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La nonviolenza e' in cammino. 736
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 736
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 20 Nov 2003 19:14:06 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 736 del 21 novembre 2003 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: contro il terrorismo, contro la guerra 2. L'appello di Verona per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta (testo in italiano e in inglese) 3. Maria G. Di Rienzo: sull'incontro dell'8 novembre a Verona con Lidia Menapace 4. Giancarla Codrignani: mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 5. Oggi la giornata del dialogo interreligioso 6. "Nigrizia": solidali col vescovo Raffaele Nogaro 7. Benedetto Vecchi intervista Angelo D'Orsi 8. Elio Rindone presenta "La verita' non ha colore" a cura di Danilo Franchi e Laura Miani 9. David Bidussa presenta "Il libro nella Shoah" a cura di Jonathan Rose 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: CONTRO IL TERRORISMO, CONTRO LA GUERRA [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Appena Arafat lancio' le seconda Intifada, quella "armata", facendosi fotografare con un mitra imbracciato, ci fu un dibattito difficile anche tra le donne: ma la conclusione, almeno tra le donne della "Convenzione permanente di donne contro le guerre" fu che si era trattato di un imperdonabile errore politico, nel momento in cui la popolarita' internazionale di Sharon era bassissima per la provocazione della spianata delle moschee. Cio' non diminuisce la responsabilita' dell'Europa, che ignava ha assistito alla tragedia. Si vide poi che la seconda Intifada non poteva coinvolgere le donne (come invece la prima, una forma di "difesa popolare nonviolenta", aveva fatto), ne' i ragazzi e le ragazze, se non in forma di "martiri" o di "madri di eroi" con un terribile arretramento da una inziale laicita' a un fondamentalismo cupo e oppressivo. * Pochi giorni dopo le Torri gemelle, l'associazione Rosa Luxemburg, che della "Convenzione permanente di donne contro le guerre" e' una articolazione di riflessione teorica, emetteva un comunicato stampa nel quale si diceva che "guerra e terrorismo sono parimenti crimini contro l'umanita', e credere di lottare contro il terrorismo con la guerra e' come credere di poter spegnere un incendio buttandoci benzina". Ora ripetiamo che Auschwitz e Hiroshima hanno segnato la storia umana in modo irreversibile, e che da li' deve e puo' partire e ripartire di continuo il no alla guerra, alla violenza e al terrorismo. * E non si possono contrastare con mezzi violenti guerra, terrorismo e violenza, perche' guerra, terrorismo e violenza inquinano chi se ne serve. Come abbiamo detto al Social forum di Firenze: "Non c'e' pace senza giustizia raggiunta con mezzi pacifici". E' uno dei grandi raggiungimenti di teoria politica perche' segna il definitivo superamento del machiavellismo in tutte le sue varianti politiche o religiose (la ragion di stato...), di destra e di sinistra. Percio' ora diciamo con forza: Il terrorismo non si cancella con la guerra o con la violenza, in una spirale che ci rende tutti e tutte un po' piu' disumani, ci fa andare indietro nella civilta', apre in noi le peggiori paure, reazioni irrazionali, passioni vergognose. Il terrorismo si supera con la politica, cioe' con la capacita' di governare i conflitti, dividendo i confliggenti, elencando torti e ragioni, e cio' si puo' fare su un terreno neutrale, non da parte di chi e' coinvolto: non possono essere i governi ne' palestinese ne' israeliano, ma oppositori democratici ospiti di un territorio neutrale (Ginevra), non possono essere ne' iracheni ne' tantomeno Usa e alleati invasori a trattare. Insomma la politica e non altro torni al posto di comando e sia limpida nelle posizioni, trasparente e non segreta nei metodi, civile e non militarizzata nelle forme, capace di leggere il tempo e i suoi segni. * Uno dei piu' importanti e' che la guerra ha perso anche la sua vantata "efficienza". Come dico sempre: dopo la seconda guerra mondiale nessun esercito regolare ha piu' vinto una guerra: francesi e Usa hanno perso in Vietnam, l'Urss in Afghanistan, Israele non riesce a venire a capo di un popolo disperso come i palestinesi, non si dira' che gli Usa hanno vinto in Afghanistan o in Iraq, o che Putin nonostante le atrocita' abbia trionfato in Cecenia. E' piu' saggio ed economico comprare il petrolio anche a caro prezzo, dato che la guerra "per il petrolio" ha provocato tali danni che il petrolio di tutti i pozzi iracheni non basta a pagarli. Dunque la pace e una sua definizione politica e traduzione giuridica (diritto alla pace) sia nella Costituzione europea: e' il segno dei tempi, non vederlo significa condannarsi a un gorgo di nequizie per di piu' stupide: c'e' qualcosa di peggio di un delitto stupido? * Dunque chiediamo subito di riportare a casa vivi i soldati, che finisca l'occupazione dell'Iraq, e che trattative inizino subito, senza pero' che le guidino gli aggressori o i vergognosi pescecani che vorrebbero lucrare sulle rovine. La guerra e' disonorevole, nessun pace lo e'. Avvisare gli ignoranti che morire per il "punto d'onore" era cosa gia' criticata da Alessandro Manzoni buonanima. 