La nonviolenza e' in cammino. 763



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 763 del 18 dicembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Mao Valpiana: dal pensiero nonviolento sull'Europa all'azione nonviolenta
per l'Europa
2. Giovanni Paolo II: un impegno sempre attuale: educare alla pace
3. A Torino un incontro con l'associazione "Parent's Circle"
4. Marcella Bravetti presenta "Acquaforte" di Gladys Basagoitia
5. Gladys Basagoitia: antipoesia I
6. Maria Luisa Boccia: tra corpo e linguaggio. Un articolo del 1999
7. Danilo Dolci: la scelta
8. Letture: Augusto Cavadi, Volontariato in crisi?
9. Letture: Pietro Ingrao, La guerra sospesa
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MAO VALPIANA: DAL PENSIERO NONVIOLENTO SULL'EUROPA ALL'AZIONE
NONVIOLENTA PER L'EUROPA
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per per
questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle
della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera
come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato
nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza
come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato
di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della
Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; un suo profilo autobiografico,
scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n.
435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario]

Non nascondo di essere rimasto deluso dal fatto che al termine del convegno
di Venezia sull'Europa neutrale dell'8 dicembre, non siamo riusciti a
realizzare la manifestazione che avevamo immaginato: alcune decine di
persone sul Ponte di Rialto con cartelli ed uno striscione sarebbero bastate
per rendere visibile il nostro messaggio. Ed invece ci siamo arenati: non
erano stati avvisati i giornalisti, non era stata fatta la comunicazione
alla Questura, non c'erano i cartelli ne' lo striscione.
Non voglio colpevolizzare nessuno, ma semplicemente evidenziare una mancanza
collettiva. Il pensiero senza l'azione e' inefficace; l'azione senza
pensiero e cieca. Dunque dobbiamo trovare, anche per la campagna "Europa
neutrale", il giusto equilibrio fra pensiero e azione.
Il dibattito seguito alla proposta per l'Europa neutrale e' stato ampio e
articolato. A mio giudizio l'elaborazione fatta collettivamente ha raggiunto
un buon livello di maturita'. Ora si tratta di articolare i contenuti per
una campagna vera e propria, e di individuare i luoghi e gli strumenti per
un'azione volta a raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti.
(Si badi bene che parlo semplicemente di azioni nonviolente, ed evito
accuratamente il termine "azione diretta nonviolenta", per non alimentare la
confusione che si sta creando attorno a questo concetto. Senza dover
scomodare le caricature o le mistificazioni - mi riferisco alle pseudoazioni
fatte con caschi, volti coperti, scudi, e condite con insulti alla
polizia -, rimango molto perplesso quando una minima, elementare,
semplicissima iniziativa viene pomposamente presentata come "azione diretta
nonviolenta". Recentemente persino l'invito ad un volantinaggio per il 4
novembre e' stato presentato come azione diretta; e si sfiora quasi il
ridicolo quando anche una proposta di raccolta fondi per Lilliput viene
presentata come azione diretta di autofinanziamento! C'e' il rischio di
creare equivoci e di perdersi in una grande confusione di termini).
Penso che la nostra campagna per l'Europa neutrale abbia a questo punto
urgente bisogno di una iniziativa pubblica nonviolenta. Ancor di piu' dopo
il fallimento del vertice di Bruxelles.
Immagino una esemplare manifestazione nonviolenta, condotta con rigore,
chiara nel messaggio e nella simbologia, preparata adeguatamente da un
digiuno, silenziosa piuttosto che chiassosa, propositiva piuttosto che
contestativa, gioiosa piuttosto che rabbiosa, dialogante piuttosto che
escludente.
Essendo una manifestazione pro Europa (disarmata, solidale, nonviolenta)
possiamo immaginarla in un luogo simbolico come un confine dove si combatte'
nella prima guerra mondiale, magari in una di quelle trincee oggi
trasformate in sentieri di pace. Se cosi' fosse potremmo programmarla in un
fine settimana della prossima primavera. Immaginare e realizzare una simile
iniziativa e' certo poca cosa; ma e' gia' un modo per passare dal pensiero
nonviolento sull'Europa, all'azione nonviolenta per l'Europa.

2. DOCUMENTI. GIOVANNI PAOLO II: UN IMPEGNO SEMPRE ATTUALE: EDUCARE ALLA
PACE
[Dal sito ufficiale del Vaticano (www.vatican.va) riprendiamo il testo del
messaggio del pontefice cattolico Giovanni Paolo II per la celebrazione
della giornata mondiale della pace del primo gennaio 2004]

