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La nonviolenza e' in cammino. 749
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 749
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 3 Dec 2003 22:10:55 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 749 del 4 dicembre 2003 Sommario di questo numero: 1. L'8 dicembre a Venezia per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta 2. Enrico Peyretti: Josef Schiffer, uomo di pace 3. Amnesty International: fermare i mercanti del dolore 4. Giovanni Paolo II: uniamo le forze nel predicare la nonviolenza 5. Tonio Dell'Olio: la nonviolenza sulle labbra del papa 6. Ali Rashid: da Ginevra per la pace contro tutti i terrorismi e tutte le guerre 7. Luisa Muraro: l'arte di mendicare 8. Ida Dominijanni: i messaggi nella bottiglia di Lelio Basso 9. Augusto Cavadi: un convegno a Messina 10. Giuliana Sgrena: Fatima e Azra, piccoli omicidi 11. Giuliana Sgrena: fine del ramadan a Kerbala 12. Giuliana Sgrena: domenica di sangue a Samarra 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. INCONTRI. L'8 DICEMBRE A VENEZIA PER UN'EUROPA NEUTRALE E ATTIVA, DISARMATA E SMILITARIZZATA, SOLIDALE E NONVIOLENTA Si terra' a Venezia l'8 dicembre il convegno di presentazione pubblica della proposta promossa da Lidia Menapace e della "Convenzione permanente di donne contro le guerre" per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta, proposta che ha gia' avuto uno sviluppo rilevante con l'appello scaturito dall'incontro svoltosi presso la Casa della nonviolenza di Verona lo scorso 8 novembre. Il convegno veneziano avviene nella solenne cornice del terzo Salone dell'editoria di pace promosso dalla Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, lunedi' 8 dicembre, dalle ore 10 alle ore 13 nel Teatro del Patronato ai Frari, per tutte le indicazioni anche logistiche e topografiche si puo' vedere nel sito www.terrelibere.it/fondacodivenezia Per ulteriori informazioni e contatti: Giovanni Benzoni (e-mail: gbenzoni at tin.it), Lidia Menapace (e-mail: llidiamenapace at virgilio.it), Mao Valpiana (e-mail: azionenonviolenta at sis.it). 2. ESEMPI. ENRICO PEYRETTI: JOSEF SCHIFFER, UOMO DI PACE [Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscali.it) per averci messo a disposizione il testo discorso pronunciato il 20 novembre 2003 in occasione della consegna a Josef Schiffer, da parte dell'Oberbuergermeister della citta' di Duesseldorf, della Croce al Merito della Repubblica Federale di Germania, conferita dal Presidente della stessa Repubblica. Josef Schiffer e' gia', dal 1999, Commendatore della Repubblica Italiana. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di cui abbiamo pubblicato il piu' recente aggiornamento nei numeri 714-715 di questo foglio, ricerca una cui edizione a stampa - ma il lavoro e' stato appunto successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios, Trieste 2001; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.arpnet.it/regis, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Onoratissime signore e signori! Sono felice di essere presente a questa importante premiazione del signor Josef Schiffer, ma soprattutto sono felice e onorato di essere suo amico. Io lo conosco, in un certo senso, da 58 anni. Un giorno di aprile 1945, appena finita la guerra, vidi fucilare tre soldati tedeschi, che avevano perso il contatto coi loro reparti in ritirata. Avevo nove anni e non posso dimenticare quella scena. La lotta dei partigiani italiani contro il nazismo e il fascismo era giusta. Ma quella fucilazione fu profondamente ingiusta, perche' quei tre soldati erano disarmati, non minacciavano nessuno, non erano personalmente colpevoli. Cio' dimostra, a mio giudizio, che dobbiamo tutti imparare a risolvere i conflitti senza l'uso delle armi che uccidono, le quali rendono insensibili al rispetto sacro della vita umana. Troppi episodi di ferocia omicida si verificano, in tutti gli eserciti, molto al di la' delle necessita' di difesa. Seppi quel giorno che c'era nel paese un quarto soldato tedesco, che non fu fucilato, perche' aveva trattato con umanita' e rispetto la popolazione civile italiana durante l'occupazione militare. Aveva difeso i civili da alcuni provvedimenti ingiusti dell'esercito occupante. Aveva salvato molti uomini. Al momento della ritirata si era rifiutato di far saltare la polveriera di cui era responsabile, nel paese di Pallerone, vicino alla cittadina di Aulla, perche' non voleva causare altri danni e dolori alla popolazione. Ci sono documenti che attestano questi fatti. Chi era quel soldato tedesco? Nel 1995 si festeggiavano in Italia i cinquant'anni dalla Liberazione. Io ripensai a quei tre soldati uccisi e a quel quarto soldato, che non avevo mai visto. Riuscii a rintracciarlo a Duesseldorf. Seppi il suo nome. Il sindaco di Aulla lo invito' alla festa per il cinquantesimo anniversario della Liberazione, e invito' anche me. Cosi' conobbi Josef Schiffer. Io ho visto nel 1995 con quanta amicizia e quanta festa gli anziani del paese lo hanno accolto e abbracciato, perche' ricordavano bene la sua azione in difesa della popolazione civile. Da quel giorno siamo diventati grandi amici. Per i suoi meriti di pace, il 24 marzo 1999, il Presidente Oscar Luigi Scalfaro ha insignito Schiffer dell'onorificenza di Commendatore della Repubblica Italiana. Io ammiro il mio amico Josef, perche', dentro la guerra che vuole farci diventare cattivi, resto' buono e giusto. Egli fu piu' uomo che soldato. Lo ammiro e lo ringrazio, perche' i nostri due popoli sono ora amici per merito di uomini come lui, che costruirono la pace anche dentro la guerra. La vera vittoria non e' dominare un altro, ma e' costruire insieme giustizia e pace. Oggi, questo onore che la Germania rende al cittadino di pace Josef Schiffer, e' un onore per tutta la Germania. Le sue grandi tradizioni di cultura e di civilta', che il nazismo aveva tradito e offeso, sono riaffermate nella pace, nell'amicizia tra i popoli. Dunque, contro le troppe violenze militari ed economiche che ci sono nel mondo, e che generano altre tremende violenze, lavoriamo insieme nella nuova Europa per la giustizia e la pace. 3. DIRITTI UMANI: AMNESTY INTERNATIONAL: FERMARE I MERCANTI DEL DOLORE [Dall'ufficio stampa di Amnesty International (per contatti: tel. 064490224, e-mail: press at amnesty.it) riceviamo e diffondiamo] Il mancato controllo governativo sul crescente commercio e uso di "equipaggiamento per la sicurezza" sta contribuendo alla diffusione dei maltrattamenti e della tortura: lo denuncia Amnesty International in un nuovo rapporto diffuso oggi, intitolato "I mercanti del dolore". Le ultimissime ricerche dell'organizzazione per i diritti umani rivelano numerosi casi in cui le forze di polizia e le guardie carcerarie utilizzano in modo scorretto le vecchie tecnologie e vengono incoraggiate a usarne di nuove, nonostante l'assenza di test rigorosi per stabilire se queste rispettino gli standard del diritto internazionale. Ecco alcuni esempi: - in Cina, durante una mostra mercato sugli equipaggiamenti di polizia, sono stati messi in vendita manganelli d'acciaio dotati di chiodi; - in Svizzera, nel marzo di quest'anno, un proiettile di plastica e metallo esploso da un agente di polizia ha causato lesioni permanenti a una donna, lasciando frammenti sul suo volto impossibili da rimuovere per il rischio di paralisi. Sul proiettile non era stato eseguito alcun test; - nel 2002, gli Usa hanno esportato in Arabia Saudita oltre nove tonnellate di ceppi di ferro: l'uso di questo strumento e' vietato dalle norme delle Nazioni Unite sul trattamento dei prigionieri; - mentre il rapporto di Amnesty era gia' in stampa, il 31 ottobre il governo sudafricano ha pubblicato un avviso di gara per la fornitura di ceppi di ferro, catene e scudi elettrici antisommossa; - la Gran Bretagna ha autorizzato la vendita al pubblico della pistola elettrica (taser gun), un congegno che esplode due dardi contenenti una scarica elettrica da 50.000 volt e che puo' essere usato anche da distanza ravvicinata con effetti stordenti. Secondo Amnesty International, non esistono ancora ricerche mediche esaurienti sugli effetti di questa pistola; - agenti chimici contenenti sedativi con effetti inabilitanti, come quelli che l'anno scorso uccisero oltre 120 ostaggi in un teatro di Mosca: questo equipaggiamento dovrebbe essere messo al bando a meno che non sia provato che e' possibile proteggere le persone dal suo uso arbitrario e indiscriminato. "Il fatto che gli equipaggiamenti di sicurezza possano essere definiti 'meno che letali' non vuol dire che non se ne possa abusare e che non possano provocare ferite o decessi" - ha dichiarato Brian Wood, l'esperto di Amnesty International sugli equipaggiamenti di sicurezza. "Siamo estremamente preoccupati per il fatto che, in molti paesi, l'uso di questi strumenti contro la popolazione viene autorizzato in assenza di sufficienti indagini circa il loro effetto sui diritti umani". Gli Usa, uno dei maggiori produttori di equipaggiamenti che producono elettroshock, sono uno dei pochi paesi a richiedere l'emissione di licenze di esportazione per il trasferimento di armi del genere. Eppure, nel corso del 2002 il Dipartimento del Commercio ha autorizzato l'esportazione di prodotti che ricadono nella categoria degli strumenti da elettroshock verso dodici paesi denunciati dal Dipartimento di Stato per il continuo uso della tortura. Il rapporto "I mercanti del dolore" rivela inoltre che il numero delle aziende che producono strumenti da elettroshock sta aumentando nonostante i continui casi di torture praticate mediante tali equipaggiamenti, denunciate in 87 paesi a partire dagli anni Novanta. Per quanto riguarda il periodo 1999-2003, Amnesty International ha individuato almeno 59 aziende che producono armi da elettroshock in dodici paesi: Brasile, Cina, Corea del Sud, Federazione Russa, Francia, Israele, Messico, Polonia, Repubblica Ceca, Stati Uniti d'America, Sudafrica e Taiwan. Nel periodo 1990-1997 le aziende rilevate erano venti. Sono pochi i governi che controllano adeguatamente la produzione, la vendita e l'esportazione di equipaggiamento di polizia e di sicurezza. La Commissione Europea ha presentato una bozza di Regolamento commerciale che, se applicato, potrebbe impedire l'esportazione dagli Stati membri di equipaggiamento il cui scopo primario e' la tortura (come i ceppi di ferro e le cinture elettriche) e sottoporre a rigoroso controllo l'esportazione di equipaggiamento che la Commissione considera legittimo se usato nel corso di operazioni di polizia ma che potrebbe essere usato per torturare (come i gas lacrimogeni e le armi elettriche stordenti). Amnesty International apprezza questi passi in direzione di un controllo, ma ritiene che il testo del Regolamento commerciale dovrebbe essere reso piu' stringente. Svariati strumenti definiti come "legittimi" nel contesto di operazioni per il mantenimento della legge - le pistole stordenti, le pistole elettriche e lo spray al peperoncino - vengono in realta' usati per compiere torture e maltrattamenti e il loro effetto sui diritti umani e' stato analizzato in modo insufficiente. Amnesty chiede che il loro uso sia sospeso in attesa di indagini rigorose e indipendenti. Amnesty International chiede inoltre: - il divieto di usare, produrre e trasferire equipaggiamenti progettati essenzialmente per la tortura o i maltrattamenti, come le cinture elettriche, i polsini di acciaio, i congegni serra-dita e i manganelli dotati di chiodi; - la sospensione dell'uso, della produzione e del trasferimento di equipaggiamenti progettati a scopo di sicurezza ma che e' stato dimostrato possono determinare torture e maltrattamenti, in attesa di un'indagine rigorosa e indipendente sul loro effetto, come le pistole stordenti, le pistole elettriche e lo spray al peperoncino; - il divieto di esportazione e uso di qualsiasi equipaggiamento che possa di per se' causare tortura e altri abusi dei diritti umani, a meno che la parte ricevente non abbia stabilito rigide normative, in linea con gli standard internazionali, per regolare il loro utilizzo, come i gas lacrimogeni, i manganelli e le manette. Nel corso dell'ultimo anno, Amnesty International ha denunciato torture ad opera delle forze di polizia e di sicurezza in 106 paesi. Sono attualmente almeno 856 le aziende, operanti in 47 paesi, coinvolte nella produzione o nella vendita di equipaggiamenti descritti come alternative "meno che letali" alle armi da fuoco, molti dei quali possono trasformarsi facilmente in strumenti di tortura. 4. DOCUMENTI. GIOVANNI PAOLO II: UNIAMO LE FORZE NEL PREDICARE LA NONVIOLENZA [Da "Pax Christi news" n. 3 (per contatti: e-mail: info at paxchristi.it; sito: www.paxchristi.it) riprendiamo e diffondiamo il testo del discorso tenuto dal pontefice cattolico il 30 novembre 2003] Carissimi fratelli e sorelle! 1. Oggi inizia il tempo di Avvento, itinerario di rinnovamento spirituale in preparazione al Natale. Risuonano nella liturgia le voci dei profeti, che annunciano il Messia invitando alla conversione del cuore ed alla preghiera. Ultimo di essi, e di tutti piu' grande, Giovanni il Battista grida: "Preparate la via del Signore" (Lc 3,4), perche' Egli "verra' a visitare il suo popolo nella pace". 