La nonviolenza e' in cammino. 718



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 718 del 31 ottobre 2003

Sommario di questo numero:
1. Ogni vittima ha il volto di Abele
2. Maria G. Di Rienzo: un kit di sopravvivenza
3. Angela Giuffrida: sulla proposta di Lidia Menapace
4. Sulla vicenda di Ofena
5. Aldo Antonelli: sulla vicenda di Ofena
6. Guido Armellini: sulla vicenda di Ofena
7. Giovanni Colombo: sulla vicenda di Ofena
8. "Noi siamo Chiesa": sulla vicenda di Ofena
9. Alessandro Portelli: sulla vicenda di Ofena
10. Elio Rindone: sulla vicenda di Ofena
11. Rossana Rossanda: sulla vicenda di Ofena
12. Marcello Vigli: sulla vicenda di Ofena
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE
[Riproduciamo ancora una volta un estratto da un comunicato del "Centro di
ricerca per la pace" di Viterbo di un anno fa. E' nostra intenzione
riproporre ed estendere quest'anno l'iniziativa del 4 novembre di pace, in
memoria delle vittime, contro le guerre, le armi e gli eserciti; la nostra
iniziativa nonviolenta consiste in una cerimonia silenziosa di deposizione
di un omaggio floreale ai monumenti che ricordano le vittime della guerra,
in orario diverso e distante dai chiassosi ed offensivi "festeggiamenti"
delle forze armate]

"Ogni vittima ha il volto di Abele" (Heinrich Boell).
1. Il 4 novembre e' un giorno di lutto, e nelle vicende umane anche
l'elaborazione del lutto per coloro che non solo piu' conta. E conta
altresi' il ricordo di coloro cui e' stata tolta la vita con la violenza.
Non ricordarli sarebbe come volerli cancellare, quasi ucciderli una seconda
volta.
Chi defini' la prima guerra mondiale con la formula lapidaria "inutile
strage" colse un punto decisivo: fu una orribile strage; e - di contro alle
retoriche dei potenti che mandarono al macello tanta povera gente - non ebbe
alcuna ammissibile utilita', poiche' le stragi non sono mai utili (se non al
trionfo del male ed alla sofferenza dell'umanita'), sono stragi e basta, e
tutti quelli che pensano che si possa costruire qualcosa dando ad altri la
morte commettono uno sciaguratissimo e infame errore di ragionamento, oltre
che un abominio morale, che li rende promotori o complici del piu' orrendo
dei crimini.
La memoria delle vittime e' uno degli elementi su cui e con cui costruire
l'impegno per la difesa e la promozione dei diritti umani di tutti gli
esseri umani (sulla memoria delle vittime ed anche sui possibili rischi di
un uso distorto e strumentale di essa ha scritto pagine indimenticabili
Tzvetan Todorov, ad esempio in Memoria del male, tentazione del bene).
2. Ebbene, la ricorrenza del 4 novembre, fine della prima guerra modiale
(per l'Italia), e' stata fin qui strumentalizzata proprio dai poteri
militari, che in questa giornata, loro si', "festeggiano" le forze armate,
cioe' scherniscono quei poveri morti che loro stessi comandi militari hanno
fatto morire. Lo troviamo ripugnante.
3. Sic stantibus rebus, non convincono le iniziative subalterne, e non
convince il lasciar stare, il far finta di niente. Cosicche' abbiamo pensato
(anche sulla base di esperienze del passato) che il 4 novembre non debba
essere lasciato come irridente e iniquo monopolio delle gerarchie militari e
di quella retorica pseudopatriottica che il dottor Johnson qualche secolo fa
definiva "l'ultimo rifugio delle canaglie"; non debba essere lasciato alle
loro menzogne ed alla loro propaganda necrofila.
4. di qui la proposta: in quella data le persone e le istituzioni amanti
della pace e fedeli al diritto internazionale e alla legalita'
costituzionale non permettano che prevalga la sciagurata finzione che la
guerra sia bella e che le vittime debbano essere contente di essere state
trucidate, ma oppongano alla menzogna la verita', e all'ipocrisia la pieta'.
In quella data si ricordino le vittime per affermare che la guerra, del cui
orrore la loro morte testimonia, ebbene, la guerra e' un crimine che mai
piu' deve darsi.
"Ogni vittima ha il volto di Abele" (Heinrich Boell).

2. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: UN KIT DI SOPRAVVIVENZA
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]