2. DOCUMENTI. L'APPELLO DI VERONA PER UN'EUROPA NEUTRALE E ATTIVA, DISARMATA E SMILITARIZZATA, SOLIDALE E NONVIOLENTA (TESTO IN ITALIANO E IN INGLESE) [Riproduciamo nuovamente l'appello elaborato dalle e dai partecipanti all'incontro di Verona dell'8 novembre 2003 sulla proposta di Lidia Menapace per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta. Aggiungiamo oggi la traduzione in inglese effettuata da Monica Mazzone e Mike Kavanagh dei "Traduttori per la pace" (sito: http://web.tiscali.it/traduttoriperlapace); invitiamo tutti gli interlocutori interessati a sostenere la proposta a far circolare ulteriormente il testo dell'appello, e ricordiamo che una presentazione pubblica di esso avverra' a Venezia l'8 dicembre nell'ambito del terzo salone dell'editoria di pace] Il nostro programma costruttivo affinche' nasca l'Europa militarmente neutrale, per la pace dentro e fuori i propri confini. Siamo donne e uomini che affermano il diritto alla vita e alla pace per tutti, non solo come valori supremi, ma anche come categorie giuridiche. Siamo donne e uomini impegnati per l'abolizione degli eserciti, per il disarmo unilaterale, e percio' lavoriamo affinche' l'Europa sia fondata sul diritto alla pace. Riconosciamo nella nonviolenza uno straordinario metodo a disposizione di tutti, per risolvere i conflitti, per difendersi dai soprusi, per realizzare nuove conquiste sociali. La nonviolenza e' il varco attuale della storia. Vogliamo collegare la nascita dell'Europa con la necessaria riforma dell'Onu. Vogliamo che la Costituzione europea raccolga il meglio e i punti socialmente piu' avanzati delle Costituzioni degli stati membri. Vogliamo che l'Europa sancisca il diritto alla pace e il ripudio della guerra. Chiediamo che l'articolo 1 della Costituzione europea recepisca in pieno l'articolo 11 della Costituzione italiana. Chiediamo che la Costituzione europea recepisca le sentenze della Corte Costituzionale italiana: la difesa non e' solo quella militare, ma e' anche difesa civile. Chiediamo che la sicurezza dell'Europa sia basata sulla riduzione degli armamenti (che oggi sottraggono enormi risorse alle spese sociali). Chiediamo che non nasca un nuovo esercito europeo, ma si costituiscano invece i Corpi Civili di Pace. Convochiamo un convegno di studio e di proposta politica per il giorno 8 dicembre a Venezia, che si concludera' con una manifestazione per lanciare il nostro appello, rivolto a tutte le cittadine ed i cittadini europei, e ai capi di stato e di governo che si riuniranno a Bruxelles il 12 e 13 dicembre. Ci impegnamo affinche nella prossima campagna elettorale i partiti siano costretti a confrontarsi sul progetto di un'Europa neutrale, disarmata, solidale, nonviolenta. I e le partecipanti all'incontro: Ando' Valeria, Baleani Marco, Beltrame Elena, Benzoni Giovanni, Bonomi Rosa Pia, Brunelli Cristina, Candelari Paolo, Cannata Maria, Capitini Annamaria e Luciano, Cristini Guido, Dal Bosco Giannina, Dall'Agata Stefano, De Battisti Biancarosa, Di Rienzo Maria G., Filippini Luigi, Forigo Luigi, Geneth Maria, Giuffrida Angela, Heyhwood Asma, Lanfranco Monica, Magistrini Silvia, Mantovani Marisa, Melotti Lelia, Menapace Lidia, Menin Matteo, Moratto Adriano, Pacifico Anna, Palombo Marco, Paronetto Sergio, Perna Franco, Pesenti Rosangela, Poli Ruggero, Racca Piercarlo, Restivo Alessi Rosanna, Rossi Luciana, Soccio Matteo, Valpiana Mao, Zanotelli Luisa * The Verona appeal for a neutral Europe active for peace (outcome of the meeting held 8th November in Verona, following a proposal by Lidia Menapace "for a neutral, active, disarmed, demilitarised, and non-violent Europe, in solidarity with all peoples") Our constructive program for the birth of a militarily neutral Europe, committed to peace both inside and outside its borders. We are women and men that assert the right to life and peace for everybody, not just as supreme values, but also as legal principles. We are women and men committed to the elimination of all armies and to unilateral disarmament. For this reason, we work towards a Europe based on the right to peace. We acknowledge non-violence as an extraordinary means, available to everybody, to resolve conflicts, defend oneself against abuse and bring about positive social change. At the current historical cross-roads, non violence is the way forward. We want to link the birth of Europe with the necessary reform of the UN. We want the European Constitution to collate the best and most advanced social principles of the constitutions of its member states. We want Europe to ratify the right to peace and the rejection of war. We demand that Article 1 of the European Constitution fully incorporate Article 1 of the Italian Constitution. We demand that the European Constitution incorporate the pronouncements of the Italian Constitutional Court, according to which defence means not only military but also civil defence. We demand that the security of Europe be based on the reduction of arms (that currently divert huge resources from social spending). We are against the creation of a new European army and instead demand the creation of Civil Peace Corps. We are convening a study and policy development forum on the 8th December in Venice. At the end of the forum we will hold a demonstration to launch our appeal to all European citizens and the heads of State and Government due to meet in Brussels on the 12th and 13th December. We also commit ourselves to make all parties in the next election campaign accountable regarding their position on the project for a neutral, disarmed, and non-violent Europe, in solidarity with all peoples. [Translated by Monica Mazzone and Mike Kavanagh - Traduttori per la pace (Translators for peace) http://web.tiscali.it/traduttoriperlapace] 3. TESTIMONIANZE. MARIA G. DI RIENZO: SULL'INCONTRO DELL'8 NOVEMBRE A VERONA CON LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questa testimonianza sull'incontro dell'8 novembre a Verona sulla proposta di Lidia Menapace per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] L'8 novembre e' stata una giornata di pioggia incessante, con un vento abbastanza dispettoso che rovesciava gli ombrelli. Soffiava "contro", per cosi' dire, e siamo arrivati alla meta con i piedi zuppi e le teste gocciolanti. Se le difficolta' reali sono specchio delle difficolta' simboliche, e viceversa, il messaggio era: "giungere allo scopo comporta fatica, non dimenticatelo". Sulla via del ritorno, pero', il cielo ha cominciato a schiarirsi. Eravamo in autostrada quando Stefano, che guidava l'auto, ha detto: "Guarda, l'arcobaleno". E, dopo una pausa, sorridendo: "E' un buon segno, no? Una grande bandiera della pace". Io ho pensato a Irene, dea della pace, che porta proprio i colori dell'arcobaleno, e ho detto "Si'", ma non sono riuscita a dire altro, perche' ero commossa, e felice. 