La nonviolenza e' in cammino. 761



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 761 del 16 dicembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Angela Giuffrida: donne e guerra
2. Maria G. Di Rienzo: con chiarezza e con forza
3. Gualtiero Via: l'Europa e la pace
4. Ileana Montini: laicita'
5. Franca Bimbi: integralismi
6. Alcune donne della Margherita del Veneto: una riflessione sulla legge
sulla procreazione assistita, pessima e illiberale
7. Anna Maria Merlo: la Francia e i migranti
8. Anna Maria Merlo: la Francia, il velo, la legge
9. Anna Maria Merlo: simboli, regole, servizi pubblici
10. Anna Maria Merlo: il rapporto della commissione Stasi
11. Pubblicato "Convertirsi alla nonviolenza? Credenti e non credenti si
interrogano su laicita', religione, nonviolenza"
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. ANGELA GIUFFRIDA: DONNE E GUERRA
[Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per questo
intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra
le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002]

Desidero riflettere sul rapporto donne-guerra che e' causa di un persistente
fraintendimento.
Di solito, quando qualcuno sostiene che le donne non fanno la guerra, viene
zittito dalla perentoria affermazione che anche loro, quando hanno potere,
dichiarano e portano avanti guerre, esattamente come gli uomini. E' accaduto
anche a Venezia, l'8 dicembre scorso, in occasione del convegno in cui Lidia
Menapace ha presentato la sua proposta per un'Europa neutrale. Avrei voluto
intervenire in quella sede, ma ho volontariamente rinunciato per non ridurre
ulteriormente il tempo di quegli interventi volti a dare concretezza
all'interessante proposta di Lidia.
Voglio soffermarmi, pero', sull'argomento perche' mi permette di mostrare
come la permanenza nei meccanismi del pensiero dominante rende impossibile
una piena visualizzazione del reale.
Un semplice dato, isolato dal contesto, non consente inferenze universali.
E' vero, qualche guerra puo' essere addebitata alle donne, ma se si amplia
il campo d'osservazione ci si accorge immediatamente che il contesto nel
quale esse operano ubbidisce a regole imposte dagli uomini: non solo la
guerra e' un prodotto esclusivo della mente maschile, ma tutti i rapporti,
siano essi pubblici o privati, sono regolati da un sistema categoriale che
non appartiene alle donne. La loro cronica mancanza di potere rende
impossibile modificare le regole date e l'esiguo numero che raggiunge le
stanze dei bottoni deve per forza di cose "omologarsi".
L'interiorizzazione di paradigmi che strutturano in toto le comunita' da
circa cinquemila anni e', d'altronde, cosa di facile e comune comprensione,
per cui non e' corretto chiedersi perche' alcune donne perseguono o comunque
sostengono i modelli maschili, competitivi, verticistici, disumanizzanti,
vista anche la scarsa considerazione in cui vengono tenute le capacita' di
connettere e prendersi cura, definite sprezzantemente "femminili".
La domanda che dobbiamo porci e', invece, come mai le donne rappresentino
ancora oggi, nonostante l'invasivita' delle categorie paterne, la parte piu'
civile dell'umanita', come testimonia la razionale pratica quotidiana della
stragrande maggioranza delle donne del mondo.
Ora abbiamo strumenti formidabili per comprendere i motivi della diversita'
dei comportamenti maschili e femminili, diversita' autoevidente (ovunque
sono gli uomini che emarginano, sfruttano, perseguitano le donne che,
invece, continuano a prendersi cura di loro) ma non percepita da uno sguardo
che si concentra solo sui particolari senza cogliere l'insieme. Indagare
tale differenza si deve, non per dare inutili giudizi di valore e
ristabilire gerarchie, ma perche' donne e uomini possono dare un reale
contributo al superamento degli innumerevoli conflitti che lacerano il mondo
solo se non si attribuisce loro una impossibile uguaglianza.
Diverso e', infatti, il loro compito: poiche' da millenni la gestione delle
comunita' emana solo dalla mente maschile, e poiche' tale gestione risulta
indiscutibilmente fallimentare, all'uomo spetta il compito di ricercarne le
cause in se stesso, senza attribuirle di volta in volta ad un nemico
esterno, com'e' sua abitudine. La donna, invece di accollarsi fra le altre
anche responsabilita' non sue, contribuendo ad alimentare la gia' alta
irresponsabilita' maschile, deve riappropriarsi coscientemente delle
caratteristiche della propria mente e sistemarle in un apparato concettuale
contenitivo e connettivo,  di cui tutta la specie potra' usufruire per
riprendere la via dell'incivilimento, interrotta dall'avvento del
patriarcato autoritario.

2. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: CON CHIAREZZA E CON FORZA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]

Un apologo hindu: un agricoltore va da un monaco e si lamenta delle sue
sventure. Nonostante abbia scavato un buco al giorno nel suo campo, per
dieci giorni di seguito, non ha portato alla superficie una sola goccia
d'acqua. Concentrati su un buco solo, risponde il monaco, ma scavalo piu'
profondo che puoi. L'agricoltore segue il consiglio, e trova l'acqua.
La lezione e' ovvia: occuparsi di troppe istanze, o saltare da una
piattaforma all'altra, non sono d'aiuto per ottenere risultati; e' meglio se
ci concentriamo sul rafforzare ed approfondire il nostro impegno
nonviolento, un passo alla volta, una cosa alla volta, con chiarezza e
forza.
Il gruppo che ha lavorato l'8 dicembre a Venezia attorno alla proposta di
Lidia Menapace, "per un'Europa neutrale, disarmata, nonviolenta", e che
continuera' a lavorarci nei prossimi giorni, ha risposto a questa chiamata
positiva.
All'orizzonte vi e' il disarmo mentale, culturale e concreto della nostra
societa' umana, e la creazione di un'alternativa nonviolenta.
Nell'immediato, vi sono azioni tese ad aprire un dialogo creativo con chi,
come Prodi, ha prodotto documenti sulla futura direzione politica europea
includendo in essi un esplicito richiamo alla pace. Poiche' e' paradossale
parlare di pace, liberta' e giustizia, e nel contempo giudicare ineluttabile
la guerra, noi inviteremo Romano Prodi ad incontrare Lidia e quanti/e con
lei vorranno far parte della delegazione, per discutere di questo, tenendo
fermo il nostro scopo, ovvero l'inclusione del diritto alla pace e del
ripudio della guerra nella Costituzione europea.
Per costruire la nonviolenza nelle nostre vite non possiamo correre dietro
alle ombre: dobbiamo ricordare che la paura (di morire, di perdere cio' che
si ha) e' un potente motivatore della violenza fra gli stati e fra i
differenti settori delle societa'. Oggi il mondo basa le relazioni fra
persone sul terrore, sul dominio e sulla concentrazione delle risorse in
poche mani. Molta della "giustificazione" fornita a questo stato di cose
viene da trattati, accordi, costituzioni, eccetera. Un'Europa neutrale puo'
diventare un insegnamento nonviolento, un primo significativo passo verso
una diversa direzione.
I piccoli inizi, pazienti e persistenti, conducono ai grandi eventi. Questo
e' cio' che Cesar Chavez chiamava "la chimica della nonviolenza", cio' che
Barbara Deming chiamava "il genio della nonviolenza".

