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La nonviolenza e' in cammino. 730
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 730
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 12 Nov 2003 00:15:50 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 730 del 12 novembre 2003 Sommario di questo numero: 1. Sosteniamo l'iniziativa di Ginevra per la pace in Medio Oriente 2. Ali Rashid: un appello per la pace 3. Lidia Menapace: dalla Svizzera, all'Europa, all'Onu 4. L'appello di Verona per un'Europa neutrale e nonviolenta 5. Il foglio informativo del "Centro studi difesa civile" di novembre 2003 6. Claudio Bazzocchi: peace-building e interpretazione dei conflitti (parte seconda) 7. Peppe Sini: le bombe di Viterbo 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. APPELLI. SOSTENIAMO L'INIZIATIVA DI GINEVRA PER LA PACE IN MEDIO ORIENTE [Da Ali Rashid (per contatti: alirashid at tin.it) riceviamo e diffondiamo questo appello, al quale aderiamo e invitiamo tutti i nostri interlocutori ad aderire] Noi firmatari di questo appello chiediamo al nostro Paese di sostenere l'intesa di pace che sara' siglata a Ginevra. Crediamo che la pace nel Medio Oriente passi per il riconoscimento reciproco dello Stato di Israele e dello Stato della Palestina. Due popoli in due stati. Siamo contrari all'occupazione militare israeliana dei territori palestinesi occupati nel 1967 che viola le risoluzioni dell'Onu e che produce sofferenze indicibili alla popolazione palestinese costretta a subire violenze e umiliazioni di ogni tipo. Vogliamo che i cittadini israeliani possano vivere in sicurezza senza la paura di essere uccisi dai kamikaze palestinesi e che i palestinesi possano avere uno Stato indipendente. Occupazione, violenza e terrorismo alimentano l'odio trascinando entrambi i popoli verso la loro distruzione. Il futuro di Israele e della Palestina passa per la pace, il dialogo, la convivenza tra popoli, religioni, culture diverse. Allo scontro tra le civilta' contrapponiamo il rispetto del diritto e della legalita' internazionale. Alla "guerra preventiva" preferiamo la politica come unico strumento per governare le controversie internazionali. Non dobbiamo lasciare soli i cittadini israeliani e palestinesi. Dobbiamo aiutare chi, nelle due societa', si batte per la soluzione pacifica del conflitto. Non puo' sfuggire, infatti, l'importanza del patto per la pace che sara' firmato a Ginevra, insieme ad altre analoghe iniziative, tra alcuni rappresentanti autorevoli delle due parti in conflitto per i riflessi positivi che l'accordo puo' produrre sull'intera area medio orientale e nei rapporti con l'Europa. Per questi motivi chiediamo al governo italiano di sollecitare il governo israeliano e l'autorita' nazionale palestinese a riprendere il dialogo. Milioni e milioni di cittadini in tutto il mondo si sono mobilitati nei mesi scorsi per la pace ma non sono riusciti ad impedire la guerra. Questa volta la pace e' possibile malgrado l'ottusita' di chi vuole la guerra ad ogni costo. 2. EDITORIALE. ALI RASHID: UN APPELLO PER LA PACE [Ringraziamo Ali Rashid (per contatti: alirashid at tin.it) per questo intervento. Ali Rashid e' il primo segretario della delegazione palestinese in Italia. Fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto osservatore della vita italiana. E' figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica] Quello che precede e' il testo dell'appello per raccogliere le firme a sostegno di un processo di pace in Palestina tra israeliani e palestinesi. In questo appello si fa riferimento all'accordo che sara' firmato a Ginevra all'inizio di dicembre. La bozza dell'accordo non e' la migliore in assoluto, anche perche' questa eventualita' appartiene ormai al passato. I protagonisti di questo testo credono di avere fatto del loro meglio, comunque la bozza rappresenta un passo avanti rispetto a quello di Oslo e della Road Map per quanto riguarda i contenuti ma anche le modalita' di applicazione. Il suo valore piu' importante, secondo me, sta nel fatto che apre la strada affinche' la politica possa svolgere il suo ruolo al posto della guerra, e dimostra che la pace e' possibile. Il dibattito che ha suscitato questo documento sta attraversando le due societa' ed e' di per se' positivo, ora questo dibattito si sta spostando verso l'Europa e gli Stati Uniti, e sara' al centro della campagna elettorale, quindi potrebbe rappresentare lo spunto per una politica estera americana alternativa a quella della guerra preventiva e permanente della amministrazione Bush. Un esito simile forse si avra' in Italia dove il governo in carica si e' schierato con Bush e Sharon. Un nuovo approccio alla questione della pace in Palestina che porta anche alla stabilita' in Medio Oriente, e' un approccio che rovascia la situazione attuale dove secondo i conservatori americani e' la guerra permanente che porta alla pace ed alla democrazia. 3. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: DALLA SVIZZERA, ALL'EUROPA, ALL'ONU [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Non provate un po' di invidia per la Svizzera, il piu' vituperato dei paesi neutrali? Ospita sul suo territorio i colloqui di pace tra israeliani e palestinesi democratici, quelli che si smarcano dai rispettivi governi (fanno obiezione rispetto ai governanti, ne incrinano la legittimazione) e cercano di fare pace e non violenza, trattativa e non distruzione. Non e' forse vero che una Europa piu' indipendente politicamente (uno dei risvolti della neutralita' militare e' anche l'indipendenza politica) sarebbe il luogo giusto e di giusto peso per trattative di questo tipo? E non vi pare significativo che la questione mediorientale, dopo essere passata da Clinton a Bush e sempre sfuggita a qualsiasi paese europeo, sia approdata nella Svizzera neutrale e non alle Nazioni Unite? delle quali l'indipendenza politica e' molto dubbia, anche se crescente. Ma perche' la sia pur crescente indipendenza politica delle Nazioni Unite e' meno significativa della vecchia neutralita' svizzera? Perche' le Nazioni Unite portano il segno della loro origine, e cioe' di essere nate dai vincitori della seconda guerra mondiale. Fino a che non riusciremo a scrostare da loro i segni della "vittoria" non saranno credibili. Gli scontri che vi avvengono non sono limpidi conflitti tra interessi dichiarati, ma piuttosto mimesi di guerre non ancora scoppiate. L'Europa unita avrebbe peso sufficiente per avviare anche una riforma delle Nazioni Unite che le ripulisca degli avanzi della guerra e dai segni prepotenti della vittoria, dia piu' peso all'assemblea di tutti gli stati, faccia un consiglio di sicurezza tutto a rotazione, inserisca nell'assemblea anche rappresentanze di popoli, di minoranze e di movimenti, levi il diritto di veto o lo conferisca ai paesi impoveriti: sono certa che l'Argentina saprebbe fare buon uso del diritto di veto contro le politiche dei poteri finanziari. Del resto anche nell'antica Roma il veto non era dei consoli che avevano gia' il potere, era dei tribuni a nome di quelli che non avevano ne' voce ne' voto, i plebei. 