A voi mi rivolgo, capi delle nazioni, che avete il dovere di promuovere la
pace.
A voi, giuristi, impegnati a tracciare cammini di pacifica intesa,
predisponendo convenzioni e trattati che rafforzano la legalita'
internazionale.
A voi, educatori della gioventu', che in ogni continente instancabilmente
lavorate per formare le coscienze nel cammino della comprensione e del
dialogo.
Ed anche a voi mi rivolgo, uomini e donne che siete tentati di ricorrere
all'inaccettabile strumento del terrorismo, compromettendo cosi' alla radice
la causa per la quale combattete.
Ascoltate tutti l'umile appello del successore di Pietro che grida: Oggi
ancora, all'inizio del nuovo anno 2004, la pace resta possibile. E se
possibile, la pace e' anche doverosa.
*
Una concreta iniziativa
1. Il primo mio messaggio per la Giornata mondiale della pace, all'inizio
del gennaio del 1979, era centrato sul motto: "Per giungere alla pace,
educare alla pace".
Quel messaggio di capodanno si inseriva nel solco tracciato dal Papa Paolo
VI, di v. m., il quale aveva voluto per il primo gennaio di ogni anno la
celebrazione di una Giornata mondiale di preghiere per la pace. Ricordo le
parole del compianto pontefice nel capodanno 1968: "Sarebbe nostro desiderio
che poi ogni anno questa celebrazione si ripetesse come augurio e come
promessa, all'inizio del calendario che misura e descrive il cammino della
vita umana nel tempo, che sia la pace con il suo giusto e benefico
equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire" (1).
Facendo mio il voto espresso dal venerato predecessore sulla cattedra di
Pietro, ogni anno ho voluto continuare la nobile tradizione, dedicando il
primo giorno dell'anno civile alla riflessione ed alla preghiera per la pace
nel mondo.
Nei venticinque anni di pontificato, che il Signore mi ha finora concesso,
non ho cessato di levare la mia voce, di fronte alla Chiesa ed al mondo, per
invitare i credenti, come tutte le persone di buona volonta', a far propria
la causa della pace, per contribuire a realizzare questo bene primario,
assicurando cosi' al mondo un'era migliore, nella serena convivenza e nel
rispetto reciproco.
Anche quest'anno sento il dovere di invitare gli uomini e le donne di ogni
continente a celebrare una nuova Giornata mondiale della pace. L'umanita'
infatti ha piu' che mai bisogno di ritrovare la strada della concordia,
scossa com'e' da egoismi e da odi, da sete di dominio e da desiderio di
vendetta.
*
La scienza della pace
2. Gli undici messaggi rivolti al mondo dal papa Paolo VI hanno
progressivamente tracciato le coordinate del cammino da compiere per
raggiungere l'ideale della pace. Poco a poco, il grande pontefice e' venuto
illustrando i vari capitoli di una vera e propria "scienza della pace". Puo'
essere utile riandare con la memoria ai temi dei messaggi lasciatici da papa
Montini per tale occasione (2). Ognuno di essi conserva ancor oggi una
grande attualita'. Anzi, di fronte al dramma delle guerre che, all'inizio
del terzo millennio, ancora insanguinano le contrade del mondo, soprattutto
in Medio Oriente, quegli scritti, in certi loro passaggi, assurgono al
valore di moniti profetici.
*
Il sillabario della pace
3. Da parte mia, nel corso di questi venticinque anni di pontificato ho
cercato di avanzare sul cammino intrapreso dal mio venerato predecessore.
All'alba di ogni nuovo anno, ho richiamato le persone di buona volonta' a
riflettere sui vari aspetti di una ordinata convivenza, alla luce della
ragione e della fede.
E' nata cosi' una sintesi di dottrina sulla pace, che e' quasi un sillabario
su questo fondamentale argomento: un sillabario semplice da comprendere per
chi ha l'animo ben disposto, ma al tempo stesso estremamente esigente per
ogni persona sensibile alle sorti dell'umanita' (3).
I vari aspetti del prisma della pace sono stati ormai abbondantemente
illustrati. Ora non rimane che operare, affinche' l'ideale della pacifica
convivenza, con le sue precise esigenze, entri nella coscienza degli
individui e dei popoli. Noi cristiani, l'impegno di educare noi stessi e gli
altri alla pace lo sentiamo come appartenente al genio stesso della nostra
religione. Per il cristiano, infatti, proclamare la pace e' annunziare
Cristo che e' "la nostra pace" (Ef 2, 14), e' annunziare il suo Vangelo, che
e' "Vangelo della pace  " (Ef 6, 15), e' chiamare tutti alla beatitudine di
essere "artefici di pace" (cfr. Mt 5, 9).
*
L'educazione alla pace
4. Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del primo gennaio 1979
lanciavo gia' questo appello: "Per giungere alla pace, educare alla pace".
Cio' e' oggi piu' urgente che mai, perche' gli uomini, di fronte alle
tragedie che continuano ad affliggere l'umanita', sono tentati di cedere al
fatalismo, quasi che la pace sia un ideale irraggiungibile.
La Chiesa, invece, ha sempre insegnato ed insegna ancor oggi un assioma
molto semplice: la pace e' possibile. Anzi, la Chiesa non si stanca di
ripetere: la pace e' doverosa. Essa va costruita sui quattro pilastri
indicati dal beato Giovanni XXIII nell'enciclica Pacem in terris, e cioe'
sulla verita', la giustizia, l'amore e la liberta'. Un dovere, quindi,
s'impone a tutti gli amanti della pace, ed e' quello di educare le nuove
generazioni a questi ideali, per preparare un'era migliore per l'intera
umanita'.
*
L'educazione alla legalita'
5. In questo compito di educare alla pace, s'inserisce con particolare
urgenza la necessita' di guidare gli individui ed i popoli a rispettare
l'ordine internazionale e ad osservare gli impegni assunti dalle autorita',
che legittimamente li rappresentano. La pace ed il diritto internazionale
sono intimamente legati fra loro: il diritto favorisce la pace.
Fin dagli albori della civilta' i raggruppamenti umani che venivano
formandosi ebbero cura di stabilire tra loro intese e patti che evitassero
l'arbitrario uso della forza e consentissero il tentativo di una soluzione
pacifica delle controversie via via insorgenti. Accanto agli ordinamenti
giuridici dei singoli popoli si costitui' cosi' progressivamente un altro
complesso di norme, che fu qualificato col nome di jus gentium (diritto
delle genti). Col passare del tempo, esso venne estendendosi e precisandosi
alla luce delle vicende storiche dei vari popoli.
Questo processo subi' una forte accelerazione con la nascita degli Stati
moderni. A partire dal XVI secolo giuristi, filosofi e teologi si
impegnarono nella elaborazione dei vari capitoli del diritto internazionale,
ancorandolo a postulati fondamentali del diritto naturale. In questo cammino
presero forma, con forza crescente, principi universali che sono anteriori e
superiori al diritto interno degli Stati, e che tengono in conto l'unita' e
la comune vocazione della famiglia umana.
Centrale fra tutti questi principi e' sicuramente quello secondo cui pacta
sunt servanda: gli accordi liberamente sottoscritti devono essere onorati.
E' questo il cardine ed il presupposto inderogabile di ogni rapporto fra
parti contraenti responsabili. La sua violazione non puo' che avviare una
situazione di illegalita' e di conseguenti attriti e contrapposizioni che
non manchera' di avere durevoli ripercussioni negative. Risulta opportuno
richiamare questa regola fondamentale, soprattutto nei momenti in cui si
avverte la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che
alla forza del diritto.
Uno di questi momenti fu senza dubbio il dramma che l'umanita' sperimento'
durante la seconda guerra mondiale: una voragine di violenza, di distruzione
e di morte quale mai s'era conosciuta prima d'allora.
*
L'osservanza del diritto
6. Quella guerra, con gli orrori e le terrificanti violazioni della dignita'
dell'uomo a cui dette occasione, condusse ad un profondo rinnovamento
dell'ordinamento giuridico internazionale. La difesa e la promozione della
pace furono collocate al centro di un sistema normativo e istituzionale
ampiamente aggiornato. A vegliare sulla pace e sulla sicurezza globali, a
incoraggiare gli sforzi degli Stati per mantenere e garantire questi
fondamentali beni dell'umanita', i governi chiamarono un'organizzazione
appositamente costituita - l'Organizzazione delle Nazioni Unite - con un
Consiglio di Sicurezza investito di ampi poteri d'azione. Quale cardine del
sistema venne posto il divieto del ricorso alla forza. Un divieto che,
secondo il noto cap. VII della Carta delle Nazioni Unite, prevede due sole
eccezioni. Una e' quella che conferma il diritto naturale alla legittima
difesa, da esercitarsi secondo le modalita' previste e nell'ambito delle
Nazioni Unite: di conseguenza, anche dentro i tradizionali limiti della
necessita' e della proporzionalita'.
L'altra eccezione e' rappresentata dal sistema di sicurezza collettiva, che
assegna al Consiglio di Sicurezza la competenza e la responsabilita' in
materia di mantenimento della pace, con potere di decisione e ampia
discrezionalita'.
Il sistema elaborato con la Carta delle Nazioni Unite avrebbe dovuto
"preservare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due
volte nell'arco di una vita umana ha inflitto indicibili sofferenze
all'umanita'" (4). Nei decenni successivi, tuttavia, la divisione della
comunita' internazionale in blocchi contrapposti, la guerra fredda in una
parte del globo terrestre, i violenti conflitti scoppiati in altre regioni,
il fenomeno del terrorismo, hanno prodotto un crescente scostamento dalle
previsioni e dalle aspettative dell'immediato dopoguerra.
*
Un nuovo ordinamento internazionale
7. E' doveroso tuttavia riconoscere che l'Organizzazione delle Nazioni
Unite, pur con limiti e ritardi dovuti in gran parte alle inadempienze dei
suoi membri, ha contribuito notevolmente a promuovere il rispetto della
dignita' umana, la liberta' dei popoli e l'esigenza dello sviluppo,
preparando il terreno culturale e istituzionale su cui costruire la pace.
L'azione dei governi nazionali trarra' un forte incoraggiamento dal
constatare che gli ideali delle Nazioni Unite sono largamente diffusi, in
particolare mediante i concreti gesti di solidarieta' e di pace delle tante
persone che operano anche nelle organizzazioni non governative e nei
movimenti per i diritti dell'uomo.
Si tratta di un significativo stimolo per una riforma che metta
l'Organizzazione delle Nazioni Unite in grado di funzionare efficacemente