3. RIFLESSIONE. GUALTIERO VIA: L'EUROPA E LA PACE
[Ringraziamo Gualtiero Via (per contatti: gualtierov2000 at yahoo.it) per
questo intervento. Gualtiero Via e' particolarmente impegnato
nell'esperienza della Rete di Lilliput, del cui gruppo di lavoro tematico
sulla nonviolenza e i conflitti e' uno dei referenti]

Approfitto volentieri dell'invito a intervenire sulla proposta di Europa
militarmente neutrale avanzata dalla Convenzione permanente di donne contro
le guerre. Ritengo si tratti di una proposta alta, chiara e forte. Mi voglio
prendere il piccolo lusso - se mi e' concesso - di utilizzare questa
circostanza per parlare schiettamente e direttamente di politica. Credo che
sia tempo di farlo, infatti. Troppe cose sono mutate in poco tempo, e molto
piu' grandi di noi. Dobbiamo parlarne, anche se questo puo' comportare il
rischio di scoprire che parliamo - alcuni - lingue diverse.
*
Il nostro movimento
Il nostro movimento e' stato fino ad ora, nelle sue manifestazioni piu'
visibili e di massa, in buona parte oppositivo. Era, in certa misura almeno,
inevitabile. Di fronte a rischi incombenti ed evidenti - una nuova guerra
minacciata dalla massima potenza mondiale - la risposta oppositiva ha avuto
dei pregi. Per esempio, ha consentito di raccogliere tutto il consenso
possibile sul punto considerato principale, lasciando sullo sfondo altre
differenze. E' indubbio che questa opzione ha avuto il suo peso nella
estensione di massa del movimento contro l'aggressione all'Iraq. E io
ritengo che quella estensione di massa sia stata una cosa buona.
Tuttavia, si deve subito riconoscere che se esiste solo la dimensione
oppositiva e monotematica (o se altri apporti restano insufficienti e
marginali), e' fatale che restino insoddisfatte altre condizioni. Su questo
il recente intervento di Nanni Salio solleva, con la precisione per cui lo
apprezziamo in tanti, alcuni dei problemi piu' gravi. Sono i problemi - dal
piu' al meno - di ciascuna delle nostre reti, e alla cui soluzione ciascuno
di noi dovrebbe sentirsi in dovere di portare qualcosa. Ma non e' di quei
problemi, non in modo diretto ed esteso, che voglio ragionare ora.
L'Europa e' il campo di una accelerazione politica ed istituzionale molto
forte. Siamo nella stretta politica a cui hanno portato una lunga serie di
atti (o di omissioni, secondo i punti di vista), una stretta che viene assai
drammatizzata dalla pressione che gli Usa stanno esercitando sull'intera
situazione mondiale, con la loro politica di guerra, unilateralista e
aggressiva come mai prima d'ora. Parlare di Europa d'ora in poi dovra'
significare anche parlare di questa realta' di guerra in atto, o comunque di
questioni che vanno viste anche attraverso questa realta'.
*
Guardare all'Europa, come?
Il nostro movimento e' nato e vive con un'idea della democrazia e della
partecipazione molto sostanziale e pratica, e poco formale. Sappiamo tutti
molto bene, per esperienza diretta ed annosa, che anche in democrazia e nel
rispetto formale delle leggi, il potere di conoscenza ed intervento dei
cittadini puo' essere totalmente aggirato da oligarchie economiche,
finanziarie, politiche o mediatiche (e puo' essere addormentato da
opposizioni inefficaci o complici). Dobbiamo guardare con questa
consapevolezza, con questa esperienza e con questo disincanto anche ai
fatti, alle decisioni, ai processi, ai meccanismi decisionali dell'Europa.
Istituzioni come il Wto o la Banca Mondiale, nel giro di relativamente pochi
anni, sono stati costretti a riconoscere  nell'azione di monitoraggio di
organizzazioni non governative (ong) indipendenti e nella "opinione
pubblica" informata, delle domande che non si potevano piu' sempre e solo
ignorare. Mi riferisco a quella parte di movimento che fa il lavoro, poco
noto ai piu' ma preziosissimo, di "lobbing".
Ora, disponiamo dei verbali (vedi sito www.crbm.it) di diversi incontri fra
i responsabili delle relazioni esterne della Banca Mondiale, per esempio, e
le ong che ne stanno monitorando l'azione. Qualcuno sa per caso di qualcosa
di analogo in cui siano i portavoce di Pascal Lamy o di Romano Prodi a dover
dare risposte?
Certo, ci sono ragioni obiettive per cui Wto e Banca Mondiale hanno
catalizzato maggiore attenzione delle istituzioni comunitarie. Ma non
dovremmo guardare al processo di unificazione europea con lo stesso occhio
esigente, critico e competente con cui abbiamo guardato e guardiamo alle
altre istituzioni sovranazionali? Forse le infinite, minuziose e spesso
incomprensibili direttive comunitarie sulle piu' varie materie, sono
piu'trasparenti e condivise di tante norme del Wto? Forse che la politica
agricola comunitaria danneggia meno gli agricoltori dei paesi poveri del
mondo, rispetto alle politiche attuate dal Fondo Monetario Internazionale o
dal Gats?
Scrivo queste cose a poche ore dal fallimento dell'ultimo vertice europeo.
Credo che il fallimento sia l'epilogo inevitabile del tipo di Europa
disanimata e astratta - ma burocratica e costosa - che da anni e anni stanno
costruendo. Le cose non chiare, non condivise - e mai discusse, del resto -
del processo di unione europea, erano e sono molte. Quando venne approvato
il Trattato di Maastricht, nel '97, Ida Magli vi dedico' un libro (Contro
l'Europa, Bompiani, Milano 1997), che la politica italiana si guardo' bene
dal discutere (e fece molto male). L'Unione non ci ha - fino ad ora -
causato problemi gravi o traumi, o non percepibili (non percepiti) almeno, e
quindi non si sono viste fino ad ora grandi opposizioni. Ma chi si
arrischierebbe ancora a dire che in Italia e in Europa c'e' vero consenso?
Il consenso si dovrebbe basare sulla corretta e completa informazione. Quale
informazione c'e' stata e c'e' sull'unificazione europea?
Gran parte delle forze politiche europee, di centrodestra come di