Kit di sopravvivenza per attivisti/e (ovvero, come rimanere in gioco il piu'
a lungo e nel miglior modo possibile).
E' ovvio che l'ingrediente principale, in una ricetta il cui risultato sia
un effettivo cambiamento sociale, e' avere un gruppo di persone che si
dedichino a tale cambiamento, ma l'altro ingrediente necessario e' sapere
come essere efficaci mantenendo la testa sulle spalle. Nessuno dei
suggerimenti che vi daro' di seguito e' scolpito nella pietra, ma tutti sono
stati gia' usati con successo da gruppi di attivisti/e: scartate quelli che
non vi servono, manipolate ed adattate quelli che vi sembrano utili alla
vostra situazione ed alle vostre necessita'.
*
1. Sottolineate le cose positive
Ovvero, tenete gli occhi aperti su quanto di buono accade nella comunita', a
causa del vostro lavoro e di quello altrui. Quando notate che vi e' uno
spostamento verso una visione piu' decente delle relazioni umane, quando un
provvedimento giusto viene preso, quando una lotta nonviolenta ottiene uno
dei suoi scopi (fosse anche il minore di tutti), riconoscetelo
pubblicamente. Questo motiva le persone a restare nel cammino che hanno
intrapreso, le rende piu' disponibili a sostenervi in futuro, e vi distingue
da quei gruppi che non sanno fare altro che urlare contro "il nemico".
*
2. Enfatizzate i valori del vostro gruppo e cio' che esso si propone di
ottenere per la comunita'
Mettete in luce che cosa il vostro lavoro desidera ottenere: e' difficile
opporsi a qualcuno che si impegna per migliorare la salute pubblica, per
avere sicurezza sul posto di lavoro o sulle strade, per avere un ambiente
pulito, ecc., perche' ciascun essere umano vuole sperimentare queste cose
nella sua vita. I vostri oppositori troveranno quindi piu' arduo
contrastarvi, perche' non potranno negare la positivita' dei vostri valori.
*
3. Pianificate dei piccoli successi
Se i membri del vostro gruppo non sono in grado di vedere un progresso dopo
aver dedicato allo scopo molto tempo e molta fatica, il loro interesse e la
loro motivazione non dureranno a lungo. Noi sappiamo pero' che un
cambiamento significativo e' lento nel suo divenire, e che quando accade e'
un punto di non ritorno: ma prima di giungere ad esso vi sono molteplici
piccoli spostamenti che dovete imparare a riconoscere e di cui potete
nutrirvi. Quando sviluppate i vostri piani d'azione, prevedete quindi delle
tappe intermedie, da celebrare adeguatamente nel momento in cui le
raggiungete.
*
4. Presentate l'istanza nel modo in cui volete che gli altri la vedano
Una tecnica comune a chi si oppone al cambiamento, e' il presentare la
questione all'interno di una cornice che rende le persone piu' colpite dal
problema responsabili del problema stesso. Altrettanto comune, per i gruppi
di attivisti, e' rispondere negli stessi termini usati dai loro oppositori,
rimanendo quindi incastrati nella medesima cornice. Provate invece a
togliere sostegno alla loro prospettiva, riformulando l'istanza a partire
dalla vostra. Esempio: "E' sbagliato dare sussidi alle madri povere, sono
tutte immigrate o nomadi, e fanno figli al solo scopo di prendere quei
soldi". Mi gioco quel che volete: la prima risposta che vi e' venuta in
mente e' che nessuna donna puo' trarre vantaggio dalle quattro palanche
passate dal Comune, con quello che costano i pannolini, gli alimenti per
infanti, eccetera. E' del tutto vero, ma e' la risposta sbagliata, quella in
cui ballate alla loro musica. Per cortesia, suonate la vostra: "Queste madri
hanno bisogno di sostegno perche' non hanno opportunita' d'impiego, perche'
gli asili nido hanno rette esorbitanti, perche' non hanno accesso alla
pianificazione familiare, perche' non hanno diritti di cittadinanza, ecc.
ecc. E comunque ci dispiace molto sentire che la nascita di un bimbo, una
ricchezza per tutta la comunita, viene considerata alla stregua di una
disgrazia".
*
5. Sviluppate la vostra identita' pubblica
Anche se fate parte di un movimento piu' vasto, di un gruppo a rilevanza
nazionale, o di una "rete", cercate di modellare in modo riconoscibile,
chiaro, non fraintendibile, la vostra immagine pubblica e la vostra scelta
nonviolenta. L'essere collegati ad un'organizzazione piu' grande e
conosciuta ha vantaggi e svantaggi, poiche' l'opinione pubblica trasferira'
su di voi il "positivo" o il "negativo" che attribuisce ad essa. Cio'
potrebbe oscurare le istanze per cui lavorate e mettere a rischio la vostra
credibilita' come gruppo "indipendente".
*
6. Documentate quel che dite
Se vi basate su documentazioni non accurate, su informazioni non verificate,
e venite colti in fallo, rischiate di danneggiare seriamente la reputazione
del vostro gruppo.
Quello che dite in pubblico sui "fatti" va vagliato prima di essere detto, e
va vagliato di persona. Poniamo il caso che voi affermiate: "I produttori di
superalcolici stanno indirizzando ai ragazzini la loro pubblicita'". Un coro
scandalizzato di "menzogna, menzogna" vi verra' ululato in risposta. E voi
replicherete, dati alla mano: "E allora come mai abbiamo contato tot vostri
manifesti pubblicitari sui muri delle scuole medie nella nostra citta', e in
quest'altra, e in quest'altra ancora? E perche' la stessa pubblicita' appare
in tv proprio un minuto prima del tal programma per ragazzi?". Piu' persone,
sentendo questo discorso, dicono: "Gia', e' vero, anch'io ho visto i
manifesti, o la pubblicita' in televisione", piu' cresce il sostegno al
vostro gruppo.
Citate sempre le fonti delle informazioni che date, ed imparate ad
esprimerne il contenuto con chiarezza; dovete mostrare che si tratta di
qualcosa di piu' di uno sciorinamento di cifre e tabulati: dietro ai numeri
ci sono esseri umani che dovete rendere visibili.
*
7. Siate appassionati e persistenti
Lavorare per il cambiamento sociale e' un cammino in salita, perche' molto
spesso le soluzioni ai problemi stanno nell'accettazione di responsabilita'
da parte dell'intera comunita', e non solo di pochi attivisti/e. Destare
consapevolezza nel maggior numero di persone possibile e' uno dei vostri
compiti e, ormai lo sapete bene, non bastano i "dati" e i "fatti" per
ottenerla, perche' spesso essi non arrivano a toccare i cuori: solo le
emozioni arrivano fin la'. Non temete di mostrare le vostre, la passione
dara' energia al vostro movimento e potra' smuovere gli indecisi verso il
vostro punto di vista.
La persistenza e' un'altra dote che dovete coltivare, perche' solo essa
manterra' l'istanza visibile all'opinione pubblica.
*
8. Siate preparati a negoziare
Pur restando fedeli e onesti rispetto alla vostra visione, siate aperti a
piani alternativi, a mediazioni che, pur non rispondendo alla soluzione
ideale, possono portarvi piu' vicini al vostro scopo. Oltre ad incoraggiare
il sostegno della comunita' nei vostri confronti, questo atteggiamento
potrebbe conquistarvi la simpatia di qualche oppositore, e rendere il tavolo
di negoziazione piu' sereno.
*
9. Non fatevi distrarre
I vostri oppositori possono tentare di eliminare il vostro gruppo
attaccandone i membri a livello personale, insultandoli mediante interventi
sui giornali, o aggredendoli durante una discussione, e cosi' via. Valutate
il tipo di attacco, e misurate la vostra risposta attenendovi a cio' che e'
importante, ovvero il lavoro che state facendo, l'istanza di cui vi
occupate: resistete alla tentazione di rispedire gli insulti al mittente,
guardate avanti, a dove volete arrivare. Molto spesso e' piu' produttivo non
rispondere affatto, e se venite interrogati sulla faccenda, dire qualcosa
del tipo: "Non ho commenti da fare. Se il signore che ha detto questo
volesse invece parlare di... saro' sempre disponibile al dialogo".
10. Cercate una base larga di sostegno
A sentire i media, o qualche "rivoluzionario di professione", sembra che
diventare parte di un gruppo che lavora per il cambiamento sociale sia
diventare adepti di una setta ermetica, e porsi automaticamente "contro"
qualsiasi istituzione esistente. E' invece molto importante che segmenti
chiave della comunita' conoscano la vostra visione, e magari si spostino
verso di essa. Quando riuscite ad includere persone che sono "dentro al
sistema" nei vostri sforzi per il cambiamento, o quando un'istituzione
adotta il vostro punto di vista, state letteralmente volando verso il
successo.
*
11. Commisurate le azioni alle esperienze dei membri del gruppo
Qualsiasi cosa decidete di fare, essa dev'essere in armonia con le
esperienze, i valori, gli interessi delle persone che devono farla.
Verificate, prima di entrare in un'azione, se tutti si sentono a proprio
agio nel portarla avanti. Se l'azione nonviolenta che avete progettato
comporta, per dire, il rischio dell'arresto, le persone devono essere
adeguatamente preparate ad affrontarlo (in special modo se non sono mai
state arrestate prima).
12. Siate creativi e astuti
Cogliete ogni occasione per portare gli oppositori sul vostro terreno: oltre
a dire cosa non va, mostrate loro che piu' scelte sono possibili. La maggior
parte delle corporazioni economiche, per esempio, non pianifica in anticipo
la risposta ad un'azione pubblica che denunci le loro azioni, le loro
politiche, i loro prodotti; percio', spesso non sanno come replicare
all'alternativa inaspettata che presentate loro.

3. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per questo
intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra
le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002]

Le proposte di Lidia Menapace per la costruzione di un'Europa neutrale mi
trovano completamente d'accordo.
Ritengo anche giusto non considerare la guerra una "calamita' naturale...
legata ad immutabili istinti". C'e' da chiedersi, pero', come mai essa sia
diventata un'istituzione politico-giuridica ineliminabile, al punto da
essere posta "come nuova forma e base del 'diritto'". Se i potenti, anche
quelli che si situano a sinistra, non riescono a vedere che "le armi
generano solo risposte violente", se la pace resta "una buona intenzione"
senza mai trovare pratica realizzazione, se persino il movimento operaio,
messo alla prova, finisce per rinnegare la sua "tradizione antimilitarista,
neutralista e pacifista", bisogna chiedersi se non sia il sistema
concettuale che governa il mondo, centrato su un'esasperata conflittualita',
a prevedere, rendere necessaria e giustificare la guerra.
Se davvero si vuole formare "una cultura politica radicalmente nonviolenta"
ed agire per "conservare, preservare, promuovere" la pace, non si puo' far
finta di credere che la guerra sia solo quella armata che oppone i popoli.
E' pensabile, infatti, che nazioni che si reggono sul lavoro non pagato
delle donne, cioe' sul vergognoso sfruttamento delle madri umane, possano
stabilire tra loro relazioni pacifiche, collaborative e nonviolente? E'
credibile che siano in grado di improntare i loro rapporti alla democrazia,
quando la sorda resistenza ad un possibile empowerment femminile impedisce
la realizzazione di una democrazia effettiva, non solo formale, al loro
interno?
L'affermazione della pace come valore ha alla base il riconoscimento del
valore della vita. Che possibilita' ha la pace di affermarsi nel mondo se la
parte della specie che da sempre produce la vita e la sostiene, e percio' ha
imparato a riconoscerne il valore, e' impossibilitata a decidere le regole
del gioco, potendo solo, e solo in minima parte, partecipare ad un gioco
gia' stabilito unilateralmente da una componente?
L'inclinazione degli uomini a fissare un unico problema, senza ampliare lo
sguardo, rende impossibile dare risposte significative agli infiniti
problemi che ci affliggono. Nella fattispecie non e' possibile separare la
guerra guerreggiata dalla guerra dei sessi senza rendere pregiudizialmente
inoperante qualsiasi soluzione si voglia dare al problema, visto che sono le
donne a possedere una visione unitaria del reale, basata sulla connessione
non sulla disaggregazione e opposizione dei dati.
Naturalmente le donne, singolarmente o in gruppo, possono legittimamente
fare qualsiasi proposta considerino utile, ma perche' un altro mondo sia
davvero possibile e' necessario che, insieme, diano inizio ad un'attenta
opera di riconcettualizzazione al di fuori dei parametri maschili.
Ricostruire una visione organica del mondo che permetta l'integrazione di
se', dell'altro, della natura nella propria mente e' un'operazione urgente
ed indispensabile se si vuole dare vita a comunita' equilibrate, centrate
sul potere di generare e sostenere la vita, non sul potere di infliggere
sofferenze e dare la morte.
Sperare che organizzazioni della dominanza, la cui matrice e' costituita da
prevaricazione e sfruttamento, possano trasformarsi in sistemi sociali
civili attraverso qualche riforma qua e la', e', a mio parere, una pura
illusione.
L'unica risposta possibile non puo' che essere l'elaborazione di uno stile
di pensiero capace di superare la millenaria tradizione intellettuale
parziale e riduttiva, attraverso il recupero di quelle prerogative
sviluppate dalle madri della specie e divenute la sostanza stessa della
civilta'.

4. RIFLESSIONE. SULLA VICENDA DI OFENA
Pubblichiamo di seguito alcuni dei molti interventi che anche a noi sono
pervenuti sulla vicenda di Ofena, ovvero sull'ordinanza del magistrato
dell'Aquila che, accogliendo una legittima istanza di un genitore di fede
musulmana di due bambini che frequentano la scuola di quella cittadina, ha
disposto che sulle pareti dell'aula scolastica dai bambini frequentata non
fosse collocato il simbolo di una religione; decisione che a noi sembra
ineccepibile in punto di diritto, e nitidamente coerente col dettato
costituzionale.
Ci scuseranno i lettori se tutti gli interventi che di seguito pubblichiamo
sono, pur muovendo da diversi e talora per piu' versi contrapposti punti di
vista, convergenti verso l'affermazione della necessaria laicita' della
scuola pubblica italiana che tutti deve accogliere senza discriminazioni; ci
sono ovviamente pervenuti anche interventi che nel merito della decisione
del tribunale dell'Aquila sostengono la tesi opposta, ma ci e' sembrato che
tale posizione abbia gia' grande visibilita' poiche' ha ottenuto il sostegno
di grandi mezzi d'informazione, cosicche' per quanto e' in nostro potere
abbiamo ritenuto giusto contribuire a riequilibrare la documentazione
disponibile dando spazio alle voci che sostengono la tesi che i grandi
mass-media tendono a soffocare o travisare e fin caricaturizzare.
*
Ancora una volta vorremmo sottolineare alcuni concetti:
a) che su questioni di coscienza occorre riflettere ed interloquire senza
offendere la sensibilita' altrui; non si sta parlando di stupidaggini come
lo sport o lo spettacolo, ma dei valori piu' profondi e dei sentimenti piu'
intensi di tanti esseri umani;
b) che su vicende non solo cosi' emotivamente coinvolgenti, ma che implicano
il riferimento alla conoscenza e al rispetto di tradizioni culturali,
religiose e giuridiche di straordinaria complessita', atteggiamenti
strumentali non sono ammissibili, pareri disinformati e superficiali non
hanno valore, l'uso (chiediamo venia: totalitario) di citazioni di autori
estrapolate dal contesto e' peggio che inutile, anzi decisamente nocivo (lo
diciamo in riferimento alle tante persone buone e che amiamo le quali
pensano di dover "prendere posizione" affidandosi a una citazioncella da don
Milani o da Gandhi, che nella specifica vicenda sono del tutto fuori luogo,
ed alle quali sarebbe fin troppo facile con medesimo scorretto metodo
contrapporre non una ma molte citazioni);
c) che poiche' si sta parlando della scuola pubblica dello stato italiano
vorremmo non si perdesse di vista cosa recita l'articolo 3, comma 1, della
Costituzione della Repubblica Italiana (uno dei "principi fondamentali"
della nostra Carta): "Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua,
di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali"; e
l'articolo 34, comma primo: "La scuola e' aperta a tutti".
*
Infine una nota: ci sorprende, tra gli interventi pervenutici, l'assoluta
prevalenza di voci maschili in questa riflessione: poiche' nel corso del
ventesimo secolo le cose piu' dense e preziose e disvelatrici negli ambiti
di riflessione che la vicenda evoca sono state pensate e dette e scritte da
donne (nel notiziario di ieri abbiamo segnalato alcuni minimi riferimenti
bibliografici propedeutici); forse e' rivelatrice di qualcosa di profondo
che rinvia all'oppressione della donna come portato comune delle
cristallizzazioni dominanti di molte tradizioni religiose.
Anche in questo ambito, ci avviene di pensare, sara' dalla riflessione e
dalla prassi delle donne che verra' non solo qualche luce, ma l'inveramento
di antiche speranze.

