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La nonviolenza e' in cammino. 757
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 757
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 12 Dec 2003 02:33:52 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 757 del 12 dicembre 2003 Sommario di questo numero: 1. Enrico Peyretti: non uccidere per non morire 2. Riccardo Orioles: gasparizzazione 3. Giancarla Codrignani: una lettera aperta 4. Salvatore Scaglione intervista Antonio Cassese 5. Stefania Giorgi: bestiario in diciotto articoli 6. Ida Dominijanni: scienza e coscienza 7. Aggiornamento del "Cos in rete" e un blog per ampliare la partecipazione 8. Letture: Milena da Praga. Lettere di Milena Jesenska' 1912-1940 9. Riletture: S. Teresa di Gesu', Opere 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: NON UCCIDERE PER NON MORIRE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscali.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di cui abbiamo pubblicato il piu' recente aggiornamento nei numeri 714-715 di questo foglio, ricerca una cui edizione a stampa - ma il lavoro e' stato appunto successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios, Trieste 2001; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.arpnet.it/regis, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] "Andare verso la morte, uccisi ed uccisori, vittime ed assassini, rovescia la ragione per cui si nasce e si cresce; gli atti quotidiani e le energie spese non sono piu' un arricchimento del patrimonio umano, ma il contrario; ed ancora di piu' quando questa scelta viene studiata e pianificata per uccidere cittadini inermi o sparare nel mucchio: qui non e' persa solo la speranza nel presente, ma anche la speranza nel futuro, e' la morte della speranza stessa anche quando puo' sembrare di vincere. Vincere che cosa, se perdi te stesso? La nonviolenza puo' rappresentare la conquista piu' alta che i progressisti democratici possono fare per motivi etici, perche' nobilita non soltanto i loro atti politici, ma anche il loro modo di vedere e di pensare il mondo e l'essere umano nella sua centralita', dentro l'agire politico e le sue scelte fondamentali per il futuro". Cosi' scrive Ali Rashid, primo segretario della delegazione palestinese in Italia (in "La nonviolenza e' in cammino", n. 739 del 23 novembre 2003), in risposta all'appello di Farid Adly, che comincia con queste parole: "Noi intellettuali arabi e musulmani, presenti in Italia e in Europa, non possiamo piu' esimerci dal prendere una posizione chiara ed esplicita di rifiuto del terrorismo" (ivi, n. 738 del 23 novembre 2003). Le prime parole del brano citato di Rashid ricordano un detto di Mohamed, il profeta dell'Islam: "Disse l'Inviato di Dio, il Profeta: "Quando due musulmani si affrontano, armati di spada, l'ucciso e l'uccisore andranno all'inferno". Allora gli chiese il discepolo Abu Bakrah: "Questo per l'uccisore, o Inviato di Dio, ma perche' per l'ucciso?". Rispose il Profeta: "Perche' bramava uccidere il suo compagno"". (Detti e fatti del Profeta dell'Islam raccolti da al-Buhari, a cura di V. Vacca, S. Noja, M. Vallaro, Utet, Torino 1982, cap. II, La fede, pp. 83-94, n. 13; citato in Per un percorso etico tra culture, a cura di Pier Cesare Bori e Saverio Marchignoli, Carocci, Roma 1996, seconda edizione 2003, p. 174). E' evidente l'assonanza col vangelo: "Tutti quelli che prendono la spada, di spada periranno" (Matteo 26, 52), dove non si tratta solo del perire fisico, ma del perire umano. * Bisogna chiarire il famoso detto di Christa Wolf secondo cui tra l'uccidere e il morire l'alternativa e' vivere. Il vivere, infatti, non sfugge al morire. Il dilemma da cui vogliamo uscire vivi e' tra l'uccidere e l'essere uccisi. Questa e' la tenaglia maledetta con cui la guerra, e ogni violenza, ti persuadono ad uccidere, rubandoti l'umanita' per lasciarti la vita animale. Da ogni guerra si torna o morti o assassini. Si salvano i disertori. Uccidere e' morire ancor piu' che l'essere uccisi. Infatti, io moriro' certamente, o per limite naturale, o per mano umana. Dal punto di vista della mia situazione (diverso e' per chi mi uccide), il venire ucciso sara' soltanto un'anticipazione temporale rispetto al morire. Forse potrebbe essere addirittura meno doloroso e umiliante di una lunga decadenza e malattia. Non posso sapere se guadagno o perdo vita nel venire ucciso, come Socrate non lo sapeva del semplice morire. Perdo anni di vita, ma, come diciamo giustamente, conta di piu' dar vita agli anni che anni alla vita. Non e' affatto detto che venire ammazzati sia il massimo male, da cui difenderci con ogni mezzo. Se mi uccidono mentre lotto per una causa giusta, muoio vivendo per un motivo umano, e non per mero esaurimento biologico. Invece, se io uccido, anche per difendermi dall'essere ucciso - per questo atto (difesa legittima, omicidio legittimo, depenalizzato) la societa' non mi condanna - mi faccio autore di morte, la morte mi usa; divento rapinatore di una vita che devo guardare, anche quando e' colpevole, con rispetto sacro e assoluto, se voglio sperare lo stesso rispetto. L'evoluzione umana non e' ancora arrivata, nelle morali, nelle leggi, nelle stesse religioni, a saper superare la giustificazione dell'uccidere per evitare di essere uccisi. Anche le legge migliori (Costituzione italiana, Carta dell'Onu) giustificano ancora, entro molti limiti, la guerra di difesa. Ma le alternative a questi omicidi legittimati sono la necessaria direzione di ricerca, spirituale anzitutto, quindi pratica e politica. Se io uccido una vita tolgo rispetto alla mia vita. Questo e' il piu' serio fondamento possibile alla pena di morte: non la vendetta, ma la presunta perdita del diritto alla vita in chi toglie ad altri la vita, a cui hanno diritto. Eppure, la pena di morte va ugualmente condannata, perche' bisogna evadere, come individui e come societa', dal mimetismo riproduttivo del male, e trascenderlo. La legge contro il crimine non puo' somigliare al crimine. Invece, se vengo ucciso, mi e' tolta la vita fisica, ma diritto e dignita', indistruttibili, sono intatti, anzi risaltano, come afferma l'onore che rendiamo alle vittime. La dignita' e' inviolabile: "Non vi spaventate per quelli che possono uccidere il corpo ma non possono uccidere l'anima" (Matteo 10, 28). Qui non si tratta di una sostanza immortale, come ha pensato una filosofia, ma del senso e