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La nonviolenza e' in cammino. 760
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 760
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 14 Dec 2003 19:17:18 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 760 del 15 dicembre 2003 Sommario di questo numero: 1. Tre note su "Il nuovo disordine mondiale" di Tzvetan Todorov, ovvero: quale alternativa per l'Europa 2. Augusto Cavadi: la nonviolenza contro la mafia 3. Marina Forti intervista Mehranghiz Kar 4. Nando dalla Chiesa: al termine di un errore 5. Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa: il fondamentalismo in provetta 6. Erika Tomassone: una legge oscurantista 7. Letture: Euclides Andre' Mance, La rivoluzione delle reti 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. TRE NOTE SU "IL NUOVO DiSORDINE MONDIALE" DI TZVETAN TODOROV, OVVERO: QUALE ALTERNATIVA PER L'EUROPA [Tzvetan Todorov e' nato a Sofia nel 1939, vive a Parigi dal 1963. Muovendo da studi linguistici e letterari e' andato sempre piu' lavorando su temi antropologici e di storia della cultura e su decisive questioni morali. Riportiamo il seguente brano dalla scheda dedicata a Todorov nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Dopo i primi lavori di critica letteraria dedicati alla poetica dei formalisti russi, l'interesse di Todorov si allarga alla filosofia del linguaggio, disciplina che egli concepisce come parte della semiotica o scienza del segno in generale. In questo contesto Todorov cerca di cogliere la peculiarità del 'simbolo' che va interpretato facendo ricorso, accanto al senso materiale dell'enunciazione, ad un secondo senso che si colloca nell'atto interpretativo. Ne deriva l'inscindibile unita' di simbolismo ed ermeneutica. Con La conquista dell'America, Todorov ha intrapreso una ricerca sulla categoria dell'"alterita'" e sul rapporto tra individui appartenenti a culture e gruppi sociali diversi. Questo tema, che ha la sua lontana origine psicologica nella situazione di emigrato che Todorov si trova a vivere in Francia, trova la sua compiuta espressione in un ideale umanistico di razionalita', moderazione e tolleranza". Opere di Tzvetan Todorov: l'intera opera di Todorov a nostro avviso costituisce un contributo fondamentale per una cultura della pace, della nonviolenza, della dignita' umana, ma particolarmente segnaliamo: La conquista dell'America. Il problema dell'"altro", Einaudi, Torino 1984, 1992; Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversita' umana, Einaudi, Torino 1991; Di fronte all'estremo, Garzanti, Milano 1992; Una tragedia vissuta. Scene di guerra civile, Garzanti, Milano 1995; Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano 2001 (un'opera a nostro avviso fondamentale). Tra le altre sue opere che maggiormente ci interessano segnaliamo anche almeno Teorie del simbolo, Garzanti, Milano 1984, 1991; Michail Bachtin. Il principio dialogico, Einaudi, Torino 1990; Les morales de l'histoire, Grasset, Paris 1991, Hachette, Paris 1997; Le jardin imparfait. La pensee' humaniste en France, Grasset, Paris 1998, Le livre de poche, Paris 2000; Les abus de la memoire, Arlea, Paris 1998; ; Il nuovo disordine mondiale, Garzanti, Milano 2003] 1. Un libro da leggere, e da discutere appassionatamente, questo piu' recente di Tzvetan Todorov, Il nuovo disordine mondiale. Le riflessioni di un cittadino europeo, Garzanti, Milano 2003, pp. 94, 10 euro). Tzvetan Todorov e' autore di alcuni libri di decisiva importanza; le sue analisi sono sempre di grande profondita' e finezza, fondate su una rigorosa documentazione, una grande capacita' di ascolto, un attento esercizio interpretativo, una limpida lealta' verso chi legge. In questo nuovo breve libro tre cose principali (tra altre non meno interessanti) vengono esposte: a) un'analisi attenta e corrucciata dell'attuale situazione del mondo; b) la proposta che un'Europa politicamente unificata costituisca un efficace contrappeso (una "potenza tranquilla") alla frenesia bellicista dei neofondamentalisti (e non "neoconservatori", come suona una ideologica e fuorviante definizione diffusa dai mass-media) che guidano la politica della superpotenza americana; c) l'idea-forza che per costituire questo contrappeso l'Europa deve puntare essenzialmente sulla costituzione di un esercito europeo. In me che scrivo queste righe molte pagine di questo breve libro suscitano vivo consentimento. Invece non mi convincono affatto ne' alcune diagnosi troppo rigide del capitolo quinto (pure di effettuale suggestione nel loro realismo - ma realismo statico e quindi solo parziale, dunque realismo solo apparente), ne' soprattutto le proposte dei capitoli 6 e 8 (che pure sono il cuore e il motore del libro). Non mi convince affatto, e' chiaro, la proposta per Todorov decisiva e pressoche' fondativa dell'esercito europeo come perno della costruzione dell'Europa come soggetto politico adeguato, proposta che pure il grande studioso argomenta con una chiarezza e un rigore intellettuale e morale che non ho trovato in nessun altro degli autori che di questo hanno scritto e che ho avuto modo di leggere. E non mi convince perche' noi abbiamo un'altra opinione, un'altra proposta. Che non e' affatto la conservazione di uno status quo palesemente gia' reso del tutto obsoleto dagli eventi dell'ultima dozzina d'anni. E' un'altra, piu' forte e cogente ed esatta proposta. La proposta della nonviolenza, la proposta di un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta; la proposta della difesa popolare nonviolenta e dei corpi civili di pace, la proposta della nonviolenza giuriscostituente come criterio e progetto per un'Europa che sia costruttrice di pace con mezzi di pace; la proposta insomma avanzata da Lidia Menapace e dalla Convenzione permanente di donne contro le guerre, fatta propria da vari movimenti nonviolenti, per la pace e la giustizia, su cui a Verona l'8 novembre e a Venezia l'8 dicembre si sono tenuti due convegni che ulteriormente l'hanno tematizzata, e che sta crescendo - se la mia percezione non e' fallace - come un punto di riferimento per l'intero movimento per la pace europeo e come un terreno