4. APPELLI. L'APPELLO DI VERONA PER UN'EUROPA NEUTRALE E NONVIOLENTA [Riceviamo e diffondiamo l'appello frutto dell'incontro svoltosi l'8 novembre a Verona presso la Casa per la nonviolenza (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) sulla proposta di Lidia Menapace "per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta"] Il nostro programma costruttivo affinche' nasca l'Europa militarmente neutrale, per la pace dentro e fuori i propri confini. * Siamo donne e uomini che affermano il diritto alla vita e alla pace per tutti, non solo come valori supremi, ma anche come categorie giuridiche. Siamo donne e uomini impegnati per l'abolizione degli eserciti, per il disarmo unilaterale, e percio' lavoriamo affinche' l'Europa sia fondata sul diritto alla pace. Riconosciamo nella nonviolenza uno straordinario metodo a disposizione di tutti, per risolvere i conflitti, per difendersi dai soprusi, per realizzare nuove conquiste sociali. La nonviolenza e' il varco attuale della storia. * Vogliamo collegare la nascita dell'Europa con la necessaria riforma dell'Onu. Vogliamo che la Costituzione europea raccolga il meglio e i punti socialmente piu' avanzati delle Costituzioni degli stati membri. Vogliamo che l'Europa sancisca il diritto alla pace e il ripudio della guerra. * Chiediamo che l'articolo 1 della Costituzione europea recepisca in pieno l'articolo 11 della Costituzione italiana. Chiediamo che la Costituzione europea recepisca le sentenze della Corte Costituzionale italiana: la difesa non e' solo quella militare, ma e' anche difesa civile. Chiediamo che la sicurezza dell'Europa sia basata sulla riduzione degli armamenti (che oggi sottraggono enormi risorse alle spese sociali). Chiediamo che non nasca un nuovo esercito europeo, ma si costituiscano invece i Corpi Civili di Pace. * Convochiamo un convegno di studio e di proposta politica per il giorno 8 dicembre a Venezia, che si concludera' con una manifestazione per lanciare il nostro appello, rivolto a tutte le cittadine ed i cittadini europei, e ai capi di stato e di governo che si riuniranno a Bruxelles il 12 e 13 dicembre. * Ci impegnamo affinche nella prossima campagna elettorale i partiti siano costretti a confrontarsi sul progetto di un'Europa neutrale, disarmata, solidale, nonviolenta. * I e le partecipanti all'incontro: Ando' Valeria Baleani Marco Beltrame Elena Benzoni Giovanni Bonomi Rosa Pia Brunelli Cristina Candelari Paolo Cannata Maria Capitini Annamaria e Luciano Cristini Guido Dal Bosco Giannina Dall'Agata Stefano De Battisti Biancarosa Di Rienzo Maria G. Filippini Luigi Forigo Luigi Geneth Maria Giuffrida Angela Heyhwood Asma Lanfranco Monica Magistrini Silvia Mantovani Marisa Melotti Lelia Menapace Lidia Menin Matteo Moratto Adriano Pacifico Anna Palombo Marco Paronetto Sergio Perna Franco Pesenti Rosangela Poli Ruggero Racca Piercarlo Restivo Alessi Rosanna Rossi Luciana Soccio Matteo Valpiana Mao Zanotelli Luisa 5. INFORMAZIONE. IL FOGLIO INFORMATIVO DEL "CENTRO STUDI DIFESA CIVILE" DI NOVEMBRE 2003 [Dal "Centro studi difesa civile" (per contatti: info at pacedifesa.org) riceviamo e diffondiamo] Presentazione Esce un'edizione speciale della newsletter del "Centro studi difesa civile" dedicata alla rubrica "Interventi Internazionali" che si occupa degli interventi civili in conflitti internazionali. Vogliamo attivare gruppi di lavoro su questa tematica, in base all'interesse ed al contributo dei lettori e di nuovi collaboratori. Siamo quindi interessati a ricevere da parte vostra lavori di ricerca e articoli che si ispirino al principio di difesa civile nonviolenta e pragmatica. Per collaborare potete contattare: alessiabacchi at pacedifesa.org, oppure tel. 0755726641 (ore 9,30-13,00 dal lunedi' al venerdi'). In particolare la rubrica conterra' notizie sulle attivita' di Nonviolent Peaceforce (Np). Per aiutare Np e gli operatori di pace in Sri Lanka ed eventualmente in altri paesi, il "Centro studi difesa civile" sta creando una rete di emergenza. Questa consiste in un gruppo internazionale di persone in contatto tra loro che, tempestivamente informate su un eventuale atto di violenza contro gli operatori o contro gli attivisti del dialogo, da loro protetti, si attivino per denunciare il fatto all'opinione pubblica, attraverso stampa, ambasciate e istituti diplomatici in genere in Italia e all'estero. Stiamo raccogliendo iscrizioni per la rete di emergenza e se vorrete farne parte sarebbe un'ottima opportunita' per dare un aiuto concreto alla gestione nonviolenta dei conflitti. Se volete partecipare scrivete a: alessiabacchi at pacedifesa.org * Progetto Sri Lanka Il "Centro studi difesa civile" sta attivando un progetto per il sostegno all'intervento di Np in Sri Lanka che si basa sulla creazione di un video-documentario su Np in Sri Lanka e sull'invio di volontari. Trovate i dettagli del progetto alla pagina web: www.pacedifesa.org/interventi_internazionali/sri_lanka.asp * Libro sull'accompagnamento internazionale E' possibile trovare presso la segreteria della sede italiana di Peace Brigades International (Pbi) un libro che descrive l'accompagnamento internazionale come strumento per proteggere gli attivisti dei diritti umani citando esempi concreti in Sud America e Sri Lanka. La presentazione del libro la trovate nel sito del "Centro studi difesa civile" all'indirizzo: www.pacedifesa.org/documenti/libro_accompagnamento_internazionale.pdf * Colombia vive E' pubblicata nel sito del "Centro studi difesa civile" (www.pacedifesa.org/interventi_internazionali/colombia_vive.asp ) la relazione di Valentina Pinna sul forum "Colombia vive" tenutosi a Terni il 4-5 ottobre 2003. Inoltre vi e' il commento di Francesco Tullio al documento politico elaborato durante il forum. * Interventi civili in conflitti internazionali: Guatemala Troverete nel sito del "Centro studi difesa civile" (www.pacedifesa.org/interventi_internazionali/guatemala.asp ) la relazione della missione di monitoraggio dell'Unione Europea in Guatemala, scritta dal nostro collaboratore Francesco Mugheddu, e la Relazione del nostro collaboratore Francesco Mugheddu sulle prossime elezioni elezioni in Guatemala. L'Osce e' presente in Guatemala come osservatrice e Francesco Mugheddu e' parte del gruppo Osce sul posto. * Per sostenere le attivita' del "Centro studi difesa civile": - c/c