2. Viene Cristo, il Principe della pace. Prepararci al suo Natale significa risvegliare in noi e nel mondo intero la speranza della pace. La pace anzitutto nei cuori, che si costruisce deponendo le armi del rancore, della vendetta e di ogni forma di egoismo. Ha grande bisogno di questa pace il mondo. Penso in modo speciale con profondo dolore agli ultimi episodi di violenza in Medio Oriente e nel continente africano, come pure a quelli che la cronaca quotidiana registra in tante altre parti della Terra. Rinnovo il mio appello ai responsabili delle grandi religioni: uniamo le forze nel predicare la nonviolenza, il perdono e la riconciliazione. "Beati i miti, perche' erediteranno la terra"(Mt 5,5). 3. In questo itinerario di attesa e di speranza che e' l'Avvento, la Comunita' ecclesiale si immedesima piu' che mai nella Vergine Santissima. Sia Lei, la Vergine dell'attesa, ad aiutarci perche' apriamo i cuori a Colui che reca, con la sua venuta tra noi, il dono inestimabile della pace all'intera umanita'. 5. RIFLESSIONE. TONIO DELL'OLIO: LA NONVIOLENZA SULLE LABBRA DEL PAPA [Ancora da "Pax Christi news" n. 3 (per contatti: e-mail: info at paxchristi.it; sito: www.paxchristi.it) riprendiamo e diffondiamo. Tonio Dell'Olio (per contatti: tonio at paxchristi.it) e' infaticabile animatore di Pax Christi e di tante iniziative nonviolente, e prosecutore dell'opera di Tonino Bello] Che bello sentire la parola nonviolenza sulle labbra del papa. Quando poi l'invito ad annunciarla (e praticarla) e' esteso a tutte le religioni... penso che stiamo percorrendo davvero i sentieri di Isaia verso la trasformazione "delle lance in falci e delle spade in aratri". Quale risposta piu' chiara alla tanta confusione che ha accompagnato i giorni scorsi con discorsi confusi, retorici, deformanti e diseducativi? 6. RIFLESSIONE. ALI RASHID: DA GINEVRA PER LA PACE CONTRO TUTTI I TERRORISMI E TUTTE LE GUERRE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 dicembre 2003. Ali Rashid e' il primo segretario della delegazione palestinese in Italia. Fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto osservatore della vita italiana. E' figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica] Il nostro tempo e' pieno di paradossi, ma il piu' evidente e' quello che ha reso la questione della pace come questione "di parte". Tutti ricordano come alla vigilia della guerra contro l'Iraq i pacifisti, o semplicemente quelli che erano contrari a questa guerra insensata e controproducente per gli stessi obiettivi per cui e' stata dichiarata, venivano trattati come vigliacchi e rinunciatari, sognatori o addirittura traditori. Oggi nel mondo esiste una intera casta di politici, giornalisti e affaristi che hanno fatto della guerra, questa avventura senza ritorno, una ragione di vita per se stessi e per gli interessi che rappresentano. E' ingenuo pensare che farebbero marcia indietro. Mi chiedo, se non ci fosse stata la manna del terrorismo, come avrebbero potuto giustificare la loro guerra. In condizioni di pace tornerebbero a essere dei mediocri superati dalla storia, quali in effetti sono. La loro unica maniera di sopravvivere e' trascinare indietro la storia stessa. Lo potranno fare solo per un breve tempo, prima di esserne travolti. * L'accordo di Ginevra va nella direzione giusta, a prescindere dal suo contenuto pur ricco e articolato. Affronta tutti i nodi difficili del conflitto, al contrario degli accordi precedenti che li rimandavano a fasi successive. Applica immediatamente tutti i punti senza rinviarli nel tempo e lega il destino politico dei firmatari, per alcuni anche quello fisico, al successo della iniziativa. E dal momento che parte dalla societa' e non dal governo, diventa un richiamo all'assunzione di responsabilita' degli stessi cittadini rispetto al loro destino e a quello dei loro figli, e non una delega, come nel caso israeliano, a un governo che ha fatto del terrorismo di stato praticato, provocato e psicologico uno strumento di potere per governare e sopravvivere. Certo, l'accordo di Ginevra non offre di fatto sul piano del diritto una soluzione giusta a tutti i problemi che un conflitto che dura da piu' di mezzo secolo ha causato al popolo palestinese. Ma sul piano etico e morale le due parti hanno fatto del loro meglio per porre fine a questa interminabile guerra, che ha impoverito entrambi non solo materialmente e promette solo morte e distruzione, per aprire pagine nuove e guardare al futuro con reciproco rispetto e pari dignita'. Molta strada abbiamo di fronte, anche perche' la risposta della destra israeliana non si e' fatta attendere. Dopo aver definito l'accordo carta straccia, adesso Sharon senza nessun motivo apparente manda i suoi carri armati a Ramallah per combattere il "terrorismo", in un momento in cui l'Autorita' nazionale palestinese e' impegnata, con l'aiuto dell'Egitto, a far sottoscrivere ai gruppi radicali una nuova tregua dopo quella che Israele ha fatto fallire con le sue uccisioni mirate e le sue incursioni militari. Sta cercando di ripetere quello che ha fatto con la complicita' di Barak, quando aveva compiuto la sua passeggiata nella spianata della moschea di Gerusalemme, questa volta mandando l'esercito a uccidere e arrestare cittadini inermi, dare credibilita' e nuovi argomenti ai gruppi radicali, condizionare in negativo la chiusura dovuta alla paura dei cittadini israeliani. Sharon osteggia la pace come concetto e come filosofia di relazioni internazionali, e ridicolizza chi si oppone alla guerra con una retorica razzista e iper-nazionalista. Supportato da una potente macchina propagandistica, come i suoi alleati anche qui in Italia, oggi dice che la guerra serve per costruire la pace nel quadro della "global american peace", e che il muro dell'apartheid serve per la sicurezza. Un muro che difende anche l'on. Fini. Che ha fatto bene a condannare le leggi razziali e a prendere atto che la Shoah rappresenta il male assoluto, ma tollerando il muro di Sharon dimostra che cio' che ha fatto non corrisponde a una civilta' politica ritrovata, che altrimenti avrebbe dovuto avere carattere universale. In questo contesto internazionale, il sostegno alla pace in Palestina diventa la punta avanzata per contrastare la strategia della guerra infinita della destra mondiale e invertirne la tendenza. * Solo la pace puo' portare alla pace. E' la pace in Palestina che porta stabilita', liberta' e democrazia in Medio Oriente, non la guerra contro l'Iraq oggi e l'Iran e la Siria domani. Una pace che affermi il ruolo delle Nazioni Unite e che, per governare i conflitti nel mondo, abbia come basi giuridiche il diritto internazionale e le risoluzioni dell'Onu. 7. MAESTRE. LUISA MURARO: L'ARTE DI MENDICARE [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo articolo di Luisa Muraro apparso sul quotidiano "L'unita'" del 20 settembre 2003 con il titolo Lo specchio dei mendicanti. Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] Mio fratello anarchico, che gira le fiere d'Europa vendendo un gioco fabbricato da lui stesso, dice ai suoi compagni di strada: non mendicate, offrite sempre qualcosa in cambio dei soldi. Lui pensa alla loro dignita' e lo capisco. La Caritas, d'altra parte, ci consiglia di non dare soldi ai mendicanti, altri sono i modi di aiutare i bisognosi; penso che abbia ragioni da vendere. C'e' poi, immancabile, il sindaco che vorrebbe escludere i mendicanti dal centro storico della sua citta' e perfino lui potrebbe avere una parvenza di ragione, la stessa per cui una volta si proibiva ai bambini di entrare nel salotto di casa. Insomma, non parlero' contro nessuno. Il mio discorso e' solo per ricordare che, ragioni a parte, mendicare a modo suo e' un'arte, non molto diversa dalle performance artistiche che vanno di moda, con la differenza che quella e' un'arte antichissima, radicata nella condizione umana a una profondita' che le performance moderne raramente attingono. E' un teatro della bisognosita' umana: bisogno di che cosa, veramente? E continua a rinnovarsi nel tempo, insieme all'umanita'. Dico teatro perche' non e' dato distinguere il vero dal falso: tutti sembrano poverissimi, ma non e' vero, alcuni sembrano mutilati e qualche volta e' vero, ci sono donne con bambini in braccio che forse sono affittati, uomini con ragazzini al seguito che forse sono schiavi, ragazze in fuga da casa e altre che una casa non l'hanno piu', terremotate o profughe, dicono, a seconda delle contingenze storiche... Chi lo sa e come saperlo? L'arte del mendicare e' come una recita che mette a contatto due parti separate che devono restare separate. Da una parte loro, inutili, bisognosi, senza diritti, alla nostra merce', dall'altra noi, presuntamente utili, indipendenti, garantiti. Bisognerebbe aggiungere: da una parte loro che sanno di noi, dall'altra noi che non sappiamo di loro. Come funziona? Che la vista del mendicante, come uno specchio incontrato nel momento e nel posto sbagliato, ci disturba, suscitando fastidio, senso di colpa, un leggero timore, ma basta dargli un soldo ed eccoci felicemente restituiti alle nostre presunzioni. Cosi' lui (o lei) tira avanti, e noi pure. Vi pare semplice, vi pare poco? Ci sono persone che, con i mendicanti, cercano un rapporto umano alla pari, forse vorrebbero attraversare lo specchio, e s'informano sulla salute, suggeriscono delle possibilita' di cambiare vita... Non so se qualcuno si sia mai rivolto al giovane Picasso dicendogli: invece di continuare a fare quelle croste invendibili, ti do io un buon lavoro d'imbianchino. Con i mendicanti questo si fa e trovo ammirevole la loro risposta, sempre a tono e perfettamente evasiva. Tacitamente dicono: guarda che si tratta di te, non di me. 8. MEMORIA. IDA DOMINIJANNI: I MESSAGGI NELLA BOTTIGLIA DI LELIO BASSO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 dicembre 2003. Ida Dominijanni (per contatti: idomini at ilmanifesto.it), giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista. Lelio Basso, nato a Varazze nel 1903, fin da giovanissimo si impegno' nel movimento socialista e collaboro' a vari fogli democratici, tra cui la "Rivoluzione liberale" di Gobetti. Avvocato, antifascista, perseguitato, resistente, il 25 aprile 1945 partecipo' all'insurrezione di Milano. Costituente, parlamentare, dirigente della sinistra italiana, fondatore e direttore di varie riviste (tra cui "Problemi del socialismo"), studioso del marxismo e particolarmente di Rosa Luxemburg. Fondatore della Lega per i diritti e la liberazione dei popoli, promotore della Dichiarazione universale dei diritti dei popoli (Algeri 1976). E' scomparso nel 1978. Opere di Lelio Basso: della sua vastissima produzione si veda almeno l'opera postuma Socialismo e rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1980; e l'ampia introduzione (pp. 13-129) a Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976. Opere su Lelio Basso: per un avvio cfr. Enzo Collotti, Oskar Negt, Franco Zannino, Lelio Basso, teorico marxista e militante politico, Angeli, Milano 1979 (con scritti di Basso e una bibliografia curata da Fiorella Ajmone)] Ci sono centenari rituali e centenari sensati, freddi e caldi, ossificati e vivi. Il centenario della nascita di Lelio Basso appartiene alla seconda categoria. Non solo - aspetto tuttavia non secondario - per l'affetto e l'amicizia di cui la sua persona e' tuttora circondata in quanti lo hanno seguito nella sua attivita' politica e culturale. Ma anche per la stringente attualita' dei messaggi che tuttora la vita, l'opera e il pensiero di Basso sono in grado di mandarci. De nobis fabula narratur, sia che di Basso si ricordi il politico o il giurista, l'avvocato delle garanzie individuali o dei diritti dei popoli, il socialista spietatamente critico delle illiberta' del comunismo di stato o il padre costituente lucidamente vaccinato dalle illusioni della democrazia diretta. Si' che non potevano non essere carichi di allusioni all'oggi, dirette o indirette, i ricordi che di Basso hanno tracciato ieri nella sala di palazzo Giustiniani del senato Giuliano Amato, Giulio Andreotti e Stefano Rodota', restituendo il ritratto sfaccettato di un intellettuale-politico che, per dirla con Rodota', per un verso "ha attraversato il secolo breve, identificandosi con le sue promesse", per l'altro puo' condurci oggi a riattraversarlo a nostra volta, "per non rimanere prigionieri della cupa vulgata di un Novecento lastricato solo di orrori, e divenire pienamente consapevoli della restaurazione che stiamo vivendo". Prendiamo il Lelio Basso deputato alla Costituente, estensore dell'articolo 49 sui partiti politici. Suona fuori tempo, dopo le vicende italiane degli anni Novanta, quella visione del partito come cardine della democrazia organizzata? Si', se fissiamo lo sguardo solo sulla degenerazione della forma-partito. No, se reinterpretiamo la filosofia di quell'articolo alla luce della degenerazione democratica. Basso vedeva lucidamente quanto puo' essere esile il confine fra democrazia e populismo, e per questo riteneva che la sovranita' popolare dovesse essere incardinata a forme di mediazione politica e istituzionale precise. "E' questo l'aspetto piu' difficile