5. RIFLESSIONE. ALDO ANTONELLI: SULLA VICENDA DI OFENA
[Attraverso l'amico Domenico Manaresi (per contatti:
bon4084 at iperbole.bologna.it) riceviamo e diffondiamo questa lettera,
originariamente inviata al commentatore di un quotidiano, di don Aldo
Antonelli (per contatti: ednran at tin.it), parroco di Antrosano, costruttore
di pace]

Permetta che le esprima tutto il mio disappunto per come alcuni
rappresentanti della gerarchia hanno reagito alla sentenza del tribunale
dell'Aquila.
Personalmente non mi ritrovo in nessuna della voci che, in un coro quasi
unanime, hanno espresso preoccupazione e sconcerto, in seguito alla sentenza
del giudice Montanaro che ordina la rimozione del crocifisso da un'aula
della scuola elementare di Ofena.
E fa pensare (questa si' che e' una preoccupazione) il dover constatare come
nella vasta gamma delle reazioni non ci sia stata una voce, una che fosse
una, che esprimesse un approccio dal punto di vista della fede di un
credente. Non sono mancate le voci dei cattolici; ma si sa bene che il
"cattolicesimo" ormai e', piu' che altro, una categoria sociopolitica che
non esprime piu' il proprium di quanti sono animati dalla fede, ma
l'identita' di appartenenza ad un ben preciso indirizzo culturale, sociale e
politico nel quale il conservatorismo, il tradizionalismo ed anche in certo
criptofascismo  giocano la loro parte.
Nella mai sensibilita' di credente, ritengo che c'e' un solo luogo nel quale
il crocifisso possa rivendicare il suo pieno e incontestabile diritto di
residenza; ed e' la coscienza del credente. Di la' nessuno mai potra'
detronizzarlo.
Estrapolato in altri luoghi, siano essi le pareti delle scuole o gli scanni
dei tribunali, il crocifisso viene stravolto nel suo simbolismo: da icona di
passione, di coinvolgimento nella vita degli uomini e di comunione, diventa
simbolo di lotte, rivalita' e divisione. La croce diventa spada; la pena che
redime diventa offesa che opprime. Sotto questo aspetto, quindi, la sentenza
del tribunale abruzzese lascia pienamente indifferente la mia sensibilita'
di credente.
Una sensibilita' ben lontana da quella espressa dal popolare detto "lontano
dagli occhi, lontano dal cuore". Non penso proprio che il Cristo del Vangelo
amerebbe tanto vedersi raffigurato per ogni dove. Anzi... E' proprio dei
grandi dittatori allagare ogni spazio con la propria immagine, illudendosi,
cosi', di occupare i cuori!
Altro, invece, potrebbe essere l'approccio, dal punto di vista
storico-culturale.
Fossi un musulmano che vive in territori di cultura cristiano-occidentale,
insegnerei ai miei figli il rispetto verso questa cultura e verso i simboli
nei quali essa si esprime. E su questo e' giusto che si cimentino i
rappresentanti delle istituzioni civili e politiche.
Ma questo, e mi rivolgo ai vari monsignori di turno, e' tutto un altro
discorso.
Don Aldo Antonelli, parroco di Antrosano

6. RIFLESSIONE. GUIDO ARMELLINI: SULLA VICENDA DI OFENA
[Sempre attraverso Domenico Manaresi riceviamo questo intervento del
dicembre 2002 - e quindi antecedente la vicenda in relazione alla quale lo
presentiamo - di Guido Armellini (per contatti: gegdmerk at iol.it), membro
della Chiesa evangelica metodista di Bologna, aderente al comitato "Scuola e
Costituzione"]

Nella Prima lettera ai Corinti l'apostolo Paolo definisce "scandalo" e
"follia" la croce di Cristo. Queste espressioni sottolineano la radicale
incompatibilita' tra la fede, che riconosce la presenza di Dio in un corpo
d'uomo sofferente, condannato a una morte ignominiosa, e la sapienza umana,
che associa l'idea del divino all'onnipotenza, all'incorporeita',
all'imperturbabilita'.
Oggi si richiede a gran voce che l'immagine di quell'uomo agonizzante,
riprodotta in decine di migliaia di copie fatte in serie, sia affissa nelle
aule scolastiche e negli uffici pubblici, a testimoniare le radici cristiane
della nostra cultura.
Mi stupisce che i credenti che si fanno latori di questa rivendicazione non
si rendano conto che, riducendo l'icona di Cristo in croce a un rassicurante
simbolo delle tradizioni codificate e dell'ordine costituito, si finisce per
svuotarla del suo carattere sconvolgente, e per falsarne profondamente il
significato.
Ho insegnato per molti anni (fino all'ultimo concordato) con il brutto
crocifisso d'ordinanza, prescritto per tutte le scuole d'Italia come
segnacolo della "religione di stato", appeso alle mie spalle. Non mi sono
reso conto che questa presenza suscitasse nei miei alunni riflessioni
profonde sul destino umano e sul senso della vita. Mi e' sembrato anzi che
il depositarsi quotidiano di sguardi distratti degradasse l'immagine sacra
al rango di una banale suppellettile, paragonabile agli attaccapanni o alla
lavagna, con l'aggravante di non svolgere alcuna funzione pratica. Nessuno
si accorgeva che il nostro tran tran didattico scorreva di fronte alla
rappresentazione di una tragica agonia.  Ridotta a insignificante ornamento
standardizzato imposto per legge, la croce di Cristo non aveva piu' nulla di
folle o di scandaloso.
Ancora piu' grave mi sembra che, da parte delle gerarchie di una chiesa
cristiana, si insista sull'identificazione tra quel simbolo e la nostra
tradizione culturale.
Nessuno puo' negare che l'arte, la letteratura, il pensiero dell'occidente
siano profondamente segnati dal cristianesimo. Ma non tutto cio' che si e'
compiuto in nome di Cristo e' stato eticamente commendevole, come dimostrano
i numerosi mea culpa dell'attuale pontefice.
La traccia storica dei dogmi e dei simboli cristiani e' depositata nella
Commedia di Dante come nella vicenda delle crociate, nell'opera di
Michelangelo come nei roghi della Santa Inquisizione. Per secoli le
comunita' ebraiche e le altre minoranze religiose hanno visto nella croce un
simbolo di persecuzione piu' che di amore fraterno. E si potrebbe continuare
a lungo. Mi sembra insomma che l'esperienza storica dovrebbe aver insegnato
a noi cristiani che non e' il caso di identificare i nostri progetti, le
nostre imprese, i nostri modelli di societa' con le misteriose intenzioni
del Dio nel quale crediamo.
Il ricordo di quell'uomo crocefisso dal potere politico e religioso non
merita di essere utilizzato come marca identitaria che contrassegna un
territorio, bandiera delle ragioni di una cultura contro altre culture: e'
un errore che la cristianita' ha compiuto per secoli, da cui ci mettono in
guardia voci ed eloquenti silenzi, provenienti dalle zone piu' pensose dello
stesso mondo cattolico.