di confronto, dialogo, apertura, costruzione con l'intero panorama politico ed istituzionale dell'Unione Europea, o almeno con quei settori dei movimenti politici e sociali, delle rappresentanze e delle funzioni istituzionali, dell'amministazione pubblica, dell'operare sociale, ed anche della cultura e dell'informazione, che hanno a cuore il bene comune, la democrazia e il diritto, la vita e la dignita' delle persone. * 2. Il genere letterario in cui questo pamphlet si inscrive, l'intervento pubblicistico sulle decisioni politiche del presente, ha limiti intrinseci a tutti noti: se l'autore vuol essere ascoltato ed ottenere di influire sul dibattito in corso e' evidente che in qualche misura deve adeguarsi al linguaggio comune (la koine' del dibattito) e confrontarsi coi processi in corso: col rischio frequente e forse inevitabile di una o piu' concessioni al cosiddetto sentire comune, al comune discorso, e quindi anche all'ideologia dominante. Altrimenti si rischia l'isolamento, l'astrattezza, l'inefficacia: ed invece in questo genere di scritture quel che piu' conta e' l'efficacia nell'orientare o almeno influenzare il dibattito. Vi sono in questo ambito saggi magnifici di Franco Fortini splendidi di verita' e restati del tutto inascoltati; e vi sono saggi di autori talora anche egregi che nulla aggiungono e nulla rilevano, eppure diventano discorso comune nelle aree a cui son destinati, sovente assunti e ad un tempo svuotati, ovvero assunti in quanto gia' recuperati, sterilizzati, e non di rado peggio che inerti, nocivi, rumore di fondo. Questo agile testo di Todorov mi pare confermi la regola del genere letterario cui appartiene: deve discutere con autori di desolante poverta' intellettuale e morale, deve farsi ascoltare da soggetti la cui lingua, i cui pensieri, le cui azioni non ci appaiono commendevoli. In altre opere Todorov da' ben altre prove, questo libro e' per cosi' dire obbligato a una funzione pratica e per cosi' dire a un livello di approfondimento e di acclaramento minore rispetto ai suoi grandi saggi. Ma questo mi sembra decisivo di questo libro: che se si crede ancora alla difesa militare, se si crede ancora che la sicurezza possa essere garantita dagli eserciti, se si crede ancora che le armi servano all'umanita', allora quella formulata in questo libro e' una proposta seria e adeguata e quasi direi ineludibile per l'Europa; in queste poche decine di pagine mi pare, ripeto, si trovi la piu' chiara e rigorosa argomentazione in pro della proposta dell'esercito europeo. Ma noi abbiamo un'altra opinione, un'altra proposta, piu' cogente ed esatta, piu' nitida. La proposta della nonviolenza, la proposta di un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta; la proposta della difesa popolare nonviolenta e dei corpi civili di pace, la proposta della nonviolenza giuriscostituente come criterio e progetto per un'Europa che sia costruttrice di pace con mezzi di pace; la proposta insomma avanzata da Lidia Menapace e dalla Convenzione permanente di donne contro le guerre e fatta propria da vari movimenti nonviolenti, per la pace e la giustizia, e che sta crescendo - se la mia percezione non e' fallace - come un punto di riferimento per l'intero movimento per la pace europeo e per tutte le persone di volonta' buona che hanno a cuore il bene comune, la democrazia e il diritto, la vita e la dignita' delle persone. * 3. Poiche' la nostra opinione e' che la macchina militare come garante di sicurezza, difesa, pace, abbia fallito: e se c'e' un luogo e un tempo che lo dimostrano sono proprio la storia europea del Novecento e la situazione del mondo attuale. Cosi' come Tzvetan Todorov insuperabilmente ce li ha descritti in varie sue indimenticabili opere. E la nostra proposta e' che sia sorta un'alternativa teorica e pratica, metodologica ed operativa, morale e politica e giuriscostituente: l'alternativa nonviolenta. Cosi' come anche Todorov ce l'ha descritta ad esempio nella parte per cosi' dire costruttiva ed esemplare del suo magnifico libro Memoria del male, tentazione del bene (e particolarmente nelle pagine in cui evoca e propone le figure e le testimonianze di Vasilij Grossman, Margarete Buber-Neumann, David Rousset, Primo Levi, Romain Gary, Germaine Tillion), ma anche in varie altre opere sue. Non solo: ma che quest'alternativa va posta in modo netto: a nostro modesto parere si illudono coloro che pensano di poter raggiungere un compromesso con l'apparato bellico, il complesso militare-industriale, i poteri che ritengono l'omicidio di massa una delle risorse della politica: in questo cruciale ambito delle politiche della sicurezza e della difesa, in questo cruciale ambito della scelta tra la pace e la guerra, tra difendere la vita o irrogare la morte, non vige l'et-et hegeliano, ma l'aut-aut di Kierkegaard. O si fa la scelta della nonviolenza o si legittima l'omicidio come arte di governo. Tertium non datur. La riflessione di Todorov, anche questa contenuta nel libro di cui stiamo discorrendo, ci e' assai congeniale nelle sue premesse e nelle sue diagnosi, ed in buona parte dei suoi esiti; cosi' come l'impegno morale e intellettuale di Todorov e' per noi da decenni un nutrimento e un riferimento, e un pungolo e un esempio. Cosicche' molto ci piacerebbe che qualcuna o qualcuno dei nostri maestri ed amici (che so: Angela Dogliotti Marasso, Lidia Menapace, Alberto L'Abate, Giuliana Martirani, Enrico Peyretti, Giuliano Pontara, Etta Ragusa, Nanni Salio, Matteo Soccio, Giovanni Scotto, per dire i primi nomi che mi vengono in mente) scrivesse o telefonasse a Todorov, e lo incontrasse, e gli proponesse una riflessione comune. Se Todorov applicasse il suo acume e il suo rigore alla nostra proposta per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta, potrebbe dare un contributo straordinario alla riflessione in corso, alla mobilitazione che in molti stiamo cercando di promuovere. Perche' questa nostra di un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta, a me pare che sia la proposta che l'ora esige e che oltre il varco della distretta attuale - drammatica distretta che tutti alla responsabilita' chiama - aggetta, ed apre vie al futuro. La nonviolenza, lo videro chiaro Simone Weil e Aldo Capitini, Virginia Woolf e Danilo Dolci, e' la scelta necessaria e feconda cui qui e ora tutte e tutti siamo chiamati. 