La nonviolenza e' in cammino. 740



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 740 del 25 novembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: un invito l'8 dicembre a Venezia
2. Pasquale Pugliese: mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
3. Giovanni Benzoni: sull'incontro dell'8 novembre a Verona con Lidia
Menapace
4. Enrico Peyretti: uscire dalla follia
5. Patricia Lombroso: salvate il soldato Carlos
6. Michele Meomartino: verso l'incontro nazionale delle comunita' cristiane
di base
7. Manuela Fraire: crisi, critica, pratica
8. Ida Dominijanni: il globale visto da sotto
9. Luca Kocci: introduzione all'Annuario della pace
10. Letture: Ignazio Silone, Il fascismo
11. Riedizioni: Franco Cassano, Approssimazione
12. Riedizioni: Franco Cassano, Il pensiero meridiano
13. Riletture: AA. VV.: Dialettica della liberazione
14. Riletture: Juliet Mitchell, La condizione della donna
15. Riletture: Juliet Mtchell, Psicoanalisi e femminismo
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: UN INVITO L'8 DICEMBRE A VENEZIA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]

Cari e care tutti e tutte,
siamo quasi al nostro appuntamento di Venezia, fissato per l'8 dicembre, a
conclusione dei lavori del terzo salone dell'editoria di pace.
La nostra riunione era stata lanciata da Verona l'8 novembre. Nel frattempo
(i tempi corrono!) si e' svolto il Forum sociale europeo a Parigi, nel corso
del quale la proposta di neutralita' europea e' stata presentata in un certo
numero di sedi e ha avuto un buona accoglienza, tranne che da parte di
alcuni francesi che pensano di dover sostenere lo scontro tra Europa e Usa
anche con un esercito europeo, malaugurata ma diffusa ipotesi. Ho incontrato
tedeschi e austriaci invece sulla stessa nostra lunghezza d'onda.
E' capitata anche Nassiriya ed e' capitato proprio a me che ero alla tribuna
per un  intervento programmato di dare la notizia al Forum: Ho espresso
naturalmente compianto e dolore, ma anche indignazione e accusa di
violazione della Costituzione italiana vigente e disprezzo criminale per le
vite dei soldati. Le donne della delegazione italiana abbiamo subito scritto
e diffuso un volantino nel quale dicevamo che il luttuoso evento non
cambiava le nostre decisioni di mettere la guerra fuori dalla storia,
dall'Europa e dall'Italia e chiedevamo:"Riportiamoli tutti subito a casa
vivi".
Siamo percio' per il ritiro immediato dei soldati occupanti a cominciare dai
nostri.
Nel frattempo si sono conosciute le proposte e opinioni di Prodi: il testo
di Prodi non potrebbe essere analizzato meglio di quanto ha fatto per noi
Peyretti, che propone di chiedere comunque un incontro con Prodi e sono
d'accordo.
Bisognerebbe anche attivare la proposta di Capitini di "obiezione al
governo" e raccogliere adesioni.
Credo che dovremmo anche seguire le proteste dei famigliari dei soldati e
dare eco ad esse. Insomma le cose da fare sono cosi' tante che non so se
riusciremo a eseguirle.
*
Sara' possibile allargare l'area di chi lavora con noi? sento avvicinarsi
una possibile  guerra mondiale, espressione che non voglio nemmeno
pronunciare a voce, ma che monta nella confusione, censure, bugie ecc.
A un dibattito a Napoli ho avuto come compagno di tavola rotonda oltre a
Russo Spena che vuole il ritiro delle truppe, anche Folena che si e'
espresso nello stesso modo: dunque anche tra i Ds (Folena fa parte della
maggioranza, non e' del correntone) sembra si faccia strada una posizione
ragionevole...
Ho fatto una gran confusione come mi capita quando sono affollata di cose,
ma voi metterete  ordine nei miei pensieri e sentimenti e avremo da dire,
fare, decidere, dividerci compiti e impegni. Una specie di natale di lavoro
e un inzio d'anno attivo. Si deve pur contrapporre qualcosa al solito
insopportabile natale di mercati mercatini regali e consumi.
Vi abbraccio e a presto
Lidia

2. MEMORIA E PROPOSTA. PASQUALE PUGLIESE: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
["Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento
fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per
tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e'
di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite
bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso
BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB
11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona,
specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta".
Avvicinandosi la fine dell'anno, abbiamo chiesto ad alcuni autorevoli amici
della nonviolenza di motivare l'invito - che ci permettiamo di rivolgere a
tutti i lettori del nostro notiziario - a  rinnovare (o sottoscrivere per la
prima volta) l'abbonamento ad "Azione nonviolenta". Oggi risponde Pasquale
Pugliese (per contatti: puglipas at interfree.it). Pasquale Pugliese e'
impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Rete di Lilliput ed in numerose
iniziative di pace; e' stato il principale promotore dell'iniziativa delle
"biciclettate nonviolente"]

