta in gioco. Non ci parlano, forse, le cronache anche di esperimenti per le gravidanze maschili, nonche' di confortanti percentuali del loro gradimento, negli inevitabili sondaggi di opinione? A testimonianza di quale sia il prezzo che l'altro sesso e' disposto a pagare, pur di porre definitivamente fine al primato femminile nella generazione. * C'e' un solo interrogativo che resta ineluso, a fronte di fantasie cosi' tenaci, e profondamente radicate nella violenta storia dei rapporti tra i sessi, dipanatasi tutta a partire da, e attorno a, questo nodo cruciale della differenza nella procreazione. Scomparsa la madre, risolto quel malaugurato passaggio nel corpo femminile, viene reciso il tramite non solo fisico tra la singolarita' che nasce e quella che genera: viene cioe' recisa l'origine umana, non meramente biologica, che fin qui nascere da donna assicurava. Per pensare questo salto nel vuoto, ci sentiamo, sia pur poco, attrezzati? A questa domanda la scienza, che pure la apre, non ha alcuna risposta da fornirci. 7. MAESTRI. DANILO DOLCI: LA SCELTA [Da Danilo Dolci, Inventare il futuro, Laterza, Bari 1968, 1972, p. 198-199. Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000] Non e' possibile prevedere se gli uomini sceglieranno di sopravvivere o di suicidarsi: ma se sceglieranno la vita - per paura se non per amore - questa scelta significhera' l'invenzione sempre piu' scientificamente organica dell'azione e della rivoluzione (cioe' anche di una cultura e di una morale) nonviolenta. 8. LETTURE. AUGUSTO CAVADI: VOLONTARIATO IN CRISI? Augusto Cavadi, Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003, pp. 70, euro 8. Una limpida e acuta ricognizione; una lettura che vivamente raccomandiamo (per contattare la casa editrice: tel. 0923540339, e-mail: ilpozzdigiacobbe at virgilio.it) 9. LETTURE. PIETRO INGRAO: LA GUERRA SOSPESA Pietro Ingrao, La guerra sospesa, Dedalo, Bari 2003, pp. 144, euro 15. Una raccolta di interventi e interviste dal 1980 ad oggi di una delle figure piu' prestigiose della sinistra italiana. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it, angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 763 del 18 dicembre 2003
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