4. MEMORIA E PROPOSTA. GIANCARLA CODRIGNANI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... ["Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e' di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". Avvicinandosi la fine dell'anno, abbiamo chiesto ad alcuni autorevoli amici della nonviolenza di motivare l'invito - che ci permettiamo di rivolgere a tutti i lettori del nostro notiziario - a rinnovare (o sottoscrivere per la prima volta) l'abbonamento ad "Azione nonviolenta". Oggi risponde Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it). Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994] Mi ri-abbono ad "Azione Nonviolenta" non per abitudine, ma per scelta. Chi crede che solo la nonviolenza possa salvare il mondo - a prescindere dalle responsabilita' di cui si carica nelle necessarie mediazioni della politica - ha bisogno di due cose. La prima: di comunicare con gli altri almeno attraverso la carta stampata e gli amici militanti. La seconda: di sentire la "solidarieta' interessata" di sostenere i periodici che reggono il peso della diffusione delle idee, soprattutto in un tempo in cui l'informazione "libera" viene penalizzata e, per l'accrescersi delle difficolta' economiche, per molti diventa piu' faticoso tirare fuori i pochi (o non pochi) euro per l'abbonamento. Ma e' nel nostro interesse che sopravvivano. (E un grazie di amicizia a Mao). 5. INIZIATIVE. OGGI LA GIORNATA DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO In tutta Italia si svolgera' oggi, nell'ultimo venerdi' del Ramadan dell'anno islamico 1424, la celebrazione della seconda "Giornata del dialogo cristiano-islamico". Importanti iniziative di dialogo si terranno a Roma, Torino, Cuneo, Milano, Casale Monferrato, Verona, Genova, Correggio (Re), Bergamo, Mestre, Brescia, Reggio Emilia, Desio (Mi), Padova, Trento, Avellino, Napoli, Salerno, Pachino (Sr), ed in altri luoghi ancora. Iniziative che non si fermeranno al solo 21 novembre ma che andranno oltre, come accaduto gia' lo scorso anno, a dimostrazione di una volonta' diffusa di proseguire e consolidare il dialogo negli anni a venire. I promotori dell'iniziativa invitano tutti gli uomini e le donne di volonta' buona a digiunare il 21 novembre in segno di pace e di fratellanza con i musulmani e con quanti soffrono la fame e l'ingiustizia. Per informazioni, segnalazioni iniziative, materiali per il dialogo, si puo' fare riferimento alla redazione de "Il dialogo": sito: www.ildialogo.org, e-mail: redazione at ildialogo.org, e anche ai seguenti numeri telefonici: 3291213885 oppure 3337043384. L'iniziativa si avvale anche del sostegno di alcune riviste come "Confronti" (www.confronti.net), "Tempi di fraternita'" (www.tempidifraternita.it) e "Mosaico di pace" (www.paxchristi.it). 6. RIFLESSIONE. "NIGRIZIA": SOLIDALI COL VESCOVO RAFFAELE NOGARO [Dagli amici della redazione di "Nigrizia" (per contatti: redazione at nigrizia.it) riceviamo e diffondiamo. "Nigrizia" e' l'ottima rivista mensile "dell'Africa e del mondo nero" curata dai missionari comboniani. Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta, e' particolarmente impegnato nella solidarieta' con gli immigrati, per la pace, i diritti umani, la nonviolenza. Tra le opere di Raffaele Nogaro: I risparmi della Chiesa, La Meridiana; Le facce dell'uomo, Paoline. Opere su Raffaele Nogaro: Raffaele Sardo, Nogaro. Un vescovo di frontiera, Guida Editore] "Fenomeni come il terrorismo non si combattono con le armi. Bisogna fare attenzione a non esaltare il culto dei martiri e degli eroi della patria, strumentalizzando la morte di questi nostri giovani per legittimare guerre ingiuste". Questa affermazione di mons. Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta, e' una lezione di lucidita' e un richiamo a temi gravi ed essenziali, in un momento in cui si cerca di far dimenticare all'opinione pubblica che cos'e' la guerra contro l'Iraq (e le guerre in genere, come ci ha spesso ricordato Giovanni Paolo II): un'azione immorale e illegale. Un'affermazione che il vescovo di Caserta aveva tutto il diritto di esprimere (checche' ne pensino il ministro degli interni ed altri politici), come qualunque altro vescovo e/o cittadino ha potuto fatto in questi giorni, e come un ampio movimento di popolo ha fatto in questi mesi manifestando, discutendo, esponendo le bandiere della pace. Ma forse mons. Nogaro non aveva anche il dovere di dire cio' che ha detto? Perche' ci sono momenti in cui "cantare fuori dal coro" - fino al punto di sembrare "contro" - puo' essere l'unico ministero che un cristiano (soprattutto un uomo di chiesa) e' chiamato ad esercitare. E', questo, un ministero che ha percorso l'intera storia biblica ed ecclesiale. Il suo nome: ministero profetico. E va esercitato sempre, a tempo e fuori tempo, come un servizio evangelico. "Nigrizia" dice solo una cosa: grazie Raffaele. 7. RIFLESSIONE. BENEDETTO VECCHI INTERVISTA ANGELO D'ORSI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 novembre 2003. Benedetto Vecchi e' redattore culturale del quotidiano "Il manifesto"; ha recentemente pubblicato per Laterza una Intervista sull'identita' a Zygmunt Bauman. Angelo D'Orsi e' docente di storia del pensiero politico contemporaneo all'universita' di Torino; si occupa da anni, oltre che di questioni di metodo e di storia della storiografia, di storia della cultura e dei gruppi intellettuali. Tra le sue opere: La cultura a Torino tra le due guerre, Einaudi, Torino 2000; Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001. Su un punto di questa intervista, un punto che ci pare non colga nel vero e costituisca un tragico errore - forse frutto di eccessiva semplificazione giornalistica -, crediamo di dover esprimere una diversa opinione: la strage di Nassiriya e' sia un'azione militare contro forze armate di occupazione che un atto di terrorismo, cosi' come la guerra all'Iraq e' una guerra terrorista e terroristi sono quindi anche i suoi promotori, amministrazione statunitense in testa, come terrorista e stragista era il regime di Saddam Hussein: guerra e terrorismo da tempo tendono sempre