centrosinistra, hanno investito sull'Unione europea in modo assoluto ed
aprioristico. Ci hanno presentato l'Unione non come una scelta possibile fra
altre, magari  preferibile ad altre, ma come una scelta senza alternative.
Ebbene, se quella scelta salta, cosa ci racconteranno? Chi potra'
avvantaggiarsene? Chi potra' continuare a contare su una visione coerente?
Per l'Italia (almeno: per quella politica e partitica), la risposta, temo,
e' facile facile: la destra. Ma con l'Unione fallita, o in via di
fallimento, su cosa si baserebbe (e attorno a chi si identificherebbe)
l'unita' del centrosinistra? Per molti (i ciechi e i sordi) queste domande,
questi problemi aperti, devono continuare ad essere ignorati. Non deve
essere cosi' anche per noi, non certo per il movimento contro le guerre, che
non puo' e non deve legare le sue sorti a una parte dello schieramento
politico italiano, se non vuole scomparire assai presto o diventare
residuale e ininfluente.
La proposta di "Europa neutrale" afferma uno sguardo libero ed
un'intelligenza pienamente autonoma sull'Europa e sul presente. Autonoma:
perche' assume un'agenda propria, e non segue quelle altrui. E fa tutto
questo con il linguaggio e gli strumenti del realismo politico (che non
voglio qui contrapporre, sia chiaro, all'immaginazione e alla creativita':
abbiamo bisogno dell'uno e dell'altra).
*
La proposta
La proposta di Europa militarmente neutrale si confronta col terreno
istituzionale e giuridico, al livello internazionale. Questo a taluni e'
sembrato un limite, un difetto, ma credo che si sia mal compreso l'obiettivo
della proposta. La proposta - se non sono io a sbagliare - non vuole essere
una sorta di carta etica o di manifesto del movimento per il disarmo. Se
cosi' fosse, e' vero che l'aggettivo "neutrale" sarebbe fonte di problemi.
"Neutrale" ha qui una precisa accezione giuridica, istituzionale: e se
vogliamo mettere "fuori la guerra dalla storia", e' un passaggio necessario.
Se ci rivolgiamo a forme definite, quali sono gli stati, dobbiamo sapere che
il loro status giuridico - qui ed ora - puo' variare in un numero limitato
di possibilita'. E' come se parlassimo di creare un'impresa economica: se io
dico "costituiamo una s.p.a.", e un altro dice "costituiamo una
cooperativa", parliamo entrambi di opzioni reali, esistenti, e di cui
possiamo confrontare i pro e contro. Se uno dice "la voglio libera, senza
bilanci, senza padroni ne' dipendenti", non dice una cosa giusta o
sbagliata, parla d'altro, semplicemente. Ora, la domanda e': vogliamo noi
fare proposte che sappiano e possano parlare anche alle istituzioni e agli
stati? Secondo me dobbiamo farlo.
Lo status giuridico di neutralita', non va allora confrontato con la nostra
idea di etica, o di nonviolenza, va confrontato con gli altri status
giuridici possibili: per esempio con l'essere parte (o a capo) di alleanze.
Ed eccoci allora al tema. Voglio fare osservare che proprio le alleanze sono
piu' frequentemente giustificate con fattori politici (o ideologici o
economici), e la politica puo' cambiare con molta facilita', avvolta com'e'
di norma in fraseologie altamente retoriche e autoindulgenti. La neutralita'
e' giuridicamente piu' facilmente definibile, e dunque e' anche
"costituzionalizzabile", puo' essere inserita come interna e fondante di un
assetto costituzionale: e non dovrebbe essere anche questo un nostro
obiettivo comune? Ma anche ove non si sia arrivati a questo, sara' molto
piu' facile, per una classe dirigente, giustificare il passaggio da
un'alleanza ad un'altra (lo vediamo con l'Europa dell'Est e le repubbliche
ex sovietiche d'Asia), che non il passaggio dalla neutralita' all'ingresso
in un'alleanza (cosa che infatti nessun politico, nemmeno conservatore, si
sogna di proporre, nei paesi neutrali come Svezia, Svizzera, Austria o
Finlandia).
Inoltre, nell'esperienza nota le alleanze sono con regolarita' addirittura
monotona il luogo di dinamiche emulativo-concorrenziali, aggressive, in tema
di armamenti, di uso dei servizi segreti, e di modelli di difesa. Pare poco?
Questo non e' vero (direi che non lo e' mai stato, per tutto il Novecento) o
lo e' in misura estremamente piu' ridotta per i paesi neutrali, Svezia,
Svizzera, Austria, Finlandia. Nessuno di questi paesi adotta modelli di
difesa marcatamente offensivi, come invece quelli che sono stati propri
della Nato (e dell'Urss, finche' e' esistita).
*
Visioni di futuro
La prima volta che ho sentito l'abbozzo di questa idea e' stato giusto un
anno fa, il 10 dicembre a Bologna.
Lidia Menapace proponeva il modo in cui dobbiamo approcciare la parola
d'ordine "fuori la guerra dalla storia". Per secoli, diceva, si e' creduto
che una serie di sciagure fossero maledizioni divine: fra queste le
pestilenze, le carestie e le guerre. Con le pestilenze, il mondo c'e'
arrivato a vedere che non erano maledizioni divine, ma mali terreni
curabili: non tutti, ma molti popoli ne sono liberi. Con le carestie ci si
sta lottando, ma e' chiaro anche li' che c'entrano piu' le azioni dell'uomo
che le maledizioni divine, Resta la guerra. Non e' tempo che ce ne occupiamo
con lo stesso spirito positivo e pratico con cui si e' fatto e si fa con le
altre sciagure? Dobbiamo aspettare forse qualcosa o qualcuno che ci dia il
permesso? Certo che no, dobbiamo cominciare.
Sappiamo che la pace si promuove in molti modi.
Si promuove con la forza dell'esempio e l'azione diretta nonviolenta. Si
promuove esigendo dal proprio stato politiche di pace e giustizia. E si
promuove anche cominciando a concepire il mondo in cui la guerra sara' fuori
dalla storia.
Il mondo di dopodomani, se sara', sara' senza stati, sara' abitato da
persone piu' libere di noi, che si' e no immaginiamo. Ma il mondo di domani,
se sara', sara' con stati (o "sovra-stati"), simili piu' o meno ai nostri,
ma stati neutrali.

4. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: LAICITA'
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]

La questione del crocifisso nelle scuole, quella della fecondazione
assistita, l'altra ancora del contributo alle famiglie che iscrivono i figli
alle scuole private (a maggioranza cattoliche), propongono il problema di
una laicita' mai raggiunta del Paese.
Non eravamo laici sotto il dominio democristiano, lo siamo pero' meno ora.
Con i governi democristiani era passato il divorzio e l'aborto e mai e'
passata la richiesta dei contributi finanziari per le iscrizioni alle scuole
private. "Comunione e Liberazione"  ha sempre cercato di sostenere la tesi
della "liberta'" di educare i propri figli nelle scuole dello Stato o in
quelle confessionali con il riconoscimento e il contributo finanziario
statale. Ora, sotto il potere berlusconiano, ci e' riuscita. E quando anche
i musulmani, giustamente, chiederanno l'equivalente per le loro scuole, cosa
succedera'?
In epoca postmoderna, dunque, si realizza una nuova tendenza sia allo stato
etico che a una presenza statale incombente delle varie confessioni
religiose. E tutto cio' con una strana dicotomia. Mentre la gente continua a
disertare la pratica religiosa cattolica (pare che soltanto un 30% frequenti
le chiese), i parlamentari invocano la liberta' di coscienza in tutti gli
schieramenti, di destra e di sinistra, per votare leggi come quella della
fecondazione assistita che chiaramente impone una morale di stato.
Mentre da noi la gente che in chiesa non va, ha levato gli scudi per
difendere il crocifisso nelle scuole dopo la sentenza favorevole alla
richiesta del  signor Smith musulmano di stretta osservanza, in Francia una
commissione ministeriale ha invitato il potere statale a vietare nei luoghi
pubblici i segni "ostentati" delle religioni, a partire dal velo per
arrivare alla croce. Ma la Francia non ha conosciuto il potere temporale dei
papi.
Ho conosciuto vecchi che ricordavano i racconti di altri vecchi vissuti ai
tempi dello Stato Pontificio nelle Romagne. Ebbene, vero o non vero,
narravano di un precetto pasquale obbligatorio, quanto a dire la confessione
e la comunione. Vero o non vero, il clima, l'humus doveva essere quello
dell'obbligo religioso. Che poi, accanto a questa realta' coesistesse
l'altra di un analfabetismo che raggiungeva il 70%, serve a comprendere come
la non laicita' significa anche prevalenza e tutela, su tutto, dei segni
della religiosita' ostentata. Il resto non importava ai signori papa.
E che la dimensione non laica si sposi con i rigurgiti del patriarcato e'
altrettanto vero. C'e' stato, c'e', un filone del femminismo che ha
dichiarato morto il patriarcato in nome della "liberta' femminile". Forse e'
stata una presa di posizione un po' precipitosa.
Anche le  battute  dei parlamentari  sulla possibilita' per le donne di
ricorrere al lattaio vista l'impossibilita' della fecondazione eterologa,
dimostrano assai eloquentemente la permanenza di uno stato d'animo
maschilista e, dunque, patriarcale.
*
In Italia non succedera' certamente nulla a proposito del velo islamico. Non
e' certamente necessario farne una questione, ma putroppo  non si avverte,
neppure a sinistra, la necessita' di interpretarne il senso.
Dichiara lo storico francese Max Gallo (su "L'Unita'" del 12 dicembre 2003):
"Con la proposta di far divieto di ostentare il velo islamico, come gli
altri simboli religiosi, siamo di fronte a questioni decisive, perche'
ineriscono alla persona, alla liberta' della persona, alla eguaglianza tra
le persone e quindi anche alla laicita'". Velo o crocifisso nei luoghi
pubblici, riguarda la laicita' nello stesso modo. Continua lo storico
francese: "La laicita' e' il principio che ogni persona ha la sua fede ma lo
spazio della scuola, che e' il luogo in cui nasce e si forma la persona del
'citoyen', non deve essere investito da una scelta predeterminata. Nessuno
vuole impedire a una ragazza o a un ragazzo di avere la propria fede; cio'
che si intende evitare e' che la scuola si trasformi in un 'bunker' delle
fedi religiose. In questa ottica concordo pienamente con l'idea di
secolarismo affermata dai venti saggi della Commissione, e cioe' che
secolarismo significa in primo luogo rispetto delle differenze".
Gianni Marsili, nella stessa pagina de "L'Unita'", riprende questa idea del
secolarismo, ovvero della laicita', affermando che si tratta dello statuto
della donna nella nostra societa'. Da una parte lo statuto della donna nella
nostra societa', dall'altra la separazione tra Stato e Chiesa con la
questione del crocifisso. Il velo sta a "ostentare" la proprieta', o
dominanza, degli uomini sulle donne, e il crocifisso l'appartenenza
religiosa dello Stato Padre.

5. RIFLESSIONE. FRANCA BIMBI: INTEGRALISMI
[Ringraziamo Franca Bimbi (per contatti: franca.bimbi at unipd.it) per questa
lettera che volentieri diffondiamo insieme all'appello che riportiamo di
seguito. Franca Bimbi e' docente universitaria e parlamentare, tra le sue
pubblicazioni recenti: (a cura di, con Alisa Del Re), Genere e democrazia.
La cittadinanza delle donne a cinquant'anni dal voto, Rosenberg & Sellier,
Torino 1997; (a cura di, con M. Carmen Belloni, presentazione di Massimo
Cacciari), Microfisica della cittadinanza. Citta', genere, politiche dei
tempi, Angeli, Milano 1997; (a cura di, con Rita D'Amico), Sguardi
differenti. Prospettive psicologiche e sociologiche della soggettivita'
femminile, Angeli, Milano 1998; "L'Italie. Concertation sans representation"
(con Vincent Della Sala), in Jane Jenson, Mariette Sineau (sous la direction
de), Qui doit garder le jeune enfant? Modes d'accueil et travail des meres
dans l'Europe en crise, L. G. D. J., Paris 1998; "Measurement, Quality, and
Social Change in Reproduction Time. The Twofold Presence of Women and the
Gift Economy", in Olwen Hufton, Yota Kravaritou (eds.), Gender and the Use
of Time / Gender and Emploi du Temps, European University Institute, Centre
for Advanced Studies, Firenze, Kluwer Law International, 1999; "The Family
paradigm in the Italian Welfare State", in Gonzalez Maria Jose', Jurado
Teresa, Naldini Manuela (eds.), Gender Inequalities in Southern Europe.
Women, Work and Welfare in the 1990s, South European Society & Politics,
4/2, Autumn 1999; (a cura di) Madri sole. Metafore della famiglia ed
esclusione sociale, Carocci, Roma 2000; (a cura di, con Cristina Adami,
Alberta Basaglia, Vittoria Tola), Liberta' femminile e violenza sulle donne,
Angeli, Milano 2000; (a cura di, con Ruspini Elisabetta) "Poverta' delle
donne e trasformazione dei rapporti di genere", in Inchiesta, 128,
aprile-giugno 2000; (a cura di), Sex Worker. Reti sociali, progetti e
servizi per uscire dalla prostituzione, Aesse, Roma 2000; "Prostituzione,
migrazioni e relazioni di genere", in Polis, 1, 2001; "Violenza di genere,
spazio pubblico, pratiche sociali", in C. Adami, A. Basaglia, V. Tola (a
cura di), Dentro la violenza: cultura, pregiudizi, stereotipi, Angeli,
Milano 2002; (a cura di), Differenze e diseguaglianze, Il Mulino, Bologna
2003]

Cari amici,
nella faticosa discussione sul tema della "procreazione assistita" (che
propongo di chiamare in maniera piu' chiara: "fecondazione con tecniche
medicali") un gruppo di donne della Margherita ha provato a riaprire un
dibattito... non feroce nell'Ulivo e con il Paese: tentando di non ferire i
riferimenti culturali di nessuno. Ma e' un percorso molto difficile.
La legge approvata e' pessima, venata di neo-costantinismo risorgente, come
lo e' anche il documento francese sulla laicita' della/nella scuola proposto
dagli esperti plurali di Chirac.
In Italia si dovrebbero sottoporre le donne ad un trattamento sanitario di
fecondazione obbligatoria, in Francia le ragazzine musulmane, dovrebbero
scegliere tra strapparsi il velo o finire fuori dalla scuola statale, gli
ebrei dovrebbero togliersi la kipa', chi porta una croce o una maglietta del
Che dovrebbe vedersela con le misure regolamentari: tutto questo in nome
dell'ordine pubblico!
Siamo di fronte a due integrismi speculari, perche' ognuno dei contendenti
pretende la propria verita' come valore universale, da imporre con la forza
del numero: la democrazia formale, su cui si misura la vittoria elettorale,
viene interpretata come regola per tacitare il pluralismo culturale.
Queste interpretazioni in atto delle  radici illuministe o cristiane
dell'Europa mi fanno pensare che la Costituzione europea dovrebbe nascere
senza nessun preambolo (solo il rifiuto della guerra!).
E' sintomatico che lo "scontro di civilta'" risorga dentro l'Occidente, che
la posta in gioco si focalizzi ancora sul corpo femminile e che alcune donne
siano come al solito disponibili a parlare in nome della "vera" moralita' o
della "vera" liberta' delle altre: stupisce, nel caso francese, che anche
alcune femministe si mettano in questa prospettiva.
Dimenticato il Vangelo e Montesquieu, resterebbero l'Inquisizione e
Robespierre.
Un caro saluto,
Franca Bimbi