valore imperdibile della vita offesa, che dunque non rimane perduta. * L'obiezione di coscienza alla pena di morte, alle economie omicide, alla guerra, all'esercito, alla fabbricazione e commercio di armi, alle spese e alla cultura militare, alle politiche che includono tutto cio' nel catalogo dei propri mezzi; il rifiuto del reclutamento obbligatorio come di quello mercenario, la propaganda antimilitarista, la condanna delle culture e politiche di dominio; queste obiezioni oggi non spettano solo al soldato, ma al cittadino e alla cittadina qualunque, ribelli nonviolenti alla societa' violenta, che li vuole coinvolgere in mille modi. Tutto questo, unito all'impegno costruttivo di gestione nonviolenta dei conflitti, e' l'atto restauratore di umanita', che afferma l'uscita in avanti, non di lato, dal dilemma bellico: uccidere o venire uccisi. A questa tenaglia, in entrambi i casi mortale, sfugge anche l'obiettore, come Franz Jaegerstaetter, che paga con la vita, che non si sottrae al venire ucciso da quella stessa autorita' dia-bolica (cioe', operatrice di divisione), che gli comandava di uccidere. E questa autorita' non e' solo il nazismo, ma ogni stato o potere che fa guerra e violenza, qualunque sia la ragione che adduce. Sulla tomba di Jaegerstaetter, nel pellegrinaggio internazionale compiuto il 9 agosto, nel giorno del sessantesimo anniversario del suo martirio-testimonianza, ho visto che un morto come questo - incatenato, decapitato, sotterrato, tacitato, annullato - agisce, parla, convoca, insegna, ammonisce, testimonia, riunisce, incoraggia, consola, guarisce, riconcilia, sprona, mette in cammino, costruisce politica e storia, trasmette uno spirito, dunque vive: e' molto piu' vivo lui oggi di quanto era vivo e potente chi allora lo ha ucciso. Molto piu' vivo lui di noi che vivacchiamo nella paura e nell'incoscienza. Sperare si deve. Essere ucciso per la giustizia e' vivere e produrre vita piu' del sopravvivere fisicamente. Uccidere e' morire piu' di colui che e' ucciso. In Capitini c'e' questa idea: la vita senza morte comincia col non uccidere. Percio' ogni causa giusta - come dice Ali Rashid - deve ripudiare attivamente l'uso della morte, che restera' il contrassegno delle cause ingiuste. 2. EDITORIALE. RICCARDO ORIOLES: GASPARIZZAZIONE [Dal notiziario telematico "Tanto per abbaiare" n. 208 dell'8 dicembre 2003. Riccardo Orioles (per contatti: riccardoorioles at libero.it) e' giornalista eccellente ed esempio pressoche' unico di rigore morale e intellettuale (e quindi di limpido impegno civile); militante antimafia tra i piu' lucidi e coraggiosi, ha preso parte con Pippo Fava all'esperienza de "I Siciliani", poi e' stato tra i fondatori del settimanale "Avvenimenti", cura attualmente in rete "Tanto per abbaiare", un eccellente notiziario che puo' essere richiesto gratuitamente scrivendo al suo indirizzo di posta elettronica; ha formato al giornalismo d'inchiesta e d'impegno civile moltissimi giovani. Per gli utenti della rete telematica vi e' anche la possibilita' di leggere una raccolta dei suoi scritti (curata dallo stesso autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di un'altra sinistra. Sempre in rete e' possibile leggere una sua raccolta di traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta) politica e culturale, giornalistici e letterari. Due ampi profili di Riccardo Orioles sono in due libri di Nando Dalla Chiesa, Storie (Einaudi, Torino 1990), e Storie eretiche di cittadini perbene (Einaudi, Torino 1999)] Gasparizzazione. L'informazione e' libera, ogni cittadino ha il pieno diritto di fondare una sua televisione e di gestirla come vuole a condizione di avere quel paio di miliardi di euri che oggi sono necessari per stare sul mercato. La legge Gasparri non reprime (quasi) niente: dice semplicemente che la televisione e' un monopolio in vendita al migliore offerente, che per pura combinazione e' Berlusconi. I concorrenti possono venire non piu' dall'Italia, dove non ci sara' mai piu' la massa critica per fare un'altra televisione ma dall'Australia (Murdoch), dal Brunei (il sultano), dalla Cina (quando entrera' nel settore) o dalle due multinazionali americane. Dunque non e' che non ci sia concorrenza. Semplicemente, non e' piu' concorrenza italiana. Con questo, la storia della televisione finisce, e comincia quello di uno strumento tecnico che sta fra l'intrattenimento e la propaganda; non sara' affatto vietato criticare garbatamente il potere, purche' non sulle cose importanti; e' ammessa Striscia la Notizia, non e' ammessa Samarcanda. Tutto qua. La carta stampata segue, poiche' la raccolta pubblicitaria (da quando i giornali hanno deciso di basarsi solo sulla pubblicita') e' di molto inferiore a quella della televisione. Non e' solo in Italia: in Inghilterra, patria della liberta' di stampa, Murdoch sta trasformando il Times in tabloid proprio in queste settimane; in America ("E' la stampa, bellezza") la Cnn ha ormai dei regolari fogli d'ordini sullenotizie ammesse. "E' concepibile un paese senza governo, ma non senza libera stampa": chi l'ha detto? Non Lenin, probabilmente; l'informazione libera era alla base della civilta' liberale dell'ottocento, quanto e forse piu' dei parlamenti. E ora, semplicemente, non c'e' piu'. Possiamo benissimo dire, ai nostri tre amici, quel che ci pare; ma non possiamo piu' farlo arrivare agli altri cittadini, poiche' non ci sono piu' i canali. Le scelte politiche non possono dunque piu' essere, in senso largo, collettive, ma solo individuali; o dell'individualita' che comanda, e che spalma le proprie idee individuali su tutto il mondo, o dell'individualita' che subisce, e che cerca di percorrere un proprio individuale percorso interno. La discussione, la piazza, la polis, non c'e' piu'; ne restano dei succedanei a fini d'addolcimento, per tener buona la generazione che ha conosciuto la democrazia; ma fra una decina di anni neanche questi ci saranno piu'. Ne' la Cnn, ne' i tabloid inglesi, ne' la Tv russa ne' Mediaset-Rai sono piu' stampa libera nell'accezione liberale ottocentesca; ne' Bush, ne' Blair, ne' Putin ne' Berlusconi sono leader parlamentari nell'accezione liberale ottocentesca. Ciascuno di questi media e' organo - propaganda e consenso - di un potere ben delineato; nessuno di questi leader e' stato eletto regolarmente nel corso di libere e paritarie elezioni. Berlusconi non e' l'eccezione, e' il mondo nuovo; rozzo, naturalmente, e