Mi abbono regolarmente da circa quindici anni ad "Azione nonviolenta",
perche' e' stata una scoperta fondamentale nella mia formazione culturale e
politica. Fin da quando, giovane studente calabrese di filosofia,
romanticamente socialista-utopista, scopersi su una bancarella
l'autobiografia di Gandhi, rimanendone affascinato e, qualche tempo dopo,
nello spulciare tra le riviste impegnate di una libreria messinese, ne notai
una denominata "Azione nonviolenta" e ne comperai tutti i numeri arretrati
dimenticati sullo scaffale (ebbene si', allora era distribuita in libreria e
cio' consentiva questi incontri fortuiti: oggi dove l'avrei potuta
incontrare?).
Cio' costitui' per me una doppia scoperta: esisteva anche in Italia una,
seppur piccola, forza nonviolenta organizzata, ed era stata fondata da un
grande filosofo italiano della nonviolenza, Aldo Capitini. Sul quale decisi
di scrivere la tesi di laurea, che preparai durante il servizio civile...
Per molti anni, la rivista fondata da Aldo Capitini ha rappresentato per me
quasi l'unico collegamento con l'area della nonviolenza politica, ma e'
stato fin da subito un collegamento forte. Era bello, per esempio,
partecipare alle assemblee del movimento studentesco - la "pantera" - con
'Azione nonviolenta' in tasca che suscitava regolarmente la curiosita' dei
compagni, dai cui montgomery fuoriusciva solo "Il manifesto". E poi
organizzare, magari con l'aiuto dei "Quaderni", i primi seminari sulla
nonviolenza e la disobbedienza civile nella "facolta' di lettere occupata",
e poi aiutare gli amici in servizio civile a diventare... obiettori di
coscienza, cominciando col partecipare attivamente al movimento per la pace
contro la prima guerra del Golfo.
Ricordo ancora l'emozione di quando vidi il mio primo scritto inviato alla
rivista, una lettera contro l'installazione degli F16 a Crotone, pubblicato
tra gli articoli di "Azione nonviolenta", e il successivo incontro - per la
ricerca del materiale per la tesi - a Perugia con Pietro Pinna, che
ringraziai in modo impacciato per quello spazio sul giornale, e che mi
rispose che le scelte editoriali le fa Mao, a Verona... Naturalmente, non
sapevo ancora che qualche anno dopo avrei conosciuto anche Mao Valpiana, "il
direttore", e sarei diventato un abituale frequentatore della bella "Casa
per la nonviolenza", sede del Movimento Nonviolento e della rivista.
Nel frattempo in questi quindici anni nel mondo e' successo di tutto, ed
anche nella mia esistenza. Sono emigrato a Reggio Emilia, diventato papa' ed
educatore di ragazzi "difficili", partecipo al coordinamento del Movimento
Nonviolento, mi occupo di formazione e di Rete Lilliput, e cerco di
affrontare la complessita' della realta', nei diversi versanti nei quali
opero, tenendo - con tutta la fatica e la gioia necessarie - la bussola sul
polo della nonviolenza.
E in questo incedere su piu' dimensioni "Azione nonviolenta", oggi come
allora, continua ad essere una compagna presente nella pieghe delle mia
borse. E della mia vita.

3. TESTIMONIANZE. GIOVANNI BENZONI: SULL'INCONTRO DELL'8 NOVEMBRE A VERONA
CON LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Giovanni Benzoni (per contatti: gbenzoni at tin.it) per questa
testimonianza sull'incontro dell'8 novembre a Verona sulla proposta di Lidia
Menapace per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata,
solidale e nonviolenta, incontro al cui termine e' stato redatto l'appello
che verra' presentato l'8 dicembre a Venezia. Giovanni Benzoni e'
insegnante, amico della nonviolenza, animatore di rilevanti iniziative,
responsabile del "progetto Iride" per la Fondazione Venezia per la ricerca
sulla pace; e' in gran parte merito suo la realizzazione dell'annuale
"Salone dell'editoria di pace" a Venezia, e dell'Annuario della pace edito
da Asterios. Opere di Giovanni Benzoni: come detto sopra e' stato tra i
promotori dei due importanti volumi: Fondazione Venezia per la ricerca sulla
pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios,
Trieste 2001; Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della
pace. Italia / giugno 2001 - maggio 2002, Asterios, Trieste 2002]

Verona, 8 novembre. Malgrado io abiti a Venezia, non avevo mai avuto
occasione di vedere ed usare la mitica casa della nonviolenza di via Spagna;
e gia' vederla ed usarla ha ripagato del tutto l'eventuale fatica del
viaggio, che poi fatica non e' stata. Ho percepito subito nella cura delle
piccole stanze, nell'esposizione del materiali in vendita, nel tabellone
degli avvisi un uso continuo, un essere e un agire quotidiano fatto di
intelligenza, di partecipazione, in buona sostanza di un uso adeguato dei
beni a disposizione. Visti i tempi non e' proprio poco: c'e' una pratica che
corrisponde alla teoria, verrebbe da dire, che e' proprio giusto osservare e
capire.
Il ritardo tranquillo, ma comunque sempre ritardo, con cui la riunione e'
iniziata, non ha per niente inciso nella qualita' di una comunicazione
pacata e partecipe, dove ognuno metteva del suo ma non aveva preclusioni
nell'ascoltare tutti; e tutti i presenti hanno avuto modo di esprimere la
loro opinione e i loro convincimenti, sicche' quando me ne sono andato un
po' prima della conclusione perche' dovevo prendere un treno per Genova, mi
sono trovato persuaso di due cose: a) che l'8 dicembre a Venezia dobbiamo
fare in modo che ci siano le condizioni per proseguire il clima di quella
riunione; b) che l'appello che si stava delineando e che ora circola con le
firme di tutti i partecipanti all'incontro di Verona, puo' non essere la
solita ripetizione della solita minestra (ancorche' sempre preziosa dovunque
e comunque), ma qualcosa che incrociava il sentire profondo e
soggettivamente caratterizzante del popolo delle bandiere di pace, insomma
della maggioranza degli abitanti del vecchio continente.
Per questo l'avventura puo' iniziare anche con meno di 35 firme e ambire ad
essere l'avventura dell'Europa dei prossimi anni.

4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: USCIRE DALLA FOLLIA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscali.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo
foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace
e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, di cui abbiamo pubblicato il
piu' recente aggiornamento nei numeri 714-715 di questo foglio, ricerca una
cui edizione a stampa - ma il lavoro e' stato appunto successivamente
aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario
della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios, Trieste 2001. Una
piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n.
731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario. Su alcune implicazioni del
quarto punto di questo intervento abbiamo delle non lievi obiezioni che
renderebbero opportuno un approfondimento del tema e richiamano altresi'
all'esigenza di evitare eccessive semplificazioni; obiezioni non marginali
che ci e' impossibile adeguatamente enunciare in poche frettolose righe,
basti dunque qui averne dato segnalazione (p. s.)]