per il conseguimento dei propri fini statutari, tuttora validi: "L'umanita',
di fronte a una fase nuova e piu' difficile del suo autentico sviluppo, ha
oggi bisogno di un grado superiore di ordinamento internazionale" (5). Gli
Stati devono considerare tale obiettivo come un preciso obbligo morale e
politico, che richiede prudenza e determinazione. Rinnovo l'auspicio
formulato nel 1995: "Occorre che l'Organizzazione delle Nazioni Unite si
elevi sempre piu' dallo stadio freddo di istituzione di tipo amministrativo
a quello di centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a
casa loro sviluppando la comune coscienza di essere, per cosi' dire, una
"famiglia di nazioni" (6).
*
La piaga funesta del terrorismo
8. Oggi il diritto internazionale fa fatica ad offrire soluzioni alla
conflittualita' derivante dai mutamenti nella fisionomia del mondo
contemporaneo. Tale conflittualita', infatti, trova frequentemente tra i
suoi protagonisti attori che non sono Stati, ma enti derivati dalla
disgregazione degli Stati o legati a rivendicazioni indipendentiste o
connessi con agguerrite organizzazioni criminali. Un ordinamento giuridico
costituito da norme elaborate nei secoli per disciplinare i rapporti tra
Stati sovrani si trova in difficolta' a fronteggiare conflitti in cui
agiscono anche enti non riconducibili ai tradizionali caratteri della
statualita'. Cio' vale, in particolare, nel caso dei gruppi terroristici.
La piaga del terrorismo e' diventata in questi anni piu' virulenta e ha
prodotto massacri efferati, che hanno reso sempre piu' irta di ostacoli la
via del dialogo e del negoziato, esacerbando gli animi e aggravando i
problemi, particolarmente nel Medio Oriente.
Tuttavia, per essere vincente, la lotta contro il terrorismo non puo'
esaurirsi soltanto in operazioni repressive e punitive. E' essenziale che il
pur necessario ricorso alla forza sia accompagnato da una coraggiosa e
lucida analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi terroristici.
Allo stesso tempo, l'impegno contro il terrorismo deve esprimersi anche sul
piano politico e pedagogico: da un lato, rimuovendo le cause che stanno
all'origine di situazioni di ingiustizia, dalle quali scaturiscono sovente
le spinte agli atti piu' disperati e sanguinosi; dall'altro, insistendo su
un'educazione ispirata al rispetto per la vita umana in ogni circostanza:
l'unita' del genere umano e' infatti una realta' piu' forte delle divisioni
contingenti che separano uomini e popoli.
Nella doverosa lotta contro il terrorismo, il diritto internazionale e' ora
chiamato ad elaborare strumenti giuridici dotati di efficienti meccanismi di
prevenzione, di monitoraggio e di repressione dei reati. In ogni caso, i
governi democratici ben sanno che l'uso della forza contro i terroristi non
puo' giustificare la rinuncia ai principi di uno Stato di diritto. Sarebbero
scelte politiche inaccettabili quelle che ricercassero il successo senza
tener conto dei fondamentali diritti dell'uomo: il fine non giustifica mai i
mezzi.
*
Il contributo della Chiesa
9. "Beati gli operatori di pace, perche' saranno chiamati figli di Dio" (Mt
5, 9). Come potrebbe questa parola, che invita a operare nell'immenso campo
della pace, trovare cosi' intense risonanze nel cuore umano, se non
corrispondesse ad un anelito e ad una speranza che vivono in noi
indistruttibili? E per quale altro motivo gli operatori di pace saranno
chiamati figli di Dio, se non perche' Egli per sua natura e' il Dio della
pace? Proprio per questo, nell'annuncio di salvezza che la Chiesa diffonde
nel mondo, vi sono elementi dottrinali di fondamentale importanza per
l'elaborazione dei principi necessari ad una pacifica convivenza tra le
nazioni.
Le vicende storiche insegnano che l'edificazione della pace non puo'
prescindere dal rispetto di un ordine etico e giuridico, secondo l'antico
adagio: "Serva ordinem et ordo servabit te" (conserva l'ordine e l'ordine
conservera' te). Il diritto internazionale deve evitare che prevalga la
legge del piu' forte. Suo scopo essenziale e' di sostituire "alla forza
materiale delle armi la forza morale del diritto" (7), prevedendo
appropriate sanzioni per i trasgressori, nonche' adeguate riparazioni per le
vittime. Cio' deve valere anche per quei governanti i quali violano
impunemente la dignita' e i diritti dell'uomo, celandosi dietro il pretesto
inaccettabile che si tratterebbe di questioni interne al loro Stato.
Rivolgendomi al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il 13
gennaio 1997, individuavo nel diritto internazionale uno strumento di
prim'ordine per il perseguimento della pace: "Il diritto internazionale e'
stato per molto tempo un diritto della guerra e della pace. Credo che esso
sia sempre piu' chiamato a diventare esclusivamente un diritto della pace,
concepita in funzione della giustizia e della solidarieta'. In questo
contesto, la morale e' chiamata a fecondare il diritto; essa puo' esercitare
altresi' una funzione di anticipo sul diritto, nella misura in cui gli
indica la direzione del giusto e del bene" (8).
Rilevante e' stato, nel corso dei secoli, il contributo dottrinale offerto
dalla Chiesa, mediante la riflessione filosofica e teologica di numerosi
pensatori cristiani, per orientare il diritto internazionale verso il bene
comune dell'intera famiglia umana. In particolare, nella storia
contemporanea i papi non hanno esitato a sottolineare l'importanza del
diritto internazionale quale garanzia di pace, nella convinzione che "un
frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di
pace" (Gc 3, 18). Su tale via e' impegnata, mediante gli strumenti che le
sono propri, la Chiesa, alla luce perenne del Vangelo e con l'ausilio
indispensabile della preghiera.
*
La civilta' dell'amore
10. Al termine di queste considerazioni ritengo, pero', doveroso ricordare
che, per l'instaurazione della vera pace nel mondo, la giustizia deve
trovare il suo completamento nella carita'. Certo, il diritto e' la prima
strada da imboccare per giungere alla pace. Ed i popoli debbono essere
educati al rispetto di tale diritto. Non si arrivera' pero' al termine del
cammino, se la giustizia non sara' integrata dall'amore. Giustizia e amore
appaiono, a volte, come forze antagoniste. In verita', non sono che le due
facce di una medesima realta', due dimensioni dell'esistenza umana che
devono vicendevolmente completarsi. E' l'esperienza storica a confermarlo.
Essa mostra come la giustizia non riesca spesso a liberarsi dal rancore,
dall'odio e perfino dalla crudelta'. Da sola, la giustizia non basta. Puo'
anzi arrivare a negare se stessa, se non si apre a quella forza piu'
profonda che e' l'amore.
E' per questo che, piu' volte, ho ricordato ai cristiani e a tutte le
persone di buona volonta' la necessita' del perdono per risolvere i problemi
sia dei singoli che dei popoli. Non c'e' pace senza perdono. Lo ripeto anche
in questa circostanza, avendo davanti agli occhi, in particolare, la crisi
che continua ad imperversare in Palestina e in Medio Oriente: una soluzione
ai gravissimi problemi di cui da troppo tempo soffrono le popolazioni di
quelle regioni non si trovera' fino a quando non ci si decidera' a superare
la logica della semplice giustizia per aprirsi anche a quella del perdono.
Il cristiano sa che l'amore e' il motivo per cui Dio entra in rapporto con
l'uomo. Ed e' ancora l'amore che Egli s'attende come risposta dall'uomo.
L'amore e' percio' la forma piu' alta e piu' nobile di rapporto degli esseri
umani anche tra loro. L'amore dovra' dunque animare ogni settore della vita
umana, estendendosi anche all'ordine internazionale. Solo un'umanita' nella
quale regni la "civilta' dell'amore" potra' godere di una pace autentica e
duratura.
All'inizio di un nuovo anno voglio ricordare alle donne ed agli uomini di
ogni lingua, religione e cultura l'antica massima: "Omnia vincit amor"
(l'amore vince tutto). Si', cari fratelli e sorelle di ogni parte del mondo,
alla fine l'amore vincera'. Ciascuno si impegni ad affrettare questa
vittoria. E' ad essa che, in fondo, anela il cuore di tutti.
Dal Vaticano, 8 dicembre 2003.
Giovanni Paolo II
*
Note
1. Insegnamenti, V (1967), 620.
2.1968: Primo gennaio: Giornata mondiale della pace
1969: La promozione dei diritti dell'uomo, cammino verso la pace
1970: Educarsi alla pace attraverso la riconciliazione
1971: Ogni uomo e' mio fratello
1972: Se vuoi la pace, lavora per la giustizia
1973: La pace e' possibile
1974: La pace dipende anche da te
1975: La riconciliazione, via alla pace
1976: Le vere armi della pace
1977: Se vuoi la pace, difendi la vita
1978: No alla violenza, Si' alla pace
3. Ecco i temi delle successive 25 Giornate mondiali della pace:
1979: Per giungere alla pace, educare alla pace
1980: La verita' come forza della pace
1981: Per servire la pace, rispetta la liberta'
1982: La pace, dono di Dio affidato agli uomini
1983: Il dialogo per la pace, una sfida per il nostro tempo
1984: La pace nasce da un cuore nuovo
1985: La pace e i giovani camminano insieme
1986: La pace e' valore senza frontiere. Nord-Sud, Est-Ovest: una sola pace
1987: Sviluppo e solidarieta', chiavi della pace
1988: La liberta' religiosa, condizione per la pacifica convivenza
1989: Per costruire la pace, rispettare le minoranze
1990: Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato
1991: Se vuoi la pace, rispetta la coscienza di ogni uomo
1992: I credenti uniti nella costruzione della pace
1993: Se cerchi la pace, va' incontro ai poveri
1994: Dalla famiglia nasce la pace della famiglia umana
1995: Donna: educatrice alla pace
1996: Diamo ai bambini un futuro di pace
1997: Offri il perdono, ricevi la pace
1998: Dalla giustizia di ciascuno nasce la pace per tutti
1999: Nel rispetto dei diritti umani il segreto della vera pace
2000: "Pace in terra agli uomini, che Dio ama!"
2001: Dialogo tra le culture per una civilta' dell'amore e della pace
2002: Non c'e' pace senza giustizia, non c'e' giustizia senza perdono
2003: "Pacem in terris": un impegno permanente
4. Preambolo.
5. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 43: AAS 80
(1988), 575.
6. Giovanni Paolo II, Discorso alla 50a Assemblea Generale delle Nazioni
Unite, New York (5 ottobre 1995), 14: Insegnamenti, XVIII/2 (1995), 741.
7. Benedetto XV, Appello ai Capi dei popoli belligeranti, primo agosto 1917:
AAS 9 (1917), 422.
8. N. 4: Insegnamenti, XX/1 (1997), 97.