texano e brianzolo; la prossima generazione di berlusconi sara' molto piu' "seria" e "professionale". Non sara' democratica, naturalmente. * Per quanto personalmente mi riguarda, sono stato gasparizzato tanti anni fa, per cui la gasparizzazione collettiva mi tocca, egoisticamente, solo di riflesso. In questi vent'anni ho imparato pero' che ci sono tante vie per continuare a informare. Da soli, per dare testimonianza, almeno quella; ma, in gruppo, anche per produrre degli strumenti che arrivino da qualche parte, che facciano danno. Che cosa facciamo adesso, dopo Gasparri? L'idea che la televisione pubblica deve morire e' passata con l'unanimita' sostanziale di tutti quanti. L'idea che l'informazione e' mercato, e non diritto acquisito del cittadino, unifica l'onorevole Berlusconi di Forza Italia e il senatore Debenedetti dei Ds. Come gestiranno costoro la fase successiva? Cercheranno di ritagliarsi degli spazi privati, piu' o meno vasti, ma comunque privati, nel nuovo mondo. Che cosa proporranno a noi professionisti dell'informazione, ai giornalisti? Di scegliere il privato meno brutale, di salvare se non il diritto del pubblico ad essere informato sempre e comunque almeno qualche briciola occasionale di liberta'. Una aurea mediocritas oraziana (Augusto in tv ha avuto successo, mi dicono), con molte rassegnazioni e molte nostalgie. C'e' poi un'altra strada, che e' la mia. Buttarsi su tecniche nuove, non ancora invase; gettare subito un guanto, sperando che sia raccolto e che faccia pensare; puntare sui ragazzi che crescono, sulla humanitas istintiva dei giovani esseri umani; e ipotizzare coerentemente un Gutenberg nuovo. "Buscar el levante por el poniente": se la televisione col telecomando ormai e' conquistata, lasciamogliela, e puntiamo su un continente - l'interattivita', lo scambio veloce, la parita' coi lettori, la rete - completamente nuovo, su cui non sono ancora arrivati. Ma bisogna puntarci tutto, fino in fondo, senza guardarsi indietro. Fa male - ad esempio - Dario Fo, dopo tanto dibattito su tv alternative e di strada, ad affittare un canale... da Murdoch. Non perche' sia sbagliato "politicamente", qui ed ora: ma perche' fara' danno in avvenire, impedira' di seguire l'altra strada. 3. LETTERE. GIANCARLA CODRIGNANI: UNA LETTERA APERTA [Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per averci messo a disposizione questa lettera aperta inviata all'Autorita' per le garanzie delle comunicazioni. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994] Al prof. Enzo Cheli Autorita' per le garanzie delle comunicazioni Caro professore, mi rivolgo a lei come cittadina danneggiata nel suo diritto a ricevere dal sistema radiotelevisivo pubblico un'informazione qualificata e caratterizzata - come sostiene la Corte Costituzionale nella sentenza 112 del 24 marzo 1993- "dal pluralismo delle fonti... dall'obiettivita' e imparzialita' dei dati forniti, dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuita' dell'informazione erogata, dal rispetto della dignita' umana...". Chiunque abbia occasione, anche solo saltuariamente, di vedere le programmazioni televisive si rende conto di quanto esse contraddicano - e da troppo lungo tempo - i principi sopra rappresentati e, in particolare, quanto offendano l'intelligenza degli utenti. * Non e' il caso di elencare i documenti molte volte menzionati in questi giorni che convalidano come diritti i principi di una corretta informazione: dall'art. 21 della Costituzione italiana, all'art. 19 della Dichiarazione dei diritti umani, dalla Convenzione di Roma al Patto di New York, dalle sentenze della Corte costituzionale (con particolare sottolineatura la n. 466 del 20 novembre 2002, che si appella anche ai principii europei), alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, alle deliberazioni dell'Ordine dei giornalisti e dei relativi consigli regionali, le indicazioni sono molteplici e inequivoche. Mesi or sono decisi di presentare un'obiezione di coscienza al pagamento del canone all'Agenzia delle imposte; in seguito accettai di regolarizzare la posizione per l'incompetenza della struttura fiscale nella gestione della tassa di concessione. In seconda istanza ho inviato richiesta di ripetizione del canone alla direzione Rai/tv che, nell'esimersi dalla responsabilita', si e' dichiarata disposta a tener conto delle osservazioni rivolte. * A questo punto chiedo a lei che cosa puo' fare un cittadino per difendere i suoi diritti. Con l'approvazione della legge Gasparri il Governo detentore delle azioni Rai verra' a nominare il Consiglio di amministrazione e avra' non solo il controllo totale sull'informazione pubblica, ma anche aumentera' con la raccolta pubblicitaria la quota di mercato di Mediaset (che oggi e' passata dall'1,9 % al 2,5 %, nonostante il calo dell'audience): e' cio' che il prof. Leopoldo Elia definisce il premierato assoluto e comporta per la pubblica opinione la perdita del diritto ad essere informata correttamente. Anche accettando che il canone riguardi la detenzione di un elettrodomestico che non e' necessario usare, siccome non si tratta di uno strumento qualsiasi, ma del mezzo con cui io posso realizzare il mio diritto a essere informata, chiedo come sia possibile far rispettare nel nostro paese - anche a partire da una denuncia individuale - i principi elencati nei documenti formali sopra citati. O forse lei mi suggerisce di attendere gli esiti dell'inchiesta sullo stato dell'informazione in Italia ordinata dall'Europarlamento? * Mi inquieta leggere che "Reporters sans frontieres" ha collocato l'Italia al cinquantatreesimo posto nella scala mondiale del rispetto dell'informazione e vedere le accuse - che debbo riconoscere perfettamente fondate - di incompletezza, di subordinazione a diktat governativi o di autolimitazioni degli operatori, di connivenza con le imprese del presidente del consiglio, di colonizzazione delle coscienze del popolo che dovrebbe essere sovrano. In tempi in cui torniamo a parlare di patria non posso vantarmi del fatto che nella mia Italia l'intelligenza venga ritenuta eversiva. * Finche' la Rai e' pagata dal canone versato dai cittadini, mi dica che c'e' un rimedio per ottenere il rispetto del diritto ad essere informati. Oppure dovra' smettere anche lei di pagare le tasse (reato peraltro condonabile a termini di legge)? Molto cordialmente, Giancarla Codrignani 4. RIFLESSIONE. SALVATORE SCAGLIONE