bancario n. 107165 intestato a: Centro Studi Difesa Civile - Abi 05018, Cab 12100, presso Banca Popolare Etica, filiale di Roma, via Rasella 14, 00187 Roma, causale: "donazione"; - c/c postale n. 12182317 intestato a: Banca Etica Roma - Causale: "c/c 107165 intestato a Centro Studi Difesa Civile". * Per informazioni e contatti: "Centro studi difesa civile", sito www.pacedifesa.org; segreteria Perugia: c/o Auoc, Via della viola 1, 06122 Perugia, tel. e fax: 0755726641, e-mail: perugia at pacedifesa.org; segreteria Roma: via Salaria 89, 00198 Roma, tel. 068419672, fax 068841749, e-mail: pacedifesa-roma at mediazioni.org 6. RIFLESSIONE. CLAUDIO BAZZOCCHI: PEACE-BUILDING E INTERPRETAZIONE DEI CONFLITTI (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Ringraziamo Claudio Bazzocchi (per contatti: claudio.bazzocchi at poste.it) per questo intervento che sviluppa la riflessione proposta dall'intervento di Francesco Tullio apparso sul n. 719 del primo novembre 2003 di questo foglio. Come gia' abbiamo scritto, "come i lettori sanno, su questo foglio non si ama accogliere interventi polemici, ma in questo caso gli interlocutori sono due nostri cari amici che stimiamo come autorevoli costruttori di pace, e forse questa riflessione, decantata dei modi forse bruschi e dei possibili fraintendimenti che nel registro espressivo adottato sono forse talora inevitabili ancorche' dispiacevoli, puo' giovare ad un processo di chiarificazione di cui l'intero movimento per la pace ha grande bisogno. La nonviolenza e' un'altra cosa dalla subalternita' e dalla complicita' con un ordine iniquo del mondo, e un'altra cosa da un approccio riduzionista ai problemi politici e sociali, e un'altra cosa dai naufragi teorici e pratici di tanta parte dell'area cosiddetta pacifista e della solidarieta': la nonviolenza e' - tra l'altro, ma decisivamente - la proposta teorica e pratica piu' nitida ed intransigente di lotta contro tutte le oppressioni e le menzogne". Un solo rilievo ci corre l'obbligo di aggiungere qui en passant: la rappresentazione di seguito proposta dell'intervento nei Balcani dei Beati i costruttori di pace e dell'Operazione Colomba e' non solo ingenerosa ma ingiusta; cosi' come la supposizione che Francesco Tullio sia fautore di un approccio riduzionista, quando invece e' da sempre un sostenitore di una lettura che valorizzi la complessita' dei problemi e richieda la coscienza della molteplicita' delle dimensioni sia di essi che degli approcci interpretativi ed operativi; infine, se vi e' stata in Europa in tempi recenti una situazione in cui l'approccio nonviolento ha dispiegato la sua profondita' ed efficacia ermeneutica forse e' stata proprio la vicenda jugoslava: e si vedano ad esempio in ambito italiano alcune esperienze e riflessioni di Alex Langer, di Giuliano Pontara, di Alberto L'Abate, gli studi di Emanuele Arielli e Giovanni Scotto, alcune ricerche ed analisi dell'Osservatorio sui Balcani. Claudio Bazzocchi, gia' responsabile dell'area ricerca dell'Osservatorio sui Balcani, precedentemente e' stato per nove anni dirigente del Consorzio Italiano di Solidarieta' (Ics); fa parte del comitato promotore italiano del Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali (il "Mauss" - nell'acronimo che evoca anche l'eredita' teorica e civile del grande Marcel Mauss - che in Francia rappresenta una rilevante esperienza di studio e di impegno che ha come uno dei suoi principali promotori Serge Latouche); tra le sue opere: La balcanizzazione dello sviluppo, Il Ponte, Bologna 2003. Francesco Tullio, prestigioso studioso e amico della nonviolenza, e' uno dei piu' noti peace-researcher a livello internazionale e animatore di molte iniziative per la pace e la gestione e risoluzione nonviolenta dei conflitti; nato a Roma il 18 giugno 1952, laurea in medicina e chirurgia, specializzazione in psichiatria, libero professionista, psicoterapeuta, esperto di gestione delle risorse umane, di prevenzione e trasformazione dei conflitti, di problem solving organizzativo; docente di psicoterapia breve alla Universita' di Perugia, docente di psicologia al master "Esperto in cultura d'impresa" all'Universita' di Perugia, 2001, ricercatore a contratto con il Centro militare di studi strategici nell'anno 1998-1999, presidente onorario del Centro studi difesa civile (sito: www.pacedifesa.org) di cui e' stato e resta infaticabile animatore, ha coordinato ricerche per diversi enti, tra cui quella per l'Ufficio Onu del Ministero Affari Esteri su "Ong e gestione dei conflitti. Il confidence-building a livello di comunita' nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive"; promotore del Centro di ricerca e formazione sui conflitti e la pace presso l'Universita' di Perugia e dell'Istituto internazionale di ricerca sui conflitti e per la pace; numerose le sue esperienze come medico, in Germania, in Nicaragua ed in Italia, sia in reparti di medicina che di chirurgia ed in particolare in pronto soccorso, come medico di famiglia, inoltre come psichiatra nei servizi pubblici ed in un servizio di medicina legale, infine come libero professionista psicosomatista e psicoterapeuta; le sue attivita' di studioso e formatore si sono incentrate sulla ricerca teorica, la gestione pragmatica dei conflitti, sulla mediazione e la gestione delle risorse umane per e nelle emergenze; e' impegnato dal 1970 in attivita' di volontariato per la prevenzione della violenza e lo sviluppo umano; quale conduttore di incontri, seminari, laboratori teorico-pratici, si e' occupato di gestione dei conflitti, d'affiatamento di gruppi di lavoro, di gruppi di terapia e di crescita umana; in ambito sociale tale interesse si e' tradotto in un contributo culturale per la prevenzione e la gestione dei conflitti intergruppali. In particolare ha coordinato ricerche e convegni sui temi della violenza organizzata e della guerra; e' autore e curatore di diverse pubblicazioni. La prima parte di questo intervento e' apparsa sul n. 728 del 10 novembre 2003] Leggiamo il dibattito sull'art.11 nell'ottica del nuovo "paradigma umanitario" Pensiamo inoltre al dibattito in corso in Italia da qualche anno sull'art. 11 della Costituzione, scomoda ormai a destra come a sinistra. Qual e' la partita che si gioca oggi in Italia a proposito dell'art. 11 della Costituzione? In sostanza, dicono Berlusconi e D'Alema, l'uno in Parlamento l'altro in una riunione del suo partito: nobilissimo quell'articolo, e anzi lo condividiamo, ma si deve sapere che oggi la situazione e' cambiata. Noi non vogliamo infatti fare guerra a stati sovrani, come nell'epoca moderna, nella quale nasce la Costituzione italiana, ma vogliamo intervenire in quelli che noi consideriamo non-stati per dispiegare