piu' non solo ad alimentarsi reciprocamente (e quindi ad autoalimentarsi in simbiotico rapporto), ma a coincidere del tutto: ed e' quindi della massima necessita' ed urgenza opporsi a tutte le guerre, a tutti i terrorismi. L'infinito dolore che proviamo per la morte delle vttime della strage terroristica di Nassiriya deve motivarci vieppiu' ad impegnarci affinche' si evitino altre stragi, e per evitarle occorre che cessi la guerra, e perche' cessi la guerra occorre che cessi l'occupazione militare dell'Iraq da parte degli eserciti della coalizione responsabile dell'aggressione e dell'invasione armata] "I morti italiani a Nassiriya sono usati da chi vuol costruire un consenso popolare alla nostra presenza militare in Iraq". Angelo D'Orsi, storico e docente all'Universita' di Torino, non ama le mezze misure. Il suo giudizio e' netto e non lascia margini di ambiguita'. Autore del libro La cultura a Torino tra le due guerre, Angelo D'Orsi spiega che "Uno storico deve sempre misurarsi con la realta' e farci i conti. E la realta' e' fatta di uomini, donne, dolore, passione. I fatti di Nassiriya e le reazioni in Italia non possono pero' essere compresi solo facendo leva sui sentimenti". - Benedetto Vecchi: Con la morte dei soldati italiani in Iraq, la guerra e' apparsa non piu'come una cosa astratta; i morti non sono solo gli "altri", ma anche i tuoi. Tu che ne pensi? - Angelo D'Orsi: La guerra nella sua cruda e drammatica evidenza scuote sempre gli animi. In questo caso, sono morti dei soldati in un paese lontano, annullando cosi' quel senso di lontananza che la guerra in Iraq ha dalla vita di tutti i giorni. Fa un certo effetto vedere esposte assieme le bandiere italiane e quelle della pace, sdrucite, sporche di polvere e smog, lise e spente, come in fondo lise e offuscate sono diventate le ragioni del movimento della pace. Le scene viste in televisione delle code al Vittoriano testimoniano questo shock. Tra quelle persone c'erano sicuramente pacifisti e sostenitori dell'intervento militare contro Saddam. Ma la retorica di questi giorni serve a legittimare l'intervento militare in Iraq e a rinnovarlo: infatti, ci viene spiegato che andarsene adesso sarebbe un'azione da vigliacchi. Lo leggiamo sui giornali, lo ascoltiamo alla radio, ce lo propinano in televisione. Gli "opinion maker" non fanno altro che proclamare che siamo andati in Iraq per costruire la pace, che non siamo delle truppe d'occupazione, che i nostri ragazzi erano amati dagli abitanti di Nassiriya. E' il solito refrain degli "italiani, brava gente", che non ha nessun fondamento storiografico. E' un mito inventato per nascondere cio' che hanno fatto le truppe italiane impegnate in altre guerre, quasi sempre di aggressione. Ma torniamo all'Iraq. Puo' non piacerci, ma i nostri soldati fanno parte di un esercito di occupazione. Se poi qualcuno avanza dei dubbi sul nostro ruolo, e' subito indicato come una quinta colonna di un nemico impalpabile, minaccioso e pericolosissimo chiamato terrorismo, con la t maiuscola. In fondo, solo pochi giorni fa Ernesto Galli della Loggia ha scritto sul "Corriere della sera" per l'ennesima volta che o si e' con Bush o si e' con il terrorismo. Ma i continui attacchi contro i soldati americani, inglesi e adesso italiani fanno parte di una resistenza all'occupazione dell'Iraq da parte di eserciti stranieri. Nassiriya non ha quindi nulla a che fare con il terrorismo, bensi' e' un'azione militare contro un esercito occupante. - B. V.: Negli Stati uniti le "body bags" sono nascoste, in Italia ostentate. Perche' questa differenza? - A. D'O.: Negli Usa c'e' il precedente del Vietnam. Allora, la vista delle sacche che contenevano i corpi dei soldati morti ha alimentato l'opposizione alla guerra. Qui da noi sono ostentate per costruire il consenso alla nostra partecipazione all'occupazione dell'Iraq. Il torrente di parole speso in questi giorni per stringerci attorno alle bare del Vittoriano serve inoltre a costruire il consenso popolare alla avventura militare in Iraq. Per questo, sono molto colpito dal fatto che gran parte dell'opposizione di centro-sinistra non reagisca, che non chieda l'immediato ritiro delle truppe, proprio perche' siamo un esercito occupante. - B. V.: Eppure, la commozione di questi giorni mi sembra piena di pietas per le vittime. Non credi? - A. D'O.: Sentire le storie di ognuno di quei diciannove morti non lascia indifferenti. Ci sono vite interrotte, familiari che rimangono con il peso di un dolore inconsolabile. Si, c'e' pietas, ma anche altro. C'e' anche quel sentimento che ti porta a dire: "C'ero anch'io, anch'io sono protagonista di un grande evento". - B. V.: Parli delle persone che hanno partecipato all'omaggio ai soldati morti in Iraq come dei partecipanti a un grande "reality show"... - A. D'O.: Si', e' cosi'. Faccio la fila e alla fine stringo la mano al parente di una delle vittime, partecipo cioe' a un fatto corale, nazionale. Non nego che la guerra favorisca la crescita di un sentimento di fratellanza, che alimenti la solidarieta' tra chi e' coinvolto. Con le storie di minuta solidarieta' e fratellanza accadute durante la seconda guerra mondiale si potrebbe riempire un'intera biblioteca. Ma qui mi sembra di assistere alla manifestazione di un sentimento morboso di chi partecipa al grande spettacolo della guerra. 