1. Piu' il terrorismo alza il tiro, piu' la risposta si fa bellica, piu'
diventa difficile vincerlo.
2. La guerra non puo' vincere il terrorismo perche' e' della sua stessa
natura.
3. Il terrorismo e' frutto delle offese storiche e delle iniquita'
economiche. Le violenze strutturali e culturali eccitano la ribellione
violenta. Solo la riconosciuta uguaglianza di valore e dignita', e la
equita' di condizioni tra i popoli puo' disinnescare il terrorismo. La
guerra lo alimenta. Due simmetriche stolte illusioni ingannano e
imprigionano i potenti e le loro vittime: i primi credono che la violenza
bellica garantisca il loro violento privilegio, i secondi credono che la
violenza ribelle possa produrre la giustizia di cui hanno bisogno. L'unica
grottesca uguaglianza tra le due parti e' oggi la follia.
4. Bisogna invertire la direzione attuale, tragica e folle. Bisogna invitare
rappresentanti e portavoce delle organizzazioni terroristiche, con garanzie
di immunita' personali, al dialogo politico. Questa e' l'iniziativa
necessaria per aiutare chi confida nella violenza disperata, a passare
dall'azione omicida alla parola umana. Cio' soltanto puo' sventare i calcoli
di chi specula sulla disperazione. Questa iniziativa e' credibile se viene
da esponenti civili moralmente autorevoli del mondo occidentale sotto
accusa, non dai falliti dirigenti politici degli stati bellicosi. I
dirigenti politici devono rispettare, non impedire, l'azione dialogica di
quegli esponenti civili moralmente autorevoli, e infine devono seguire le
indicazioni che ne verranno. Quei dirigenti statali attuali che dimostrano
di non essere in grado di capire la propria follia, i popoli devono subito
democraticamente disconoscerli, e insediare una nuova classe politica, di
cultura pacifica.
5. Contro l'offensiva ideologica insidiosa, pesante e continua, condotta dai
potenti violenti sull'animo dei popoli e sulla liberta' intellettuale e
spirituale delle persone, allo scopo di istupidire e asservire tutti, oggi
abbiamo da condurre una resistenza morale profonda, attiva, tenacissima, con
tutti i mezzi dell'intelligenza, una resistenza comunitaria, mediante la
liberta' - a tutti i costi - di parola seria e meditata, nella comunicazione
di base, con la denuncia franca delle falsita' potenti, con la proposta
vissuta dei migliori valori umani.
6. Questa via e' l'unica sensata: l'avversario nascosto, umiliato e
impotente e' sempre piu' spaventoso e piu' pericoloso di quello col quale si
cerca un dialogo e un confronto civile, anche se difficile. Le istituzioni
internazionali per la pace, che devono essere riconosciute superiori agli
stati, sono il luogo in cui potere de-bellicizzare e socializzare i
conflitti oggi violenti.
7. Per invitare al confronto trasparente, bisogna fare azioni chiare di
giustizia, di riduzione delle diseguaglianze, di riconoscimento dei diritti
delle persone e dei popoli, mentre si condannano i mezzi omicidi, sia quelli
dei terroristi occulti, sia quelli dei terroristi pubblici, che conoscono
solo la fede nella guerra, e chiamano pace la guerra che fanno.
8. Certi uomini di religione, quando si riducono ad esortare alla guerra
statale contro la guerra occulta, dicendo assurdamente che questo e' un
impegno per la pace, si fanno cappellani di corte dei poteri ingiusti,
diventano fautori di nuovo odio violento, sono corruttori e distruttori
della speranza religiosa popolare nella pace e nella giustizia, parlano da
bestemmiatori di Dio, che e' giudice dei violenti e vindice delle vittime,
ma che essi riducono a idolo di una religione civile legata al potere. Tali
sacerdoti degli "dei della citta'" sono al polo opposto del pensiero e
dell'azione per la pace, che nasce dal meglio dello spirito umano illuminato
dall'alto, dalla dignita' inviolabile dei poveri e delle vittime, dal cuore
comune alle diverse religioni umane, accomunate nella tensione spirituale
profonda a purificare, liberare e realizzare cio' che e' autenticamente e
genuinamente umano.

5. TESTIMONIANZE. PATRICIA LOMBROSO: SALVATE IL SOLDATO CARLOS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 novembre 2003. Patricia Lombroso e'
corrispondente da New York del quotidiano; ha recentemente pubblicato in
volume una raccolta di sue interviste a Noam Chomsky dal 1975 al 2003: Noam
Chomsky, Dal Vietnam all'Iraq. Colloqui con Patricia Lombroso,
Manifestolibri, Roma 2003]