7. RIFLESSIONE. GIOVANNI COLOMBO: SULLA VICENDA DI OFENA
[Ringraziamo Giovanni Colombo (per contatti:giovanni.colombo at fastwebnet.it)
per questo intervento. Giovanni Colombo e' consigliere comunale di Milano e
presidente nazionale della "Rosa Bianca", l'associazione che si richiama ai
martiri della Resistenza antinazista e all'insegnamento di Lazzati]

Che sia un integralista islamico ad elevarsi a difensore della laicita'
dello Stato e' francamente paradossale. E spiega, a mio avviso, la
reazione - in alcuni casi altrettanto integralista - di  quanti, difendendo
l'esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici, ritengono di proteggere se
stessi, le proprie abitudini, la propria civilta', che e' civilta', non
dimentichiamolo, dalle radici cristiane (non solo ma soprattutto cristiane):
da queste radici l'Europa ha tratto linfa per elaborare il concetto di
persona e per affermare il principio di tolleranza. "Soltanto una cultura
cristiana avrebbe potuto produrre un Voltaire e un Nietzsche" (Thomas S.
Eliot, citato  nel libro di Giovanni Reale, Radici culturali e spirituali
dell'Europa, Raffaello Cortina Editore).
In una fase come questa di grande sbandamento etico e culturale, prima
ancora che politico e giuridico, io fisserei due punti (il primo da
cittadino, il secondo da credente).
1. Lo Stato puo' imporre la presenza nei locali pubblici dei simboli
dell'identita' nazionale italiana; puo' imporre la presenza della bandiera
tricolore o del ritratto del Presidente della Repubblica che "rappresenta -
come la Costituzione stabilisce - l'unita' nazionale"; ma non puo' imporre
la presenza di un simbolo religioso, senza contraddire la sua laicita'. Puo'
accettarne la presenza quando essa esprima un sentimento condiviso o quanto
meno rispettato anche dal non credente. Vige in questo caso la regola
dell'unanimita': se qualcuno si oppone, lo si toglie.
2. La trasmissione del Vangelo non avviene per imposizione e il rispetto
dell'altro appartiene, prima che al politically correct, al mistero stesso
di Dio. I cristiani ormai sanno che il  pluralismo religioso dell'Europa di
oggi e di domani non e' una provvisoria sfortuna da cui pregare di essere
liberati, ma la condizione concreta entro cui dar ragione della propria
speranza. Sanno, insomma, che alla spada sguainata da Pietro, Gesu' preferi'
il cammino verso la Croce: voler di nuovo rendere obbligatorio cio' che e'
il segno radicale della gratuita', delle braccia spalancate verso tutti,
sarebbe profondamente anti-evangelico. La Croce non va dunque imposta sul
muro delle classi e degli edifici pubblici, e si puo' anche togliere senza
tragedie laddove c'e'. In ogni caso, rimane simbolo eterno di liberta'
fraterna, cosi' eloquente da accogliere il bisogno di misericordia di
chiunque.

8. RIFLESSIONE. "NOI SIAMO CHIESA": SULLA VICENDA DI OFENA
[Tramite l'amico Domenico Manaresi riceviamo e diffondiamo questo comunicato
del movimento ecclesiale "Noi siamo Chiesa"]

I cattolici discutano se e' evangelico rivendicare la presenza del
crocifisso nelle scuole.
L'improvviso clamore mediatico sulla questione del crocifisso nelle aule
scolastiche e' la conseguenza di un'invasione della politica e delle sue
strumentalizzazioni su un problema che meriterebbe ben altra serenita' ed
equilibrio. Anche i vertici della Conferenza episcopale non hanno saputo
astenersi dal partecipare al coro dei rammarichi e delle deplorazioni nei
confronti della nota sentenza.
Al di la' dell'aspetto giuridico della questione e' piu' che legittimo
domandarsi se il crocefisso possa essere veramente "simbolo di valori che
stanno alla base dell'identita' italiana" come ha auspicato il presidente
Ciampi; ci chiediamo se puo' essere riferimento sia, per esempio, per chi ha
condiviso la guerra in Iraq sia per chi l'ha contrastata con ogni forza, sia
per chi - come il ministro per le Riforme - si dichiara contro il Concilio
Vaticano II sia per chi a questo Concilio si ispira.
Anche a scuola il crocifisso non e' certamente simbolo di unita': rifiutato
dai cattolici piu' avvertiti preoccupati per il significato tutto politico
assunto dalla sua presenza in una scuola che dovrebbe apparire oltre che
essere pluralista; mal sopportato dai cristiani evangelici; rifiutato
ovviamente dai religiosi non cattolici; misconosciuto nel suo genuino
significato dagli atei disposti ad accettarlo come generico simbolo della
sofferenza umana; umiliato da leghisti e clericali pronti a brandirlo per le
loro crociate.
Integralismi e clericalismi si servono della questione del crocefisso mentre
molti tra le forze democratiche temono una legittima ed esplicita
affermazione di laicita' per non infiammare gli animi.
In questa situazione "Noi Siamo Chiesa" ritiene che sarebbe opportuno e
quasi doveroso che in tutta la Chiesa si avviasse una riflessione dal punto
di vista della testimonianza evangelica sull'opportunita' della presenza del
crocifisso nelle aule scolastiche ed in ogni sede pubblica. Questa
riflessione dovrebbe accompagnarsi con una rinnovata volonta' di dialogo
ecumenico ed interreligioso. Questo dialogo non puo' farsi limitare dalla
richiesta pregiudiziale che molti fanno di maggiore liberta' religiosa in
certi paesi musulmani; cio' non significa ovviamente timidezza nella
denuncia delle illiberta' fondate su interpretazioni di comodo del Corano.
Da parte nostra pensiamo che un esame pacato del carattere laico delle
istituzioni della Repubblica, della Costituzione e dello stesso Concordato
del 1984 dovrebbe concludere per il superamento della normativa fascista del
1924. Ma soprattutto siamo convinti  che il ricordo di Cristo, uomo
crocifisso dal potere politico e religioso del tempo, non merita di essere
utilizzato come bandiera delle ragioni di una cultura contro altre culture:
e' un errore che la cristianita' ha compiuto per secoli e da cui mettono in
guardia anche voci ed eloquenti silenzi provenienti dalle aree piu' pensose
del mondo cattolico.