3. INCONTRI. A TORINO UN INCONTRO CON L'ASSOCIAZIONE "PARENT'S CIRCLE"
[Dagli amici del Centro studi Sereno Regis (per contatti: regis at arpnet.it)
riceviamo e diffondiamo]

Venerdi' 19 dicembre, alle ore 17, nella sala dell'antico macello, in via
Matteo Pescatore 7, a Torino, si terra' un incontro con Lotty Camerman,
Aaron Barnea e Khaled Abu Awad dell'associazione Parent's Circle.
Nata nel 1995, Parent's Circle raccoglie oggi circa 500 famiglie israeliane
e palestinesi, che svolgono attivita' rivolte all'opinione pubblica nei due
campi, talora insieme, talora separatamente. "Siamo un gruppo di genitori in
lutto che desidera impegnarsi per portare la pace tra israeliani e
palestinesi. Noi, che abbiamo perso i nostri figli nella guerra tra i due
popoli, sosteniamo la pace. Noi, madri e padri, vogliamo arrivare a un
accordo fra i due popoli e desideriamo rafforzare i dirigenti di ambo le
parti durante i negoziati".
"Un progetto avviato di recente, dal nome Hallo Shalom, Hallo Salam,
consiste in un numero telefonico gratuito che consente a israeliani e
palestinesi di parlare tra di loro: negli ultimi due mesi in questo modo -
ci racconta Frankenthal - 44.000 persone hanno potuto comunicare tra di
loro. La filosofia ispiratrice di Parent's Circle e' la volonta' di reagire
alla violenza, non con la pulsione della vendetta e l'istigazione all'odio,
ma ricercando il dialogo e la riconciliazione con l'altro per fermare lo
spargimento di sangue e agire per la pace, muovendo dall'esperienza
traumatica del lutto che cosi' dolorosamente ha segnato le famiglie delle
vittime" (Giorgio Gomel).
L'incontro e' organizzato da: Centro studi Sereno Regis, Comitato oltre il
razzismo, Donne in nero di Torino, Fondazione Istituto Piemontese A.
Gramsci.