della democrazia, la quale e' principalmente democrazia indiretta. Un sistema di deleghe e' indispensabile anche perche' la massa e' immatura e impreparata ad affrontare tutti i complessi problemi della vita statale, ed e' piu' soggetta a influenze irrazionali. Occorre equilibrare la duplice esigenza di una partecipazione reale e continua delle masse e di una continua mediazione che traduca in decisione razionale la risultante di tutti gli impulsi di volonta' che provengono dal popolo". Oppure prendiamo il Lelio Basso senatore nel 1978, che interviene in aula durante il sequestro Moro. Giulio Andreotti ne riporta le preoccupazioni contro il rischio dell'introduzione di norme antiterrorismo emergenziali: "Lo so che il sentimento della grande maggioranza della popolazione italiana e' favorevole a queste norme e magari anche a misure ancora piu' gravi. Credo pero' che il dovere di una classe politica responsabile sia quello di non cedere all'emotivita' di una folla, alla pressione immediata, alla reazione umana emotiva del popolo, ma quello di saper mantenere un atteggiamento piu' freddo, piu' sereno, piu' capace di affrontare le situazioni nel quadro della nostra struttura costituzionale, perche' solo in questo modo la democrazia puo' salvarsi". Che risponderebbero oggi Bush o Berlusconi? Da giurista, Rodota' sottolinea di Basso la concezione del diritto come garanzia di un progetto politico aperto, delle istituzioni internazionali (a partire dal Tribunale internazionale dei diritti dei popoli) come garanzia dei processi di liberazione e della loro verifica, della cittadinanza come "fascio dei diritti fondamentali della persona", della Costituzione come testo che da' inizio al patto sociale e non lo chiude in soluzioni ingegneristiche. Come compagno di percorso, Giuliano Amato ricorda gli anni della comune militanza nel Psiup, quando il partito era stato appena formato e gia' Basso pensava a quello che non andava bene e andava modificato, mosso dalla sua incoercibile ricerca di pratiche di liberta'. E a testimonianza di un rapporto capace di contenere anche grossi dissidi, Andreotti ricorda quando si oppose alla nomina di Basso alla consulta, perche' "questo illuminato amico stupendamente anarchico non aveva le caratteristiche di fondo di un giudice costituzionale", ma aveva le caratteristiche di un amico e non gliene volle. Dal Brasile, infine, arriva il saluto di Luiz Inacio "Lula" Da Silva, che porta in primo piano l'istituzione del Tribunale Russell per l'America Latina, le inchieste sulla repressione e la tortura in Brasile e in altri paesi, le reti internazionali a sostegno degli esuli. "Si tratto' di un vero e proprio movimento politico, che cercava di andare al di la' delle denunce puntuali e che contribui' al dibattito e all'impegno per la fine dell'autoritarismo e il ritorno della democrazia". Michele Salvati, che coordina il dibattito, sente il bisogno di fare qualche distinguo e di prendere qualche distanza: la passione di Basso per la liberta' gli consenti' di lottare contro il fascismo e anche contro il comunismo realizzato, ma non fu sufficiente a fargli vedere le simmetrie fra i due totalitarismi di cui il dibattito pubblico di oggi ha finalmente acclarato l'esistenza. Marcello Pera invece coglie l'occasione per chiedere l'ennesimo lavacro alla sinistra italiana, rea di non avere raccolto fino in fondo la sfida di Basso a liberarsi definitivamente dell'"impronta leninista". Ecco due sciocchezze che Lelio Basso non avrebbe detto. 9. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: UN CONVEGNO A MESSINA [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso sull'edizione palermitana del quotidiano "La Repubblica" del 28 novembre 2003. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] Quando negli anni Ottanta ci chiedevamo con degli amici perche' mai le universita' siciliane non dedicassero energie e spazi alla ricerca sulla mafia, arrivammo alla conclusione psicanalitica - certamente un po' maliziosa - che a nessuno risulta agevole analizzare le proprie patologie. Da allora, pero', molte tragedie hanno avuto l'effetto collaterale di migliorare decisamente la situazione. E non e' un caso, probabilmente, che proprio nel chiacchieratissimo ateneo messinese sia nato da tempo un "Centro studi e documentazione sulla criminalita' mafiosa", al quale si deve l'organizzazione di un convegno di studi (dal 27 al 29 novembre) che si caratterizza per l'originalita' del tema e per il livello scientifico dei contributi previsti. L'originalita' del tema: e' infatti, se non erro, la prima volta in assoluto che un'istituzione accademica pubblica discuta su "Cattolici, chiesa e mafia. Aspetti storici, politici e religiosi". Il livello scientifico: a meno di defezioni, parteciperanno con relazioni alcuni degli studiosi piu' competenti sull'argomento sia nel mondo ecclesiale (tra cui don Francesco Michele Stabile, don Luigi Ciotti, l'arcivescovo di Monreale Cataldo Naro, i vescovi Michele Pennini di Piazza Armerina e Gian Carlo Brigantini di Locri) sia nel mondo laico (tra cui Angelo Sindoni, Salvatore Lupo, Rosario Mangiameli, Giuseppe Campione e Tano Grasso). Si potrebbe aggiungere che il convegno, pur privilegiando per ovvie ragioni la memoria storica, potrebbe riservare delle preziose ricadute sull'attualita' piu' bruciante. Sappiamo infatti che, dall'unita' d'Italia ad oggi, i rapporti fra chiesa cattolica e sistema di potere mafioso non si sono configurati in maniera omogenea: in alcuni casi c'e' stata opposizione conflittuale, in altri complicita', piu' spesso estraneita' e indifferenza. Le ragioni di queste vicissitudini cosi' alterne sono molteplici e saranno senza dubbio focalizzate da alcuni esperti le cui tesi sono ormai divenute, per fortuna, patrimonio abbastanza diffuso. Ma almeno una va evidenziata: lo snodo, o il nodo, della politica. Intendo dire che i casi in cui esponenti del laicato o del presbiteriato cattolico hanno avuto un rapporto diretto, immediato con le cosche mafiose - sia un rapporto di scontro come per esempio due personaggi che saranno rievocati nel corso del convegno, don Pino Puglisi o il giudice Rosario Livatino, sia un rapporto di sintonia programmatica e di sinergia operativa - sono, tutto sommato, poco numerosi. Molto piu' frequenti, invece, i casi in cui il contatto - talora polemico, talaltra d'intesa - si e' realizzato mediatamente: per via di partiti, movimenti o singoli esponenti politici. Per dirla un po' schematicamente ma con chiarezza: il mondo cattolico e il mondo mafioso tenderebbero, di per se', a procedere parallelamente e quando cio' non