6. APPELLI. ALCUNE DONNE DELLA MARGHERITA DEL VENETO: UNA RIFLESSIONE SULLA
LEGGE SULLA PROCREAZIONE ASSISTITA, PESSIMA E ILLIBERALE
[Da Franca Bimbi (per contatti: franca.bimbi at unipd.it), che ringraziamo,
riceviamo e  diffondiamo]

Donne e uomini dell'Ulivo: uniti per unire.
Questa riflessione, promossa da alcune donne della Margherita del Veneto, e
aperta all'adesione di tutti, riguarda la legge sulla procreazione
assistita.
E' scritta da persone contrarie a questa legge, ma si rivolge a tutte e a
tutti coloro che, nella Margherita e nell'Ulivo, sono consapevoli della
difficolta' e dell'importanza delle tematiche bioetiche, per proporre un
lavoro che affronti le differenze tra noi con rispetto reciproco e in
maniera costruttiva.
Ci rendiamo conto che quello che presentiamo e' solo uno dei punti di vista
sull'argomento: intendiamo offrirlo in maniera diretta, consapevoli della
sua parzialita', all'attenzione di tutta la coalizione.
La legge sulla procreazione assistita e' stata approvata dal Senato, ed
andra' alla Camera in gennaio per l'ultima lettura. A nostro avviso, si
tratta di una legge pessima, perche' illiberale e perche' foriera di altre
possibili illiberalita'.
Avremmo preferito che fosse respinta in toto e che si fossero pensate altre
modalita' di regolazione della fecondazione assistita, magari con una
legge-quadro leggera: per segnare i limiti delle sperimentazioni e della
ricerca, per garantire la salute delle donne e la nascita dei bambini in un
contesto familiare accogliente, per prevenire interventi di tipo eugenetico,
per rispettare l'autonomia del medico nelle sue scelte terapeutiche.
La legge approvata, nel tentativo di regolare una materia delicata, che
attiene a scelte difficili per la coscienza e per la vita delle persone,
blocca la ricerca e le metodiche oramai consolidate, imponendo ai medici di
sottoporre le donne a trattamenti sanitari obbligatori, al di la' della loro
volonta' e di quella dei loro partner.
Non difende la salute delle persone ma impone una concezione di difesa della
vita umana che non distingue tra valori affermati astrattamente e modi reali
di viverli, non rispettando cosi', nella sostanza, le relazioni di amore tra
madri, padri e bambini.
La legge contraddice liberta' costituzionalmente sancite in tema di garanzie
per la salute, di autonomia delle decisioni terapeutiche, di consenso
informato, di liberta' della ricerca.
A nostro avviso, non e' per niente riconducibile alle due maggiori
tradizioni politiche che convergono nella Margherita: il cattolicesimo
democratico e il pensiero liberale.
La discussione in Senato ha prodotto lacerazioni nell'Ulivo, sia per la
mancanza di dibattito tra i partiti della coalizione che per l'alleanza
trasversale "neoguelfa" con cui qualcuno ha creduto anche di difendere
valori religiosi: senza tener conto di un'opinione pubblica che si dimostra
capace di separare religione e politica e di distinguere tra verita' di fede
e responsabilita' da assumere nella vita affettiva, sessuale e riproduttiva.
Tuttavia il dibattito e' stato molto ideologizzato da tutti, e non ha tenuto
conto della profondita' e della cautela con cui le donne avevano affrontato
da tempo la tematica, nelle sue varie connessioni tra responsabilita' e
diritti delle donne, liberta' e limiti della ricerca scientifica,
potenzialita' e poteri della medicina procreativa.
Sono riemersi vecchi schemi (cattolici-laici), mentre non sono stati
considerati adeguatamente i modi con cui oggi deve essere gestito il
pluralismo culturale, di cui la Margherita, pur nelle sue contraddizioni,
intende farsi portatrice, cosi' com'e' scritto nella Carta dei principi che
abbiamo approvato nel congresso fondativo di Parma.
A questo punto, un lavoro di discussione collettiva, sia nell'Ulivo che tra
le donne uliviste, si rende necessario, anche per far sviluppare la lista
unica sul terreno di un confronto che non diminuisca nessuna componente e
nessuna cultura, ma porti ad una reale comprensione ed elaborazione del
rapporto tra le differenze, soprattutto dove appaiono non facilmente
eliminabili.
L'esperienza della discussione parlamentare sulla procreazione assistita, e
le sue ripercussioni nel Paese, ci spingono a chiedere un confronto
approfondito sulle questioni bioetiche nell'Ulivo e nella Margherita.
Lavorare in una prospettiva ulivista non significa affatto omologare le
differenze, bensi' comprendere anche questo tipo di percorsi.
Padova 13 dicembre 2003
Per adesioni al gruppo di lavoro, si puo' scrivere a: bimbi_f at camera.it

7. DIRITTI UMANI E LAICITA'. ANNA MARIA MERLO: LA FRANCIA E I MIGRANTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 dicembre 2003. Anna Maria Merlo e'
corrispondente da Parigi del quotidiano]

