Fw:Una tazzina di caffè equo, grazie



  di Mariagrazia Bonollo
 Strangolati dal monopolio delle multinazionali, impoveriti dalla morsa
 delle oscillazioni dei prezzi, soggiogati allo strapotere degli
 intermediatori "obbedienti" alle regole della Wto. È il dramma che
 vivono tanti piccoli produttori di caffè dell'America latina e
 dell'Africa, alla prese con una crisi che in cinque anni ha fatto
 crollare i prezzi dell'80 per cento. Se a noi il piacere della tazzina
 al bar costa sempre di più, al contrario, a chi lo produce il caffè
 grezzo viene pagato, quotazioni di borsa, circa 65 dollari al quintale,
 contro i 550 del 1997. Un vero tracollo, che per i piccoli coltivatori
 significa non coprire neppure i costi di produzione.
 "In America Centrale la produzione del caffè coinvolge 25 milioni di
 persone: dopo il petrolio, è il prodotto che crea più ricchezza in
 assoluto. Una ricchezza che però non rimane a chi lo produce. La
 raccolta del caffè del 2002 ha comportato introiti per 70 miliardi di
 dollari, ma ai produttori è rimasto veramente poco, visto che 62 di
 questi miliardi sono restati nei paesi ricchi. Se continuiamo su questa
 strada, arretrerà il livello del nostra crescita economica, diminuiranno
 i servizi per la popolazione, cresceranno la mortalità infantile e le
 malattie". Parola di Dagoberto Suazo, direttore generale della Central
 de cooperativas cafelaleras, organizzazione che raggruppa diecimila
 piccoli e medi produttori di caffè dell'Honduras, uno dei paesi più
 poveri dell'America Latina e quello che vanta il più alto debito pro
 capite della regione. La metà dei suoi sette milioni di abitanti nasce e
 cresce nelle zone dove viene coltivata questa preziosa bacca, principale
 prodotto di esportazione del paese.
 Il commercio internazionale del caffè è in crisi da quando gli Usa, il
 più grosso consumatore mondiale, hanno lasciato l'Organizzazione
 Internazionale del Caffè (OIC) che stabiliva le quote di produzione, in
 modo da sostenere il prezzo sui mercati internazionali. Il mercato,
 lasciato alla sua autoregolazione, ha portato al collasso dei prezzi. Le
 troppe intermediazioni e speculazioni commerciali hanno fatto il resto.
 Dagoberto dice che la colpa della crisi del caffè è dovuta alla
 sovrapproduzione: "Il prezzo del caffè è crollato ed è ai minimi per
 colpa delle imprese che a livello mondiale controllano la lavorazione e
 la commercializzazione di questo prodotto. Sono solo quattro: Kraft,
 Nestlè, Procter & Gamble, Sara Lee e Tschibo. Due europee e due
 statunitensi. Queste aziende utilizzano caffè di cattiva qualità, senza
 contare che in commercio si possono trovare caffè prodotti anche dieci
 anni fa. Quello di prima scelta c'è, ma per il commercio si utilizza
 quello di seconda o addirittura terza qualità, dipende dalle percentuali
 che queste aziende utilizzano nelle loro miscele. Senza contare che
 aggiungono sostanze aromatizzanti. Insomma, è anche una questione di
 qualità. Se si togliesse dal commercio il caffè di cattiva qualità ci
 sarebbe un deficit di offerta. Per questo non si possono incolpare i
 paesi produttori della sovrapproduzione. I consumatori su questo hanno
 una grande responsabilità, perché dovrebbero pretendere, anche per la
 loro salute, di sapere se il caffè che bevono è di prima o di terza
 scelta e quando è stato prodotto! È importante che i consumatori siano
 coscienti di quello che comprano, che si informino sul luogo da cui
 viene, della qualità e delle condizioni in cui viene coltivato, che
 sappiano chi trarrà beneficio da quella vendita. Questo è importante per
 noi ma anche per la loro salute".
 Dagoberto spiega che chi usa i prodotti del commercio equo, a partire
 dal caffè, sa di acquistare prodotti di qualità, sa che rispettano
 l'ambiente e sa che quel profitto serve per migliorare le condizioni di
 vita, sanitarie, educative, abitative delle comunità che l'hanno
 prodotto. "Le nostre cooperative, al contrario di quanto avviene con le
 multinazionali, hanno un sistema di rintracciabilità che permette di
 risalire al singolo produttore che l'ha coltivato, e questa è una
 garanzia per il consumatore finale. Nelle nostre comunità - prosegue
 Dagoberto - il commercio equo-solidale ha consentito un miglioramento
 visibile delle condizioni di vita della popolazione. In alcuni casi di
 famiglie con ragazze madri ha permesso di sfamare i bambini e di
 mandarli a scuola. Il commercio equo è importante e, anche se riguarda
 attualmente solo il tre per cento della nostra produzione, ci consente
 rapporti diretti con gli importatori europei, interrompendo così la
 catena di intermediazione che si intasca quasi il cento per cento del
 valore del caffè. Senza contare che entrare nel circuito del commercio
 equo ci ha portato altri vantaggi indiretti, come poter accedere al
 microcredito e per avere un prodotto di migliore qualità. Soprattutto,
 però, abbiamo bisogno di un consumatore cosciente".