2. INCONTRI. AUGUSTO CAVADI: LA NONVIOLENZA CONTRO LA MAFIA [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo articolo una cui stesura abbreviata e' apparsa nell'edizione palermitana del quotidiano "La Repubblica" il 9 dicembre 2003. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] Che cosa lega le iniziative nonviolente realizzate in India piu' di mezzo secolo fa da Gandhi e la Sicilia attuale? Apparentemente nulla. Grazie al cielo, la nostra isola non e' sottoposta ad una dominazione straniera rispetto a cui dover scegliere fra resistenza armata e forme di lotta alternative. Eppure - a ben rifletterci - gli abitanti di cui brulica la nostra regione proprio liberi non sono. Non siamo. Veniamo quotidianamente sottoposti alle forche caudine di un sistema di potere complesso, al cui centro pulsa l'inquieta coalizione di una decina di cosche mafiose che organizzano militarmente (circa) cinquemila "uomini d'onore" e che - proprio grazie al dosaggio astuto di violenza effettiva e di violenza minacciata - riescono a controllare la vita politica, economica e, in qualche misura, sociale. Come possono cinquemila individui, per quanto solidamente organizzati, imporre la loro dittatura su cinque milioni di cittadini? Un'utile indicazione l'ha data, a suo tempo, Buscetta parlando con Falcone: "Dottore, noi potevamo contare sulla complicita' di un quinto dei siciliani". Significa che un milione, o giu' di li', di nostri concittadini - per paura o per ambizione o per sete di denaro o per conformismo o per un tragico mix di questi fattori - costituiscono quello che Umberto Santino chiama il "blocco sociale" mafioso: un reticolo gerarchico e capillare che succhia le risorse finanziarie dagli imprenditori onesti, ottiene la cooperazione di funzionari pubblici e di professionisti per finalita' illecite, stabilisce patti scellerati con amministratori locali e uomini politici nazionali. Depreda coste e boschi, si accaparra fonti idriche, inchioda al degrado postbellico interi quartieri cittadini, gestisce terapie mediche d'avanguardia. * Se questo quadro ha qualche fondamento oggettivo, non dovrebbe risultare esagerato porsi la questione di come liberare la Sicilia (e, analogamente, il Meridione italiano) dal dominio mafioso. Partiti e sindacati, chiese e movimenti, magistrati e intellettuali hanno le loro ricette: e, data la difficolta' dell'obiettivo, sarebbe poco saggio escluderne frettolosamente alcune. Ed e' in questo contesto di ipotesi operative che, da decenni, Enzo Sanfilippo - sociologo palermitano, membro del movimento dell'Arca fondato da Lanza del Vasto ed animatore sociale, con la moglie Maria, in svariati settori - propone in convegni, corsi di aggiornamento e incontri assembleari, di far tesoro della lezione gandhiana. A suo avviso, infatti, dalla sudditanza alla criminalita' organizzata non si uscira' per effetto di generici processi di sviluppo politico o economico (l'esperienza ci attesta quanto la mafia sia abile nell'adattarsi ai regimi politici ed ai sistemi economici che si susseguono): dunque, occorre una lotta mirata, consapevole e insistente. D'altronde e' ancora l'esperienza storica ad insegnarci che questa lotta non puo' essere esclusivamente giudiziaria e repressiva: con i processi, nei casi piu' felici, si decapitano le cosche ma non si riesce a sradicare il meccanismo riproduttivo di nuovi dirigenti ne' ad intaccare la vasta base di consenso sociale che assicura adepti e fiancheggiatori. Occorre, allora, boicottare con strategie inedite gli interessi economici e politici di "Cosa nostra" e delle sue sorelle minori; ma - mentre si tenta di opporre resistenza e di arginare - occorre anche passare attivamente al contrattacco introducendo all'interno delle associazioni mafiose semi di dubbio, di riflessione e di destrutturazione. Detto un po' sbrigativamente: bloccare e rendere inoffensivi i mafiosi e' il primo passo; educarli - la' dove c'e' ancora uno spiraglio di umanita', di senso critico, di comunicazione - il secondo. Tutto cio' puo' essere scambiato per "buonismo" o per ingenuita' "cattolica": ma, alla luce degli insegnamenti gandhiani, e' invece segno di lungimiranza. Arrestare un mafioso, tenerlo dentro in regime carcerario duro e' senz'altro utile, anzi necessario: lo Stato deve utilizzare tutti gli strumenti a disposizione per interrompere sequenze di omicidi ed estorsioni. Ma la societa', o almeno le punte piu' consapevoli e sensibili della societa', devono attivarsi per cogliere anche il minimo sintomo di resipiscenza. Al di la' di "perdonismi" piu' o meno meditati, trasformare (la' dove e' possibile) un "collaboratore di giustizia" in pentito effettivo significherebbe non solo recuperare al consorzio civile individui che - con i loro comportamenti - ne sono evasi, ma anche evitare che, agli occhi dei parenti e dei "picciotti", questi criminali appaiano dei martiri e degli eroi. * Neppure in questo ambito siamo all'anno zero. Ci sono esperienze che meritano di essere ricordate, discusse e valutate. Per farne memoria, in prospettiva di nuovi percorsi, i "Quaderni Satyagraha" (rivista scientifica sulla nonviolenza che la condirettrice, Martina Pignatti Morano, ha presentato ieri alle ore 16 presso la facolta' di Lettere e filosofia dell'Universita' di Palermo), "Libera" e il Centro "Impastato" hanno organizzato, per le ore 17 di mercoledi' 10, un seminario, aperto alla cittadinanza, presso il "Gruppo di studio per la qualita' della vita" (via Notarbartolo 41). Punto di partenza, per un contatto fra persone e gruppi interessati a proseguire anche in futuro il confronto e la collaborazione, il denso saggio su "Il contributo della nonviolenza al superamento del sistema mafioso" apparso, a firma di Sanfilippo, nel numero 3 dei citati "Quaderni Satyagraha". Per quanto preziose, comunque, le esperienze non bastano. Occorrono dei criteri interpretativi validi. Per quanto mi riguarda, una chiave filosofica interessante me l'ha suggerita, nel corso di un'intervista di molti anni fa, il figlio di un boss di quartiere volatilizzatosi probabilmente perche' vittima di "lupara bianca". Il ragazzo aveva maturato un consapevole rifiuto della tavola di valori della famiglia d'origine, ma riteneva che questo processo sarebbe stato difficilmente condiviso dai fratelli e dalle sorelle perche' "ogni volta che entriamo in contatto col mondo della giustizia e con esponenti del movimento antimafia abbiamo la netta impressione di una barriera invalicabile fra persone per bene e gente perduta. Penso che le cose andrebbero diversamente se si fosse convinti che c'e' del marcio anche fra i 'giusti' e c'e' del valido anche fra gli 'ingiusti'. Nella storia, e nel cuore delle persone, il bene e il male non si lasciano separare mai con un taglio netto". Non so se avesse mai letto Gandhi, ma il suo modo di vedere l'uomo non ne era troppo distante. 