Il soldato di fanteria Carlos, nicaraguense di 28 anni, vive negli Stati
Uniti con la "green card". Fa parte del corpo dell'esercito americano
(39.000 uomini) a cui e' stato promesso dal Pentagono di accelerare la
pratica per ottenere la cittadinanza americana in tre anni, invece dei
cinque o piu' richiesti. Ha una bambina di tre anni. Dopo otto anni di
carriera nell'esercito americano in Texas, per un salario di quattordicimila
dollari l'anno piu' benefit che gli consente di continuare gli studi, si
arruola nella Guardia nazionale alla base militare di Fort Stewart. Sono i
primi prescelti dal Pentagono, a marzo, per essere inviati in Iraq, ignari
di combattere in una guerra. Le missioni a loro riservate sono le piu'
rischiose e di prima linea - "palle di cannone", dichiara Carlos. E' sempre
contrario alla guerra in Iraq. Al suo rientro in Usa ha deciso di disertare
dall'esercito. Dal 15 ottobre scorso vive in clandestinita', sapendo di
essere ricercato come "absent of duty". Contro di lui c'e' un mandato di
cattura. Questa e' la sua prima intervista da quando vive "underground".
Carlos non e' il suo vero nome.
- Patricia Lombroso: La sua decisione di rientrare negli Stati Uniti e'
dovuta al termine della sua missione in Iraq o altro?
- Carlos: Sono tornato negli Usa dal fronte di prima linea in Iraq perche'
il mio visto di immigrazione stava per scadere. Ho chiesto una licenza di
due settimane al mio comandante per espletare queste pratiche e dovevo poi
tornare in prima linea. Ho deciso invece di non voler piu' tornare in Iraq.
Ora e' entrato in vigore l'ordine esecutivo approvato da Bush, lo "stop
loss": il 77% degli arruolati volontari non potra' piu' lasciare il servizio
militare in circostanze come quelle della guerra in Iraq.
- P. L.: Quale e' il motivo della sua diserzione?
- C.: Non volevo piu' continuare ad essere partecipe in una guerra che non
condivido.
- P. L.: E' una decisione presa in conseguenza a quanto ha vissuto durante
questi sei mesi al fronte in Iraq?
- C.: No. Sono stato contrario a questa guerra sin dall'inizio, ancor prima
di essere spedito al fronte. Questa e' una guerra immorale. Non cerco di
evitare il servizio militare. Sto cercando di evitare questa guerra. Ritengo
sia una guerra criminale. Il Pentagono, forse, mi considera un disertore, ma
non ritengo, avendo firmato un contratto con il servizio militare, di essere
obbligato a fare cose che vanno contro i miei principi morali. Anche prima
di questa guerra ero un essere umano con dei principi morali. Sento
l'obbligo di non venir meno al contratto con l'esercito americano. Forse
paghero' amaramente per questo contratto cui sono venuto meno. Se un caso
simile al mio viene pubblicizzato, il Pentagono e' in grado di rovinarti la
vita.
- P. L.: E' una decisione che la rende tranquillo anche se dovesse pagare
con la prigione?
- C.: Anche se questa mia decisione comporta la galera.
- P. L.: Ci racconta la sua storia?
- C.: Nella mia carriera militare sono stato arruolato in Texas come "active
duty", servizio attivo. Quando sono uscito dall'esercito e mi sono arruolato
nella Guardia nazionale sono stato incoraggiato a rimanere arruolato
nell'esercito con la promessa di accelerare il processo per acquisire la
cittadinanza americana in un numero di anni inferiore: tre anni invece dei
cinque prescritti per chi fa parte dell'esercito americano. Quando stavo per
terminare il mio mandato con la Guardia nazionale, a gennaio di quest'anno,
i miei superiori a Fort Stewart mi comunicarono che non avrei potuto
lasciare l'esercito, a maggio di quest'anno, perche' il nostro gruppo,
grazie all'"ordine esecutivo" del presidente Bush, era diventato parte
dell'esercito con "effective duty" in Iraq.
- P. L.: Ha ottenuto la cittadinanza americana promessa, per essersi
arruolato nella Guardia nazionale e andare in missione in Iraq?
- C.: No.
- P. L.: La sua aspirazione era quella di regolarizzare il visto di
immigrazione e diventare un cittadino americano?
- C.: Non ho mai cercato di diventare un cittadino Usa, anche se sono
cresciuto qui e vi ho fatto gli studi. Ma questa e' stata la promessa
offerta a noi 39.000 non cittadini Usa, ma provenienti da Haiti,
Centroamerica, Messico, paesi del Sud America. Era questo uno dei benefici
che si acquisiva con l'arruolarsi nell'esercito americano. Sono andato in
Iraq con il mio plotone di fanteria nel marzo scorso, ma non ci dissero che
andavamo a combattere e che ci saremmo trovati in questa guerra. Stavo per
terminare gli studi, mi mancavano tre settimane per terminare il corso al
college. Molti giovani decidono di arruolarsi per poter studiare ed avere un
salario.
- P. L.: Come ha vissuto questi sei mesi nelle prime linee del fronte di
guerra in Iraq?
- C.: E' stata un'esperienza orrenda. Traumatizzante. Come semplice soldato
di fanteria, le assicuro che tutte le missioni cui venivamo assegnati erano
estremamente a rischio: incursioni nel mezzo della notte per le strade di
Baghdad, attacchi alla ricerca dei soldati della guardia repubblicana di
Saddam Hussein. Ad Al Ramadi, che dista 40 chilometri di Baghdad, la
stazione assegnataci, ho vissuto un'esperienza terrificante, piena di
immagini e storie che mi hanno segnato per sempre.
- P. L.: Ha assistito alla morte di altri commilitoni, giovani come lei o
anche di piu'?
- C.: Durante tutto il periodo che sono stato li', non ho mai visto un
militare americano ucciso. Ma tanti, troppi iracheni. Ho visto morire molta
gente. Giovani civili e militari. Abbiamo ucciso molta gente. So che abbiamo
ucciso, in battaglia, anche dei bambini. Per fortuna non ero presente in
questi scontri.
- P. L.: Lei porta con se' l'immagine anche di un solo individuo che ricorda
di aver ucciso? Ha visto le persone che uccideva?
- C.: Non lo so. So bene che ho aperto il fuoco, ma e' difficile sapere se
ho la responsabilita' individuale di aver ucciso, perche' il fuoco veniva
aperto collettivamente dal gruppo dell'unita' di fanteria. Voglio sforzarmi
di pensare che non sia stata mia la pallottola che ha ucciso uomini, donne,
bambini, perche' eravamo in molti a far fuoco. E' un modo per cercare un
senso di colpa collettivo. Preferisco pensare sia cosi'. In quei momenti non
ci si pensa. Esistono paura, angoscia, frustrazione. L'addestramento
impartito nelle basi militari per le operazioni di guerra non ha nessun
collegamento con la realta' che si vive poi sul campo. Non ti addestrano ad
avere emozioni, ma soltanto ad eseguire ordini impartiti. Molti militari
sono impazziti. Alcuni al rientro dalle missioni militari sono stati per
giorni senza poter parlare e con lo sguardo fisso rivolto contro il muro.
Tutto questo viene coperto da un velo di silenzio dai comandanti superiori,
soprattutto nei casi di tentato suicidio di molti soldati di altre unita'.
- P. L.: Eppure l'operazione mediatica di Bush mostra il personale militare
Usa in Iraq con "morale alto, dedito ad una guerra di liberazione del popolo
iracheno".
- C.: Personalmente, al fronte, ho cercato di non rendere manifesta questa
mia opposizione a questa guerra ma so che, anche se la maggior parte dei
soldati in Iraq era consapevole che il dissenso veniva punito pagando
amaramente, in privato ammetteva che non esistevano ragioni valide per
essere li' in guerra ad uccidere gli iracheni. La popolazione americana e il
mondo intero ha dovuto credere che Saddam Hussein era responsabile per
l'attacco terroristico dell'11 settembre, ma la leadership che Bush guida
non e' stata in grado di provarlo. Ci hanno detto che eravamo li' per
rinvenire le armi di distruzione di massa, non sono stati in grado di
provarlo. Sembra a molti di noi che le motivazioni addotte per questa guerra
non possano essere provate. Siamo stati spediti a migliaia di chilometri di
distanza, lontani dalle nostre case, dalle nostre famiglie, per combattere
una guerra in Iraq, e gli interrogativi che circolavano nell'esercito erano:
perche' siamo qui? Perche' stiamo facendo questo? Perche' uccidiamo tanta
gente? Perche' ci sparano contro?
- P. L.: Qual'e' la sua interpretazione a quest'ultimo quesito?
- C.: Non ho mai avuto la sensazione dei "liberatori" per la popolazione
irachena. Quando percorrevamo le strade, a volte i bambini ci venivano
incontro, ci salutavano. Naturalmente questo ci faceva piacere, ma a
pensarci bene, la nostra missione non doveva essere quella di liberare il
popolo iracheno, ma di rinvenire le armi di distruzione di massa, scovare i
terroristi. Son trascorsi mesi e mesi. Siamo ancora la'. Non c'e'
elettricite', la gente muore di fame, non ha sicurezza. Quelle stesse
persone che inizialmente ci mostravano amicizia, ora non ci salutano piu'.
Non vogliono piu' che stiamo a casa loro. Che tipo di liberta' gli portiamo?
Questa gente semina bombe per le strade, attacca le forze italiane,
australiane, dell'Onu e della Croce Rossa, perche' visti come coloro che
collaborano all'occupazione americana in Iraq, ma il bersaglio colpito dalla
resistenza locale irachena e' diretto sempre contro la principale forza
occupante: ovvero gli Stati Uniti.