INTERVISTA ANTONIO CASSESE [Ringraziamo Luca Kocci (per contatti: lkocci at tiscali.it), curatore dell'edizione di quest'anno dell'Annuario della pace (l'utilissimo strumento di lavoro promosso dalla Fondazione Venezia per la pace e pubblicato presso il benemerito editore Asterios, Trieste 2003, in questi giorni in libreria) per averci messo a disposizione questa intervista che nel volume appare. Salvatore Scaglione (per contatti: sascagl at infinito.it), docente di storia e filosofia, ha collaborato a numerosi giornali e periodici ed e' autore di varie inchieste; ha curato le edizioni 2001 e 2002 dell'Annuario della pace. Antonio Cassese e' docente universitario, esperto di diritti umani, membro di autorevoli istituzioni giuridiche internazionali. Tra le opere di Antonio Cassese: Violenza e diritto nell'era nucleare, Laterza, Roma-Bari 1986; I diritti umani nell'era nucleare, Laterza, Roma-Bari 1988; I diritti umani nel mondo contemporaneo, Laterza, Roma-Bari 1994. Va da se' che su varie opinioni qui espresse si possono avere punti di vista diversi (e chi scrive queste righe di premessa e' in dissenso su non poche cose), ma ci sembra che questa intervista costituisca comunque una utile occasione di riflessione] "Malgrado le affermazioni pretestuose con cui hanno cercato di giustificare il loro atteggiamento, e' chiaro che Stati Uniti e Gran Bretagna hanno violato la Carta dell'Onu. E' stata una violazione perche' si tentava di legittimare l'uso della forza in una circostanza che non consentiva tale uso". "Anche il bombardamento Nato in Kosovo ha violato la Carta dell'Onu". "Ora e' stato fortemente sconvolto un sistema di gestione politica internazionale". Antonio Cassese e' professore ordinario di diritto internazionale all'Universita' di Firenze. Le sue ricerche sui temi del diritto internazionale e dei diritti umani, costituiscono un riferimento dottrinario di indiscusso valore. Ha insegnato alle universita' di Pisa, Oxford e all'Istituto universitario europeo. All'attivita' didattica ed a quella di ricerca, ha unito la presenza attiva in numerosi organismi internazionali, fra i quali la Conferenza delle Nazioni Unite per i diritti dell'uomo, il Comitato giuridico delle Nazioni Unite, la Conferenza di Ginevra per lo sviluppo del diritto internazionale umanitario. Dal 1989 al 1993 e' stato presidente del Comitato del Consiglio d'Europa per la prevenzione della tortura; dal 1993 al gennaio 2000 e' stato giudice al Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, dal 1993 al 1997 presidente dello stesso Tribunale. - Salvatore Scaglione: Professor Cassese, specie negli ultimi anni, alcuni Stati di tradizione democratica si sono affidati esclusivamente all'uso della forza per risolvere i conflitti e per trattare con altri Stati. Ritiene che questo quadro internazionale fortemente peggiorato renda piu' incerta la funzione stessa e la natura del diritto internazionale? - Antonio Cassese: Non mi pare. L'atteggiamento degli Stati Uniti d'America e dell'Inghilterra e degli altri Stati che hanno impedito l'approvazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza, mostra anzi chiaramente che il diritto e' certo. Malgrado le affermazioni pretestuose con cui hanno cercato di giustificare il loro atteggiamento, e' chiaro che Stati Uniti e Gran Bretagna hanno violato la Carta dell'Onu. E' stata una violazione perche' si tentava di legittimare l'uso della forza in una circostanza che non consentiva tale uso. Era in corso una soluzione pacifica - l'ispezione -, per cui, in base alla Carta, bisognava attendere lo svolgersi di tale soluzione per decidere, a livello collettivo, se era il caso di ricorrere alla forza oppure no. Direi dunque che, piu' che una situazione d'incertezza, questo atteggiamento degli Stati Uniti, unito ad una loro precedente scarsa adesione a certe norme consuetudinarie del diritto internazionale e l'intenzione di rimanere fuori da trattati importanti, dal protocollo di Kyoto alla Corte penale internazionale, fa capire che non si e' incrinato un sistema giuridico internazionale ma e' stato, piuttosto, fortemente sconvolto un sistema di gestione politica internazionale. - S. S.: La prego di considerare il primo dei tre eventi piu' recenti: Kosovo, Afghanistan, Iraq. Ritiene che nel caso del Kosovo sia stato violato il diritto internazionale? - A. C.: Si', e' stata violata la Carta dell'Onu. D'altra parte tale violazione e' stata ammessa dagli stessi Stati, come la Germania che, pur intervenendo militarmente, ha detto: e' una violazione, ma non deve costituire un precedente. E' vero che questa violazione ha avuto una copertura politica generale perche' tutti gli Stati della Nato l'hanno voluta. Tuttavia, sia il comportamento degli altri Stati sia le violazioni del diritto internazionale umanitario commesse durante l'intervento, dimostrano che non si e' formata una norma internazionale che legittimi l'uso della forza senza l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza, neppure per rispondere a gravissime violazioni dei diritti umani, come stava accadendo, appunto, in Kosovo. L'illegittimita' resta, anche se una ventina di Stati era d'accordo. A questo proposito, avevo scritto in un mio primo articolo che forse si sarebbe potuto dire che "ex iniuria ius oritur" (il diritto sorge in seguito ad una grave violazione del diritto stesso). Bisognava pero', perche' cio' si realizzasse, da un lato, che gli Stati della Nato si comportassero in conformita' al diritto internazionale umanitario, in particolare proteggendo la popolazione civile; dall'altro, che si creasse nella comunita' internazionale un consenso generale sulla formazione di una norma che consenta l'uso della forza per reagire a gravissimi massacri. Tale norma non si e' creata, anche, a me pare, per le gravi violazioni commesse dagli stati della Nato, a danno dei civili. - S. S.: Tuttavia mi pare si ponga un ulteriore problema. Posto che una motivazione etico-politica (come le esigenze umanitarie) sia sufficiente ad usare la forza, non le pare che questa motivazione si trasformi, oggi, in un grimaldello con cui si possono forzare moltissime situazioni del pianeta e, con esse, tutte le regole? E non solo relativamente a situazioni locali, limitate nel tempo e nello spazio, ma entrando in campi molto ampi, come la stessa guerra all'Iraq che, fra l'altro, e' stata motivata anche da questo? - A. C.: Ci puo' essere un