8. LIBRI. ELIO RINDONE PRESENTA "LA VERITA' NON HA COLORE" A CURA DI DANILO FRANCHI E LAURA MIANI [Ringraziamo Elio Rindone (per contatti: e.rindo at infinito.it) per questo intervento. Elio Rindone e' docente di storia e filosofia a Roma, fa parte dell'Associazione nazionale docenti, tiene sovente appassionanti seminari; e' autore di perspicui libri e saggi di argomento teologico e filosofico. Danilo Franchi (per contatti: danilo.franchi at tin.it) e' nato a Fiume nel 1946, e' consulente per una societa' di comunicazione; Laura Miani, nata a Milano nel 1953, e' coautrice di Profughi. Testimonianze dalla ex-Jugoslavia, Edizioni Comedit 2000, Milano 1993; insieme hanno curato La verita' non ha colore, Edizioni Comedit 2000, Milano 2002, 2003. Sull'esperienza della "Commissione per la verita' e la riconciliazione" sudafricana cfr. anche almeno Desmond Tutu, Non c'e' futuro senza perdono, Feltrinelli, Milano 2001; Marcello Flores (a cura di), Verita' senza vendetta, Manifestolibri, Roma 1999 (raccolta di materiali della commissione, con un'ampia introduzione del curatore); Antonello Nociti, Guarire dall'odio, Angeli, Milano 2000; cfr. anche il romanzo di Gillian Slovo, Polvere rossa, Baldini & Castoldi, Milano 2003. Tra le molte notevoli pubblicazioni sul Sudafrica e sulla lotta contro l'apartheid si veda almeno, per un accostamento, l'autobiografia di Nelson Mandela, Lungo cammino verso la liberta', Feltrinelli, Milano 1995. Inutile dire quanto questa vicenda ci stia a cuore, e per molteplici motivi. Non solo perche' l'esperienza della "Commissione per la verita' e la riconciliazione" sudafricana e' un luminoso esempio storico di nonviolenza giuriscostituente, ed in un ambito cosi' decisivo come quello del diritto penale; non solo perche' la lotta alla segregazione razzista e' un'esigenza fondamentale in un mondo in cui i poteri dominanti sempre piu' assumono l'apartheid come modello di organizzazione della societa' e di gestione dell'economia; ma anche - si parva licet componere magnis - perche' chi scrive queste righe ebbe l'onore, tanti anni fa, di coordinare per l'Italia quella campagna di solidarieta' con Nelson Mandela allora detenuto nelle prigioni del regime razzista che ebbe una grande adesione popolare ed istituzionale, e contribui' a mobilitare anche tante energie del nostro paese a sostegno della lotta dell'umanita' intera contro la discriminazione e la violenza razzista (p. s.)] Apartheid: "termine olandese entrato nell'uso comune per designare la segregazione razziale, in special modo quella attuata nei confronti della popolazione di colore da parte della minoranza bianca in Sudafrica". Una cosi' sobria definizione non lascia certo immaginare quale terribile realta' di odio, di dolore e di morte si celi dietro questa parola. Al di la' della retorica esaltazione di grandi personalita', come i premi Nobel Nelson Mandela e Desmond Tutu, e della rituale condanna della segregazione razziale, l'opinione pubblica italiana conosce infatti ben poco degli orrori dell'apartheid e dell'opera di pacificazione condotta in Sudafrica dalla Commissione per la verita' e la riconciliazione. Utilissima per chi vuol saperne di piu' e' percio' la lettura del volume di Danilo Franchi e Laura Miani, La verita' non ha colore (Edizioni Comedit, Milano 2000), che, riportando alcune sconvolgenti testimonianze di vittime e di responsabili della violazione dei diritti umani raccolte dalla suddetta Commissione, illumina la tragica storia del Sudafrica e la strada seguita per costruire una societa' piu' giusta e pacifica. * Gia' quasi tre secoli fa l'estremo lembo meridionale dell'Africa fu colonizzato da europei, in maggioranza olandesi e di religione calvinista, che cominciarono ad opprimere la popolazione indigena sulla base di poche semplici convinzioni: quella terra era stata assegnata da Dio a loro, bianchi e cristiani, che avevano percio' il diritto di possederla e di difendere la loro superiore civilta' senza mescolarsi con gli altri popoli. Si capisce come il razzismo nazista, diffuso dalla forte immigrazione tedesca in Sudafrica degli anni trenta del Novecento, abbia ivi trovato un terreno fertile. Cosi', dopo la fine della seconda guerra mondiale, il governo vara una legislazione che sancisce nella maniera piu' radicale la separazione tra i bianchi e i "popoli inferiori", soprattutto neri, ridotti a una sudditanza senza possibilita' di riscatto e costretti a lavorare in condizioni di mera sopravvivenza. L'oppressione esercitata dalla minoranza bianca non puo' non provocare la reazione dei neri che, organizzati nell'African National Congress, danno vita a campagne di massa basate sulla disobbedienza civile e sulla resistenza passiva. La risposta del governo, in difesa dei privilegi dei bianchi, e' la repressione cruenta sia per mezzo dell'esercito che di forze paramilitari, i cui crimini restano regolarmente impuniti, tanto da indurre gli stessi movimenti di liberazione a ricorrere alla violenza. Solo negli anni novanta, dopo un conflitto che ha causato enormi sofferenze, comincera' ad essere abrogata la legislazione dell'apartheid e saranno avviati i negoziati per l'approvazione della nuova Costituzione che sancira' l'uguaglianza dei diritti tra tutti i cittadini del Sudafrica. * Ma come superare divisioni cosi' profonde e radicate, che hanno provocato tanti lutti e tanto odio, e realizzare un'effettiva unita' nazionale? La soluzione non puo' essere l'oblio del passato ne' lo spirito di vendetta: solo l'accertamento della verita' sui reati commessi puo' portare al perdono, e quindi alla guarigione delle ferite e alla riconciliazione. Proprio da questa esigenza di pacificazione non esteriore e' scaturita l'idea di una Commissione che, raccogliendo migliaia di testimonianze, ha tentato di ricostruire la realta' storica, portando alla luce i crimini commessi e rendendoli di pubblico dominio, in modo da restituire alle vittime dignita' e diritti e promuovere nella societa' la crescita della sensibilita' etica e del rispetto della legalita', condizioni indispensabili per evitare che gli orrori del passato possano ripetersi. Ecco allora sfilare davanti alla Commissione vittime, carnefici e anche cittadini che con la loro indifferenza si sono resi corresponsabili dei massacri. Donne e uomini di colore che, poiche' sospettati di battersi per il riconoscimento dei loro diritti, vengono allontanati dai familiari di cui non hanno piu' notizie, privati per giorni e giorni di cibo e di sonno, fatti oggetto di violenze sessuali, psicologicamente e fisicamente torturati. Difficilmente calcolabile, poi, e' il numero di coloro che vengono uccisi. Dai sopravvissuti e' possibile ascoltare il racconto agghiacciante di sofferenze atroci, nella stragrande maggioranza dei casi inflitte da poliziotti con l'avallo dei loro superiori