6. INCONTRI. MICHELE MEOMARTINO: VERSO L'INCONTRO NAZIONALE DELLE COMUNITA'
CRISTIANE DI BASE
[Ringraziamo Michele Meomartino (per contatti: michelemeomartino at tiscali.it)
per questo intervento. Michele Meomartino e' coordinatore della Rete
nonviolenta dell'Abruzzo]

Leggendo i titoli dei 27 incontri, tra seminari e convegni, organizzati in
un trentennio dalle Comunita' cristiane di base italiane si rimane
sbalorditi per l'ampiezza e la profondita' dei temi che si sono affrontati,
a dimostrazione di un movimento estremamente vitale, che ha dato un notevole
contributo nel difficile e spesso incerto cammino di rinnovamento della
chiesa cattolica post-conciliare. "Le comunita' sono gruppi autonomi in
continua ricerca e per vie diverse di essere chiesa altra: donne e uomini
alla scuola di Gesu', senza padri, ne' maestri, in una dinamica di
riappropriazione e reinterpretazione del messaggio cristiano nel nostro
tempo, mantenendo nei confronti delle istituzioni civili ed ecclesiastiche
un'autonoma capacita' di giudizio, senza rinunciare a interloquire con
esse".
Il XXVIII incontro nazionale, che si svolge per la prima volta in Abruzzo, a
Montesilvano, presso il Grand Hotel Adriatico, dal 6 all'8 dicembre 2003, e'
ormai alle porte e questo mio intervento vuole essere semplicemente un
ulteriore contributo alla riflessione. In Abruzzo, non c'e' una Comunita'
cristiana di base, nella realta' ecclesiale locale sono fortemente presenti
le comunita' carismatiche e neocatecumenali. C'e' una piccolo numero di
evangelici e protestanti, una buona presenza di Testimoni di Geova e
pochissimi cristiani che si impegnano in campo ecumenico.
Quest'ultima componente, pero', partecipa ed e' parte attiva nella Rete
nonviolenta dell'Abruzzo. La rete abruzzese e' un coordinamento di
associazioni e di cittadine/e, che si impegnano nella diffusione, nella
promozione e nella costruzione della pace, attraverso la pratica di una
metodologia nonviolenta. L'incontro nazionale delle Cdb, ha anche lo scopo
dichiarato di tentare di intrecciare e di contaminarsi reciprocamente con le
realta' locali, e non e' un caso che nel programma e' previsto il confronto,
proprio sulla "convivialita' delle differenze", con la partecipazione di
rappresentanti del movimento locale. Nella rete, da piu' di due mesi, circa
40 persone, in rappresentanza di 25 associazioni regionali, hanno costituito
cinque gruppi di lavoro tematici, e sono impegnate nella preparazione del
programma di iniziative e progetti per il 2004.
*
Le Comunita' cristiane di base sono all'avanguardia nel saper coniugare fede
religiosa e impegno politico e nel saper distinguere i rispettivi ambiti,
ma, ad uno osservatore non abbastanza informato, il titolo scelto: "Memoria
e progetto. Condivisione eucaristica  e partecipazione politica fuori dei
recinti" potrebbe apparire poco chiaro.
L'eucarestia, al di la' del significato che ognuno gli attribuisce, non e'
la memoria mummificata di un gesto bimillenario, ma e' il cuore del progetto
di Gesu', che si rinnova ed e' offerto continuamente all'umanita'. La
partecipazione politica e', invece, sempre piu' avvertita dai nuovi
movimenti, contro le derive autoritarie di tantissimi governi, compresi
quelli che si definiscono democratici, che sono piu' attenti agli interessi
delle potenti corporation economiche e finanziarie, che agli interessi
generali delle popolazioni che governano.
Quasi tutte le democrazie attraversano una profonda crisi di legittimita' e
di rappresentanza, e i cittadini sono sempre piu' sfiduciati e lontani dalla
partecipazione politica, un crescente fatalismo li spinge a disertare i
luoghi della politica. Anche nelle consultazioni elettorali importanti, come
l'elezione del presidente degli Stati Uniti d'America, le urne sono
disertate da oltre la meta' degli aventi diritto. A questo quadro tutt'altro
che edificante si oppongono e per fortuna sempre piu' larghi strati della
societa' civile mondiale, dando vita, negli ultimi anni, ad uno dei piu'
grandi movimenti di massa che la storia ricordi. Donne e uomini di tutte le
eta', che si oppongono allo strapotere di una minoranza, che vorrebbe
dominare il mondo attraverso le leggi di mercato e la brutalita' della
"guerra preventiva", ipocritamente definita "umanitaria", imposta per
depredare le risorse altrui.
Gli strumenti che favoriscono la partecipazione alla vita politica possono
essere tanti e l'esperienza del bilancio partecipativo della citta'
brasiliana di Porto Alegre ne rappresenta uno dei piu' innovativi. Oggi, non
c'e' all'orizzonte nessun palazzo d'inverno da conquistare, e si intravede
una nuova consapevolezza, dove la nonviolenza potrebbe essere il varco della
storia. Essa non sara' tanto il frutto acerbo di un calcolo politico, ma la
conseguenza di un ribaltamento del cuore dell'uomo, questo si' davvero
rivoluzionario. A mio avviso, pero', la perdurante, anche se minoritaria,
presenza nei movimenti di capi e di capetti, come la mancanza di rotazione
degli incarichi e di collegialita', potrebbero rappresentare,
obiettivamente, degli ostacoli che vanno rimossi verso la piena e convinta
partecipazione alla vita sociale e politica. La vecchia logica egemonica
della cooptazione e dell'intruppamento va smascherata perche' allontana
quanti vorrebbero impegnarsi, e sono tanti, ma senza volerlo fare sotto il
vessillo di nessuno, unicamente perche' ci credono. Assistiamo ancora ad
iniziative in cui pochi convocano e fanno progetti per poi chiedere
l'adesione degli altri, un'adesione, spesso, puramente strumentale,
nominalistica e formale.
Le nuove forme di partecipazione politica dovrebbero essere coinvolgenti e
inclusive, tutti sono corresponsabili di preparare "in cucina" il "menu' di
tutti", attraverso una metodologia consensuale, imparando la lezione della
"bellezza del compromesso" di gandhiana memoria, e dove ognuno e tutti
assieme imparano ad ascoltare e a confrontarsi.
*
Ritorniamo al significato dell'eucarestia, nella speranza di rendere piu'
chiare anche le ragioni dell'impegno politico. Qualche anno fa ho trovato
molto illuminante una pagina del libro Il posto della fede di Giovanni
Franzoni, che e' coincisa anche con la mia conoscenza delle Comunita'
cristiane di base. A proposito dell'eucarestia, l'animatore della comunita'
di San  Paolo dice: " Quando Gesu' spezza il pane nell'ultima cena, fa un
gesto consueto. Per tre anni ha condiviso con i suoi discepoli la vita,
percio', quando si esprime con quel gesto, egli riassume semplicemente
qualcosa legata indissolubilmente alla realta' vissuta. Una comunita' che si
limitasse a fare il gesto rituale, senza mai interrogarsi sulla realta'
della condivisione fra gli uomini, di ogni tipo di pane, anche quello del
potere, della cultura, dei saperi, ecc., sarebbe una comunita' chiusa dentro
il ritualismo. Anche nelle comunita' primitive, quando Paolo di Tarso
polemizza con quella di Corinto, poiche' in essa si compiva il gesto rituale
della cena, ma poi ognuno in privato mangiava la propria senza condividerla
con gli altri, polemizza esattamente con questa separazione fra rito e
realta'".
Cosa significa, allora, spezzare il pane? Per Gesu' esprimeva la
condivisione totale fino al dono della propria vita per gli altri. E, oggi,
per chi si professa cristiano, che cosa rappresenta? Cosa significa in
questo mondo profondamente ingiusto e iniquo? Quali sono le nostre
responsabilita' e qua'e' la direzione del nostro impegno?
Allora questo "gesto provocatorio" che Gesu' ci ha voluto consegnare
dovrebbe farci assumere un impegno inderogabile per costruire, insieme a
tanti uomini di buona volonta', delle relazioni piu' eque, solidali e
condivise, partecipando attivamente in quei progetti di emancipazione, per
l'affrancamento dalle miserie sociali e di tutela della natura. Una
capacita' di porsi veramente dentro questi processi assumendosi la propria
porzione di responsabilita'.
Spesso, mi chiedo qual e' il senso di un'indistinta ammucchiata, che vede
paradossalmente seduti sullo stesso banco delle nostre chiese, ricchi e
poveri, re e sudditi, sfruttati e sfruttatori, usurai e malversati,
tartassati e privilegiati: separati nella realta', tutti uniti pero' nel
rito della messa domenicale. Un momento, quello della messa, che vorrebbe
essere di fraternita', dopo il quale ciascuno ritorna nei suoi egoismi,
dimenticandosi di quella esperienza comunitaria, che si esaurisce cosi'
nella gioia di essersi sentiti, per un momento, tutti fratelli.
Gesu' compie il gesto di spezzare il pane alla fine di una vita di
condivisione, per cui noi cristiani dobbiamo seriamente interrogarci se la
nostra testimonianza e' autenticamente al servizio degli altri, o perche'
non ci siamo ancora incamminati lungo i sentieri della condivisione,
affinche' quel gesto memoriale, che il maestro ci ha consegnato, la' dove si
vorrebbe rinnovare non diventi o resti un rito vuoto e formale.
Quindi, in conclusione, sono interessato a riflettere a partire dal segno
della condivisione eucaristica, ai tanti percorsi di condivisione fraterna e
alla convergenza con altre esperienze di partecipazione politica e sociale
dal basso, tutti in una prospettiva di costruzione della pace e della
giustizia.