avviene e' perche' entrambi entrano in relazione con il mondo politico. Vescovi e parroci, ma anche semplici fedeli, che non stringerebbero mai la mano di un assassino, intessono pero' - senza travagli interiori - rapporti clientelari con ministri, sindaci o assessori di area cattolica che, a loro volta, la mano di un assassino l'hanno stretta incontrandola nella loro strada (se non addirittura ricercandola). Quando Salvo Lima fu ucciso, il parroco di Mondello dichiaro' a un giornalista il suo dolore per la morte di un benefattore che aveva procurato a decine di giovani della borgata degli impieghi pubblici e l'arcivescovo di Monreale dell'epoca espresse il proprio disappunto per la tragica fine di un amico che sino a qualche giorno prima, richiesto di un favore, era corso in episcopio per mettersi a disposizione. Sara' interessante conoscere i risultati di questo autorevole convegno a Messina. Ancora piu' notevole, pero', sarebbe la conclusione pratica, o - come si dice con espressione un po' anacronistica - "pastorale", che le comunita' cattoliche non devono limitarsi a esecrare, con sincero sdegno, il volto violento della mafia che intimidisce e condanna a morte gli innocenti, ma devono arrivare a troncare ogni rapporto privilegiato con il volto politico della mafia: con quel sistema di potere, apparentemente bonaccione e pacioccone, che premia i sudditi piu' vili e piu' proni - con appalti, convenzioni e assunzioni nelle cliniche universitarie - e punisce, emarginandoli o condannandoli all'esilio - i cittadini gelosi della propria dignita' e della propria liberta'. Certo, ai cattolici non deve venir meno - come e' stato ricordato autorevolmente in questi giorni a Palermo - "il coraggio della politica": ma, sradicato dal coraggio della legalita' formale e della giustizia sostanziale, si trasforma in sfacciataggine spudorata. E' in fondo il nocciolo dell'appello che molti di noi sentimmo rivolgere, nella chiesa di S. Ernesto, dal cattolico Paolo Borsellino durante una veglia di preghiera ad un mese dalla strage di Capaci: "Dobbiamo pagare il nostro debito morale, verso questi fratelli morti per noi, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro); troncando immediatamente ogni legame di interesse, anche quelli che ci sembrano innocui, con qualsiasi persona portatrice di interessi mafiosi, grossi o piccoli". 10. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: FATIMA E AZRA, PICCOLI OMICIDI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 novembre 2003. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso, ed e' nuovamente in Iraq in questi giorni] L'avvicinarsi dell'inverno terrorizza gli iracheni: la corrente elettrica arriva solo qualche ora al giorno, per fare benzina occorre fare code di ore, manca il kerosene e il gas ha prezzi proibitivi (una bombola e' passata da 500, prima della guerra, a 4-5.000 dinari). I paradossi di un paese occupato che galleggia sul petrolio ma non ha piu' il controllo delle proprie risorse. Intanto la temperatura si sta abbassando e oltre al problema di cucinare si pone anche quello del riscaldamento. Bisogna trovare alternative, finora insolite visti i prezzi irrisori dei combustibili, come andare a raccogliere legna, magari rimettendoci la vita. E' successo a Baquba, una cittadina di circa 300.000 abitanti, a una cinquantina di chilometri a nord-est di Baghdad. Fatima e Azra, due sorelle, rispettivamente quindici e dodici anni, giovedi' a mezzogiorno stavano raccogliendo legna in un campo a qualche decina di metri dall'aerporto militare di Ibn Firnas, dove gli americani hanno installato la loro base, quando sono state colpite a morte dai soldati. "Azra e' morta subito e l'altra mia sorella dopo, per le ferite riportate", ha riferito il fratello Qusay, diciottenne. Un poliziotto, Hussein Ali, ha detto che i soldati americani hanno consegnato alla polizia locale il corpo di una delle ragazze "sostenendo che era in possesso di un fucile". Ma la polizia, che non ha risparmiato alla famiglia nemmeno l'umiliazione di una perquisizione subito dopo la perdita delle due ragazze, "non ha trovato nulla di illegale" nella loro abitazione, ha riferito Ali. Nessun commento finora da parte del comando militare Usa. Nuove "vittime collaterali", nuove ferite difficilmente rimarginabili, in una citta' che non nasconde la propria nostalgia per Saddam, a giudicare dalle numerose scritte sui muri: "Abbasso Bush, viva Saddam" e "A morte gli americani". Sottoposta a continue rastrellamenti degli americani che cercano di porre fine agli attacchi della resistenza, la cittadina e' allo stremo. Anche perche' non sempre gli attacchi anti-Usa sono andati a segno: alla fine di settembre un colpo di mortaio, che verosimilmente avrebbe dovuto colpire la sede del governatorato dove stazionano anche gli americani, era invece caduto su una piazza, a circa 200 metri dall'obiettivo, alle nove di sera in un momento di affollamento, provocando la morte di nove civili e il ferimento di altri quindici. Il 22 novembre invece erano entrati in azione i kamikaze contro i "collaborazionisti". Un'autobomba aveva investito la principale stazione di polizia della citta', uccidendo nove poliziotti e due civili. Altre nove vittime erano state il bilancio di un'altra autobomba lanciata contro la stazione di polizia di Kahn Bani Saad a 15 chilometri da Baquba. L'antica cittadina sul fiume Diyala, dalle origini preislamiche, quando era gia' un centro di agricoltura e commerci sulla via della seta, stazione di sosta tra Baghdad e Khorasan, piu' recentemente era diventata un serbatoio di uomini per l'esercito e la guardia repubblicana di Saddam, ed anche per questo e' particolarmente martellata dall'esercito di occupazione che trova del resto una resistenza degna del famoso "triangolo sunnita". Una situazione che aumenta la tensione e che terrorizza i militari Usa, come avevamo potuto verificare durante una sosta alla base Ibn Firnas, che si trova a circa sette chilometri dal centro della citta', alla fine di settembre: non ci avevano fatto entrare, "non c'era nessuno con cui parlare". Questo terrore rende i militari assai pericolosi, hanno sempre il dito sul grilletto e l'indicazione che circola a Baghdad per tutta la popolazione e' quella di stare il piu' lontano possibile dalle truppe americane, ma non sempre e' possibile. Cosi' le vittime civili aumentano e a risarcirle non puo' certamente bastare la manciata di dollari stanziati dagli Stati Uniti. Recentemente sono stati stanziati 1,5 milioni di dollari per risarcire i civili colpiti dai militari americani al di fuori delle operazioni di combattimento. Le domande superano le 10.000. Ma non e' facile non solo ottenere il risarcimento ma nemmeno arrivare a presentare la richiesta, per questo Occupation watch - ong sostenuta anche da "Un ponte per Baghdad" - sta cercando di portare avanti le richieste di alcune di queste vittime, grazie alla collaborazione di avvocati volontari e anche all'aiuto di Globale exchange. Continuano le perdite anche in campo americano, ieri un militare e' rimasto ucciso a Mosul, dove un colpo di mortaio ha colpito il palazzo che era di Saddam ed ora e' sede del comando americano. Un altro e' morto dentro la base americana di Ramadi, cento chilometri a ovest di Baghdad. 11. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: FINE DEL RAMADAN A KERBALA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 novembre 2003] A Kerbala, con Najaf una delle due citta' sante irachene, l'Aid, la festa di fine Ramadan, e' cominciato giovedi', con un giorno di ritardo sugli altri sciiti e due rispetto ai sunniti. Cosi' ha voluto l'ayatollah Ali al Sistani, anziano leader religioso di origini iraniane riconosciuto come marja (fonte di riferimento, massima autorita' sciita) dopo l'assassinio nel 1999 di Mohammed Sadeq al Sadr. Un modo per distinguersi dai wahabiti sauditi e dagli sciiti legati a Tehran, visto che i suoi detrattori gli rimproverano di non essere arabo? "Per proclamare la fine del Ramadan e' sufficiente che due persone abbiano visto apparire la luna crescente", ci spiega lo sheikh Mohammed al Saadi, imam della moschea al-Mukhaim e seguace del radicale Muqtada, figlio di al Sadr e nemico giurato di Sistani, "e da noi ieri (martedi', ndr) sono venute almeno un centinaio di persone a dirci di aver visto la luna". Comunque Kerbala, dove gli sciiti sono in maggioranza sostenitori di Sistani, ha seguito le sue indicazioni per l'inizio dell'Aid. Un Aid triste quest'anno, per la miseria aggravata dalla guerra e dall'occupazione, i posti di blocco americani, numerosi sulla strada proveniente da Baghdad. La sorpresa maggiore e' pero' rappresentata dalla totale assenza dei ritratti dei leader sciiti iracheni nella zona delle due splendide moschee dalle cupole d'oro, che ospitano i santuari degli imam Hussein e Abbas, figli dell'imam Ali capostite degli sciiti e martiri della battaglia di Tuff. Un unico ritratto campeggia ovunque, quello dell'ayatollah Shirazi, iraniano, morto proprio due anni fa. Non puo' essere solo l'anniversario della morte ad aver procurato l'esclusiva a Shirazi e nemmeno la numerosa e visibile presenza di pellegrini iraniani. Forse e' stato il modo per evitare, nei giorni di festa, di rinfocolare quella battaglia per il controllo delle moschee scoppiato un mese e mezzo fa tra i sostenitori di Sistani e quelli di Muqtada. A sfruttare la contrapposizione sarebbero stati gli ex-baathisti, secondo sheikh al Saadi - che vanta il merito del suo gruppo di aver ucciso molti ex militanti e "criminali" del partito unico -, che avrebbero sparato su tutti perche' cercano di esportare nel sud sciita la resistenza del triangolo sunnita. "Ma qui non c'e' resistenza, non perche' siamo codardi, ma perche' aspettiamo indicazioni dai nostri leader della marjiya (il consiglio dei marja). Se dobbiamo fare il jihad siamo pronti, non siamo diversi dagli altri iracheni", sostiene l'imam che anche fisicamente sembra la copia del facinoroso Muqtada. Muqtada, che ha costituito il Jaish al Mahdi (esercito di al Madhi) per ora usato a fini religiosi, alterna minacce a dichiarazioni di pacifica convivenza con gli americani. Ali al Sistani invece e' sempre stato un sostenitore del non coinvolgimento dei leader religiosi nella politica e nelle istituzioni, ma sebbene un musulmano - sostiene l'ayatollah - deve poter decidere da solo, e' compito dei religiosi quello di aprire loro la mente rispetto ai pericoli delle deviazioni dall'islam. E' conscio che non tutto il campo puo' essere lasciato ai leader sciiti che combinano la religione con la politica, come Muqtada al Sadr e il capo dello Sciri (Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq) Abdelaziz al Hakim, aveva affermato che "tutto (il processo di trasferimento dei poteri agli iracheni, ndr) deve iniziare con elezioni generali per mettere in piedi un'assemblea costituzionale" e "per quanto riguarda la legge, siccome l'islam e' la religione della maggioranza degli iracheni, le regole dell'islam devono essere presenti nei dettami della costituzione". Affermazioni prese al balzo dal leader dello Sciri, che si e' fatto scudo dell'autorita' del marja, per rilanciare le sue critiche gia' espresse rispetto al piano sottoscritto da Usa e Consiglio governativo, di cui fa parte. Ha approfittato dell'Aid per parlare con Sistani a Najaf e riferire le sue "preoccupazioni" per la scarsa considerazione del ruolo del popolo nel trasferimento dell'autorita' agli iracheni e per la mancanza di assicurazioni sulla preservazione dell'identita' islamica nella costituzione. L'ayatollah Sistani chiede elezioni sia per le amministrazioni comunali che per il consiglio legislativo che deve portare alla elezione del governo e che, invece, secondo il "piano" doveva essere scelto attraverso un confuso processo di elezioni di delegati attraverso comitati provinciali. Queste affermazioni della maggiore autorita' sciita riconosciuta - gli sciiti sono il 60% della popolazione - sono suonate come una pesante ipoteca sul processo in corso, tanto da indurre il presidente di turno del Consiglio governativo, Jalal Talabani, che aveva firmato l'accordo con gli americani il 15 novembre, a recarsi a Najaf a incontrare il vecchio ayatollah. La resistenza sciita prende, per ora, strade diverse da quella sunnita, forte anche del contropotere costruito in questi mesi di occupazione. Il Consiglio governativo e' sotto pressione da parti diverse: degli americani che dopo averne limitato i poteri e i mezzi a disposizione (non ha nemmeno un budget) lo hanno accusato di inefficienza, ma soprattutto della popolazione che non ne ha mai riconosciuto la legittimita' in quanto non rappresentativo e nominato dagli occupanti - e per questo Sistani chiede elezioni - e anche della resistenza che non ha risparmiato attacchi, anche mortali, nei loro confronti. La speranza di alcuni dei componenti del Consiglio si e' trasformata in una trappola da cui cercano ora di sfuggire. Il disagio e i distinguo nell'avallare una polica dettata da Washington, che finora erano rimasti coperti all'interno del Consiglio governativo, improvvisamente sono esplosi all'esterno. Il disagio di molti militanti era evidente, soprattutto