e delle leggi dello stato. * Inevitabile chiedersi: come e' stato possibile tutto questo? Come si e' arrivati a una crudelta' tanto disumana? Chi erano i torturatori? Erano uomini comuni che avevano recepito la mentalita' dei loro genitori e dei loro professori, che erano stati influenzati dalle idee diffuse da giornalisti, prestigiosi intellettuali, politici, e ai quali, una volta reclutati, veniva istillato un forte senso di appartenenza al gruppo, uno spirito di corpo che non doveva essere messo in discussione, pena gravi punizioni, e che esigeva l'adesione incondizionata alla lotta contro chi non era piu' percepito come essere umano ma come nemico: il nero, il comunista. Erano, inoltre, uomini convinti che l'apartheid rispondesse alla volonta' divina. Infatti, la piu' importante Chiesa Olandese Riformata del Sudafrica, a cui apparteneva oltre il 40% della popolazione bianca, continuo' a sostenere la discriminazione dei neri anche dopo che nel 1982 questa era stata condannata dal Consiglio Mondiale delle Chiese. Mentre le altre Chiese protestanti storiche e quelle cristiane evangeliche autoctone contrastavano l'apartheid, subendo imputazioni, condanne e arresti, quella Olandese Riformata, come confesseranno davanti alla Commissione alcuni suoi rappresentanti ecclesiastici, si era resa connivente con il potere politico. Per oltre quarant'anni essa ha offerto una giustificazione ideologica dell'apartheid, emarginando i pochi dissenzienti, godendo dei privilegi riservati ai suoi membri e onorando i potenti, responsabili di crimini che si volevano ignorare. Ma bisogna ancora riconoscere che tanta ingiustizia e tante violazioni dei diritti umani non sarebbero state possibili senza la corresponsabilita' di chi per timore dell'isolamento e dell'emarginazione, o per insensibilita' morale, o perche' abituato ad obbedire all'autorita' costituita, non ha opposto resistenza all'orrore dilagante. Tutto questo e' stato possibile perche' tanti uomini e tante donne hanno preferito non vedere, preoccupati solo della sicurezza della propria famiglia e desiderosi di mantenere per i propri figli privilegi da difendere anche a costo della vita altrui. * L'accettazione piena di queste responsabilita' dirette e indirette, individuali e collettive, a giudizio della Commissione implica ora, per chi ha goduto dei vantaggi garantiti dal vecchio regime - da un'educazione privilegiata all'assegnazione gratuita di terreni da coltivare - il dovere di impegnarsi fattivamente per la costruzione di una societa' democratica, capace di offrire a tutti le stesse opportunita'. In effetti pare che l'opera di pacificazione abbia avuto realmente successo in Sudafrica. E l'esempio e' stato contagioso, tanto che anche in Peru' e' stata istituita una Commissione per la verita' e la riconciliazione che nell'agosto del 2003 ha consegnato nelle mani del presidente Toledo un voluminoso rapporto finale su venti anni di violazioni dei diritti umani, che hanno provocato quasi settantamila tra morti e desaparecidos, vittime del terrorismo politico e della repressione statale. Cio' consente, in un panorama internazionale caratterizzato dall'esplosione della violenza e dalla contrapposizione tra i diversi fondamentalismi, di nutrire la speranza che un cosi' originale percorso, che richiede certo grande coraggio e molta generosita', possa essere ancora seguito da altri Paesi. 9. LIBRI. DAVID BIDUSSA PRESENTA "IL LIBRO NELLA SHOAH" A CURA DI JONATHAN ROSE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 novembre 2003. David Bidussa, studioso e saggista di grande finezza e rigore, e' direttore della biblioteca della Fondazione Feltrinelli di Milano. Opere di David Bidussa: Ebrei moderni, Bollati Boringhieri, Torino 1989; Oltre il ghetto, Morcelliana, Brescia 1992; Il sionismo politico, Unicopli, Milano 1993; Il mito del bravo italiano, Il Saggiatore, Milano 1994; La France de Vichy, Feltrinelli, Milano 1996; Identita' e storia degli ebrei, Franco Angeli, Milano 2000] Nei confronti del libro si sono storicamente svolte due tipi di guerre: quella per eliminarlo, perche' fonte pericolosa; e quella per possederlo, perche' luogo generativo del potere reale. In entrambi i casi, e' oggetto artificiale capace di disturbare l'ordine naturale delle cose. Ovvero - e nell'ordine - andare oltre il sapere ordinario e turbare l'ordine costituito. I libri sono dunque un segno: di potere per chi li possiede e di deumanizzazione per chi li perde. In ogni caso possederne la chiave d'accesso significa dimostrare potere. La guerra ai libri nel corso del Novecento non ha avuto caratteri diversi da quelli gia' indicati. Negli anni della Iseconda guerra mondiale, essa e' stata un segmento rilevante di quello stesso conflitto e non ha rappresentato un incidente di percorso ne' una distrazione. La guerra ai libri, per intenderci, e' stata parte integrante di quella piu' generale guerra per il possesso della vita altrui che ha caratterizzato il profilo ideale dell'obiettivo politico del nazismo: la lotta per l'affermazione del "nuovo ordine europeo". In questo senso il volume a cura di Jonathan Rose (Il libro nella Shoah. Distruzione e conservazione, a cura di Jonathan Rose, trad. di Bruno Amato, Lorenza Lanza e Patrizia Vicentini, Sylvestre Bonnard, pp. 325, 26 euro), non va letto solo come storia del rapporto materiale tra uomini e libri, ma come occasione per valutare e indagare il rapporto simbolico tra libro e collettivita'; tra individui associati e uso politico del libro; tra luoghi della identita' nazionale e carta stampata. Un complesso di storie e di conflitti che simbolicamente si radunano intorno all'oggetto libro e che contribuiscono a definire da un diverso angolo prospettico la storia del Novecento. Un secolo in cui - soprattutto a partire dagli anni '30 - occupa un posto rilevante la vicenda dei libri perseguitati, dei "libri nascosti", dei testi sequestrati. Il volume curato da Rose si divide in quattro parti di cui la prima e' dedicata al nesso tra distruzione e conservazione; la seconda al ruolo dei libri nella cultura