"Ci sono stati i beurs, oggi ci sono i musulmans. Ma cio' che non si vede e'
che l'immensa maggioranza dei giovani di origine immigrata e' altrove". In
questa frase padre Christian Delorme, il "parrocco delle Minguettes" che
vent'anni fa era stato all'origine della "marcia dei beurs" - partiti
appunto dal quartiere della periferia di Lione delle Minguettes per essere
ricevuti da Mitterrand all'Eliseo - riassume la situazione. Allora una
"marcia per l'eguaglianza e contro il razzismo", mentre adesso Jacques
Chirac deve decidere se far votare una legge per bandire i "segni
ostentatori di appartenza religiosa" (cioe' prima di tutto il velo islamico)
dalle scuole e mentre ormai a marciare nelle banlieues sono solo le ragazze
del collettivo "Ni putes ni soumises" (ne' puttane ne' sottomesse), che
chiedono il diritto elementare di essere delle cittadine come le altre e di
poter disporre del proprio corpo come meglio loro aggrada.
Non c'e' da esaltare il passato: la marcia dei beurs era stata allora una
risposta collettiva a una situazione gravissima. I crimini razzisti contro
persone di origine immigrata, soprattutto magrebina, si erano moltiplicati.
Ma vent'anni fa François Mitterrand era all'inizio della sua prima
presidenza e l'ambiente politico era diverso. Sull'onda della marcia,
partita da Lione con una ventina di persone e conclusasi a Parigi con piu'
di centomila in corteo, e' cresciuto Sos racisme, che e' riuscito a
sensibilizzare i francesi sulla questione del razzismo di cui sono vittime
le persone di origine immigrata.
Eppure, anche se ieri il primo ministro Jean-Pierre Raffarin ha ricevuto
simbolicamente a Matignon un gruppo di beurs che sono riusciti nella vita -
medici, avvocati, alti funzionari - la situazione appare bloccata, al punto
che il ministro degli interni Nicolas Sarkozy, dopo aver istituito il
Consiglio delle comunita' musulmane (un organo rappresentativo dei musulmani
di Francia, strumento per dialogare con il potere, come per i cattolici la
Conferenza episcopale, per il protestanti la Federazione delle chiese o per
gli ebrei il Crif), adesso propone di passare alla positive action: un
modello anglosassone di discriminazione positiva nella Francia repubblicana,
per tradizione assimilazionista, dove, ha promesso, un prefetto "musulmano"
verra' presto nominato.
Dal modello di integrazione degli individui, con l'appartenza religiosa
limitata alla sfera privata, la Francia starebbe passando al modello
comunitaristico. La sindaca di Strasburgo ha chiesto agli imam della citta'
di intervenire, per evitare che i loro fedeli continuino a bruciare le auto,
come se l'ordine pubblico dovesse ormai essere assicurato da istanze di
carattere privato.
Vent'anni fa la Francia aveva scoperto con la "marcia dei beurs" che gli
immigrati che erano stati chiamati per lavorare nell'industria avevano avuto
dei figli e che questi chiedevano il diritto di cittadinanza, alla stregua
degli altri francesi. Ma poi ci sono stati gli anni della disoccupazione, e
gli anni della crescita del Fronte nazionale (fino all'arrivo di Le Pen al
ballottaggio delle ultime presidenziali). Oggi, l'immagine dell'immigrato
non e' piu' quella dell'operaio silenzioso ma quella del giovane
disoccupato, relegato nei ghetti violenti dove vivono cittadini francesi che
la societa' non riesce piu' a integrare. La parte piu' consistente degli
immigrati di seconda e terza generazione, che si e' invece integrata, non ha
piu' voglia di confondersi con questa situazione.
Cosi' emerge solo cio' che e' problematico. Le periferie abbandonate cercano
di ricostruirsi un'anima e, in parte, si gettano nelle braccia della
propaganda religiosa. Una parte delle donne resistono (il movimento "Ni
putes ni soumises") ma molte si piegano o interiorizzano un'identita'
antica, con tutti gli arcaismi che essa comporta.

8. DIRITTI UMANI E LAICITA'. ANNA MARIA MERLO: LA FRANCIA, IL VELO, LA LEGGE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 dicembre 2003]

La confusione e' grande e la passionalita' sta ormai prendendo il
sopravvento in entrambi gli schieramenti che si fronteggiano
sull'eventualita' di una nuova legge che proibisca di portare "segni
ostentatori di appartenenza religiosa" nelle scuole e nelle amministrazioni
pubbliche. Introducendo norme piu' nette di quanto gia' non facciano le
leggi esistenti. Sia quella sulla separazione tra stato e chiesa del 1905,
che la circolare del ministero dell'educazione nazionale che aveva fatto
seguito ai primi casi di velo islamico nelle scuole nel 1989. Come ha detto
un deputato socialista, riassumendo bene la situazione, "Noi socialisti
siamo a favore di una legge, ma sappiamo che stiamo facendo una
sciocchezza". Giovedi' pomeriggio, la commissione insediata da Jacques
Chirac per dirimere la questione (presieduta dal deputato Bernard Stasi),
dopo aver intervistato numerose personalita' di tutti gli ambienti, dovra'
consegnare il suo rapporto al presidente. E Chirac potrebbe annunciare la
sua decisione gia' questa settimana, o piu' probabilmente la prossima. Da
Tunisi, il presidente francese ha fatto capire di essere favorevole a una
legge, ma nulla e' ancora deciso.
Ieri, le chiese cristiane hanno preso posizione. I leader delle comunita'
cattoliche, protestanti e ortodosse hanno scritto una lettera a Jacques
Chirac per chiedere che non venga promulgata nessuna legge. "Senza dubbio e'
necessario ricordare le regole del vivere assieme nello spazio scolastico -
scrivono - Ma bisogna legiferare per proibire di indossare il velo islamico
o, piu' ampiamente, qualsiasi segno religioso visibile? Siamo convinti che
non e' attraverso questa legge che verranno risolte positivamente le
difficolta' attuali". Il Consiglio francese del culto musulmano del resto si
era gia' espresso contro la legge, mentre la posizione degli ebrei e' piu'
sfumata. Il gran rabbino Joseph Sitruk si e' detto infatti "non favorevole
alla proibizione del foulard nella scuola pubblica", ma il Consiglio
rappresentativo delle istituzioni ebraiche di tutta la Francia afferma che
"quando delle ragazze arrivano a scuola con il velo, e' innegabile che ci
sia volonta' di proselitismo".
Alle posizioni delle chiese cristiane si e' contrapposto ieri, in
contemporanea, un appello pubblicato dal magazine "Elle" e firmato da
attrici, scrittici, intellettuali, da Isabelle Adjani alla stilista Sonia
Rykiel, passando per le storiche Elisabeth Badinter e Michelle Perrot, le
attrici Nathalie Baye, Emmanuelle Beart, Valeria Bruni-Tedeschi, Isabelle
Huppert e Jane Birkin e la psicoanalista Julia Kristeva. Trecento firme
sotto un testo rivolto direttamente al presidente Chirac: "In quanto garante
della Costituzione, vi chiediamo solennemente, al di la' del principio della
laicita', al quale teniamo tutte profondamente, di difendere con la piu'
grande intransigenza il principio dell'eguaglianza dei sessi... Il velo
islamico ci rimanda tutte, musulmane e non musulmane, a una discriminazione
verso le donne che e' intollerabile. Ogni compiacenza a questo riguardo
sara' percepita da ogni donna di questo paese come una violazione personale
della propria dignita' e liberta'".
Le chiese si coalizzano contro una legge, le donne insorgono, a cominciare
dalle ragazze impegnate nella lotta per la parita' nelle banlieues, come
Fadela Amara, presidente del movimento "Ni putes ni soumises" ("ne' puttane
ne' sottomesse").
E un sondaggio (realizzato dall'istituto Csa) rivela che il 57% dei francesi
e' favorevole a una legge chiara che metta al bando veli, croci e kippa'
dalle scuole, mentre il 41% e' contrario (e solo il 2% dichiara di non avere
un'opinione sulla questione). Ma le donne sono meno favorevoli degli uomini,
perche' piu' preoccupate della sorte che tocchera' alle ragazzine espulse da
scuola.
Un altro esempio di quanto il velo islamico, sempre piu' presente nelle
strade francesi anche nelle sue forme piu' estreme (doppio o triplo velo che
copre tutto il corpo, guanti neri, in alcuni casi anche una mousseline che
copre interamente il volto), cosi' come tutto cio' che esso trascina con
se', visto che non e' solo un vestito ma una professione di fede che impone
scelte quotidiane (sui contenuti degli studi, sulla frequentazione delle
piscine, nei rapporti con i medici e cosi' via), divida e appassioni
l'opinione pubblica francese. E spacchi gli schieramenti politici.
La sinistra e' normalmente piu' laica, ma mentre il Ps, dopo una forte
discussione interna, si e' schierato a favore della legge, il Pcf e' contro,
cosi' come lo sono i Verdi. Per i socialisti deve essere ribadito il
principio di laicita' che ha permesso alla Francia la pace tra le diverse
comunita'. Ma, risponde la segretaria del Pcf Marie Geroge Buffet, dove
finiranno poi le ragazze espulse perche' portano il velo in classe?
Contrari alle legge sono del resto anche i sindacati, e sempre in nome
dell'eguaglianza di trattamento tra cittadini. Dello stesso parere sono
docenti universitari come Etienne Balibar, ma anche associazioni
antirazziste come Sos Racisme, il Mrap o la Lega dei diritti dell'uomo.
Ma un'analoga spaccatura si riproduce nella destra. Il governo e' favorevole
a una legge (fatte salve le riserve espresse dal ministro degli interni,
Nicolas Sarkozy), l'Ump si e' pronunciato per la legge, ma l'Udf (i
democristiani francesi) si e' gia' schierata contro. Perche' anche chi vota
a destra, ed e' quindi meno aperto verso gli immigrati e in particolare
quelli di religione musulmana, puo' finire per opporsi alla nuova legge
aderendo alla posizione assunta dalla chiesa cattolica.
Ma e' nella realta' di tutti i giorni, nelle scuole e ancor di piu' negli
ospedali, che la questione diventa davvero esplosiva.