tra i comunisti, ma non solo. L'anelito di sovranita' passa anche attraverso il ricorso alle Nazioni Unite, di cui proprio l'Iraq ha rappresentato la tomba, con la guerra e il dopo. Il primo a farlo e' stato Jalal Talabani, presidente di turno del Consiglio, con la richiesta di una risoluzione del Consiglio di sicurezza per sancire la fine dell'occupazione in giugno, dopo l'elezione del governo provvisorio. Ieri e' stato il Partito comunista, per bocca di Salaam Ali, membro del comitato centrale e vice di Hamid Majid Moussa, segretario del partito, all'interno del Consiglio governativo, che ha accusato le forze di occupazione la cui lentezza nell'individuare un piano attuabile per il trasferimento dell'autorita' a un governo iracheno ha rafforzato "gli sconfitti" del regime di Saddam e i militanti religiosi. "Se gli americani ci avessero ascoltati lo scorso maggio e avessero permesso la realizzazione di una conferenza nazionale per scegliere un governo legittimo, non si sarebbe mai raggiunto questo livello di instabilita'", ha detto Ali. Questo non vuol dire che Hamid Majid Moussa lascera' il Consiglio governativo. E nemmeno Abdelaziz al Hakim, che si costraddistingue come campione di ambiguita'. 12. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: DOMENICA DI SANGUE A SAMARRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 dicembre 2003] Il numero dei "combattenti nemici" uccisi negli scontri avvenuti domenica a Samarra, 100 chilometri a nord di Baghdad, sarebbe salito da 46 a 54, secondo il tenente colonnello William MacDonald, portavoce del comando americano, 22 i feriti e 11 i catturati. Ma secondo fonti irachene il loro numero delle vittime sarebbe di molto inferiore, non piu' di nove o dieci, numerosi i feriti. E, comunque, secondo la polizia locale nella sparatoria sarebbero rimasti uccisi anche otto civili, tra cui uno dei tanti pellegrini iraniani che si recano alle citta' sante di Najaf e Kerbala. Difficile verificare il numero delle vittime, i corpi dei guerriglieri che gli americani dicono di aver ucciso sono spariti. Il comando Usa ha esagerato sul bilancio oppure i cadaveri sono stati fatti sparire dai loro compagni? Il generale di brigata Mark Kimmit nega anche "danni collaterali". Come in ogni conflitto si combatte anche la guerra delle cifre, e c'e' chi sostiene che anche il numero delle vittime americane di questa guerra sia molto superiore a quello ammesso. Quello di Samarra e' comunque lo scontro piu' sanguinoso avvenuto tra le truppe americane e la guerriglia irachena, dopo il primo maggio ("fine" della guerra per Bush). I guerriglieri avevano preparato due imboscate, coordinate e contemporanee, una a ovest e un'altra a est della citta', a due convogli di blindati americani che trasportavano grandi quantita' della nuova valuta, che entro dicembre deve sostituire tutti i "Saddam" (biglietti con la faccia del rais) in circolazione, da consegnare alle banche. Secondo gli americani il prezioso carico era gia' stato consegnato. Negli ultimi tempi sono stati numerosi i portavalori caduti in imboscate. Domenica i convogli sono stati attaccati con bombe, armi leggere, mortai e granate. In una delle imboscate, i guerriglieri hanno bloccato la strada con barricate e poi hanno colpito il convoglio sparando dai tetti. Ogni attacco sarebbe stato condotto da una quarantina di guerriglieri, tra di loro ci sarebbero stati dei Feddayn Saddam, la forza paramilitare gia' guidata dal figlio del rais, Uday, riconoscibili per le loro tute nere. Gli americani hanno risposto sparando indiscriminatamente, anche con i cannoni, contro tutto e tutti. Ieri erano ancora evidenti i segni della battaglia campale: ai lati della strada c'erano ancora le carcasse abbandonate di una dozzina di auto, tre gli edifici pesantemente danneggiati, ma molti altri portano i segni delle cannonate. Sono stati colpiti anche coloro che portavano i feriti all'ospedale, hanno riferito gli abitanti. Ma soprattutto e' stato colpito dal cannone di un carro armato anche un asilo. "Fortunatamente, avevamo evacuato i bambini cinque minuti prima che venisse attaccato", ha detto Ibrahim Jassin, il guardiano dell'asilo, "ma perche' attaccano indiscriminatamente? Perche' sparano con un cannone a un asilo?". Mentre il capo della polizia Mahmud Mohammed ha accusato gli americani di aver aperto il fuoco per rispondere ai guerriglieri quando questi si erano gia' ritirati. Tra i feriti, secondo il poliziotto, vi sarebbero anche dei fedeli intenti a pregare nella vicina moschea. Quando gli americani hanno cominciato a sparare anche i civili hanno risposto, recuperando le armi che hanno in casa. La popolazione e' esasperata dopo le continue perquisizioni notturne, arresti, soprusi. "Ci dicono che siamo terroristi? Allora va bene, siamo terroristi", ha dichiarato uno dei feriti dalle schegge all'Associated Press. Samarra, citta' storica con la sua famosa malwiya (il minareto dalla forma a spirale), una delle roccaforti dell'ex rais in pieno "triangolo sunnita", e' piena di scritte a favore di Saddam. Qui la settimana scorsa sono state arrestate la moglie e la figlia di Izzat Ibrahim, uno sei super ricercati, considerato uno degli organizzatori degli attacchi anti-Usa. E gia' una decina di giorni fa, alcuni abitanti ci avevano riferito dell'uccisione di alcuni feddayn, mentre gli elicotteri sorvolavano a bassa quota la citta'. Allora gli americani l'avevano fatto senza clamore, ieri invece hanno sparato le cifre dei "nemici" uccisi. Forse anche questo fa parte della campagna per rialzare il morale delle truppe, lanciata con la visita di Bush, al termine di un mese che e' stato il piu' sanguinoso dall'inizio della guerra: 79 sono gli americani uccisi in novembre, ma la cifra sale a 104 se si tiene conto di tutta la coalizione, compresi i 19 italiani, tra carabinieri e civili, uccisi a Nassiriya. Anche ieri un soldato statunitense e' morto in seguito alle ferite riportate in un attacco subito mentre era in pattuglia a Habbaniya, una ottantina di chilometri a ovest di Baghdad. Nonostante le pesanti perdite subite, le forze della coalizione - Italia e Spagna comprese - non hanno nessuna intenzione di ritirarsi, ma ieri il ministro degli esteri Antonio Martino durante la riunione ministeriale della Nato a Bruxelles non ha escluso l'invio di un contingente Nato in Iraq: "potrebbe accadere e a medio termine non e' solo possibile ma probabile". 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it, angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 749 del 4 dicembre 2003
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