7. MAESTRE. MANUELA FRAIRE: CRISI, CRITICA, PRATICA
[Da "Nuova dwf", n. 4, luglio-settembre 1977, volume monografico su Donna e
istituzioni, p. 12. Quello che riportiamo e' un frammento da un intervento
in un dibatito svoltosi il 12 settembre 1977 su iniziativa della redazione
di "Nuova dwf" con Manuela Fraire, Mariella Gramaglia, Margherita Repetto,
Giglia Tedesco. Manuela Fraire, autorevole intellettuale, psicanalista, una
delle figure piu' prestigiose del femminismo, e' autrice di numerosi saggi;
e' stato recentemente ripubblicato il suo assai apprezzato libro (a cura
di), Lessico politico delle donne: teorie del femminismo, Fondazione Elvira
Badaracco, Franco Angeli, Milano 2002]

... c'e' sempre una crisi istituzionale alla base dei movimenti. A me sembra
tra le altre cose che il movimento femminista nasca anche da una crisi
dell'istituzione politica, perche' nasce come critica al movimento
studentesco del '68. Nasce cioe' anche dal fallimento di un tipo - non direi
di progetto politico - ma di aspettativa politica che per le compagne e i
compagni del '68 aveva il significato del superamento della delega, delle
strutture autoritarie, cioe'. Il movimento femminista scopre che e'
istituzione anche quello che era anti-istituzione, nel senso che istituzione
e' l'uomo/compagno. Tutto il mondo dell'uomo, anche quello antistituzionale,
il mondo stesso dei compagni in lotta e' istituzione autoritaria per le
donne.