9. RIFLESSIONE. ALESSANDRO PORTELLI: SULLA VICENDA DI OFENA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 ottobre 2003. Alessandro Portelli e'
prestigioso studioso della cultura americana e della cultura popolare,
docente universitario, saggista, militante democratico. Tra le opere di
Alessandro Portelli segnaliamo particolarmente L'ordine e' gia' stato
eseguito, Donzelli, Roma 1999]

Tre osservazioni sulla vicenda del crocifisso nelle scuole.
Primo: e' difficile per noi euroccidentali perdere il vizio di scambiare la
nostra parte con il tutto. Su "Repubblica" del 29 ottobre, l'intellettuale
italiano che ammiro di piu' fa un elenco di paesi che hanno la croce nella
bandiera - Svezia, Norvegia, Svizzera, Nuova Zelanda, Malta, Islanda,
Grecia, Finlandia, Danimarca, Australia, Gran Bretagna - e ne conclude che
"la croce e' diventata un simbolo universale". Sarebbe stato piu'
convincente se avesse potuto menzionare qualche croce anche in qualche
bandiera asiatica o africana; dopo tutto, anche questi continenti fanno
parte dell'universo, anzi e' li' che vive la maggior parte della popolazione
del pianeta. Per di piu', poche righe sopra troviamo un elenco analogo di
paesi nelle cui bandiere appare la mezzaluna. Sono altrettanto numerosi e
coprono almeno altrettanti esseri umani: Algeria, Libia, Maldive,
Mauritania, Malesia, Singapore, Turchia, Tunisia. Ma questo non lo ha
indotto a concludere che anche la mezzaluna e' un simbolo universale.
Ha ragione, ma perche' in un caso no e nell'altro si'? Forse perche' i
simboli universali non possono essere due, ce ne vuole sempre uno solo, e
alla fine chi decide chi e' universale e chi non lo e' e' chi dispone di
piu' cannoni. Ma non staremmo tutti meglio se tutti la smettessero di voler
universalizzare la propria parzialita'? E comunque: in quelle bandiere ci
sono le croci, non il crocefisso. E sulla bandiera italiana non c'e' ne'
l'uno ne' l'altro.
Secondo: e' difficile per il Vaticano imparare a riconoscere il limite fra
cio' che appartiene alla sua giurisdizione e cio' che ne resta fuori. Leggo
sempre sullo stesso giornale che l'"Osservatore romano" annuncia: "la croce
non ce la faremo togliere". Benissimo - infatti, nessuno vuole toglierla a
loro, sono loro che vogliono continuare ad imporla a noi. Nemmeno Adel Smith
propone di togliere le croci dalle chiese e dai conventi, o di negare a
chiese e conventi il diritto di cittadinanza e il diritto di esporre
liberamente quello che vogliono; e, a differenza dei francesi che vietano
alle studentesse islamiche di indossare il chador, nessuno sta proponendo di
vietare l'ingresso nelle scuole pubbliche a studenti cristiani (o modaioli)
che indossano spille o catene con croci e crocifissi. Il rispetto per la
liberta', per la religione, per i suoi simboli, per la sua presenza nella
cultura e nella storia di questo paese questo lo impone; ma qui si ferma.
Quando il Vaticano dice "la croce non ce la faremo togliere" parla invece
come se le scuole della repubblica fossero di sua proprieta'; come se si
sentisse rispettato solo quando domina e si espande. E' il caso che qualcuno
gli ricordi che non e' cosi'.
Terzo. E' una vita che vado dicendo che dagli Stati Uniti noi imitiamo
sempre il peggio e mai le cose piu' civili (per esempio: nessuno prende a
modello gli Usa quando si parla di limiti di velocita' sulle autostrade...).
Ora, nessuno puo' negare che gli Stati Uniti siano un paese intriso di
religiosita', certe volte pure troppo; tuttavia, negli Stati Uniti, per
motivi costituzionali, e' strettamente vietata l'esposizione nelle scuole e
negli uffici pubblici di croci o crocifissi o di qualunque altro simbolo
religioso. Naturalmente, c'e' chi non e' d'accordo; ma a volte il principio
va tenuto fermo anche contro l'immediatezza del senso comune: dopo tutto,
anche il senso comune e' una formazione storica e quindi mutevole. E la
separazione fra Stato e Chiesa e' negli Stati Uniti un principio che, per
quanto la destra repubblicana si affanni a eroderlo, regge tuttora e non
procura nessuna guerra di religione ne' accuse di intolleranza.
Aggiungerei che il dettato costituzionale americano non fu mosso affatto da
spirito antireligioso, ma dal riconoscimento del fatto che il paese era
talmente religioso che vi esistevano gia' allora molte chiese diverse e
spesso conflittuali fra loro, per cui l'esclusione dei simboli religiosi
serviva a garantire i diritti di tutti, evitando che si potesse costituire
nel paese una chiesa di stato a scapito delle altre.
E' precisamente quello che avviene invece in Italia: in astratto, o al posto
che gli compete, il crocifisso puo' esprimere una gamma di valori spirituali
o morali di grande importanza; ma il linguaggio stesso del Vaticano
suggerisce che qui non si tratta di questo, ma soprattutto di marcare il
territorio con la sovranita' suprema di una chiesa sola. Ne' mi sembra
convincente l'argomento per cui in molti paesi a prevalenza musulmana i
simboli religiosi vengono esposti abbondantemente, e ad esclusione di altri.
Ora, a parte che anche per i simboli musulmani valgono gli stessi argomenti
(esprimono spiritualita', sono radicati nella storia dei rispettivi
paesi...), io penso che i paesi che si comportano cosi' fanno male, e non
vedo perche' proprio su questo dobbiamo prenderli a modello, adeguarci
all'Arabia Saudita e non agli Stati Uniti.
Se vogliamo favorire la crescita del pluralismo e della democrazia nel mondo
islamico, la differenza laica e democratica dell'Occidente sara' un esempio
molto piu' utile che non uno spirito meschino.