il sistema umanitario, nell'ambito di un nuovo paradigma di sicurezza. Questa e' la vera partita che si gioca in Italia, al di la' delle considerazione sulla moralita' o sull'utilita' della guerra: quella per legittimare un sistema di relazioni internazionali in cui da un parte vi sono stati sovrani - le potenze occidentali e i paesi piu' ricchi - e dall'altra dei corpi sociali instabili, che rappresenterebbero la causa del sottosviluppo e dei mali del mondo, quali il terrorismo. Quindi ancora una volta l'obiettivo e' quello di oscurare ideologicamente le questioni politiche fondamentali. Finche' questo obiettivo e' fatto proprio dalla destra nel nostro paese, puo' essere anche comprensibile, ma che lo faccia anche la sinistra, francamente e' incredibile. Bisogna segnalare, comunque, che molti a sinistra ritengono sinceramente che quello descritto sia un sistema di governance democratica, vicino ai valori della sinistra, in quanto fondato sulla promozione della societa' civile, sui diritti umani, la promozione della parita' di genere ecc. Anche molte ong che si ispirano ai valori della sinistra la pensano in questo modo, cadendo in una trappola ideologica, che e' importante denunciare. * Cadere nella trappola Devo dire che nel leggere le cose di Tullio ho trovato un esempio di associazione pacifista - anzi di centro studi pacifista - caduta in quella trappola. Riporto qui per comodita' l'intero passo del mio capitolo che riguarda il lavoro di Tullio: "Nel 2002 e' uscito un libro del Centro Studi Difesa Civile di Roma, istituto di ricerca che ha come scopo quello di promuovere la difesa civile non armata e lo studio sulla soluzione nonviolenta dei conflitti. Il libro (11), curato dallo psichiatra Francesco Tullio, si occupa del ruolo delle ong nella trasformazione dei conflitti nelle operazioni di pace all'interno delle crisi internazionali, ed e' stato finanziato dal Ministero Affari Esteri. Si compone di una parte teorica sui principi della risoluzione dei conflitti e del peacebuilding, ed una parte di ricognizione delle esperienze significative di interposizione nonviolenta e mediazione delle ong e associazioni italiane nei contesti di guerra o post-guerra. Una terza parte indica le prospettive e gli strumenti legislativi di cui avrebbero bisogno tali associazioni nel loro lavoro di trasformazione e risoluzione dei conflitti. Ci interessa qui analizzare un capitolo della prima parte del libro, quella teorica, in cui il curatore Francesco Tullio - psicoterapeuta e consulente in problem-solving -, offre un'interpretazione psicosociale del conflitto in Kosovo fra serbi e albanesi, a partire dalla "elaborazione paranoidea del lutto in Milosevic ed in parte nei serbi come fattore psicologico dinamico sottostante alla loro bellicosita'" (12). Il ragionamento di Tullio parte da una concezione psicosociale dei conflitti, per la quale i conflitti interpersonali si riversano su quelli fra i gruppi all'interno di una societa', che a loro volta influenzano in modo negativo le relazioni fra stati: "Cosi' come il modo in cui gestiamo i conflitti personali e sociali e' determinante per la realizzazione di una societa' basata sulla giustizia e la democrazia, cosi' il modo in cui le societa' affrontano i conflitti e' determinante per la realizzazione di un sistema mondiale equilibrato" (13). Per Tullio diventa allora di fondamentale importanza analizzare la personalita' di Milosevic, e lo fa affidandosi ad alcune brevi dichiarazioni sull'ex presidente - tratte dalla stampa - rilasciate da alcuni giornalisti e uomini politici. Solana, segretario generale della Nato ai tempi della guerra in Kosovo nel 1999, disse di Milosevic: "E' un uomo talmente fuori dalla portata della mia logica che non riesco a capire quello che pensa... l'impressione che si ha oggi, dopo avergli parlato, e' che e' un uomo in trincea, rinchiuso in un bunker al di fuori della realta'" (14). Il giornalista Bernardo Valli viene chiamato a testimoniare tramite un suo articolo su "Repubblica" del 2000: "Il suo stile ieratico, forse ereditato dal padre, prete ortodosso morto suicida, ed al tempo stesso senza carisma, ebbe un effetto straordinario nel vuoto di potere lasciato dalla fine del titoismo... L'assuefazione al macabro, dovuta alle vicende familiari ritmate da morti innaturali, e ai metodi usati nella spietata scalata al potere, contribuiva a rafforzare in lui lo sciovinismo, anche se puntualmente perdente, che all'inizio era un semplice strumento" (15). Per il giornalista americano Neil King jr. la guerra del 1999 "in fondo... e' una guerra psicologica, una sfida fra la piu' potente alleanza militare del pianeta contro la volonta' di un singolo uomo" (16). Non contento di aver delineato i tratti della personalita' di Milosevic mediante alcuni articoli di giornale, il nostro psichiatra decide che la "sindrome di Milosevic" affliggerebbe in realta' anche gran parte del popolo serbo. Ancora una volta vengono in soccorso dichiarazioni estemporanee di alcuni osservatori del contesto balcanico: due giornalisti, un docente universitario serbo che insegna negli Stati Uniti ed un funzionario Osce. Vediamole. Il giornalista Massimo Nava commenta cosi' una scritta sui muri a Rambouillet - "La Serbia non e' una nazionalita', ma una malattia" - nei giorni della trattativa fra serbi e albanesi (17) prima dei bombardamenti Nato del 1999: "Malattia psicopolitica, forse cosi' si spiega la sindrome d'accerchiamento combinata al patriottismo e alla voglia suicida di collezionare sconfitte per riaffermare la propria identita'" (18). Anche Walzer, capo degli osservatori Osce in Kosovo prima dei bombardamenti del 1999 ha una sua precisa idea del popolo serbo: "La gente di questa regione e' esasperante. E' paranoica... continuano a metterci alla prova, come se volessero capire fin dove possono spingersi nel loro ostruzionismo (19). Per il giornalista Bernardo Valli i serbi confondono storia e leggenda: "Capita spesso ai serbi di confondere storia e leggenda e di vivere la storia come fosse attualita'. L'epica popolare che racconta ed esalta la storia-leggenda fa parte dell'immaginario collettivo e della cultura nazionale". Da cosa nascerebbe allora la "sindrome di Milosevic" e le "posizioni psichiche schizo-paranoidee" (20) per l'ex presidente serbo e per tutto il suo popolo? Derivano dalla perdita dei genitori suicidi per Milosevic, e dalla morte di un milione di serbi durante la seconda guerra mondiale per il popolo. Il presidente ed il suo popolo attuano cosi' per Tullio una "elaborazione paranoidea del lutto" (21): 'Nei primi contrasti con il genitore il bambino che si trovi in una posizione schizo-paranoidea e non depressiva, attiva delle fantasie di opposizione. In talune famiglie e gruppi sociali le fantasie di opposizione interna non sono permesse, vengono censurate, ed il bambino deve sottomettersi al padre, molto piu' forte, piu' autoritario e minaccioso di lui. La carica oppositiva si tramuta in fantasie di distruzione. Il bambino e' anche affezionato al genitore e non puo' sempre tollerare tali fantasie, cosi' sul piano cosciente resta attaccato al genitore. Tutta la componente emotiva negativa della relazione e' sommersa... Quando il genitore muore veramente, il soggetto riattiva i propri dubbi inconsci: 'Non sara' morto per le mie fantasie rabbiose e distruttive?'