9. DIRITTI UMANI E LAICITA'. ANNA MARIA MERLO: SIMBOLI, REGOLE, SERVIZI
PUBBLICI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 dicembre 2003]

Non sono solo gli insegnanti a dover fare i conti con la presenza dei
simboli religiosi, ma anche gli ospedali e, sempre di piu', i luoghi di
lavoro.
Il primo caso di foulard a scuola scoppio' nell'89 a Creil e dette luogo a
una serie di interventi normativi. L'ultimo caso mediatico e' scoppiato
circa un mese fa, quando Lila e Alma, due allieve del liceo Henri Wallon di
Aubervilliers, alla periferia di Parigi, sono state espulse dopo che i
tentativi per trovare un modus vivendi (mettere un piu' discreto bandana al
posto del velo) sono falliti.
"Nel `94, nel momento piu' caldo del secondo caso di velo - spiega Hanifa
Cherifi, che e' stata mediatrice su questa questione per il ministero
dell'educazione - avevamo tremila incidenti per i quali era necessario un
intervento. Nel 2002: solo piu' 150 casi. La maggior parte delle volte i
problemi si risolvono in modo informale. Le ragazze accettano di non portare
il foulard in classe, piuttosto che rischiare di perdere un anno scolastico
in conflitto con l'istituzione".
Ma anche Hanifa Cherifi capisce che molti insegnanti chiedano una legge:
"L'adozione del velo rinvia alla crescita di un islamismo militante che si
sviluppa nei quartieri di periferia, come un'alternativa all'integrazione
mancata. Da cinque anni a questa parte - aggiunge - abbiamo sempre di piu'
ragazzine di prima media che portano il bandana, dei ragazzi che vogliono
avere il venerdi' pomeriggio libero per andare alla moschea, o che si sono
messi a fare il Ramadan con il rischio di compromettere l'attenzione alle
lezioni". Contestazioni sul menu delle mense, allievi che esigono una sala
di preghiera durante le ore di lezione. Malgrado cio', il principale
sindacato degli insegnanti, la Fsu, resta molto tiepido rispetto alla
necessita' di una legge. Invece, il sindacato dei presidi, su cui ricade la
scelta dell'eventuale esclusione, e' chiaramente a favore.
Gli insegnanti che sono stati ascoltati dalla commissione Stasi hanno tutti
espresso il loro imbarazzo. "Come faccio a determinare cosa e' ostentatorio
e cosa non lo e'?" si e' chiesta una preside, "molto dipende dal contesto".
Nessun cedimento, invece, su richieste di essere esonerati da certi corsi o
di portare il velo durante le esperienze di chimica.
Ma se la scuola e' nell'occhio del ciclone ed e' il luogo dove sembra piu'
facile imporre regole eguali per tutti, ormai la questione del velo ha
invaso altri campi: il lavoro e, soprattutto, gli ospedali. E' la novita'
che e' stata messa in luce dai lavori della commissione Stasi.
Medici e infermieri sono venuti a raccontare quello che vivono tutti i
giorni: donne incinte che rifiutano di farsi visitare da medici uomini, che
pretendono di partorire con il chador e, da due o tre anni, anche
studentesse in medicina degli ultimi anni, che possono lavorare in ospedale
come "interne", che arrivano con il velo. "Le regioni interessate sono
soprattutto l'Ile de France, l'est e il nord" spiegano alla Commissione
medica. Ma a Lione, alla maternita' dell'Hotel Dieu, dal 12 novembre e'
stato affisso un cartello: "Informazione importante da leggere prima
dell'iscrizione in maternita': il personale medico e paramedico del servizio
ginecologia-ostetricia e' misto. Non possiamo in nessun modo garantire che
sarete seguite ed esaminate durante la gravidanza solo da donne. In caso di
rifiuto di essere eventualmente curate da un uomo, siamo spiacenti di non
potervi iscrivere per il parto".
Per i medici c'e' un rischio legale: esiste, certo, la "giurisprudenza dei
Testimoni di Geova" che permette al medico di sfuggire al processo quando il
paziente rifiuta certe cure, ma sono gia' molti i casi in cui sia il marito
della donna a rifiutare un parto con il cesareo. Nel caso il bambino muoia
(e' gia' successo), il medico puo' essere incriminato per "non assistenza a
persona in pericolo". Stessa cosa al pronto soccorso. "Non e' il mio
lavoro - spiega un medico - se devo perdere venti minuti per negoziare
quando c'e' urgenza, e se la cosa finisce male chi e' responsabile?". Ci
sono stati anche casi di aggressioni fisiche: all'Hotel Dieu di Lione il
cartello e' stato affisso dopo che un medico e' stato aggredito con il
coltello da un marito, al grido: "L'hai toccata, ti faro' la pelle!".
L'ospedale pubblico e il pronto soccorso, ultimo porto per chi non puo'
permettersi di pagare, sono in prima linea senza sapere come comportarsi.
Anche il mondo del lavoro e' investito dal problema. Recentemente, tre casi
hanno attirato l'attenzione: una ragazza che faceva teleinchieste ed e'
stata licenziata perche' era velata ha fatto causa e ha vinto; a Lione il
tribunale ha dato ragione, ma solo per vizio di forma e non sulla sostanza,
a una impiegata municipale che voleva lavorare con il velo, mentre a Parigi
il sindaco Bertrand Delanoy sta cercando di risolvere in modo informale il
caso di un'assistente sociale del comune che appena e' stata assunta a tempo
pieno si e' messa il velo e rifiuta di stringere la mano agli uomini.
A Parigi, Delanoy ha anche il problema di una piscina, nel XIV
arrondissement, che il sabato mattina e' gestita da un'associazione di donne
musulmane e che proibisce l'entrata agli uomini. A Lilla, Martine Aubry ha
permesso che una piscina di un quartiere popolare fosse riservata "alle
signore" il venerdi' sera (ma ha dovuto precisare: non solo musulmane). A
Strasburgo, la richesta per i bagni municipali era venuta da un'associazione
di donne ebree. Il comune ha approvato l'idea e si giustifica cosi': Nnon lo
abbiamo fatto per ragioni religiose, ma perche' c'e' la domanda. Abbiamo
anche orari per gli handicappati o per le persone in sovrappeso".