4. LIBRI. MARCELLA BRAVETTI PRESENTA "ACQUAFORTE" DI GLADYS BASAGOITIA
[Ringraziamo Marcella Bravetti, animatrice del Comitato internazionale 8
marzo (per contatti: e-mail: donnemondo1 at interfree.it, sito:
www.donnemondo.com) per questa segnalazione. Perugina, Marcella Bravetti e'
nata nel 1938 da famiglia proletaria. E' presidente del "Comitato
internazionale 8 marzo" dalla sua fondazione; e' stata operaia tessile alla
Luisa Spagnoli dai 14 ai 50 anni (eta' in cui e' stata prepensionata), qui
ha svolto attivita' sindacale prima nel consiglio di fabbrica e poi da
distaccata alla Filtea-Cgil di Perugia. E' rientrata in fabbrica giusto in
tempo per condividere con le proprie compagne la cassa integrazione e poi la
lotta contro i licenziamenti, culminata con l'occupazione della fabbrica, di
cui e' stata tra le principali protagoniste. Il "Comitato internazionale 8
marzo", che Marcella Bravetti presiede, e' una associazione multiculturale
impegnata nella promozione dei diritti e per la valorizzazione delle culture
delle donne; nasce nel 1987 a Perugia su iniziativa di un gruppo di donne di
diversa nazionalita' e cultura; ha un sito (www.donnemondo.com) e pubblica
un'agenda annuale "Di marzo in marzo"]