. Ed ancora peggio se il genitore muore suicida: 'Si sara' ammazzato perche' l'ho odiato o perche' non l'ho amato abbastanza? Sono io responsabile della sua morte? Io con il mio desiderio di distruggerlo l'ho ucciso veramente!?'... Il dubbio angosciosissimo di aver determinato la morte del proprio genitore, del proprio oggetto d'amore rischia di ributtare il soggetto in una crisi depressiva devastante... Ecco allora che la rabbia distruttiva originariamente orientata contro il genitore si orienta contro un capro espiatorio che diventa il colpevole di tutti i mali e di tutte le perdite... Come e' successo ai serbi, in tal modo i soggetti non risolvono, ma placano transitoriamente le angosce di colpa e di morte per loro insopportabili ed anziche' percepirle, provano ad annegarle in uno scontro, prima immaginario poi talvolta reale, contro il capro espiatorio che intenderebbe sottometterli e controllarli, cosi' come sottomessi e controllati sono stati loro da bambini. Questo e' quanto hanno fatto i serbi in Kosovo" (22). L'esempio fin qui citato e' paradigmatico della ricostruzione che l'Occidente ha fatto delle guerre nei Balcani, in termini di barbarie, inadeguatezza psichica e culturale e mancanza di valori. Non deve sorprendere che sia un centro studi per la nonviolenza a condividere una tale interpretazione del conflitto, dal momento che ormai questi soggetti sono entrati a pieno titolo nell'ambito del sistema umanitario occidentale. Ne' e' strano che ricerche del genere siano finanziate dal Ministero Affari Esteri italiano. Abbiamo infatti gia' visto che i governi occidentali hanno tutto l'interesse a promuovere un'interpretazione delle nuove guerre completamente depoliticizzata. Comunque, al di la' della non sorpresa, ci parrebbe utile che nel movimento pacifista si aprisse un dibattito sul fatto che proprio al suo interno nascano pratiche interpretative delle culture "altre" cosi' rozze e poco rispettose delle specificita' storiche, politiche e sociali". Sono disposto ad ammettere che la mia polemica sia stata molto ruvida, ma posso assicurare Tullio che non si tratta di un attacco personale, dal momento che lo conosco pochissimo da non poter provare nemmeno antipatia o rancore per qualche episodio che riguarda la nostra vita comune di studiosi e militanti del movimento per la pace. Prego Tullio di considerare quanto ho scritto solamente come un episodio di lotta delle idee, che mi piacerebbe continuare, magari in un dibattito pubblico da organizzare a Roma o a Perugia - dove lui abita - o a Bologna, dove io abito. * "Conflict-resolution" e discorso filosofico della modernita' Ci sono comunque altri due elementi che vorrei sottolineare, che considero molto importanti e che invece non sono stati rilevati da Tullio. Sempre in quel capitolo io scrivo che quando parliamo delle pratiche nonviolente e della risoluzione dei conflitti ci troviamo al fondo delle questioni legate al progetto filosofico della modernita'. Le teorie della risoluzione dei conflitti e dell'interposizione nonviolenta presuppongono l'interazione di una terza parte che sa gia' cos'e' giusto e cos'e' sbagliato e soprattutto cosa e' irrazionale. Questa terza parte interviene avendo gia' deciso che la guerra e' irrazionale e in sostanza dipende da un deficit di comunicazione fra le parti. Inoltre le parti vengono considerate come un tutto unico: serbi e albanesi, musulmani e croati, ecc. Scompaiono le classi sociali, gli interessi economici e anche la considerazione della violenza indotta dall'esterno, sotto forma di esclusione dai flussi dell'economia globale legale. Due sono allora i problemi che si aprono. Dobbiamo interrogarci sino a che punto le teorie della risoluzione nonviolenta dei conflitti si situino all'interno del discorso filosofico della modernita' occidentale, che in ultima analisi si compie con il rischiaramento del tutto e l'annullamento di qualsiasi "altro" che si muova fuori dai valori dell'Occidente. In secondo luogo dobbiamo capire se la riduzione della guerra a conflitto fra due parti - al di la' delle differenze di classe e della razionalita' dei progetti politici ed economici ad essa sottesi - non legittimi le leadership nazionalistiche che hanno tutto l'interesse a dipingere lo scontro come etnico, religioso o di civilta'. I mediatori che si impegnano nella risoluzione dei conflitti intervengono con la consapevolezza che le parti in guerra agiscano in modo irrazionale. Tutto cio' che e' successo nei Balcani e' stato considerato irrazionale, uno scoppio di violenza barbaro, fuori dalla razionalita' e nello stesso tempo riconducibile alla normalita' mediante gli strumenti del dialogo e della composizione democratica dei conflitti. Chi media tende cosi' a presentare quanto e' avvenuto durante la guerra come irrazionale e quindi illegittimo, se non irrilevante, senza prendere in considerazione il contesto sociale e politico in cui essi intervengono e senza considerare che le nuove guerre balcaniche costruiscono significati sociali e assetti politici, economici e istituzionali tutt'altro che irrazionali. Nel fare cio' si precludono un vero dialogo con la societa' in cui operano e non riescono a riconoscere le strategie politiche di resistenza ai nuovi assetti creati dalle elites dominanti. Infatti, se il mediatore insiste nel pensare che la guerra e' un conflitto etnico fra due parti, fara' fatica ad accorgersi che fuori dal suo schema possono esserci gruppi sociali che lottano per assetti politici e sociali alternativi a quelli delle elites nazionalistiche. Insomma, una cultura di intervento orientata al problem-solving non sara' in grado di capire la complessita' della realta' politica del luogo in cui opera e tutte le sue stratificazioni sociali. Non e' allora un caso che molti progetti di interposizione nonviolenta nei Balcani ad opera di alcune grandi associazioni italiane, come Beati i costruttori di pace o Papa Giovanni XXIII tramite l'"Operazione Colomba", abbiano visto la partecipazione di giovanissimi poco piu' che ventenni con scarsa conoscenza della realta' politica, economica, sociale