3. TESTIMONIANZE. MARINA FORTI INTERVISTA MEHRANGHIZ KAR [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 dicembre 2003. Marina Forti, giornalista, particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, e' un'esperta di questioni ecologiche globali. Mehranghiz Kar e' una prestigiosa intellettuale e attivista per i diritti umani iraniana] Iconservatori, in Iran, hanno accusato Shirin Ebadi di essersi fatta "strumento dell'occidente", quando il comitato del Nobel ha annunciato la decisione di attribuirle il suo premio per la pace. Ma il discorso di accettazione pronunciato ieri dall'avvocata e attivista iraniana, a Oslo, non era davvero tenero verso le nazioni occidentali. "Negli ultimi due anni molti stati hanno violato i principi universali e le leggi sui diritti umani usando gli eventi dell'11 settembre e la guerra al terrorismo internazionale come pretesto", ha detto durante la cerimonia di premiazione nel municipio di Oslo. Giudice, poi avvocata e soprattutto attivista per l'affermazione dei diritti delle donne e le liberta' fondamentali in Iran, Shirin Ebadi ha definito preoccupante che i diritti umani vengano violati proprio in quelle democrazie occidentali che ne hanno introdotto i principi. Ebadi ha citato in particolare il caso del campo di detenzione nella base militare statunitense di Guantanamo, "una violazione alla Convenzione di Ginevra". Ha lanciato un messaggio contro la guerra, accusando gli Stati Uniti di doppio standard: da 35 anni le risoluzioni delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati sono ignorate, ma lo stato e il popolo iracheno e' stato soggetto a "attacco, aggressione militare, sanzioni economiche e infine occupazione militare", una volta in nome di una risoluzione dell'Onu e una nonostante l'opposizione del Consiglio di sicurezza. Ebadi, prima donna musulmana insignita del Nobel per la pace, ha infine puntato il dito sul suo governo. Ha detto che continuera' a lavorare perche' l'Iran applichi i trattati internazionali sui diritti umani che ha firmato ma non messo in pratica. In diverse occasioni l'avvicata e attivista aveva chiarito che per lei il rispetto dei diritti umani rafforza le societa' civili, senza cui non esiste democrazia reale. Lo ha ribadito ieri, quando ha detto che e' impossibile "governare in modo tradizionale, patriarcale e autoritario persone coscienti dei propri diritti". * Il premio Nobel per la pace a Shirin Ebadi e' stato una sorpresa per molti, a cominciare dalla stessa avvocata e dalle giuriste e attiviste per i diritti umani e per la democrazia che hanno condiviso con lei le lotte e le durezze degli ultimi ventiquattro anni. Estromessa dalla magistratura nel 1979 - quando la rivoluzione, vittoriosa contro il regime autoritario dello shah, ha proclamato la religione principi o fondamentale della repubblica e in nome di questo ha confinato le donne in un ruolo subalterno - Ebadi si e' messa a lavorare per i diritti dei bambini e delle donne, poi a fare l'avvocata. Altre hanno fatto lo stesso: un lento cammino per riconquistare lo spazio pubblico. Ha condiviso battaglie e durezze Mehranghiz Kar, avvocata, forse la piu' nota giurista in Iran (anche lei era stata candidata al Nobel). Aveva appena ottenuto l'abilitazione a esercitare la professione di avvocato quando lo shah e' fuggito dall'Iran e "da allora ho sempre praticato, fino a due anni fa: per ventidue anni sono stata un avvocato nella repubblica islamica d'Iran", ci ha detto ieri, a Roma, dove era ospite della Commissione pari opportunita' della Federazione nazionale della stampa italiana che ha voluto rendere omaggio alla lotta delle iraniane con una conferenza su "Donne e informazione per la democrazia in Iran" - un omaggio anche a Zahra Kazemi, la giornalista iraniano-canadese morta lo scorso luglio dopo essere stata arrestata. Mehranghiz Kar ripercorre quei 22 anni da avvocata e attivista per i diritti umani e delle donne. Ricorda quando, alla fine della lunga guerra con l'Iraq (durata gran parte degli anni '80), si e' aperto qualche spiraglio: "Sono uscite riviste culturali non strettamente religiose, un'opportunita' d'espressione". Per sette anni ha scritto regolarmente su "Zanaan", ("Donne"), magazine femminile che ha avuto una funzione apripista: "Scrivevo per criticare il sistema legale che assegna alle donne un posto inferiore, discrimina i musulmani e i non musulmani, perseguita i dissidenti". Quando a Tehran sono cominciati i serial killing, nel 1998, un'ondata di "misteriosi" omicidi di intellettuali e giornalisti, Mehranghiz Kar era nel direttivo dell'Unione degli scrittori: gli omicidi, e' stato presto chiaro, erano una guerra sporca di apparati del potere contro il movimento per le riforme avviato da Mohammad Khatami da poco eletto presidente. "In quel momento tutti eravamo in pericolo", ricorda, "circolo' anche una lista di persone 'condannate a morte'". Nel 2000 e' intervenuta, con diversi attivisti e intellettuali iraniani, a una conferenza sulla democrazia in Iran organizzata a Berlino dalla Fondazione Heinrich Boell: "Ero andata a dire che le riforme non hanno possibilita' di successo in Iran in questo quadro costituzionale, cioe' finche' il parlamento, pur con una maggioranza di riformisti, e' sottoposto al potere di veto del Consiglio dei