Voglio segnalarvi l'uscita dell'ultima raccolta di poesie di Gladys
Basagoitia (per contatti: luisagladys at interfree.it): Acquaforte, Fara
Editore, Sant'Arcangelo di Romagna 2003, euro 10 (per richieste all'editore:
fara at kaleidon.it).
Gladys e' nata a Lima (Peru') biologa, vive da molti anni a Perugia; ha
pubblicato in molti paesi tra cui, oltre che in Peru', in Argentina,
Messico, Stati Uniti, Nicaragua e Portogallo. Molto impegnata per i diritti
sociali e umani, molte sue poesie ne sono fortemente impregnate; sempre
presente nei momenti cruciali come la guerra del Golfo, le stragi di mafia,
fino alla guerra attuale: in tutti questi dolorosi momenti la sua poesia si
e' fatta alta e drammatica di denuncia e, insieme, dolce e di speranza.
Gladys, che oltre ad avere una grande vena poetica ha anche grandi doti
recitative, ha partecipato a recital di poesie, insieme ad associazioni,
come la nostra, che hanno dato vita alla rete di donne contro tutte le
guerre attiva a Perugia dall'aggressione armata in Irak fino all'assemblea
dell'Onu dei popoli.

5. POESIA E VERITA'. GLADYS BASAGOITIA: ANTIPOESIA I
[Ringraziamo Marcella Bravetti per averci inviato questa poesia di Gladys
Basagoitia apparsa in Gladys Basagoitia, Acquaforte, Fara Editore,
Sant'Arcangelo di Romagna 2003]

Accaniti
armati fino alla punta dei capelli
fino al filo dei denti
in nome della pace
lanciano l'amo e l'esca
latte in polvere
farina
medicine scadute
lanciano bombe e sorridono
sperando che i bambini uccisi
prendano il latte dai seni assassinati.

6. RIFLESSIONE. MARIA LUISA BOCCIA: TRA CORPO E LINGUAGGIO. UN ARTICOLO DEL
1999
[Ringraziamo Maria Luisa Boccia (per contatti: maluboccia at libero.it) per
averci messo a disposizione questo suo intervento gia' apparso sul
quotidiano "Il manifesto" nell'agosto 1999. Maria Luisa Boccia e' nata il 20
giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974 lavora all'Universita' di  Siena, e
attualmente vi insegna filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte
alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante
esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica
comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile,
l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad
orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze,  politiche e umane,
e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e
nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel
1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale
nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita
negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore",  "Reti" - ed a
diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al
suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu'
profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta"
dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato
dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo.
E' stata giornalista,  oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle
attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della
direzione del Pci, poi del Pds, ed ha  concluso questa esperienza politica
nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia,
e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato  moltissimi
interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative.
Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista"
n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne
per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto,
Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga,
Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione
artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e
la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi
mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita'
simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista
centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della
liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in
Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La
differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002]