e culturale in cui andavano ad operare, fosse essa la Krajina croata, la Bosnia-Erzegovina o il Kosovo. Questo non deve sorprendere, dal momento che se si pensa che la guerra e' una sorta di malattia o un errore, poco conta la politica, quanto piuttosto la capacita' di cambiare il cuore e la mentalita' delle popolazioni. * Mediare o legittimare? Vi e' un ultimo problema che vorrei considerare, quello dell'inadeguatezza delle tecniche di interposizione nonviolenta e di conflict-resolution nel contesto delle nuove guerre. Diventa infatti molto difficile, se non sbagliato, mettere in pratica quei principi in una situazione che nulla ha a che fare con una guerra tradizionale, nemmeno con una guerra civile per motivi etnici, religiosi o politici. Il primo errore che si rischia di fare e' quello di considerare le parti politiche e militari in conflitto come legittimi rappresentanti delle popolazioni. Si pensa cosi' di essere mediatori fra le parti in causa per far comprendere agli uni le ragioni degli altri e assolvere a tre funzioni principali: - sviluppare il piu' possibile l'equivalenza nel rapporto; - rendere possibile e semplificare la comunicazione fra le parti; - stimolare la creativita', suggerendo soluzioni. Ma se il contesto e' quello descritto precedentemente siamo sicuri che le classi dirigenti con le quali cerchiamo di mediare, siano i rappresentanti delle popolazioni e che in realta' non legittimiamo delle elites nazionalistiche? E in piu': siamo davvero di fronte ad un conflitto fra stati o fra etnie? O non siamo piuttosto di fronte a classi dirigenti che utilizzano la guerra per creare nuovi stati e cosi' spartirsi le spoglie di uno stato in dissoluzione? Quale comunicazione e quale creativita' dovrebbero stimolare i mediatori nonviolenti in un conflitto in cui si fronteggiano bande militari e paramilitari controllate da un potere politico corrotto e mafioso che da entrambe le parti fa leva sulla guerra per organizzare una delle piu' grandi operazioni criminali di spoliazione delle ricchezze di un intero paese? Il primo errore nel proporsi come mediatori nel conflitto jugoslavo e' stato quello di legittimare la guerra e le classi dirigenti che la facevano; e' piu' o meno lo stesso errore compiuto dalle grandi diplomazie, per le quali ci si trovava di fronte ad una guerra etnica e religiosa, con cause e motivi di odio secolari ed endemici, dalla quale si poteva uscire con un compromesso fra le varie parti in causa, rappresentate dai tre principali leader nazionalisti: Izetbegovic, Milosevic e Tudjman. Nei Balcani ci siamo trovati infatti di fronte ad un nazionalismo che mirava a dissolvere le tradizionali strutture dello stato e le solidarieta' politiche e sociali sul territorio, facendo leva sull'odio etnico fomentato ad arte. La divisione, infatti, non e' la causa della guerra, e' invece la guerra a causare la divisione, una particolare forma di guerra, basata sulla violenza contro i civili, il 90% di tutte le vittime. Quelli che nelle guerre tradizionali vengono considerati effetti collaterali, nelle nuove guerre sono dunque gli atti principali volti a fomentare l'odio e a proporre nuove forme di soggezione e di potere politico fondato sulla divisione etnica. La pulizia etnica, il saccheggio dei beni, la requisizione delle proprieta' ed i campi di concentramento sono dunque gli strumenti di una precisa e razionale strategia. In casi come questi, che nulla hanno a che fare con le tradizionali guerre tra stati e nemmeno con le guerre religiose o di civilta', l'interposizione nonviolenta risulta inadeguata cosi' come la cultura che la esprime, troppo legata alla fiducia nel cambiamento dei comportamenti individuali. Le "nuove guerre" che nascono nello scenario della globalizzazione richiamano tutto il movimento pacifista e della solidarieta' internazionale ad un livello di azione che abbia a che fare con la critica radicale delle societa' che nascono dalle "guerre etniche". In questo contesto le dinamiche dell'economia di guerra e delle economie illecite, assieme all'interazione di queste con le politiche internazionali, sono fattori imprescindibili della guerra e del post-conflitto, e informano tutto il processo di ricostruzione dello stato nelle varie repubbliche sorte dalla Jugoslavia. In sostanza, l'instabilita' nella regione balcanica non e' solo lo strascico dei conflitti appena conclusi, ne' l'effetto di quelli ancora irrisolti. Nei paesi del sud-est Europa e' al lavoro un modello sociale fondato su un mix di nazionalismo e liberismo sfrenato, che ha tolto qualsiasi spazio alla politica, intesa come partecipazione collettiva al progetto democratico fondato su un'idea di cittadinanza laica. Questa mancanza toglie ogni respiro a quei progetti che nella terminologia tecnica i vari attori della comunita' internazionale sono soliti chiamare di democratization. La democratizzazione di una societa', infatti, non dovrebbe essere solo cosa che riguardi i diritti umani, o la formazione di un personale politico non corrotto. Democratizzazione nei Balcani dovra' significare radicale messa in discussione del modello politico ed economico per ridare spazio alla politica - "civile" e democratica - e con essa alla partecipazione della cittadinanza (23). Di fronte a questo tipo di sfida la mera interposizione nonviolenta, assieme alle sue tecniche, puo' essere solamente uno degli elementi della trasformazione sociale. Le associazioni pacifiste non devono "rifugiarsi" nei soli progetti di interposizione nonviolenta e condivisione della sofferenza delle popolazioni civili. Il pur comprensibile rigetto per la degenerazione e gli errori delle ong e delle grandi agenzie umanitarie nei Balcani non deve esimere gli operatori per la pace dalla sfida della politica, tramite l'emergenza umanitaria e la cooperazione allo sviluppo. La cooperazione, cioe' i progetti di ricostruzione materiale e sociale, sono uno strumento di trasformazione sociale e partecipazione collettiva alle scelte di ricostruzione di una citta', di un territorio o di un tessuto sociale in genere, e possono rappresentare un'occasione formidabile per riportare la politica sul terreno delle opzioni ideali e dei diritti sociali e di cittadinanza. * Note 11. Tullio F. (a cura di), Le ong e la trasformazione dei conflitti. Le operazioni di pace nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive. Roma, 2002. 12. Ibid., pag. 83. 13. Ibid., pag. 77. 14. Ibid., pag. 78. 15. Ibid., pag. 78. 16. Ibid., pag. 78. 17. Un'interessante ricostruzione di quei colloqui viene data dall'allora ministro degli esteri italiano Lamberto Dini, per il quale gli americani avevano gia' deciso che i colloqui sarebbero dovuti fallire per permettere l'intervento armato. Cfr. Dini L., Tra Casa Bianca e Botteghe Oscure, Roma, 2001. 