Guardiani", ricorda Mehranghiz Kar. Appena rientrata in Iran e' stata arrestata (come un'altra attivista, Shahla Lahji) e accusata di attentato alla sicurezza nazionale, propaganda contro la Repubblica islamica, "e poiche' a Berlino ero in pubblico senza hijjab, il foulard, anche di offesa all'islam". In quell'occasione Kar e Lahji sono state difese da Shirin Ebadi. Mehranghiz Kar ha a sua volta difeso Ebadi quando questa e' stata arrestata, poco dopo. * Le donne in Iran non sono zittite, le dico. "Non sono zitte, certo: ma a proprio rischio, non certo perche' la repubblica islamica ci abbia dato spazio". L'epilogo della sua storia lo testimonia. Uscita di prigione si e' scoperta un tumore al seno, nel 2002 ha ottenuto il permesso di recarsi al'estero per le cure e appena lei e' partita suo marito, il giornalista e critico cinematografico Siamak Pourzand, e' stato arrestato. "Per molto tempo non ho saputo dov'era. Poi ho saputo che e' stato torturato, picchiato, sottoposto a interrogatori in cui gli hanno estorto confessioni per contruire accuse contro di me e altri. Ora non posso rientrare perche' mi arresterebbero subito, il mio ufficio e' sigillato, ho perso tutto cio' che avevo". Sottoscrive un'affermazione di Shirin Ebadi, che il presidente Khatami ha sprecato un'opportunita' storica per cambiare l'Iran? "Assolutamente. Khatami ha avuto contro ostacoli enormi, bisogna riconoscerlo. Ma non era disposto a correre rischi, e i conservartori l'hanno presto capito. Khatami non ha preso le difese di giornalisti come Akhbar Ganji e altri che sono andati in galera. Cosi' oggi gli iraniani sono delusi, stufi dei conservatori ma anche dei riformisti. Credo che nella societa' sia diffusa un'opinione laica, stufa di uno stato che controlla le vite private, il modo di vestire e di pensare. E' l'idea di separare la religione e lo stato. Ma quest'opinione non ha espressione organizzata in Iran, la legge non lo permette. Magari alle prossime elezioni vincera' l'astensionismo, i conservatori riprenderanno il parlamento, i riformisti andranno all'opposizione. Non e' detto che sia un male". Il punto, insiste Mehranghiz Kar, "non e' se l'islam e' compatibile con i diritti umani: e' che bisogna separare la religione e lo stato". Cosi' torniano a quel premio Nobel che ha stupito anche lei: "Penso che Shirin Edabi lo meriti. Penso anche che sia un messaggio politico da parte della comunita' internazionale. Dice allo stato iraniano che non puo' violare i diritti umani in nome dell'islam, e usare l'islam per attaccare i diritti fondamentali. Insieme, dice agli iraniani che la comunita' internazionale li sostiene nella loro rivendicazione di diritti e liberta' fondamentali. Ma non sono sicura che lo stato iraniano abbia capito il messaggio". Di nuovo, il futuro e' incerto: "Hanno cominciato a minacciarla... Il Nobel non basta a proteggerla, questo noi lo sappiamo". 4. RIFLESSIONE. NANDO DALLA CHIESA: AL TERMINE DI UN ERRORE [Dagli amici di "Italia Democratica" (per contatti: italiademocratica at virgilio.it) riceviamo e diffondiamo questo articolo di Nando dalla Chiesa sulla legge sulla fecondazione assistita gia' apparso sul quotidiano "L'unita'" del 12 dicembre 2003. Nando dalla Chiesa e' nato a Firenze nel 1949, sociologo, docente universitario, parlamentare; e' stato uno dei promotori e punti di riferimento del movimento antimafia negli anni ottanta; e' persona di straordinaria limpidezza morale. Tra le opere di Nando dalla Chiesa segnaliamo particolarmente: Il potere mafioso, Mazzotta; Delitto imperfetto, Mondadori; La palude e la citta' (con Pino Arlacchi), Mondadori; Storie, Einaudi; Il giudice ragazzino, Einaudi; Milano-Palermo: la nuova resistenza (a cura di Pietro Calderoni), Baldini & Castoldi; I trasformisti, Baldini & Castoldi; La politica della doppiezza, Einaudi; Storie eretiche di cittadini perbene, Einaudi; La legge sono io, Filema. Ha inoltre curato (organizzandoli in forma di autobiografia e raccordandoli con note di grande interesse) una raccolta di scritti del padre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, In nome del popolo italiano, Rizzoli. Opere su Nando dalla Chiesa: suoi ritratti sono in alcuni libri di carattere giornalistico di Pansa, Stajano, Bocca; si veda anche l'intervista contenuta in Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli] Che mondo complicato. Sentii argomentare la prima volta di Stato etico circa vent'anni fa; perche' prima, per polemizzare, si usava dire - dello Stato - che fosse "confessionale" o addirittura "clericale". "Etico", nella polemica politica, divenne aggettivo in voga tra i sedicenti "liberal" degli anni ottanta. Usato allora per fronteggiare la rivolta dei moralisti e dei "giacobini" (le parole non per caso fioriscono insieme) davanti alle stragi di mafia e di camorra o al latrocinio organizzato. Si sorprendevano, quei liberal, della indignazione civile e della domanda crescente di ripristinare decenti livelli di legalita'. Vi coglievano un'idea di Stato etico nella quale essi non potevano riconoscersi. Meglio il Far West modello mitra e mazzetta, insomma, piuttosto che esagerare con l'invadenza dello Stato e l'imposizione ad altri dei propri personalissimi standard morali. Ora lo Stato etico e' comparso sul serio, brutalmente, nella legge votata dal parlamento in tema di fecondazione assistita. E chi ieri non si permetteva di spiegare ai feudatari della politica che non si ruba e non si uccide (perche', appunto, mica siamo in uno Stato etico), ora ha il piglio del giustiziere nello spiegare a cittadine e cittadini come devono - si', devono - comportarsi nelle loro piu' intime scelte sessuali e familiari. D'altronde, aggiunge chi ieri non sentiva nemmeno il fragore dei kalashnikov, non possiamo continuare a vivere in questo Far West. * Che mondo complicato. Una maggioranza piu' larga del previsto ha votato una legge che sa di Stato etico lontano un miglio, e lo ha fatto in difesa della vita. Quanto alla maggioranza governativa, ha salutato il risultato finale d'aula con una festosa standing ovation. Quando riesce di difendere meglio la vita umana si ha il diritto di festeggiare, giusto? Stessa