identitaria dei perseguitati; la terza al significato della lettura negli anni della persecuzione; la quarta, infine, ai roghi dei libri in Bosnia negli anni '90. In realta', sacralizzazione e distruzione del libro non sono che due facce della stessa medaglia. La sacralizzazione avviene allorche' la persecuzione nei confronti del libro, la sua interdizione, l'inibizione alla sua lettura e, infine, la sua distruzione fisica si accompagna alla valorizzazione antiquariale e funeraria del libro: un modo per dichiarare - contemporaneamente - lo spossessamento del sapere e l'appropriazione da parte dei nuovi padroni delle fonti del sapere dei perseguitati. * Non e' vero che il nazismo si limito' a bruciare i libri. Questo e' solo cio' che avvenne all'inizio quando ancora si trattava di costruire un calendario civile che esaltasse il nuovo spirito della Germania. Nel saggio di Leonidas Hill, la caccia al libro per la sua distruzione e' - si' - la storia della persecuzione del libro, ma anche quella dei tentativi messi in atto per salvarlo: mille sotterfugi con cui i perseguitati cercarono di salvare la Germania che non aveva voce. Cosi' che, accanto ai roghi dei libri, ci sono le storie di intere biblioteche che escono dalla Germania per cercare salvezza in Olanda o a Parigi prima, nel Regno Unito e negli Usa poi. E' la storia dell'Istituto Warburg, della Scuola di Francoforte, delle collezioni private che prendono il largo da un paese e da una storia culturale che considerano ancora come propria ma che li ha radicalmente disconosciuti. E' la storia di una delle poche biblioteche che escono indenni da questa vicenda, salvata solo grazie a un cambio di etichette, quella dei libri in braille per i lettori ciechi. L'unica biblioteca che si salva materialmente rimanendo dov'e'. La guerra al libro, tuttavia, viene condotta anche per impossessarsene sulla base del riconoscimento del suo valore simbolico, quello di rappresentare identita' e di testimoniare di "eredita' ricevute". Un patrimonio culturale fondativo dell'identita'. E' quanto, per esempio, afferma Sem Setter nel saggio dedicato alle peripezie di libri polacchi - soprattutto incunaboli, edizioni rare e antiche della bibbia - su cui si era costituita l'identita' culturale e patrimoniale della biblioteca nazionale della giovane repubblica polacca e che - nel corso della guerra e poi della "guerra fredda" - divideranno in profondita' la Polonia. Un patrimonio che viene fatto fuoriuscire per sottrarlo agli invasori tedeschi e sovietici, che il governo polacco in esilio sente come proprio luogo di memoria e di identita', che passa per il continente europeo, approda nel Regno Unito per poi depositarsi in Canada. Un patrimonio le cui peripezie non terminano con la seconda guerra mondiale. La guerra fredda e la realta' politica della Polonia in area socialista costituiscono, infatti, un altro momento di quella vicenda in cui Chiesa, esuli, mondo polacco occidentale e governo comunista di Varsavia tenteranno ciascuno di impadronirsi di quel patrimonio, proprio per il suo carattere fondativo e identitario. Vi e' quindi una terza variante di questa guerra: quella nella quale il libro e' testimonianza di una realta' completamente distrutta e dissolta e che tuttavia - non per questo - e' destinato a vivere di "vita protetta". Nei due saggi di Fishman (dedicato ancora alla Polonia) e di Blium (dedicato alla memoria della cultura ebraica in Urss nel secondo dopoguerra), la questione dei libri sopravvissuti alla Shoah diviene, infatti, la questione della possibilita' per una cultura - il cui produttore sia scomparso o annichilito - di "restare" come testimonianza. * La tavola di atlante storico dedicata all'Europa dei roghi di carta in eta' moderna e contemporanea, tuttavia, non si ferma agli anni "40 del Novecento. La guerra al libro e' ripresa e - significativamente - i libri sono tornati a bruciare a Sarajevo nel 1992. Nelle pagine di Andras Riedlmayer, questa storia acquista un particolare spessore riflessivo. Se e' vero che esiste un sottile filo simbolico del libro come legame tra persona e storia la vicenda di Sarajevo non parla solo ai bibliofili ma anche a coloro che nel tempo hanno intravisto nei patrimoni librari, nelle collezioni depositate nelle biblioteche un modo di riconoscersi nella storia e forse anche di ritrovare il senso di una storia collettiva. Riandando ai giorni dell'incendio che distrusse la biblioteca (25-27 agosto 1992) scrive Riedlmayer: "I miliziani serbi, appostati sulle colline che circondavano Sarajevo, battevano l'area intorno alla biblioteca con il fuoco delle mitragliatrici, cercando di impedire ai vigili del fuoco di spegnere l'incendio lungo le rive della Miljaka, nella citta' vecchia. Le raffiche delle mitragliatrici facevano volare le schegge dal palazzo merlato costringendo i pompieri a ripararsi... Quando abbiamo chiesto a Kenan Slinic, comandante dei vigili del fuoco, perche' mai rischiasse la vita, egli, sudato, coperto di fuliggine, a due metri dalla fiamme, ha risposto: 'Perche' sono nato qui e loro stanno bruciando una parte di me'". Puo' apparire una risposta ovvia, eppure nasconde un confronto con il significato profondo della guerra al libro che sarebbe sbagliato non considerare. "In tutta la Bosnia - prosegue Riedlmayer - biblioteche, archivi, musei e altre istituzioni culturali pubbliche e private furono destinate alla distruzione nell'intento di cancellare le testimonianze materiali - libri, documenti, opere d'arte - che potessero rammentare alle generazioni future che vi fu un tempo in cui persone di diverse tradizioni etniche e religiose condividevano in Bosnia la vita e un patrimonio comune". E conclude: "Il fatto stesso di distruggere le istituzioni e la documentazione di una comunita' fa parte in prima istanza di una strategia di intimidazione, il cui scopo e' espellere i membri dei gruppi presi di mira: tuttavia tale distruzione svolge un preciso ruolo anche a lungo termine. Quei documenti erano la prova che in quel luogo vivevano anche altri, altri che li' avevano le