Dunque la riproduzione artificiale sara', a breve, compiuta.
La soglia, ultima e decisiva, per la nascita extracorporea, ovvero la
possibilita' non solo di fecondare, ma di far compiere l'intera gestazione
ad una macchina, sembra essere  scientificamente acquisita, e diverra',
sembra, praticabile, entro dieci anni.
Questa la notizia appresa ieri dai giornali, che riferivano l 'ennesimo
"annuncio-choc", ad opera, questa volta, di Robert Forman, direttore del
Centro di medicina riproduttiva di Londra, senza alcuna preoccupazione di
verificarne attendibilita' e consistenza.
Liquidate in poche righe le informazioni sulla sperimentazione dell'utero
artificiale (la cui riuscita e sviluppi sono, a quanto pare, indiscutibili),
quest'ultimo e' gia' realta'; e come si conviene ai fatti, nudi e crudi,
diviene istantaneamente oggetto dell'immaginario. Ci viene raccontato
infatti  con vivezza, da "La Repubblica", uno sceneggiato della Bbc
sull'inusuale attesa di un figlio dal grembo artificiale (ma,
rassicuratevi!, si provano "le stesse ansieta' di ogni genitore"); con
subitaneo passaggio all'asettica terminologia scientifica, sono poi
descritti i tre stadi della gestazione artificiale "nella realta'". Ne'
manca - e come potrebbe? - la solita distinzione tra buoni e cattivi: ad
avere il figlio "pronto" saranno le coppie sterili (sfortunate, ma la cui
patologia e' legittimante, potenzialmente, di tutte le tecniche e
sperimentazioni, compresa quest'ultima) e quelle in carriera (responsabili,
al contrario, di una colpevole patologia sociale, e stigmatizzate quale
simbolo della "fredda" fabbricazione di bambini).
*
La prima reazione e' quella di trovarsi di fronte all'ennesimo tassello di
uno scenario noto, composto dai soliti ingredienti, miscelati piu' o meno ad
arte; in modo, comunque, da confermare una lettura consolidata della ormai
lunga vicenda della riproduzione artificiale. Oscurate, perche' assunte come
tappe scontate del progresso scientifico-tecnologico, tutte le questioni, ed
i dubbi, le curiosita', gli interrogativi, relativi alle sperimentazioni,
all'effettivo cammino che nei laboratori si sta compiendo; semplificate, ed
allo stesso tempo enfatizzate, le implicazioni sociali, nel duplice registro
della mostrificazione e della rassicurazione, sembra che nessun
evento-notizia susciti un'interrogazione appropriata alla effettiva portata
della rivoluzione in atto. Che e' rivoluzione dei significati, o meglio e
prima ancora, della capacita' stessa di comprendere i fatti, dei quali di
volta in volta abbiamo notizia, secondo le coordinate di senso delle quali
disponiamo.
E, dunque, proviamo a interrogare l'annuncio di Londra, oltre la
rappresentazione, purtroppo scontata, che ne e' stata offerta. Partendo
dalla domanda piu' semplice: siamo di fronte a una effettiva novita', e di
che tipo, e quanto e' credibile la prospettiva di un' applicazione
dell'utero artificiale nella medicina procreativa?
La notizia della sperimentazione sugli animali, in particolare il
riferimento all'esperimento su embrioni di capra, non e' nuova. Gia' un anno
fa suscito' commenti sui giornali, e non pochi distinguo quanto
all'effettiva natura della macchina utilizzata. In particolare Carlo
Flamigni  sottolineo' che non si trattava di un utero artificiale, ma
piuttosto di una sorta di incubatrice, piu' complessa e potente, non
essendosi avuta una totale sostituzione del grembo materno. Secondo il
ginecologo, autore a sua volta di sperimentazioni sulla gestazione
extracorporea, la possibilita' di non avere alcun passaggio  nell'utero
materno, restava  di difficilissima soluzione. Non sappiamo se nel frattempo
questa difficolta' sia stata risolta, ne' se la macchina di cui parla Robert
Forman sia altra da quella utilizzata a Tokio. Certo non e' indifferente,
riguardo alle possibili applicazioni nella medicina procreativa, se si
riesce o meno ad evitare quel malaugurato passaggio nel corpo femminile, del
quale finora, nonostante tutto, non si e' riusciti a fare a meno.
Sappiamo, invece, che non e' nuova la sperimentazione per ottenere questa
difficilissima soluzione, al fine, appare ovvio, di poter svolgere, e
controllare, l'intero processo riproduttivo nei laboratori. Detto in altri,
e piu' sostanziali, termini: di sostituire alla procreazione umana la
riproduzione tecnicoscientifica. Solo con l'utero artificiale si
realizzerebbe infatti l'intento, fin qui perseguito (e soltanto
fantasmatizzato nella fecondazione in vitro) di sostituire le tecnologie  al
corpo, la competenza scientifica alla capacita' generativa della madre.
Prima di dare per acquisito che il traguardo sia raggiunto, fermiamoci a
considerare cosa esso comporterebbe. Proprio per non perdere il vantaggio,
concessoci anche da Forman quando rinvia di un decennio la sua attuazione
pratica, di problematizzarne non tanto la concreta fattibilita', ma  la
portata simbolica, a partire dall'intenzionalita' che guida ricerche e
sperimentazioni.
*
E' preliminare, a mio avviso, acquisire che tra le tecnologie procreative,
attualmente operanti, e l'utero artificiale, la discontinuita' e' radicale.
Nonostante siano ricorrenti  definizioni quali "nati dalla provetta", o
"figli della scienza", finche' le operazioni extracorporee restano il
concepimento, il congelamento di gameti ed embrioni, le eventuali
sperimentazioni o terapie su questi ultimi, si viene al mondo da donna.
Ovvero la madre e' la mediazione primaria tra  ogni essere umano e il mondo,
tra la singolarita' e la specie, tra la nascita, quale evento naturale, e la
sua iscrizione  sociale e culturale. E' questo aspetto rilevantissimo che
viene oscurato dal discorso, largamente prevalente, sulla contrapposizione
tra tecnologia e natura, che venga fatto in una ottica favorevole, o
viceversa contraria, all'inarrestabile "denaturalizzazione" della
procreazione. Da questo punto di vista il discorso sulle tecniche fin qui
operanti, sulle pratiche sociali e sulla loro regolamentazione, resta
invariato.
Per non innescare derive restauratrici paradossali, alla lunga inefficaci,
ne' d'altra parte affidarsi con ingenuo ottimismo agli effetti liberatori
della scienza (ampiamente smentiti dalla storia della medicalizzazione della
nascita), la sola bussola per orientarsi e' l'insostituibile presenza di una
donna, poiche' il suo grembo, e la gestazione che in esso si compie, non e'
riducibile a un organo e alla sua funzione biologica. E' questo che
costituisce tuttora la differenza tra uomo e donna nelle relazioni
procreative; differenza, come ben sappiamo, non solo corporea e che,
tuttavia, e' da sempre cosi' potente simbolicamente, perche' significa anche
la corporeita'. Vorrei dire e' il tramite, per questa strana  e peculiare
specie che e' la nostra, di umani, tra corpo e linguaggio.
*
La prospettiva dell'utero artificiale e', a me sembra, l'estremo e percio'
radicale tentativo di togliere di mezzo la differenza femminile, ora che non
appare piu' plausibile assoggettarla. Con l'utero artificiale si compiono le
fantasie opposte e pero' convergenti, maschili e femminili, di dissolvere
questo aspetto, cosi' ingombrante, della differenza; quello, appunto, del
quale non possiamo interamente disporre, che ci rinvia, piu' di quanto le
libere menti e volonta' desiderino, alla nostra corporeita', vale a dire
alla finitezza umana.
Per le donne solo l'utero artificiale  renderebbe infatti possibile
pensarsi, anche e sopratutto nella procreazione, come gli uomini, e non piu'
esposte a quella che Shulameith Firestone defini' "la gravidanza barbarica".
Si puo' facilmente comprendere, credo, che possa risultare a molte donne
allettante un compimento tecnologico, quale e' quello dell'utero artificiale
se solo si consideri a quali e quanti costi le stesse tecniche fecondative
espongono le donne, finche' quel grembo resta uno strumento biologico
insostituibile.
Per gli uomini, basta l'accanimento nelle sperimentazioni, teso a
raggiungere il traguardo della completa riproduzione artificiale, a
testimoniare quale, e quanto rilevante, sia per loro la posta in gioco. Non
ci parlano, forse, le cronache anche di esperimenti  per le gravidanze
maschili, nonche' di confortanti percentuali del loro gradimento, negli
inevitabili sondaggi di opinione? A testimonianza di quale sia il prezzo che
l'altro sesso e' disposto a pagare, pur di porre definitivamente fine al
primato femminile nella generazione.
*
C'e' un solo interrogativo che resta ineluso, a fronte di fantasie cosi'
tenaci, e profondamente radicate nella violenta storia dei rapporti tra i
sessi, dipanatasi tutta a partire da, e attorno a, questo nodo cruciale
della differenza nella procreazione.
Scomparsa la madre, risolto quel malaugurato passaggio nel corpo femminile,
viene reciso il tramite non solo fisico tra la singolarita' che nasce e
quella che genera: viene cioe' recisa l'origine umana, non meramente
biologica, che fin qui nascere da donna assicurava.
Per pensare questo salto nel vuoto, ci sentiamo, sia pur poco, attrezzati? A
questa domanda la scienza, che pure la apre, non ha alcuna risposta da
fornirci.