standing ovation, anzi piu' festosa, la stessa maggioranza fece in marzo votando la mozione che appoggiava la guerra in Iraq, la dottrina della guerra preventiva, la morte di migliaia di innocenti. Si puo' accettare la morte degli altri, in effetti, per alcune valide ragioni. Tra cui quella di liberare la loro terra da un dittatore o anche, come nel caso dell'Afghanistan, da uno Stato etico che detta i suoi principi alle donne, a tutte le donne. Liberare le donne dell'Afghanistan, diceva il premier. Altro contesto, certo. Ma il principio era quello. In realta' la morte e la vita ballano nella nostra politica come concetti vuoti, disancorati da qualsiasi gerarchia di valori, alla merce' di ogni opportunismo o di ogni frenesia ideologica. A proposito: pensavo, modestamente e fallibilmente pensavo, che nella gerarchia dei valori venissero la donna e poi il feto e poi l'embrione. Non pretendo di essere nel giusto ne' che tutti la pensino cosi'. Diciamo pero' che se mi trovassi a poterlo (e saperlo) fare, in guerra o in una catastrofe naturale, darei la vita per salvare una donna, mai per salvare un embrione. Rispetto (con qualche perplessita') chi farebbe il contrario, e non gli imporrei il mio punto di vista. Ma scopro che da oggi, sotto tanti aspetti per nulla marginali, per il nostro Stato vengono obbligatoriamente in ordine decrescente di importanza l'embrione e poi il feto e poi la donna. Non siamo mica nel Far West. Anche se grazie alla prevalente natura (economica) delle sanzioni, sara' sempre Far West per i ricchi. Ho imparato che Giordano Bruno e' bene non perderlo di vista. Senza esagerare, naturalmente, perche' il contesto e' diverso, quasi incomparabile. Ma ho sentito usare per la prima volta, e ripetutamente, l'espressione "uccidere gli embrioni", cosi' da dare dell'assassina a una donna (e a una coppia) che accetti pratiche procreatrici dalla riuscita incerta. Ho sentito evocare, ahime', non dalla maggioranza, lo scenario di Hiroshima per spiegare che la scienza puo' fare male e molto male all'umanita'. Ho sentito ipotizzare scenari degni di Frankestein dalla maggioranza: la madre che fa clonare per disperazione il figlio moribondo o il padre piu' portato a insidiare sessualmente la figlia quando questa nasca da sperma altrui e sia priva dunque di una "vera" relazione di discendenza. Un intero mondo mostruoso, dietro l'angolo di una gravidanza attesa per anni. * Che mondo complicato. Perche' a sostenere questa legge abbiamo avuto, sia alla Camera sia al Senato, non solo reazionarie o reazionari incalliti. Ma anche parlamentari che si sono battuti e si stanno battendo con generosita' riconosciuta sulle questioni del lavoro, dell'uguaglianza, della giustizia e della liberta' di informazione. E perche' ai vertici delle gerarchie che hanno imposto questa legge e si accingono a tornare all'assalto della legge sull'aborto sta quel papa a cui non smetteremo mai di essere grati per la meravigliosa forza profetica con cui, stanco e sfibrato nella carne, ha condannato la guerra come "crimine contro l'umanita'". * Mondo complicato davvero. Quando, dopo il crollo del Muro, si sfarino' la Democrazia cristiana, si penso' che nella politica italiana che scopriva il maggioritario non avremmo piu' avuto la tentazione o il rischio di un partito confessionale. E che i cattolici si sarebbero divisi tra destra e sinistra uniformandosi alle regole di un bipartitismo laico. E' successo l'opposto. E ora e' chiaro perche'. La Dc, avendo il monopolio della rappresentanza dei cattolici, sapeva tenere meglio a bada le gerarchie ecclesiali. Fu un caso raro di monopolio virtuoso. Mentre la competizione odierna tra cattolici di destra e di sinistra tende a incoraggiare una folle corsa ad accaparrarsi il consenso di quelle gerarchie, senza piu' il filtro della laicita' della politica. Fino a potersi dire che corriamo il rischio, se non ci si ferma in tempo, di avere una societa' molto piu' clericalizzata senza la Dc che non con la Dc. Qui sta la sfida, la sfida alta della politica. La sfida che quest'ultima vicenda parlamentare ha indicato come la grande assente dalle strategie delle classi dirigenti dei partiti. Perche' se il "mercato" del consenso incrina la laicita' dello Stato, ebbene il progetto di una politica bipolare deve proprio misurarsi con questo storico problema: come costruire un sistema maggioritario senza Dc, rispettoso delle istanze cattoliche ma anche della natura liberale dello Stato. E' un compito al quale devono sentirsi impegnate tutte le forze politiche, ma piu' di ogni altro proprio quel partito, la Margherita, che ha avuto il coraggio di nascere dalla fusione di esperienze cattoliche ed esperienze laiche e che nella sua Carta dei principii aveva scolpito senza possibilita' di equivoci questo impegno: "Tocca ai non credenti riconoscere che l'esperienza religiosa, lungi dall'essere un residuato storico destinato all'estinzione, puo' rappresentare un fermento che vivifica la vita democratica; tocca ai credenti riconoscere che le convinzioni religiose non possono essere imposte per legge a chi non le condivida". Purtroppo questo principio e' uscito strapazzato, e non poco, dalla discussione parlamentare. Perche' far valere in questioni come la fecondazione assistita il principio di maggioranza (due voti in piu' o in meno tra i propri parlamentari) significa abbandonare il ruolo creativo e propositivo della politica, abdicare al proprio fondamentale ruolo maieutico (nel pensiero, nell'azione) di fronte alla storia del paese. * Davvero un mondo complicato. Che lo sara' ancora di piu', per il centrosinistra, se quanto e' accaduto diventera' non stimolo e urgenza per trovare forme piu' alte, felici e impegnative di sintesi politica ma pretesto per abbandonare il progetto di una lista unitaria per l'Europa e riandare beatamente ognuno per i fatti propri. Se la Margherita deve farsi piu' di altri (ma non da sola) una bella riflessione su quanto e' accaduto, tutti la facciano di fronte a quanto potrebbe accadere se i particolarismi dovessero di nuovo prevalere. Su quel piano, forse, abbiamo gia' dato. 5. RIFLESSIONE. MARIA LUISA BOCCIA, GRAZIA ZUFFA: IL FONDAMENTALISMO IN PROVETTA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 dicembre 2003. Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974 lavora all'Universita' di Siena, e attualmente vi insegna Filosofia politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre, magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita, la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo. In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di donne - "Memoria", "Orsaminore", "Reti" - ed a diverse esperienze di gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo, dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli, "Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds; "Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata giornalista, oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci, poi del Pds, ed ha concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli. Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato moltissimi interventi, solo in parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto, pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori, Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in "Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002. Grazia Zuffa, psicologa, senatrice per due legislature, nel 1990 presento' un disegno di legge sulle tecnologie della riproduzione artificiale; si occupa da anni di teoria e politica femminista, con particolar riguardo ai temi della sessualita' e della procreazione; direttrice del mensile "Fuoriluogo", autrice di molti saggi, ha collaborato tra l'altro a: Il tempo della maternita', 1993; Franca Pizzini, Lia Lombardi (a cura di), Madre provetta, Angeli, Milano 1994; con Maria Luisa Boccia ha scritto L'eclissi della madre, Pratiche, Milano 1998] In buona sostanza la fecondazione in vitro sara' proibita o impraticabile, dopo l'approvazione della legge. Anche l'inseminazione sara' drasticamente limitata dal divieto di utilizzare i gameti di donatore. Molti parlamentari impegnati a votarla dichiarano che, finalmente!, si mette fine al far west. Non sara' cosi', poiche' il proibizionismo avra' come conseguenza la clandestinita' e il diffondersi del mercato illegale, per tutti coloro che non potranno praticare il "turismo procreativo", prima di tutto per motivi economici. Con buona pace della tutela per la salute delle donne e dei nascituri, la quale sarebbe dovuta essere la priorita' del legislatore. Non lo e' stata - e' bene ricordarlo - perche' l'ipotesi di una limitata, ma efficace, regolamentazione sanitaria, atta appunto a limitare il far west, e' sempre stata respinta a favore di una legge manifesto, quale quella che si sta approvando. * Sarebbe stato meglio un divieto esplicito della fecondazione in vitro, della mostruosita' di queste norme. Lo diciamo seriamente. Sarebbe di gran lunga preferibile per le donne sapere con chiarezza che questa via e' preclusa, piuttosto che trovarsi a percorrerla nei modi previsti dalla legge. Pensiamo proprio a quelle tra loro, eterosessuali, sposate o conviventi, sufficientemente benestanti - questi i requisiti richiesti - che potrebbero aspirare a realizzare il desiderio di un figlio/a. Cosa le attende? Se va bene, di mettere al mondo non uno ma tre figli, non e' difficile immaginare con quali e quante complicate conseguenze; e comunque non e' questo che, presumibilmente, volevano quando hanno espresso un consenso all'avvio della fecondazione in vitro. Se va male, un aborto terapeutico, o di mettere al mondo uno o piu' figli malati o con malformazioni, dato che non si possono fare diagnosi preimpianto o sopprimere embrioni malformati, ma si puo' fare l'una e l'altra cosa dopo. Con quale logica o sensatezza, si puo' affermare che queste norme non coinvolgono la legge sull'aborto? Comunque, per una donna e' senza dubbio piu' pesante, da tutti i punti di vista, la prospettiva di abortire che non quella di evitare l'impianto. Se nessuno dei tre embrioni e' sano, dovra' sottoporsi di nuovo alla stimolazione ed al prelievo di ovuli, con un aggravio dei costi fisici, psichici, economici. Ma il punto dirimente e' l'obbligatorieta' dell'impianto dei tre embrioni: vietata la revoca del consenso, la donna non ha scelta, anche se la situazione e' mutata o, semplicemente, valuta diversamente le conseguenze al momento di decidere l'impianto. Oltre che incostituzionale e' davvero mostruoso ipotizzare di costringerla, contro la sua volonta' manifesta. Il medico che si ritrova con questi tre embrioni dovra' chiedere un'ingiunzione al giudice, alla polizia di prelevarla, agli infermieri di legarla? L'assurdo nulla toglie alla gravita' dell'intento del legislatore. Ma piuttosto che avviarsi in questo inferno la ragionevolezza suggerira' ad una donna che tutto e' preferibile: rassegnarsi, rivolgersi all'estero o a centri clandestini. * Solo l'ipocrisia, o meglio la malafede, possono far sostenere che questa legge regolamenta la fecondazione assistita, sia pure restringendone l'impiego, nell'interesse primario del concepito. Di fatto e' una legge che rinuncia al compito di governare la societa', lasciando senza riferimenti i medici ed i ricercatori, come le donne e gli uomini interessati, perche' si preoccupa soltanto di ribadire alcuni - discutibili e di parte - principi etici, disinteressandosi perfino dell'effettiva probabilita' che hanno di essere applicati. Come ogni legge-manifesto ha effetti devastanti, proprio su principi fondamentali, quali la liberta', la laicita' dello stato, la funzione e responsabilita' legislativa. Davvero non c'e' limite alla violazione della liberta' femminile, quando si tratta di disporre del corpo delle donne. Tutto, pur di non prendere atto che si nasce da donna, che non vi e' modo di tutelare la vita - qualunque cosa si intenda con questa parola - senza e contro di lei. Su questo non c'e' da mediare tra diverse concezioni etiche, ne' da bilanciare tra beni e diritti in conflitto, quelli dell'embrione e quelli della donna. E, per favore, che nessuno, da destra o da sinistra, ci venga a parlare dei fondamentalismi di altre societa' e culture, e della liberazione delle donne che li subiscono, quando si scrive una