18. Tullio F. (a cura di), Le ong e la trasformazione dei conflitti, cit. pag. 78. 19. Ibid., pag. 78. 20. Ibid., pag. 79. 21. Ibid., pag. 83. 22. Ibid., pagg. 83-85. 23. La ripresa dei nazionalismi in Bosnia, ma potremmo dire la stessa cosa per tutta l'area - compresa la Croazia in cui l'Hdz si sta rafforzando giorno per giorno -, pone in modo forte un'altra questione irrisolta: su quali basi creare un'identita' condivisa per uno stato giovane quale puo' essere la Bosnia-Erzegovina o altri dell'area balcanica? Le strade sono essenzialmente due: una fondata sull'identita' etnica dei miti nazionalistici, l'altra basata su un progetto condiviso di societa' laica, in cui l'identita' sia data dal processo di iniziative sociali e politiche per arrivare a tale societa', e dai diritti sociali universali che la dovrebbero caratterizzare. La prima strada, quella del nazionalismo, sara' sempre vincente se si opporra' ad essa la sterile e generica retorica dei diritti umani e del libero mercato che il sistema occidentale dell'aiuto umanitario ha proposto in questi anni per la ricostruzione del tessuto sociale e civile dei paesi balcanici. La filosofia dei diritti dell'uomo, nata peraltro all'interno di una cultura minoritaria nel pianeta - quella occidentale -, elimina dalla pratica dell'intervento di solidarieta' e cooperazione internazionale la questione del modo in cui una societa' si deve organizzare. Si possono vantare dei diritti se la societa' in cui si vive e' democratica, e questa dovrebbe essere la questione centrale. Come ha scritto Pietro Barcellona, "la vera garanzia dei diritti e' il modo concreto di essere della societa', non la pura e semplice enunciazione di principi astratti". E' ben strano che in Bosnia-Erzegovina la comunita' internazionale non abbia pensato che proprio i diritti universali di cittadinanza, quelli sociali del welfare state, potessero essere la base per la rinascita democratica del paese e per fondarne l'identita' in senso laico e fortemente condiviso da tutti, come lo e' stata per i paesi europei nel secondo dopoguerra dopo la catastrofe dei fascismi. Purtroppo non ci si e' fermati a questo, si e' fatto di piu': si e' progressivamente smantellato il welfare state, favorendo in tal modo le reti nazionalistico-mafiose di protezione sociale. Quasi nessuno, fra ong e cooperazioni governative, per non parlare della Banca Mondiale, ha pensato che i diritti sociali universali, e quindi le politiche sociali, potessero essere un pilastro fondamentale delle politiche per il consolidamento della pace e per la democratizzazione del sistema politico e sociale bosniaco. Molte ong hanno preferito porre molta piu' enfasi e molte piu' risorse sui programmi legati alla promozione dei diritti umani e civili, senza capire che in un territorio controllato da signorie mafiose e nazionaliste, che distribuiscono sicurezza sociale e protezione, possono essere proprio i diritti sociali e la loro promozione a scardinare tali logiche di costruzione e mantenimento del consenso fra i cittadini. 7. EDITORIALE. PEPPE SINI: LE BOMBE DI VITERBO Sono ormai alcuni anni che a Viterbo vengono realizzati attentati con bombe cosiddette "artigianali". Ma fino a tempi recenti gli ordigni erano diretti a distruggere cose, e fatti brillare dagli stessi autori in orari notturni e in assenza di altre persone. Cosicche' un po' tutti hanno sottovalutato la cosa. Adesso che altre bombe vengono preparate non so dove, ma certo inviate a Viterbo per uccidere delle persone, un po' tutti ci si accorge che nell'uovo era in incubazione il serpente. * Io sono di quelli che non sottovalutava cosa stava accadendo, ma anch'io mi tormento per non essere riuscito a fare qualcosa che fermasse il processo in corso, e tremo ormai per tante persone che mi sono care che possono essere destinatarie del prossimo pacco assassino. * E sono di quelli che per aver vissuto con piena coscienza, da adulto, da militante politico e da persona che ha orrore delle uccisioni, gli anni di piombo (ero all'universita' di Roma la mattina della strage di via Fani, ho un ricordo angoscioso e incancellabile dell'orrore e della follia di quei giorni); sono di quelli, dico, che hanno cercato con tutte le proprie forze di contrastare ogni azione e ogni atteggiamento che all'uso della violenza - che nella sua essenza e' sempre omicida - nella lotta politica portano o sono corrivi. Siamo stati pochissimi in questi ultimi trent'anni ad esserci battuti contro l'uso della violenza nella lotta politica; siamo pochissimi ancora oggi, poiche' troppi continuano a fare i retori irresponsabili, troppi continuano a sorridere quando a rompere una testa e' un amico loro, troppi giustificano la pedagogia dell'assassinio sostenendo che un po' di violenza sia inevitabile. Ed e' questo infame ragionamento che alleva gli assassini. * Questo foglio che con non poca fatica metto insieme e sottoscrivo e' evidentemente schierato: vuole parlare a tutte le persone di volonta' buona, ma in primo luogo si rivolge "a tutte le persone amiche della nonviolenza": ed e' a loro che lancia un appello: cessate tutti di essere complici di teorie e pratiche che giustificano ed appoggiano la violenza come strumento di lotta politica, che si inebriano di cultura militarista e retorica che animalizza gli altri, che dichiarano che i picchiatori, gli squadristi, gli organizzatori di aggressioni teppistiche e di risse e di agguati possano essere nostri "compagni di lotta" nell'impegno per la pace e la giustizia. Chi teorizza, usa e giustifica la violenza che lede ed annienta degli esseri umani come scelta e strumento di lotta politica e' nostro avversario, e' sempre stato nostro avversario, sempre sara' nostro avversario: cessi ogni complicita'. * Cessi ogni complicita' con gli attentatori suicidi palestinesi cosi' come con i soldati trasformati in killer dal governo di Israele; cessi ogni complicita' con i fascisti, di qualunque colore si incasacchino, che proclamando di lottare "contro il neoliberismo e per l'umanita'" riproducono al livello delle tecnologie e delle capacita' organizzative loro disponibili la piu' feroce delle violenze, quella che per affermare la propria presenza e i propri obiettivi e il proprio dominio non esita a rompere il corpo di un altro essere umano; e che cosi' facendo si rivelano allievi e imitatori ed effettuali servitori proprio di quella dominazione politica, economica, militare e culturale sedicente neoliberista ed effettualmente tendenzialmente totalitaria cui pur proclamano di volersi opporre. E cessino le stolte e scellerate esercitazioni retoriche secondo cui torturare o uccidere qualcuno