10. DIRITTI UMANI E LAICITA'. ANNA MARIA MERLO: IL RAPPORTO DELLA
COMMISSIONE STASI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 dicembre 2003]

Jacques Chirac prende tempo. Annuncera' mercoledi' prossimo le conclusioni
che ha tratto dal contenuto del rapporto sull'applicazione dei principi
della laicita' che la commissione presieduta da Bernard Stasi e istituita
nel luglio scorso ha presentato ieri al presidente.
La commissione Stasi, dopo aver ascoltato il parere di circa 140 persone
messe a confronto nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri e
nell'amministrazione con la presenza sempre piu' imponente di manifestazioni
appariscenti di appartenenza religiosa, e' arrivata alla conclusione che la
Francia, per preservare la laicita' - cioe' la neutralita' dello spazio
pubblico - ha bisogno di una legge chiarificatrice.
Quasi a compensazione, i saggi propongono che le scuole francesi introducano
due nuovi giorni di vacanza: per lo Yom Kippur e per l'Aid el Kebir.
La nuova legge dovrebbe proibire nelle scuole e nei locali che dipendono
dalla pubblica amministrazione abiti e segni che manifestano
un'"appartenenza religiosa e politica". Solo i "segni appariscenti" dovranno
essere banditi, suggeriscono i venti saggi: cioe' "grosse croci, veli,
kippa'", mentre potranno essere portati i "segni discreti", come "medaglie,
piccole croci, stelle di David, mani di Fatima e piccoli Corani". Le scuole
private, molte confessionali, non rientrano nello spazio di applicazione
della legge, mentre tutte le amministrazioni pubbliche dovranno rispettare
il dovere di neutralita'. La legge non riguardera' le universita', anche se
in questo caso i saggi suggeriscono di adottare dei regolamenti che
proibiscano esplicitamente il rifiuto di insegnanti "a causa del sesso o
della religione presupposta". Anche negli ospedali, luoghi in cui la
difficile situazione e' stata messa in luce proprio dalle consultazioni con
medici e infermieri, bisogna chiarire che i pazienti non avranno diritti di
ricusare nessun membro del personale sanitario in base al sesso o alla
religione. Nelle prigioni bisognera' evitare che gli spazi collettivi siano
"sequestrati da qualsiasi appropriazione comunitaria". Nelle imprese, e' la
direzione che deve poter "regolamentare il vestiario".
Quasi per dare una compensazione a chi e' religioso e dovra' restare
discreto nello spazio pubblico, la commissione Stasi propone di aggiungere
ai giorni di vacanza a scuola, che sono legati al cattolicesimo, anche le
principali feste di altre religioni, in particolare il Kippur e l'Aid el
Kebir (ma nelle imprese, i dipendenti potranno chiedere di festeggiare anche
il Natale ortodosso o altro, compensando con un giorno di lavoro). Le mense
scolastiche dovranno tenere conto delle richieste dei credenti, ma in modo
"ragionevole". Infine, i saggi propongono che venga varata una "Carta della
laicita'" e che nelle scuole venga introdotto lo studio della storia delle
religioni. Propongono anche l'istituzione di una Scuola nazionale di studi
islamici e che l'esercito ammetta la presenza di "cappellani" musulmani.
Piccola compensazione anche per i liberi pensatori, che avranno diritto a
una trasmissione tv.
Rispetto alla decisione prevista per mercoledi', Chirac ha gia' fatto sapere
che "cio' che mi guidera' e' il rispetto dei principi della repubblica e
l'esigenza di unione nazionale e di unita' dei francesi". L'obiettivo, per
Chirac, sara' "garantire a tutti la liberta' con il solo limite del rispetto
della regola comune". Il presidente anticipa che la sua decisione mirera' a
"garantire a tutti i francesi l'eguaglianza delle possibilita', qualunque
sia l'origine, la religione o il sesso". Chirac sembra propendere per una
legge, cosi' come chiedono i saggi, che hanno votato questo punto
all'unanimita' meno un voto. Ma il presidente dovra' anche tenere conto
della posizione delle chiese, che si sono schierate tutte contro.
Ieri, lo Snes, il principale sindacato degli insegnanti delle scuole
secondaria, era molto scettico. Per lo Snes, una legge "non risolvera' i
problemi e rischia di portare all'esclusione" di molte ragazze. Il Consiglio
del culto musulmano si e' limitato a "prendere atto" delle conclusioni della
commissione Stasi, mentre il Crif (Consiglio rappresentativo delle
istituzioni ebraiche di Francia) ha dato un giudizio "positivo" sulle
proposte avanzate.

11. LIBRI. PUBBLICATO "CONVERTIRSI ALLA NONVIOLENZA? CREDENTI E NON CREDENTI
SI INTERROGANO SU LAICITA', RELIGIONE, NONVIOLENZA"
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo e
diffondiamo]

Una novita' editoriale: Convertirsi alla nonviolenza? Credenti e non
credenti si interrogano su laicita' religione nonviolenza, a cura di Matteo
Soccio, Il Segno dei Gabrielli, Verona 2003, pp. 180, euro 14.
E' uscito, presso Il Segno dei Gabrielli editori (Verona) il libro
Convertirsi alla nonviolenza? Il volume contiene gli atti del convegno di
studio sul tema "Laicita', religione, nonviolenza", tenuto a Perugia (Villa
Umbra) l'11 giugno 2002. Il convegno era stato promosso e organizzato dal
Movimento Nonviolento, dal Movimento Internazionale della Riconciliazione,
dall'Associazione nazionale "Amici di Aldo Capitini", con il patrocinio ed
il contributo della Regione Umbria.
Riportiamo qui di seguito l'indice dei contributi: Introduzione, di Matteo
Soccio; Laicita' religione nonviolenza, di Mario Martini; L'opzione
nonviolenta dei cristiani, di Luciano Benini; Laicita' di Gandhi nei suoi
esperimenti con la verita', di Matteo Soccio; Capitini e la religione nei
limiti della semplice ragione, di Ornella Pompeo Faracovi; Possono le
religioni e le chiese allevare figli nonviolenti? di Eugenio Rivoir; Valore
della laicita' e tensione religiosa nella nonviolenza, di Rocco Pompeo;
Nonviolenza alla prova: le sfide "religiose" del presente, di Mao Valpiana;
Aldo Capitini riformatore religioso-politico, di Antonino Drago; Danilo
Dolci e la santita' laica, di Sandro Mazzi; Laicita' e nonviolenza, di
Liviano Bonati; Domande ai laici, di Gloria Gazzeri; Puo' chi non crede in
Dio scegliere la nonviolenza? di Adriano Moratto; Credenti e non credenti di
fronte alla nonviolenza, di Luciano Capitini; Dieci tesi su "Religioni
violenza nonviolenza", di Enrico Peyretti.
Invitiamo chi e' interessato all'acquisto ad inoltrare gli ordinativi alla
redazione di "Azione nonviolenta": an at nonviolenti.org. Il libro verra'
spedito in contrassegno. Per i gruppi e le associazioni sono previsti sconti
sulla quantita'.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it,
angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 761 del 16 dicembre 2003