10. RIFLESSIONE. ELIO RINDONE: SULLA VICENDA DI OFENA
[Ringraziamo Elio Rindone (per contatti: e.rindo at infinito.it) per questo
intervento. Elio Rindone e' docente di storia e filosofia a Roma, fa parte
dell'Associazione nazionale docenti, tiene sovente appassionanti seminari;
e' autore di perspicui libri e saggi di argomento teologico e filosofico.
L'amara e caustica conclusione di questo articolo fa riferimento alla
sprezzante e ignobile definizione che Francesco Cossiga diede di eroici
magistrati impegnati nella lotta contro la mafia (come il martire Rosario
Livatino), a infami e buffonesche dichiarazioni di politicanti superfetate
in questi giorni, ed alle oscene ed eversive dichiarazioni eruttate questa
estate dell'attuale vulcanico presidente del consiglio dei ministri]

I politici di centrodestra in maniera compatta (a cui si sono uniti, per la
verita' con toni meno esasperati, non pochi rappresentanti del
centrosinistra) non potevano lasciarsi sfuggire un'occasione cosi' ghiotta
per ergersi a difesa dell'identita' cristiana del nostro Paese e scatenare
la solita gazzarra contro la magistratura: come si permette un giudice di
provincia di opporsi ad una legge dello Stato che impone l'esposizione del
crocifisso nelle aule scolastiche?
Se prima di rendere pubblici i loro arroganti giudizi di condanna si fossero
presi la briga di documentarsi, pero', i nostri loquaci onorevoli avrebbero
scoperto che col "nuovo Concordato" del 1984 e' stato abolito l'articolo che
proclamava religione di Stato quella cattolica. E' stato cosi' riconosciuto
il carattere laico dello Stato italiano, carattere che e' stato considerato
dalla Corte costituzionale "principio supremo" della nostra Costituzione
(sentenza 203/1989). La Cassazione, percio', ha dichiarato (sentenza della
IV sezione penale 429/2000) che le vecchie disposizioni riguardanti
l'esposizione del crocifisso nelle sedi statali contrastano con i principi
costituzionali di laicita' e di eguaglianza e ledono il diritto alla
liberta' di coscienza in materia religiosa.
La questione, quindi, era stata gia' affrontata da tempo dalle piu' alte
magistrature ed era stata risolta in maniera coerente con la nostra
Costituzione.
Se si passa poi dal punto di vista giuridico a quello religioso, c'e' solo
da rallegrarsi per l'ordinanza del Tribunale dell'Aquila, utile occasione
per rinnovare la consapevolezza che il Vangelo interpella la coscienza di
ogni uomo e non puo' essere ridotto a un'etichetta che caratterizza
l'identita' di un popolo. Simbolo dell'identita' italiana e' la bandiera
tricolore e non il crocifisso che, per i credenti, ha un ben preciso
significato religioso e non dev'essere degradato a banale suppellettile, su
cui si posano sguardi resi indifferenti dall'assuefazione. Nelle circostanze
che hanno dato luogo all'attuale polemica c'e' da rammaricarsi, semmai,
soltanto per il fatto che il problema del rispetto della laicita' dello
Stato non sia stato sollevato dagli stessi cattolici italiani.
La prevedibile reazione dei politici (sedicenti) liberal-democratici sembra
dunque spiegabile solo con due motivazioni, non particolarmente nobili:
compiacere l'elettorato cattolico piu' facilmente condizionato dai media e
proseguire nell'opera di delegittimazione della magistratura. Dai giudici
ragazzini a quelli di provincia in cerca di notorieta': non e' ormai
assodato che i magistrati sono tutti inaffidabili, anzi, come e' stato
autorevolmente affermato, tutti matti?

11. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: SULLA VICENDA DI OFENA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 ottobre 2003. Rossana Rossanda e' nata
a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le
altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come
educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma
la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e
morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana
Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in
giornali e riviste]

Troppe parole, troppa confusione sul crocifisso della scuola di Ofena.
Che ne parli Giovanni Paolo II si capisce: e' convinto che l'Italia sarebbe
migliore se fosse una repubblica cattolica.
Che ne parli il Presidente della Repubblica si capisce meno: non ha molti
poteri, ma ha il dovere di garantire la Costituzione, la quale non conosce
cattolici o ebrei, protestanti o musulmani, ma cittadini puri e semplici,
dei quali rispetta le opzioni religiose senza farne sua nessuna. Capiremmo
di piu' se Carlo Azeglio Ciampi promuovesse, nelle forme che gli sono
consentite, l'abolizione di quel Concordato che non ha piu' ragione di
essere sotto il profilo della liberta' del Vaticano, che nessuno mette in
causa, mentre continua a dare alla religione cattolica privilegi che altre
non hanno.
Una cosa e' sicura: che lo stato italiano uscito dal fascismo e'
aconfessionale. E poiche' la prima sua istituzione con la quale i bambini
italiani hanno a che fare e' la scuola, questa ha da essere aconfessionale.
E' gia' stato uno strappo non da poco che si finanzino direttamente o di
traverso le scuole private, confessionali o no, e che sia passata
tranquillamente la tesi che la fede dei genitori debba entrare nella
formazione di base dei giovani cittadini italiani. Formazione che e'
pubblica, gratuita, statale e laica. E non cessa di esserlo quando gente di
molteplici culture viene a far parte del nostro paese. Anzi. La scuola
dovrebbe insegnare la conoscenza reciproca, in particolare sostituendo a
quel pasticcio diocesano che e' l'ora di religione, un'ora nella quale si
introducono ragazze e ragazzi alle diverse religioni, che sono parte
rilevante della storia umana; ne faciliterebbe il dialogo, che non consiste
soltanto nell'utilizzo di una lingua. E toglierebbe di mezzo ogni tentazione
dei governi di pescare nelle zone torbide delle coscienze dove si annidano
le radici dell'antisemitismo di ieri (ma non si sa mai) e dell'antislamismo
di oggi. Dunque e' normale che si tolga il crocifisso (in Francia non
l'hanno mai messo) ma si insegnino un poco di piu' le religioni: sara' un
buon esercizio anche per esse. Si scoprira' fin dalla scuola che in fondo a
tutte si trova la questione dell'autorita' pubblica e dell'autorita'
religiosa, di Cesare e di Dio: inutile negare la dualita'. E questo sara' un
buon esercizio per la ragione.
Ci auguriamo che si chiuda dunque lo spettacolo di questi giorni, che
echeggia quello nato in Francia a proposito del velo. Anche a Parigi la
confusione si fa grande quando la scuola pretende di buttar fuori dai licei
qualche ragazza velata. Ma e' la scuola che non va col velo, che non
dichiara una fede, ma deve elargire il suo insegnamento laico a tutti gli
alunni e le alunne, col velo o senza, con l'ombelico al vento o senza, con
segni identitari o senza. La laicita' e' soltanto, ma inesorabilmente,
dell'istituzione.
Da noi intanto gli italiani dichiarano per strada e al bar che vogliono
assolutamente quel crocifisso alla parete, senza che nessun telecronista gli
chieda se vanno o non vanno a messa - cosa che quattro su cinque che si
dichiarano cattolici non fanno. Di questa religiosita' e' lecito dubitare.
Mentre assistiamo a una curiosa convergenza fra imam e vescovi i quali
dichiarano, sempre in tv, come qualmente purche' un dio sia appeso su una
parete di scuola e dei pubblici uffici, non importa quale dio sia. Ogni imam
o vescovo pensa naturalmente che il suo dio sia l'unico, ma che nella sua
misericordia capira' i deviati fedeli delle altre chiese. Quel che importa,
come abbiamo visto in tutte le conferenze internazionali sugli
anticoncezionali o i gay o semplicemente la condizione fatta alle donne, e'
che la legislazione si attenga alla fede. L'unico nemico non e' l'altra
religione, e' la laicita'. Dal 1789 ad oggi abbiamo fatto vigorosi passi
indietro.
Quanto ai ragionamenti sul signor Adel Smith che, sollevando il polverone,
avrebbe reso piu' difficile la vita degli immigrati di fede musulmana, ci
siano risparmiate per favore le ipocrisie di destra e di sinistra.
L'immigrato che approda alle nostre amate sponde, se non finisce col
galleggiarci accanto, non e' venuto in cerca di una legittimazione della sua
fede, ma del permesso di soggiorno. E questo noi tutti in coro, Europa
compresa, glielo neghiamo per non avere fastidi.