7. MAESTRI. DANILO DOLCI: LA SCELTA
[Da Danilo Dolci, Inventare il futuro, Laterza, Bari 1968, 1972, p. 198-199.
Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43
dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di
Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale
(Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente
contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'.
Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di
massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del
1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica
scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento"
ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e
botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il
28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver
lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a
Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu'
povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio
al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la
denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si
impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la
costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a
Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le
disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro
intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2
febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di
disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una
strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958)
si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione".
Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare
questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza
sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del
fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle
accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della
vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo
Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino
1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli
attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto
Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a
Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci
e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a
processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo
metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita'
preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E'
convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento,
dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non
nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi
libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga,
impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere
e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico
sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi
nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di
alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di
costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro
economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che
faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento
di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per
tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno
necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni,
per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte
successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di
migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile;
l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e
cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile.
Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce
l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per
valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno
educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre
connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando
di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti
internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto,
frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con
numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla
distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci
evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi
al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di
effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione
capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della
complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone
"all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a
tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco
adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu'
recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra
esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica
e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge
della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30
dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo
spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel
portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita".
Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento
segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e
di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di
poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di
riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988;
La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Tra le
opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze
1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988
(sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore,
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe
Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo
Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000]

Non e' possibile prevedere se gli uomini sceglieranno di sopravvivere o di
suicidarsi: ma se sceglieranno la vita - per paura se non per amore - questa
scelta significhera' l'invenzione sempre piu' scientificamente organica
dell'azione e della rivoluzione (cioe' anche di una cultura e di una morale)
nonviolenta.

8. LETTURE. AUGUSTO CAVADI: VOLONTARIATO IN CRISI?
Augusto Cavadi, Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di
Giacobbe, Trapani 2003, pp. 70, euro 8. Una limpida e acuta ricognizione;
una lettura che vivamente raccomandiamo (per contattare la casa editrice:
tel. 0923540339, e-mail: ilpozzdigiacobbe at virgilio.it)

9. LETTURE. PIETRO INGRAO: LA GUERRA SOSPESA
Pietro Ingrao, La guerra sospesa, Dedalo, Bari 2003, pp. 144, euro 15. Una
raccolta di interventi e interviste dal 1980 ad oggi di una delle figure
piu' prestigiose della sinistra italiana.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it,
angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 763 del 18 dicembre 2003