conflitto fra esigenze etico-politiche e divieti giuridici. Bisogna, infatti, essere molto cauti nel definire le esigenze che siano tali da "giustificare" una violazione dei dettami giuridici, proprio per le possibilita' di arbitrio cui si possono prestare. Si puo' affermare che il diritto coincide con le motivazioni etico-politiche, se si forma, nella comunita' internazionale, un orientamento tale che affermi che in certi casi eccezionali, anche senza l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza, si puo' usare la forza per reagire a gravi massacri. Ma, come dicevo, questa convinzione della comunita' internazionale non si e' formata, per cui il diritto rimane quello di prima. Insomma, il diritto internazionale puo' essere cambiato a patto che lo vogliano tutti gli Stati, non solo un piccolo gruppo di essi, anche se tutti i componenti di questo gruppo fanno parte della Nato. Il diritto e' un po' conservatore, pero' questo suo carattere e' una garanzia contro gli arbitrii. E regge di fronte alle nuove esigenze perche' predispone garanzie contro gli abusi. - S. S.: Il secondo dei tre casi citati, l'Afghanistan, nasce in seguito allo slancio emotivo seguito alla strage di New York. Le pare che quella guerra sia stata piu' rispettosa delle norme internazionali? - A. C.: Neppure l'intervento statunitense in Afghanistan, secondo me, e' stato conforme alla Carta dell'Onu. Devo tuttavia aggiungere che, subito dopo l'11 settembre, ci sono state due risoluzioni del Consiglio di sicurezza che, sia pure in modo ambiguo, hanno fatto riferimento al diritto di ogni Stato di esercitare la legittima difesa. Sembra dunque che abbiano avallato, in modo preventivo, la motivazione addotta dagli Stati Uniti contro l'Afghanistan: al governo di quel Paese c'erano i talebani, ritenuti responsabili dei fatti di New York perche' consentivano che nel loro territorio venissero installate le basi dei terroristi, ed anche perche' proteggevano attivamente quei terroristi. - S. S.: Tuttavia, professore, la "legittima difesa" e' gia' difficile da definire nel diritto penale. Ritiene che, trasferita nel diritto internazionale, mancando elementi precisi di prova e mancando una verificabile situazione di pericolo effettivo, passare dal sospetto ad un attacco armato, sia "adeguato e proporzionato"? - A. C.: Infatti, sono d'accordo nel ritenere impropria la motivazione della legittima difesa. Impropria da parte degli Usa e impropria da parte del Consiglio di sicurezza. Pero', se fosse stato subito evidente - come non e' stato - che questi attacchi provenivano da uno Stato che ospitava basi terroristiche, questo Stato si esponeva ad un attacco "punitivo" sul suo territorio. Insomma, trovo giustificato l'attacco degli Usa, solo che avrebbe dovuto essere autorizzato dal Consiglio di sicurezza. Che, pero', l'ho gia' detto, aveva dato una sorta di ambigua autorizzazione preventiva. Puo' darsi che abbia giocato, in tutto questo, una sorta di emotivita' diffusa, a seguito dei fatti dell'11 settembre. - S. S.: Nel terzo esempio, quello dell'Iraq, non si puo' piu' ricorrere all'emotivita'... - A. C.: Per l'Iraq era in corso una sorta di trattativa, attraverso gli ispettori. Lo stesso Consiglio di sicurezza doveva poi riunirsi per decidere cosa fare, in caso di persistente violazione, da parte dell'Iraq, dei suoi obblighi internazionali. L'illegittimita' dell'azione militare e', dunque, certa. Riepilogando, si puo' dire che alcuni Stati hanno violato la Carta dell'Onu, come e' successo tante volte in passato, ma la maggior parte degli altri Stati non ha accettato tali violazioni. Dunque, il diritto internazionale non si e' incrinato nella sua veste formale. Resta pero' un'incertezza che va chiarita: la legittima difesa preventiva. Ha ragione chi dice: se nell'era dei missili si chiede di reagire solo dopo essere stati colpiti, si chiede l'assurdo. Perche' non devo reagire ad attacchi illegittimi quando so che stanno per arrivare nel mio territorio missili devastanti? E' un problema serio, che non ha niente a che fare con i tre casi precedenti, ma che bisogna definire per il futuro. Oggi la Carta dell'Onu esclude l'attacco preventivo. Che fare, pero', di fronte ai vettori intercontinentali che hanno un potere massiccio di distruzione? Nel 1945, data della Carta dell'Onu, questi mezzi non c'erano. Ora bisognera' tener conto dello sviluppo della tecnologia in questo settore. E' dunque vero che il diritto internazionale regge abbastanza bene, ma c'e' qualcosa in cui deve adattarsi a nuove esigenze: gli Stati dovrebbero prevedere in quali casi si puo' ricorrere al diritto di difesa preventiva. C'e' il precedente di Israele che, nel 1967, ha usato la forza in via preventiva contro Egitto, Giordania e gli altri Stati che lo stavano attaccando. In quel caso la comunita' internazionale non ha protestato. Lo ha fatto invece quando Israele ha bombardato il reattore nucleare di Osirak in Iraq. Reattore pacifico, ma suscettibile, secondo Israele, di essere usato a fini militari. Anche in quel caso, Israele disse "legittima difesa preventiva", ma gli altri Stati gli diedero torto. Altro punto debole e' costituito dai mutati rapporti di forza nella comunita' internazionale, cosa che puo' incidere negativamente sul sistema giuridico attuale, creato in funzione di un equilibrio multipolare. Se la superpotenza agisce non tenendo conto delle norme internazionali e delle sue restrizioni, l'assetto politico della comunita' internazionale finira' per avere un impatto devastante su quello giuridico. - S. S.: Ma, professore, non pensa che per l'opinione pubblica questo sia gia' avvenuto? - A. C.: Non credo. Il rischio e' che il protrarsi di questa situazione, unito all'accettazione da parte degli altri Stati, possa portare al cambiamento delle norme. Per ora, sia i giuristi che quasi tutti gli Stati del mondo, ritengono che quanto e' stato fatto in Iraq sia una violazione del diritto internazionale. Non c'e' sanatoria per questo. Dunque, non sarei pessimista, nonostante i pericoli. - S. S.: Lei, in qualche occasione, ha sottolineato come si dia spesso una soluzione "selettiva" alle controversie, ad esempio, nel caso dei crimini contro l'umanita'. Tanto selettiva da risultare, mi pare, un po' sospetta: ci sono tribunali per il Rwanda, per la ex Jugoslavia, ma non c'e' un tribunale per eventuali, simili reati commessi da Israele, o dalla Nato, o per il Pakistan, o