legge come questa, rinverdendo l'alleanza patriarcale tra chiesa e stato, tra etica cattolica e legge. Lo stato, lo ha ricordato Piero Fassino, non puo' identificarsi ne' in una fede, ne' in un'etica; non puo' stabilire cosa e' permesso e cosa e' vietato dalle leggi, sulla base di cie' che e' lecito o non e' lecito per l'etica. Si parla abitualmente di contrasto tra "laici" e cattolici, come se la laicita' fosse una delle concezioni etiche in campo. Ma laici e laiche dovremmo essere tutti e tutte, in particolare in parlamento, poiche' la laicita' prescrive soltanto che nessuna concezione etica possa prevalere, avvalendosi della legge. Nessuna puo' cioe' armarsi del potere di proibire scelte che ritiene illecite o difformi. Oggi la laicita' e' insidiata da un rilancio del fondamentalismo: finita la Dc, la gran parte dei cattolici dell'uno e dell'altro schieramento parlamentare sono impegnati, su pressanti sollecitazioni delle gerarchie ecclesiastiche, a riportare nella legge il dettato della chiesa. E cio' e' sostenuto, da parte dei parlamentari e delle parlamentari, in nome della liberta' di coscienza. Si puo' cioe' imporre all'intera societa' cio' che detta la propria dottrina, sia pure con convinta adesione personale, negando la liberta' di altre coscienze, ma soprattutto stravolgendo il senso della legge, della funzione del parlamento, in breve della politica. Peraltro, dietro l'alto ideale della liberta' di coscienza fa capolino un molto piu' terreno interesse politico di parte: fra le neoformazioni cattoliche, e' aperta una corsa a guadagnarsi legittimazione guardando al Vaticano. Che si possa pensare che questo non abbia rilevanza nei rapporti politici, tra eletti ed elettori, e' davvero straordinario. Pensiamo alle numerose dichiarazioni di esponenti dell'Ulivo. Davvero si crede che le scelte attuate in questa come in altre questioni non siano determinanti? Che possa essere considerata "una ricchezza", pluralista, come ha affermato Patrizia Toia, senatrice della Margherita, l'approvazione di una legge che offende gravemente liberta' e laicita' dello stato? Ed i Ds pensano di limitare il danno, derubricando a opinioni etiche diverse una questione politica di enorme rilevanza? Non si illudano, saranno molte e molti a valutarla diversamente, a metterla al primo posto, proprio sul piano della rappresentanza. Nessuna alleanza politica, nessuna accordo programmatico, nessuna lista sara' credibile, se non sara' costruita su scelte chiare e nette su contenuti cosi' dirimenti. 6. RIFLESSIONE. ERIKA TOMASSONE: UNA LEGGE OSCURANTISTA [Dalla newsletter "Ecumenici" (per contatti: ecumenici at aliceposta.it) riportiamo ampi stralci di un intervento di Erika Tomassone originariamente apparso sulla sempre interessante agenzia stampa della federazione delle chiese evangeliche "Nev" (sito: www.fedevangelica.it/nev). Erika Tomassone e' pastora valdese] La legge sulla procreazione medicalmente assistita che sta per essere approvata definitivamente dal Parlamento, e' una delle piu' oscurantiste d'Europa e purtroppo poco attenta ai risultati attuali della ricerca scientifica. Da un lato e' giusto che vi sia una legge atta a regolare una materia che puo' diventare terreno di ogni sorta di eccessi. D'altro lato, l'attuale legge rende la procreazione medicalmente assistita un calvario incredibile per chi sia nella condizione di ricorrervi, a partire dalla selezione delle coppie conviventi o coniugate, purche' di sesso diverso, che desiderano ricorrervi. Immaginiamo le quantita' di analisi cui sottoporsi, volte ad assicurare l'assoluta impossibilita' di avere un figlio attraverso altre vie. Si passa poi all'accesso al programma incontrando comunque ancora ostacoli di tipo "informativo". La domanda sara': "Avete preso in considerazione l'adozione?". Dopo la stimolazione ormonale, potranno essere prodotti solo tre embrioni, tutti e tre da impiantare. Questo punto e' assai controverso dalla comunita' scientifica che denuncia l'irresponsabilita' di tale limitazione, in quanto ha per conseguenza nuove stimolazioni ormonali in caso di insuccesso. Dopo che l'embrione e' stato impiantato per le donne si apre la strada comune a tutte le altre donne, vale a dire ecografie ed indagini. Dal momento che e' vietato fare diagnosi su eventuali malattie genetiche dell'embrione prima dell'impianto, si aspettera' come tutte di sapere se il feto e' sano, e poi - dopo tutta questa trafila piena di ostacoli - si rischia pure di dover decidere per l'aborto terapeutico. La legge se letta tutta d'un fiato lascia due brutte impressioni: innanzitutto piu' che regolare, scoraggia in molti modi il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, tenendo conto anche della questione finanziaria. In secondo luogo, non prende sul serio la fotografia attuale delle situazioni in cui un bambino o una bambina potrebbe crescere, ma ribadisce un modello obsoleto di famiglia. In questo modo lascia ampio spazio alla ricerca di soluzioni alternative ad esempio nei paesi europei in cui le leggi sono piu' aperte alla realta' delle loro societa', per chi puo' ovviamente. Un punto che lascia l'amaro in bocca e' lo spostamento sul prodotto del concepimento, come portatore di diritto, per non parlare del non riconoscimento di una certa asimmetria tra uomo e donna nella procreazione... In alternativa che cosa resta? Augurarsi di essere fertili e procreare "naturalmente" e soprattutto non avanzare dei diritti se si e' una coppia omosessuale, o una donna singola. Questo e' il succo della legge. C'e' da chiedersi se proprio questo punto non ne sia il vero obiettivo: ribadire che cosa e' oggi una famiglia in Italia e relegare nella marginalita' qualunque altra esperienza umana. 7. LETTURE. EUCLIDES ANDRE' MANCE: LA RIVOLUZIONE DELLE RETI Euclides Andre' Mance, La rivoluzione delle reti. L'economia solidale per un'altra globalizzazione, Emi, Bologna 2003, pp. 224, euro 13. Un utile libro del prestigioso studioso e militante brasiliano. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it, angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 760 del 15 dicembre 2003
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