8. TESTIMONIANZE. IDA DOMINIJANNI: IL GLOBALE VISTO DA SOTTO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 novembre 2003. Ida Dominijanni (per
contatti: idomini at ilmanifesto.it), giornalista e saggista, e' una
prestigiosa intellettuale femminista]

Sono stata per un mese in Australia e in Nuova Zelanda, ospite dell'Istituto
italiano di cultura e dell'Universita' di Monash a Melbourne, della Sydney
University a Sydney, dell'universita' di Auckland, e di amiche e amici
preziosi come Susanna Scarparo, una giovane studiosa del femminismo italiano
che ha organizzato l'intero viaggio, a Melbourne, Bernadette Luciano a
Auckland, Joseph Alevi a Sydney, nonche' di altri come Gabriella Pignatelli,
Manuela Caluzzi, Andrea Perego, Max Civili della Sbs (il network radiotv
statale multiculturale, un'esperienza unica nel suo genere),Vittoria
Pasquini, Mirna Cicioni, Brett Neilson, Paolo Bartoloni, Ned Rossiter,
Franco Manai, Susan Hawthorne, Cristina Mauceri, Claudio Marcello, Ilaria
Vanni che mi hanno fatto capire un sacco di cose.
E' stata un'esperienza densa e importante. Guardare il mondo dagli antipodi,
come una carta geografica rovesciata, comporta un salutare shifting nella
percezione del globale, delle sue coordinate spaziali e temporali, della sua
antropologia, del suo (dis)ordine politico.
Tutto sembra uguale sotto la crosta delle merci e dei loghi che ridisegnano
la stratificazione sociale e unificano i comportamenti, o sotto il rumore
del discorso politico che la' come qua tenta di imbrigliare il mutamento con
le sirene del liberismo, la paura del terrorismo e la rassicurazione del
nazionalismo (Howard non parla un linguaggio diverso da Bush, e neanche da
Berlusconi). E invece tutto e' diverso, dalla percezione dello spazio ai
problemi identitari, dal rapporto con l'ambiente ai flussi delle citta'
globali, dall'immaginazione politica alla costruzione biografica.
Visto da la', il pianeta assume proporzioni diverse, l'Asia viene in primo
piano, l'Atlantico (e il conflitto fra le due sponde dell'Atlantico) si
rimpicciolisce, il Pacifico si impone come un bacino antropologico fatto di
lineamenti, stili di vita, modi della ragione e impronte della spiritualita'
diversi dai nostri, che incontrandosi col modello occidentale egemone lo
contaminano e lo trasformano ineluttabilmente.
Vista da la', l'Europa si relativizza, assume i contorni non tanto di un
modello quanto di un archivio nobile e grande, che non si cessa di studiare
nei dipartimenti universitari come si attinge a un pozzo senza fondo di
cultura e di storia, e che tuttavia rischia di diventare polveroso e inutile
se non apre gli occhi su un immenso presente che fuoriesce da quella cultura
e da quella storia.
E la politica come noi siamo abituati a pensarla, figlia della polis antica
e dello stato moderno, rischia anch'essa di diventare una disciplina
archeologica, se non si misura con la forma della citta' globale descritta
da Saskia Sassen (e di cui Sydney e' un ottimo esempio), con i suoi flussi
umani, i suoi codici comunicativi, le sue barriere e i suoi passaggi.
*
Attraversata con in testa queste domande, l'Australia si spoglia
dell'immaginario alquanto folclorico che l'accompagna (ma del quale un
nucleo va salvato, la potenza di una natura magnifica e inaddomesticata che
riclassifica l'esistenza individuale e collettiva, e infatti non e' un caso
se l'esperienza politica dei Verdi assume li' una qualita' diversa che
altrove) e diventa un caso emblematico e specifico di alcune dinamiche
cruciali della globalizzazione.
Terra di immigrazione, di sovrapposizioni e di citazioni, sperimenta ad
esempio un multiculturalismo diverso da quello americano, storicamente non
soggetto a politiche di assimilazione e poco sensibile, anche grazie alla
memoria delle terribili perdite subite nella prima guerra mondiale, alla
vernice nazionalista (che pure l'attuale governo tenta di spargere a piene
mani, ben lieto di poter aspirare al ruolo di sceriffo del Pacifico che Bush
gli prospetta). Il che non lo vaccina ovviamente ne' dall'egemonia
dell'impronta britannica (tuttavia sempre piu' surclassata dalla seduzione
americana), ne' dal rischio di trasformarsi in un comunitarismo organizzato
per enclave identitarie chiuse e autoreferenziali. Una deriva intercettata
pero' dal ricambio generazionale, che sta trasformando visibilmente le
strategie di costruzione e di narrazione biografica, si' che a quella
classicamente costruita sulla nostalgia dell'origine europea e sul desiderio
del ritorno si sostituisce quella basata sulla mobilita', sulla messa a
rischio dell'appartenenza, sul viaggio, l'apertura, lo spostamento e lo
spaesamento.
Nel non-luogo chiamato Australia, chiunque racconta di una provenienza da un
altro posto, di un incontro, un innamoramento o un caso che l'ha portato o
portata li' e che potrebbero portarlo o portarla lontano da li'. E' il senso
di un'identita' aperta, forse reso possibile dalla permanenza del nucleo
massacrato e rimosso dell'identita' aborigena a custodia del rapporto con la
matrice rossa del deserto. Anche agli antipodi infatti c'e' sempre un
sacrificio cruento alla base del patto sociale, come se da nessuna parte
l'umanita' avesse ancora imparato a farne a meno.

9. LIBRI. LUCA KOCCI: INTRODUZIONE ALL'ANNUARIO DELLA PACE
[Ringraziamo Luca Kocci (per contatti: lkocci at tiscali.it) per averci messo a
disposizione la sua introduzione all'Annuario della pace 2002-2003,
Asterios, Trieste 2003. Luca Kocci, curatore dell'edizione di quest'anno
dell'Annuario, e' insegnante e giornalista, collabora con "Adista",
Peacelink ed altri mezzi d'informazione impegnati per la pace e i diritti
umani]