e' piccola cosa rispetto a fondare una banca o fare dei commerci: L'opera da tre soldi di Brecht dovrebbe essere letta tutta - ed anche la collocazione della tanto citata, ma sempre avulsa dal contesto, frase della rapina ha un senso che va colto appunto nel contesto dialettico ed epico dell'opera, e nella voce e nel ruolo del personaggio che parla, andiamo -; e l'analisi marxiana dell'economia politica e' cosa assai piu' intelligente e complessa della ripetizione a memoria di quell'ignobile metafora della violenza levatrice della storia: la violenza assassina le persone, non le fa nascere. * Che il movimento per la pace in quanto tale si opponga al terrorismo, ad ogni terrorismo, e che il terrorismo sia nemico del movimento per la pace, e' cosa talmente ovvia ed evidente che non mette neppure conto di starne a parlare. Ma che nel movimento che si dichiara per la pace ci siano anche settori, e non marginali, che hanno atteggiamenti ambigui sulla violenza come strumento di lotta politica e' un fatto innegabile; un fatto drammatico, ignobile e sciagurato, rispetto a cui si ha il dovere di fare chiarezza, rispetto a cui occorre una esplicita e netta rottura teorica e pratica. Perche' si puo' essere costruttori di pace solo se si contrasta la violenza senza reticenze e senza collusioni. Si puo' essere costruttori di pace solo se si fa la scelta della nonviolenza. * Invece, purtroppo, tante, troppe persone impegnate nel movimento per la pace, in questi giorni sentendosi offese e provocate piuttosto da illazioni giornalistiche (sovente del tutto ingiuste, malevole ed inintelligenti) che da una tragica realta' quotidiana di bombe che arrivano a minacciare di morte degli esseri umani, non hanno trovato di meglio da fare che assumere una posizione complice con la violenza purche' piccina e simbolica - ma andate a chiederlo a chi la subisce se e' simbolica o se e' concreta -, e non si accorgono che questa loro posizione e' tale che gia' legittima anche le violenze maggiori e piu' cruente, poiche' tutti, anche gli assassini piu' efferati, sono sempre in grado di indicare atti di violenza precedenti e piu' sanguinari di quelli da loro commessi. E tante, troppe persone impegnate nel movimento per la pace ancora confondono stoltamente dialogo con le persone e complicita' con i malfattori: si puo' dialogare con chiunque, ma se l'interlocutore mentre chiacchieriamo sta per uccidere qualcuno, il nostro dovere e' fermarlo, non dargli bel tempo. * E tante, troppe persone impegnate nel movimento per la pace continuano a fingere di non capire di cosa stiamo veramente parlando: stiamo parlando di scegliere tra essere complici di omicidi o lottare contro le uccisioni. E cosi' come ci stiamo giustamente impegnando contro la guerra e contro gli eserciti, contro il riarmo e contro le dittature (quelli di noi che lo fanno, perche' c'e' ancora chi distingue tra dittature buone e dittature cattive, tra guerre crudeli e guerre "umanitarie" - ancora una volta: andate a chiederlo a chi le subisce), dobbiamo impegnarci contro gli adoratori della violenza e di violenze banditori e facitori ed apologeti che nel movimento per la pace si sono da anni infiltrati, ed incistati, ed anzi si sono insignoriti di tanta parte della rappresentanza di esso appo i mass-media, visto che tanti altri - che pur sono brave persone e talvolta addirittura dichiarano di essere amici della nonviolenza, evidentemente non sempre sapendo di cosa parlano - non solo non hanno mai dichiarato che quei loschi figuri nulla hanno a che vedere con noi, ma anzi sovente reggono loro il sacco e la coda. * E non si dica, per cortesia, che si deve essere subalterni a gruppi di sciagurati irresponsabili e di veri e propri squadristi perche' si vuole "dialogare coi centri sociali" (uso questa formula prendendola in prestito da un caro amico, amico personale e amico della nonviolenza, che come me sa bene che una cosa e' dialogare con un'esperienza sociale e un'altra - tutt'altra - cosa e' essere corrivo con personaggi nefasti ed azioni nefande, e contro tutte le violenze e' impegnato). Io che scrivo queste righe sono tra coloro che hanno fatto nascere il centro sociale occupato autogestito di Viterbo oltre dieci anni fa, sono la persona che il primo giorno di occupazione condusse le trattative con le forze dell'ordine e l'amministrazione comunale affinche' quell'esperienza non venisse stroncata sul nascere, e che si fece garante nei confronti delle istituzioni della bonta' dell'iniziativa col proprio prestigio personale e col proprio ruolo di pubblico amministratore; naturalmente sono anche il primo dei denunciati e dei condannati per quell'occupazione che restitui' alla citta' un bene pubblico abbandonato da decenni: da amico della nonviolenza ho accettato di buon grado e senza obiezioni quella condanna come formalmente legittima e quindi del tutto corretta de jure, sebbene la subissi per aver fatto una cosa sostanzialmente buona e giusta (come gli anni successivi hanno dimostrato: tante persone bisognose hanno trovato accoglienza, aiuto e umanita' in quel centro sociale); e mi sono battuto per anni affinche' quel centro sociale facesse la scelta della nonviolenza, persuadendo con la mia condotta prima che con le parole chi era dubbioso, e ottenendo che non pochi provocatori se ne andassero rendendosi conto che li' non c'era spazio per gli scopi dei violenti e le ambizioni dei ciarlatani. Cosicche' non mi si venga a dire che per "dialogare con i centri sociali" bisogna genuflettersi ai violenti e agli imbecilli; le persone amiche della nonviolenza, se nei centri sociali decidono di impegnarsi, devono farlo battendosi affinche' anche li' si faccia la scelta della nonviolenza, e siano gli irresponsabili e i lestofanti a dover scegliere se correggere il proprio ignobile agire o andarsene altrove. Ma di questo basta cosi'. E vediamo di concludere questa ennesima cicalata. * "C'e' un solo modo per uscire da questo macabro gioco di parole" (sono parole della lettera ai giudici di Lorenzo Milani, che qui mi sembra appropriato evocare): avere il coraggio di dire ai giovani che per lottare per la pace e la giustizia occorre fare la scelta della nonviolenza, che e' una scelta esigente, la scelta di opporsi a tutte le violenze e le menzogne, la scelta di lottare contro tutte le ingiustizie, la scelta di rompere tutte le complicita' e rinunciare a tutti i privilegi. La scelta della nonviolenza, necessaria ed urgente, la sola che in questa distretta possa salvare l'umanita' della catastrofe. L'umanita' intera, ma anche l'umanita' di ciascuno di noi. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 730 del 12 novembre 2003
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