proprie radici". Questo dunque voleva dire Kenan Slinic quando affermava che stavano bruciando una parte di se'. Il libro, la sua storia, la possibilita' che questo coabiti, coesista e sia parte di una collezione che vive della sua disomogeneita', tutto questo disturba i poteri totalitari cui corrispondono saperi autoriferiti. Tutte le retoriche dei neonazionalismi e dei neoetnicismi di fine secolo e di inizio millennio devono fare i conti con questo sapere composito; con la storia materiale di un sapere stratificato nel tempo che testimonia della grande multiformita' delle proprie fonti e che dunque per sua natura ha una storia ibrida. Nell'epoca dei conflitti interetnici, dei nuovi nazionalismi esclusivi una volta decomposta la figura dello Stato-nazione moderno, le figure stesse dei libri (e soprattutto delle collezioni librarie) come luoghi della storia e come depositi della memoria sono destinate a subire una trasformazione simbolica di alto valore. Un tema intorno al quale, una volta chiuso il volume curato da Jonathan Rose, conviene riflettere. * All'inizio della modernita' l'immagine della distruzione del libro e' potuta sembrare come un evento possibile a patto che si mantenesse una memoria e una consuetudine con il suo contenuto. L'affermazione della stampa contro il testo manoscritto sembrerebbe una garanzia sufficiente perche' anche la possibile distruzione del libro non rappresenti un evento irreversibile. E' Jonathan Swift nella sua Favola della botte ad affidare nelle mani dei posteri la possibilita' che un testo si mantenga. Perche' si mantengano nel tempo, i libri devono sopravvivere materialmente e devono essere sottoposti ad una rilettura continua. Ma non sempre avviene. I libri, osserva Swift, vengono messi al mondo in un solo modo e se ne separano in mille modi diversi. La quantita' di carta che serve a produrli, infatti, si disperde per sempre in una quantita' di luoghi diversi: nelle latrine, nelle stufe, per schermare le finestre dei bordelli, per rattoppare i paralumi. In questa osservazione di Swift sembra non essere contemplata l'ipotesi che i libri siano ingoiati dalle fiamme per volonta', come segno del potere. Forse pensava che gli ultimi roghi si fossero ormai spenti con le guerre di religione. Ma si sbagliava. I roghi dei libri sono tornati molte volte a illuminare i cieli d'Europa anche recentemente. Delle guerre condotte contro i libri se ne e' spesso parlato in relazione all'azione della censura, in nome di una guerra contro la liberta'. L'immagine e' quella della guerra folle in cui alla fine la ragione vince anche se subisce talora degli scacchi temporanei. La storia dei roghi dei libri, delle guerre al libro, forse andrebbe anche analizzata non come una genericamente rivolta all'"oggetto" ma al suo significato. La guerra al libro non e' mai una guerra indifferenziata. E' guerra a un corpo di libri, a un luogo, a un contesto che li conserva. Il libro - non come singolo testo - ma come corpo complessivo di testi, come collezione di libri, ha assunto spesso la fisionomia di fonte generativa di potere. Meglio, di luogo misterioso e recondito da cui si origina un sapere misterioso, "malato", comunque "perfido". Un sapere che non va smontato razionalmente, ma distrutto materialmente o di cui occorre impossessarsi per togliere all'avversario la propria potenza. Nella seconda scena del terzo atto de La tempesta, lo schiavo ottuso Calibano cerca di convincere Stefano e Trinculo, il furfante beffardo e il cambusiere ubriacone, a uccidere Prospero, ricordando loro come sia indispensabile prima mettere a fuoco la biblioteca che ha portato con se' in esilio. "Come ti dicevo - dice Calibano - e' suo costume assopirsi nel pomeriggio; tu allora, prima gli porti via i libri incantati e poi gli trapani il cervello o meglio, con un ciocco glielo spappoli; o con un paletto gli apri la pancia; oppure con un coltello gli scanni la gola. Ricordati pero', di prendergli prima i libri incantati, che' senza quelli non e' che un povero sciocco come me: e senza piu' neanche uno spirito al suo comando... Ma bada di non bruciare che i suoi libri". In questa scena ci sono molti luoghi del senso comune che ritornano: il ruolo dei libri, la figura sociale dell'intellettuale, la sua solitudine. Al centro e' posta di nuova la fragilita' e la vulnerabilita' dei suoi strumenti. * In un atlante storico della storia sociale e culturale dell'Europa non sarebbe improprio provare a comporre una tavola dei roghi dei libri. Ne ricaveremmo un'immagine della storia europea che obbligherebbe a domande non banali sull'identita' dell'Europa. Un'identita' di cui non essere orgogliosi. "La' dove si bruciano libri - scriveva Heine - si finisce con il bruciare anche essere umani". E almeno fino al Novecento, insieme ai libri, si bruciavano anche gli uomini e le donne. Nelle piazze d'Europa dove piu' spesso si bruciavano uomini rei di eresia o donne accusate di stregoneria, insieme a loro si bruciavano anche i libri che avevano scritto, quelli che avevano letto, quelli che erano stati trovati negli scaffali delle loro biblioteche. Quelli in breve che li avevano "indemoniati". Dietro ai libri si sono bruciate storie e, spesso, e' della memoria che si e' voluto prendere possesso. Ovvero della possibilita' non solo di riscrivere la storia, e dunque di scegliere anche i suoi attori, ma anche di poterla documentare. I libri sono oggetti che generano domande; che se chiosati, sottolineati, indagati - in breve "usati" - generano a loro volta altri libri. La guerra al libro viene condotta anche per "costruire" le librerie di domani. E' per questo che e' importante cercare di ricostruire le "biblioteche di ieri", di ritrovare le letture preferite di attori distrutti dalla violenza della storia. Da qualche parte per certi aspetti, quella storia e' anche la nostra. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini at tin.it, angelaebeppe at libero.it, mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 736 del 21 novembre 2003
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