L'anno appena trascorso, dal giugno 2002 al maggio 2003, verra' ricordato
per la guerra all'Iraq ma anche per la diffusione, su scala globale, del
piu' grande movimento per la pace e contro la guerra degli ultimi decenni.
Eppure, fra le tante notizie di guerra e di pace di quest'anno, ve ne sono
due, di segno palesemente opposto, che sono state dimenticate abbastanza in
fretta dalla maggior parte dei media "ufficiali".
La prima: nel mezzo della guerra all'Iraq, alcuni militari statunitensi
vengono catturati dalle Forze armate irachene ed esibiti davanti alle
telecamere. "Perche' avete attaccato le citta' irachene?", viene chiesto ai
soldati americani. "Me lo hanno ordinato, ed io ho obbedito", risponde uno
di loro.
La seconda: durante la "guerra infinita" fra Israele e Palestina, 27
militari dell'aviazione israeliana (un generale, due colonnelli, nove
tenenti colonnelli, otto maggiori e sette capitani), impegnati nei
"bombardamenti mirati" nei territori palestinesi a caccia di terroristi da
eliminare - benche' quasi sempre siano rimasti coinvolti, e ammazzati,
uomini e donne, bambini e bambine che con il terrorismo non avevano nulla a
che fare - sottoscrivono e rendono pubblico un documento in cui affermano il
loro rifiuto di obbedire ad "ordini immorali e illegali" la cui esecuzione
avrebbe causato la morte di civili.
Soldati che obbediscono ciecamente agli ordini, soldati che disobbediscono -
o meglio che obbediscono alla propria coscienza - e che si interrogano sulle
ricadute delle loro azioni.
Torna alla mente una poesia di Bertolt Brecht:

Ecco gli elmi dei vinti, abbandonati
in piedi, di traverso o capovolti.
E il giorno amaro in cui voi siete stati
vinti non e' quando ve li hanno tolti,

ma fu quel primo giorno in cui ve li
siete infilati senza altri commenti,
quando vi siete messi sull'attenti
e avete cominciato a dire si'.

E don Lorenzo Milani, che cosi' conclude la Lettera ai giudici, che lo
stanno processando per apologia di reato: "Spero di tutto cuore che mi
assolverete, non mi diverte l'idea di andare a fare l'eroe in prigione, ma
non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguitero' a
insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Cioe' che se un
ufficiale dara' loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben
stretto e portarlo in una casa di cura... Poi forse qualche generale
trovera' ugualmente il meschino che obbedisce e cosi' non riusciremo a
salvare l'umanita'. Non e' un motivo per non fare in fondo il nostro dovere
di maestri. Se non potremo salvare l'umanita' ci salveremo almeno l'anima".
*
Alla base della scoperta della responsabilita' individuale nonche' della
fatica dell'obbedienza alla propria coscienza - com'e' il caso,
fortunatamente non isolato, dei 27 militari israeliani - c'e' sicuramente la
conoscenza dei fatti che accadono e il tentativo di comprensione e di
interpretazione della realta'.
Questa nuova edizione dell'Annuario della pace, la terza, pur con tutti i
suoi limiti vuole essere un contributo a tale difficile operazione di
conoscenza-comprensione-interpretazione della realta', specificatamente in
ordine alle questioni della pace e della guerra. L'Annuario, infatti,
contiene una documentazione, cronologicamente ordinata, di 365 giorni di
attivita' pacifista e dei fatti che hanno attraversato l'anno appena
trascorso, in Italia e nel mondo; una serie di contributi che analizzano
dodici mesi di pace e di guerra nei suoi molteplici aspetti geopolitici,
economici, giuridici, sociali, religiosi e culturali; una rassegna di alcune
significative esperienze di pace sia istituzionali che della "societa'
civile";  una guida essenziale ai principali siti internet e alle riviste
per la pace.
Ai numerosi collaboratori, che hanno lavorato tutti gratis e con "spirito
militante", va un grazie vero. Cosi' come ringraziamenti sentiti vanno a
"Vasti" - la scuola di ricerca e critica delle antropologie fondata e
diretta da Raniero La Valle, che ha messo a disposizione preziosi ed inediti
materiali -, al settimanale "Internazionale" e all'associazione PeaceLink,
che hanno contribuito alla realizzazione di questo Annuario con i loro
documentatissimi archivi.
La diversita' di voci e il pluralismo di idee, non necessariamente fra loro
sempre e completamente concordi, che trovano spazio nell'Annuario ne
costituiscono la ricchezza. E sono un modo anche simbolico di opporsi alla
logica della guerra e della violenza che della diversita' e del pluralismo
e' l'assoluta negazione.

10. LETTURE. IGNAZIO SILONE: IL FASCISMO
Ignazio Silone, Il fascismo. Origine e sviluppo, Mondadori, Milano 2002,
2003, pp. LII + 312, euro 7,80. Con un'ampia e acuta introduzione di Mimmo
Franzinelli, l'opera di Silone apparsa in tedesco nel '34, retrotradotta in
italiano, finalmente in un'edizione accessibile ad un pubblico ampio (dopo
le meritorie intraprese delle Edizioni Dall'interno e di altri editori nel
corso del passato decennio).

11. RIEDIZIONI. FRANCO CASSANO: APPROSSIMAZIONE
Franco Cassano, Approssimazione. Esercizi di esperienza dell'altro, Il
Mulino, Bologna 1989, 2003, pp. XIV + 162, euro 12,80. Un libro "contro ogni
elmo e contro ogni muro".

12. RIEDIZIONI. FRANCO CASSANO: IL PENSIERO MERIDIANO
Franco Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Roma-Bari 1996, 2003, pp.
158, euro 7. Una sobria e forte proposta nonviolenta.

13. RILETTURE. AA. VV.: DIALETTICA DELLA LIBERAZIONE
AA. VV.: Dialettica della liberazione, Einaudi, Torino 1969, 1975, pp. 212.
A cura di David Cooper, con prefazione di Giovanni Jervis, i materiali del
congresso londinese del luglio 1967, con interventi di Ronald D. Laing,
Gregory Bateson, Stokely Camichael, Jules Henry, John Gerassi, Paul Sweezy,
Paul Goodman, Lucien Goldmann, Herbert Marcuse, David Cooper. All'epoca non
notammo che erano tutti maschi, ma resta un documento e una proposta di
grande valore.

14. RILETTURE. JULIET MITCHELL: LA CONDIZIONE DELLA DONNA
Juliet Mitchell, La condizione della donna, Einaudi, Torino 1972, 1978, pp.
208. E' ancora un libro da rileggere, di un'acutissima pensatrice e
militante.

15. RILETTURE. JULIET MITCHELL: PSICOANALISI E FEMMINISMO
Juliet Mtchell, Psicoanalisi e femminismo, Einaudi, Torino 1976, pp. XX +
524. Un'opera che riteniamo resti di notevole importanza, con la quale un
confronto e' ineludibile.

16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it,
angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 740 del 25 novembre 2003