per Mugabe in Zimbabwe, o per l'Indonesia, o per la giunta militare in Birmania: solo gli sconfitti, dunque, possono essere processati? - A. C.: Quello dei tribunali ad hoc e' un limite gravissimo. Per superarlo si e' creata la Corte penale internazionale, perche' giudicasse in modo non selettivo ma universale quei casi che non possono essere risolti dalle giurisdizioni nazionali. Purtroppo, anche in questo caso la superpotenza ha un atteggiamento ostile, chiaramente motivato dalla paura che i propri governanti possano essere trascinati in giudizio. E' chiaro sempre piu' che gli americani non hanno paura che i propri militari possano essere incriminati quanto piuttosto che lo possano essere i dirigenti politici. Nello statuto del Tribunale infatti e' prevista la responsabilita' penale dei superiori (militari o politici) per non aver impedito o represso crimini dei subordinati, ed inoltre non esistono immunita' per i capi di Stato o di governo, o per i ministri. Per lo stesso motivo, la Corte non e' stata accettata dagli Stati arabi. Tanto di cappello, dunque, per Francia e Inghilterra che hanno accettato che loro autorevoli personaggi si espongano ad incriminazioni. Quanto al rischio di mettere sotto giudizio i perdenti, esiste indubbiamente. E' per questo che dissento dalla procura del Tribunale per l'ex Jugoslavia, quando ha rifiutato di considerare le gravi accuse mosse alla Nato, relativamente ai bombardamenti in Serbia, senza condurre nemmeno un'indagine preliminare. - S. S.: Cosa distingue, nel diritto, una "strage di civili" da un "effetto collaterale"? - A. C.: Sul piano oggettivo puo' essere, a seconda delle circostanze, la stessa cosa. La differenza sta soprattutto nell'intenzione. In realta', in questo settore il diritto e' un po' fumoso perche' gli Stati fanno il diritto per vincolare se stessi. E dunque, le grandi potenze spesso lo rendono ambiguo per potere, poi, pescare nel torbido. Certamente un attacco deliberato e indiscriminato contro la popolazione civile e' vietato. D'altra parte, in un conflitto armato, le cose non sono quasi mai cosi' lineari. Accade che, attaccando obiettivi militari, si coinvolgano anche civili. Il diritto internazionale prescrive che l'effetto collaterale non debba essere sproporzionato rispetto al vantaggio militare che il belligerante intendeva conseguire. Parole generiche, come si puo' capire... Si aggiunga che in taluni casi, gli obiettivi civili vengono colpiti quando il belligerante sostiene che nascondono obiettivi militari e, quindi, secondo il diritto, perdono il loro status di obiettivi civili. Ma chi accerta preventivamente tutto questo? Il diritto, in questo, non ci aiuta molto, anzi, e' equivoco. Un esempio del 1921. Navi-ospedale degli alleati, secondo i tedeschi, venivano usate per trasportare armi. I tedeschi se ne accorgono ed emettono una specie di avvertimento: poiche' usate le navi ospedale per queste ragioni, d'ora in poi, noi le attaccheremo. E l'hanno fatto. La Corte di Lipsia, in seguito, ha dato ragione ai tedeschi. E, secondo me, ha fatto bene, perche' c'era stato un preavviso ed una motivazione, data dalla circostanza che gli alleati abusavano di una norma internazionale e della protezione che essa accordava alle navi-ospedale. In questi casi dovrebbero essere i giudici ad emettere delle sentenze "creative" e supplire cosi' alle genericita' del diritto. - S. S.: L'attuale forza di stabilizzazione in Iraq e' stata decisa dagli Usa senza alcun avallo di organismi internazionali. A mia conoscenza, ne' la Nato, ne' l'Ue, ne' il Segretario generale dell'Onu hanno trovato da ridire. E' davvero una procedura corretta o un'ulteriore infrazione? - A. C.: Dal punto di vista formale, non si e' ritenuto di reagire alla costituzione della forza di stabilizzazione, perche' posti davanti al fatto compiuto di una occupazione militare (occupatio bellica). Direi che si tratta di una situazione illegittima ab initio, che pero' gli altri Stati accettano tacitamente, anche quando contestano (come la Francia e la Germania) la legittimita' iniziale del ricorso alla forza contro l'Iraq. - S. S.: Pensa che l'Onu possa uscire indenne dall'attuale tendenza degli Stati Uniti ad umiliarne sempre piu' la funzione? - A. C.: Certo, l'Onu ne esce ridimensionata, quanto meno. Ma la posizione degli Usa e l'abuso che essi fanno della loro forza economico-politico-militare, non toglie che l'Onu rimane un foro internazionale indispensabile, nel quale gli Stati si incontrano e coagulano, per cosi' dire, la loro volonta' maggioritaria. - S. S.: Professore, se il diritto d'asilo e' un diritto umano, come si giustificano le legislazioni variamente restrittive dei diversi Stati? - A. C.: Il diritto d'asilo e', certamente, un diritto umano fondamentale. Pero' nel diritto internazionale non c'e' una norma che obblighi a dare asilo, per esempio, ai rifugiati politici che temano persecuzioni in un altro Stato. C'e', invece, nell'ordinamento costituzionale di vari Stati. L'asilo e' legato al fatto che lo straniero possa essere oggetto, nel proprio Paese, a gravi persecuzioni. A livello europeo, c'e' una norma della Convenzione europea che afferma che uno Stato non puo' respingere uno straniero che, nel proprio Paese, "possa essere sottoposto a trattamenti disumani e degradanti". E' una bella norma ed e' anche l'unica tutela a livello europeo, piu' volte applicata, ad esempio a profughi dalla Turchia. Lo si fece in Italia con Ocalan, ad esempio, anche se incredibilmente gli si accordo' l'asilo quando se n'era gia' andato. - S. S.: Come si concilia l'interesse delle case farmaceutiche a mantenere a lungo il controllo del brevetto sui farmaci salvavita, con l'interesse primario degli abitanti del mondo povero ad acquistare quei farmaci che, proprio per il brevetto, hanno prezzi insostenibili da queste popolazioni? - A. C.: Su questo tema non ci sono norme internazionali che impongano obblighi specifici alle parti. Siamo nel campo della liberta' economica, che fa comodo ai piu' forti. In questo settore, l'azione di gruppi o di Stati (come il Sudafrica) che tendono a modificare il diritto e' piu' che giustificata. C'e' un diritto alla vita non sancito da norme consuetudinarie, anche se lo e' nel Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, non ancora ratificato da taluni Stati. Il diritto ha certamente dei limiti che dovrebbero essere superati dall'agire politico. 