12. RIFLESSIONE. MARCELLO VIGLI: SULLA VICENDA DI OFENA
[Ringraziamo Marcello Vigli (per contatti: marcvigl at tin.it) per questo
intervento. Marcello Vigli, animatore del comitato "Scuola e Costituzione",
e' una delle piu' limpide figure della cultura democratica italiana]

Potrebbe sembrare strano che, mentre grossi problemi urgono in Italia e nel
mondo, l'opinione pubblica italiana possa essere trascinata a interessarsi
ad una questione obsoleta come la presenza dei crocefissi nelle aule
scolastiche, tornata d'attualita' dopo la sentenza del tribunale
dell'Aquila.
Non appare strano, invece, se privata dei suoi orpelli religiosi e culturali
la si legge nel suo reale significato di questione di potere: potere
mediatico per il genitore islamico, che, sollevandola, ha ottenuto
notorieta', e potere politico per la gerarchia cattolica e per i politici
che ne ricercano l'appoggio. Lo si evince dai fatti.
Non avendo ottenuto la rimozione del crocefisso dall'aula frequentata da suo
figlio, da lui richiesta perche' offensiva della sensibilita' religiosa del
ragazzo, si e' rivolto alla magistratura per contestare il diniego del
dirigente scolastico della scuola. Non si e' rivolto al Tar, competente per
ogni contenzioso con l'amministrazione pubblica, ma al giudice ordinario
trattandosi di lesione della liberta' di coscienza. Il giudice ha accolto il
ricorso ed e' intervenuto"ordinando" al dirigente di rimuovere il crocefisso
in applicazione dell'articolo 700 del Codice civile, che consente di
emettere ordinanze immediatamente esecutive a difesa di diritti
fondamentali. Si e' ispirato alla sentenza n. 439, 1 marzo 2000, della
Sezione IV penale della Corte di Cassazione che, esaminata tutta la materia
riguardante l'esposizione del crocifisso nelle sedi statali ha concluso che
tutte le antiche disposizioni sono in contrasto con i principi
costituzionali di laicita' e di eguaglianza e ledono il diritto alla
liberta' di coscienza in materia religiosa. Il giudice, se non riterra'
giustificato il rinvio, molto probabile, degli atti alla Corte
costituzionale, fara' seguire all'ordinanza una sentenza, che potra' essere
impugnata dal dirigente scolastico.
Su questi fatti si sono scatenate polemiche ingiustificate e pretestuose.
Il vicepremier Fini ha colto l'occasione per l'ennesimo attacco ad un
magistrato che ha solo applicato la legge accogliendo un ricorso di un
cittadino.
La ministra Moratti ha sostanzialmente invitato il dirigente scolastico,
funzionario  alle sue dipendenze, a violare la legge opponendosi
all'ingiunzione del magistrato, che per di piu' gli ha concesso un mese di
tempo. Ha invocato il regio decreto del 1924 che, con le circolari
applicative che ne sono derivate, e' da ritenersi tacitamente abrogato
dall'art. 1 del Protocollo aggiuntivo al Concordato del 1984, che dichiara
esplicitamente annullato il riconoscimento della cattolica come religione di
stato, su cui si era fondato il legislatore fascista. La ministra ignora per
di piu' la citata sentenza della Corte di Cassazione.
Anche il cardinale Ersilio Tonini  promuove la cultura dell'illegalita'
dichiarando su "La Stampa" di domenica 27 che "la scuola altro non e' che
l'aiuto dello Stato ai genitori nell'educazione". La Costituzione dice ben
altro sul carattere istituzionale e sulla funzione della scuola,
emblematicamente rappresentati dall'esistenza dell'obbligo di frequenza,
costituzionalmente sancito per almeno per otto anni. Non si puo' impunemente
affermare che la scuola, fatta salva l'importanza della reciproca
collaborazione, e' un'appendice della famiglia.
L'appello al crocefisso simbolo dell'identita' culturale del popolo italiano
e dell'unita' della nazione non e' meno pretestuoso. Non e' certo simbolo di
unita' il crocefisso a scuola: rifiutato dai cattolici piu' avvertiti
preoccupati per il significato tutto politico assunto dalla sua presenza in
una scuola che dovrebbe apparire oltre che essere pluralista; mal sopportato
dai cristiani evangelici; rifiutato ovviamente dai religiosi non cattolici,
misconosciuto nel suo genuino significato dagli atei disposti da accettarlo
come generico simbolo della sofferenza umana  e umiliato da leghisti e
clericali pronti a brandirlo per le loro crociate.
Il problema non si risolve moltiplicando i simboli religiosi, ma esponendo
la Carta costituzionale l'unico segno in cui, in nome dell'uguaglianza dei
cittadini davanti alla legge, possono riconoscersi anche quanti rifiutano la
laicita' o la considerano un optional e non l'altra faccia della democrazia.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 718 del 31 ottobre 2003