5. RIFLESSIONE. STEFANIA GIORGI: BESTIARIO IN DICIOTTO ARTICOLI [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 dicembre 2003. Stefania Giorgi e' giornalista e saggista, da anni animatrice delle pagine cuturali del quotidiano "Il manifesto", ha scritto molti articoli, densi e illuminanti, su temi civili e morali, e in particolare di bioetica, di difesa intransigente della dignita' umana, quindi dal punto di vista del pensiero delle donne] A passo di carica, blindata, la legge sulla fecondazione assistita in dirittura di arrivo si squaderna davanti agli occhi - increduli e inorriditi - del popolo italiano come una mostruosita' giuridica, una creatura chimerica partorita da ibridi e trasversali integralismi. Una legge disumana, talebana, fondamentalista, medioevale, oscurantista ma soprattutto inapplicabile. Un colpo mortale in primo luogo alla autorevolezza e alla credibilita' di un parlamento che detta legge infischiandosene sia delle effettive possibilita' di applicazione delle norme, sia delle conseguenze perverse che ne possono derivare. Articolo dopo articolo, infatti, tesse una rete di impedimenti, divieti, sanzioni e controlli spesso in contraddizione tra loro. Filiazione di una concezione dello stato etico che si erge a controllore fin nella intimita' della vita di ciascuna e ciascuno, a dispensatore di cure e diritti per alcuni e non per tutti. Discriminando nella tutela dei diritti fondamentali, quali la salute, la sessualita', la procreazione. Facendo l'elenco dei buoni e dei cattivi, eterosessuali e accoppiati da premiare, omosessuali e single da cancellare. Un preliminare e assurdo discrimine che potrebbe, paradossalmente, in nome del "diritto uguale per tutti", aprire la strada della riduzione per tutti della tutela di questi diritti estendendo divieti, limiti e sanzioni anche alla procreazione sessuale? Se e' costituzionalmente inammissibile negare una terapia a donne sterili soltanto perche' non in coppia si arrivera' a negarlo anche a quelle che restano incinte dopo un rapporto sessuale, magari occasionale? La domanda che provocatoriamente si/ci ponevano Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa sul "Manifesto" di martedi' scorso non e' poi tanto peregrina visto il giro di vite annunciato anche per quel che riguarda la revisione - in nome della coerenza giuridica per garantire a tutti i nascituri la stessa tutela e gli stessi diritti - della legge 194 lanciata dal cardinale Ruini e ripresa dal chierichetto (Udc) Maurizio Ronconi. Divieto chiama divieto, restrizione chiama restrizione. Il parlamento comincia l'opera e il governo la rifinisce. Come si tradurra', nella pratica, l'ordine del giorno approvato dal senato - presentato da Renzo Gubert, Calogero Sodano, Leonzio Borea e Giuseppe Gaburro del fronte cattolico e del gruppo centrista dell'Udc - che fissa i criteri di accertamento della convivenza di chi richiede l'accesso alle tecniche di fecondazione assistita? Criteri che "garantiscano che tale convivenza sia stabile, tenuto conto al riguardo del preminente interesse del nascituro". Il compito di verificare quanto stabile e affidabile sia una coppia di conviventi e' affidato nientemeno che al governo. Come? Con un provvedimento affidato a quale ministero? da una commissione di esperti? a un servizio di "volanti" sguinzagliate sul territorio di poliziotti, carabinieri, vigili urbani e assistenti sociali? La fantasia di ciascuna/o puo' sbizzarrirsi all'infinito. Altro punto di fumosita' applicativa riguarda gli embrioni congelati, circa trentamila, e conservati nelle strutture. Sparita dal testo l'adottabilita', al ministro della sanita' Sirchia e' stato dato l'incarico di provvedere al loro destino con un decreto amministrativo. Ma non si capisce come si potra' cavare dall'impaccio visto che la legge non gli permettera' ne' di distruggerli ne' tantomeno - di impiantarli nell'utero di una donna perche' inciamperebbe nella vietatissima e sanzionata (dai trecentomila ai seicentomila euro di multa) fecondazione eterologa. E che dire dell'obbligatorieta' dell'impianto dei tre embrioni? Vietata la revoca del consenso, anche in caso di embrioni malati, la donna non ha scelta ne' scampo. Cosa ipotizzano i legislatori anziani del nostro parlamento? Di costringerla contro la sua volonta' dichiarata e manifesta? Il medico che si ritrova a dover impiantare questi tre embrioni dovra' chiedere un'ingiunzione al giudice? Rivolgersi a polizia e carabinieri per prelevarla da casa e portarla in ambulatorio? agli infermieri di inchiodarla al lettino per procedere all'impianto? I medici potranno invocare l'obiezione di coscienza di fronte a una tale mostruosita' e disumanita' di trattamento? Non risolve i dilemmi, anzi complica ulteriormente i problemi attuativi e interpretativi di questa materia (articolo 6), l'ordine del giorno approvato dal senato e presentato del relatore Flavio Tredese (Forza Italia) relativo alla possibilita' di revoca del consenso fino al momento della fecondazione chiedendo - di nuovo al governo - di impegnarsi a "esplicitare, nelle linee guida, che di fronte a una revoca del consenso oltre i limiti stabiliti non vi e' obbligo di attuazione coercitiva di impianto dell'embrione"; "a esplicitare che il medico, avendo agito legittimamente nella sua responsabilita', non e' responsabile della situazione". Al di la' dell'incerto e oscuro linguaggio, cosa prevarra' alla fine? il testo della legge o la "raccomandazione" del governo? Ma i trattamenti da lager riservati alle donne non si fermano qui. Come definire in altro modo il divieto di produrre piu' di tre embrioni per volta? In caso di insuccesso (molto frequente) la donna dovra' sottoporsi a nuovi bombardamenti ormonali con alcuni effetti collaterali possibili come menopausa precoce e neoplasie ovariche. Ma che importa, quello che conta non e' la salute della donna ma la salvaguardia dell'embrione. Nessuna speranza, infine, per i poveri infertili ai quali tocchera' rassegnarsi. L'articolo 3 stabilisce infatti che la procreazione assistita non rientra nelle prestazioni del servizio sanitario nazionale. Il che significa che serviranno circa 10.000 euro per ogni tentativo. I ricchi, al contrario, potranno sempre andare all'estero oppure ricorrere al fiorente e lucroso mercato clandestino, al parallelo mondo del "si puo' tutto basta sganciare i soldi" che questa legge produrra'. Una storia antica e ben nota, la stessa che ha condizionato per secoli il ricorso all'aborto. 6. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: SCIENZA E COSCIENZA [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'"11 dicembre 2003. Ida Dominijanni (per contatti: idomini at ilmanifesto.it), giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista] Trionfali lanci d'agenzia annunciano che l'Ulivo, anzi tutta l'opposizione, ha trovato la sua unita' sulle riforme istituzionali. Accade in un vertice di nove uomini alla camera, nelle stesse ore in cui al senato l'Ulivo perde la faccia e qualcosa di piu' sulla pelle delle donne. Gli elettori e soprattutto le elettrici saranno lieti di votare una coalizione, anzi una lista unica, compatta e riformista sui poteri del premier e sfracellata e controriformista su quisquilie da niente come lo statuto dell'embrione e la laicita' dello stato. Ma nell'Ulivo e' opinione comune, questa si', che i poteri del premier siano una questione politica e di interesse generale, mentre la procreazione assistita e' una questione privata e di coscienza, e che c'entra la coscienza con la politica? Vanno presi sul serio. In scienza e coscienza, non per subalternita' all'ideologia cattolica o alle gerarchie vaticane ma per profonda convinzione, i senatori della Margherita, d'accordo con quelli della Casa delle liberta', ritengono che l'embrione sia una persona contrapposta alla madre, che le donne siano mediamente delle irresponsabili e i ginecologi dei delinquenti. Che la ricerca medica sia sospetta per definizione. Che lo stato e la legislazione debbano indirizzare, sorvegliare e punire le scelte morali dei cittadini. Che l'unica famiglia degna di chiamarsi tale sia quella col bollo del parroco o del sindaco, che single e gay godono di diritti inferiori a quelli degli eterosessuali e degli accoppiati, che si debba decidere per via amministrativa, forse contando quanti spazzolini da denti ci sono in una casa, se un uomo e una donna convivono o no. In scienza e coscienza ritengono che una donna partorira' con dolore in natura, e si fara' inseminare con le sevizie in un laboratorio. In scienza e coscienza questo pensa la maggioranza - trasversale - dei nostri rappresentanti e questa e' la radiografia del legislatore italiano che la legge sulla procreazione assistita ci consegna. Il dibattito parlamentare che l'ha incubata e messa al mondo, in questa ma anche nella precedente legislatura, ci consegna altresi' la radiografia di una classe politica mediamente incolta e disinformata, invasa da incubi fantascientifici, animata da sentimenti di revanche maschile sulla liberta' femminile, convinta di rispondere a una cittadinanza e a un elettorato incapace di intendere e di volere. Questo per due terzi. E nel terzo che rimane a sinistra, piu' colta, piu' informata, meno invasa da fantasmi, ma inadeguata a valutare la posta in gioco e dire: da qui non si passa. C'e' di che riflettere. Non e' solo una legge oscurantista, moralista, proibizionista, inapplicabile e per svariati profili incostituzionale quella che abbiamo davanti. E' la decadenza rassegnata delle istituzioni, della concezione del diritto, dell'idea e della pratica della politica, della visione della societa'. Una cattiva legge si puo' abrogare, e questa verra' abrogata se un referendum dara' parola alle cittadine di questo paese che gia' altre volte l'hanno sottratto a una deriva fondamentalista. Ma questa decadenza non si puo' abrogare: va guardata in faccia. In scienza e coscienza. Senza illudersi che domani e' un altro giorno, ci si ritrova sui poteri del premier, si fa e si legge un altro titolo, si guarda un altro talk-show e si passa ad altro. Sta a tutti, sta alle donne in primo luogo, dentro il parlamento e fuori soprattutto. Non e' in questione un elenco di divieti, che sono trasgredibili quanto una legge e' abrogabile, e si sa che il desiderio di essere e di non essere madre difficilmente si ferma dinanzi a dei divieti. E' in questione qualcosa di piu', uno schiaffo alla soggettivita' e alla liberta' femminile, un "adesso basta" che il parlamento pronuncia e che una sponda mediatica autorizza. Sta a noi trasformarlo in un boomerang. 7. INFORMAZIONE. AGGIORNAMENTO DEL "COS IN RETE" E UN BLOG PER AMPLIARE LA PARTECIPAZIONE [Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: e-mail: capitini at tiscalinet.it; sito: www.cosinrete.it) riceviamo e diffondiamo] Vi segnaliamo nell'ultimo aggiornamento del "C.O.S. in rete" (www.cosinrete.it) una selezione critica di alcuni riferimenti trovati sulla stampa italiana ai temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo; tra cui: Wanted; La delusione; I divi part time; L'indemoniata; Me ne frego; Le strane coppie; Il sesso che chiude; La pomata; Le delizie del passato; La scadenza; La sublime follia; Il pareggio impossibile; Maestri distratti; Al contadino non far sapere; Lo scandalo; Primavera burrascosa; L'ira sacrosanta; L'anima buona del Sezuan; ecc.; piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al "C.O.S. in rete" e' libera e aperta a tutti. * Nello spirito che era del C.O.S. di "ascoltare e parlare", abbiamo aperto accanto al "C.O.S. in rete" un sito blog: http://cos.splinder.it sul quale potrete scrivere articoli, commentare articoli del cosinrete o il contributo di altri. Per immettere articoli vostri potete inviarli all'indirizzo e-mail: capitini at tiscalinet.it; i commenti possono essere scritti direttamente. 8. LETTURE. MILENA DA PRAGA. LETTERE DI MILENA JESENSKA' 1912-1940 Milena da Praga. Lettere di Milena Jesenska' 1912-1940, Citta' Aperta, Troina (En) 2002, pp. 310, euro 18. A cura di Alena Wagnerova', con un'ampia introduzione di Claudio Canal che ha anche curato l'edizione italiana, una raccolta delle lettere della Milena amata da Kafka, eroina della Resistenza, deportata dai nazisti nel lager di Ravensbrueck in cui mori' nel 1944 (ed in cui fu compagna di prigionia della grande Margarete Buber Neumann che, sopravvissuta al lager, le dedico' un libro che non si dimentica). 9. RILETTURE. S. TERESA DI GESU': OPERE S. Teresa di Gesu', Opere, Postulazione generale dei carmelitani scalzi, Roma 1950, pp. XLII + 1.524. Le opere di Teresa d'Avila, che straordinaria lettura. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it, angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 757 del 12 dicembre 2003
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