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La nonviolenza e' in cammino. 718
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 718
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 31 Oct 2003 00:10:32 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 718 del 31 ottobre 2003 Sommario di questo numero: 1. Ogni vittima ha il volto di Abele 2. Maria G. Di Rienzo: un kit di sopravvivenza 3. Angela Giuffrida: sulla proposta di Lidia Menapace 4. Sulla vicenda di Ofena 5. Aldo Antonelli: sulla vicenda di Ofena 6. Guido Armellini: sulla vicenda di Ofena 7. Giovanni Colombo: sulla vicenda di Ofena 8. "Noi siamo Chiesa": sulla vicenda di Ofena 9. Alessandro Portelli: sulla vicenda di Ofena 10. Elio Rindone: sulla vicenda di Ofena 11. Rossana Rossanda: sulla vicenda di Ofena 12. Marcello Vigli: sulla vicenda di Ofena 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. OGNI VITTIMA HA IL VOLTO DI ABELE [Riproduciamo ancora una volta un estratto da un comunicato del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo di un anno fa. E' nostra intenzione riproporre ed estendere quest'anno l'iniziativa del 4 novembre di pace, in memoria delle vittime, contro le guerre, le armi e gli eserciti; la nostra iniziativa nonviolenta consiste in una cerimonia silenziosa di deposizione di un omaggio floreale ai monumenti che ricordano le vittime della guerra, in orario diverso e distante dai chiassosi ed offensivi "festeggiamenti" delle forze armate] "Ogni vittima ha il volto di Abele" (Heinrich Boell). 1. Il 4 novembre e' un giorno di lutto, e nelle vicende umane anche l'elaborazione del lutto per coloro che non solo piu' conta. E conta altresi' il ricordo di coloro cui e' stata tolta la vita con la violenza. Non ricordarli sarebbe come volerli cancellare, quasi ucciderli una seconda volta. Chi defini' la prima guerra mondiale con la formula lapidaria "inutile strage" colse un punto decisivo: fu una orribile strage; e - di contro alle retoriche dei potenti che mandarono al macello tanta povera gente - non ebbe alcuna ammissibile utilita', poiche' le stragi non sono mai utili (se non al trionfo del male ed alla sofferenza dell'umanita'), sono stragi e basta, e tutti quelli che pensano che si possa costruire qualcosa dando ad altri la morte commettono uno sciaguratissimo e infame errore di ragionamento, oltre che un abominio morale, che li rende promotori o complici del piu' orrendo dei crimini. La memoria delle vittime e' uno degli elementi su cui e con cui costruire l'impegno per la difesa e la promozione dei diritti umani di tutti gli esseri umani (sulla memoria delle vittime ed anche sui possibili rischi di un uso distorto e strumentale di essa ha scritto pagine indimenticabili Tzvetan Todorov, ad esempio in Memoria del male, tentazione del bene). 2. Ebbene, la ricorrenza del 4 novembre, fine della prima guerra modiale (per l'Italia), e' stata fin qui strumentalizzata proprio dai poteri militari, che in questa giornata, loro si', "festeggiano" le forze armate, cioe' scherniscono quei poveri morti che loro stessi comandi militari hanno fatto morire. Lo troviamo ripugnante. 3. Sic stantibus rebus, non convincono le iniziative subalterne, e non convince il lasciar stare, il far finta di niente. Cosicche' abbiamo pensato (anche sulla base di esperienze del passato) che il 4 novembre non debba essere lasciato come irridente e iniquo monopolio delle gerarchie militari e di quella retorica pseudopatriottica che il dottor Johnson qualche secolo fa definiva "l'ultimo rifugio delle canaglie"; non debba essere lasciato alle loro menzogne ed alla loro propaganda necrofila. 4. di qui la proposta: in quella data le persone e le istituzioni amanti della pace e fedeli al diritto internazionale e alla legalita' costituzionale non permettano che prevalga la sciagurata finzione che la guerra sia bella e che le vittime debbano essere contente di essere state trucidate, ma oppongano alla menzogna la verita', e all'ipocrisia la pieta'. In quella data si ricordino le vittime per affermare che la guerra, del cui orrore la loro morte testimonia, ebbene, la guerra e' un crimine che mai piu' deve darsi. "Ogni vittima ha il volto di Abele" (Heinrich Boell). 2. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: UN KIT DI SOPRAVVIVENZA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Kit di sopravvivenza per attivisti/e (ovvero, come rimanere in gioco il piu' a lungo e nel miglior modo possibile). E' ovvio che l'ingrediente principale, in una ricetta il cui risultato sia un effettivo cambiamento sociale, e' avere un gruppo di persone che si dedichino a tale cambiamento, ma l'altro ingrediente necessario e' sapere come essere efficaci mantenendo la testa sulle spalle. Nessuno dei suggerimenti che vi daro' di seguito e' scolpito nella pietra, ma tutti sono stati gia' usati con successo da gruppi di attivisti/e: scartate quelli che non vi servono, manipolate ed adattate quelli che vi sembrano utili alla vostra situazione ed alle vostre necessita'. * 1. Sottolineate le cose positive Ovvero, tenete gli occhi aperti su quanto di buono accade nella comunita', a causa del vostro lavoro e di quello altrui. Quando notate che vi e' uno spostamento verso una visione piu' decente delle relazioni umane, quando un provvedimento giusto viene preso, quando una lotta nonviolenta ottiene uno dei suoi scopi (fosse anche il minore di tutti), riconoscetelo pubblicamente. Questo motiva le persone a restare nel cammino che hanno intrapreso, le rende piu' disponibili a sostenervi in futuro, e vi distingue da quei gruppi che non sanno fare altro che urlare contro "il nemico". * 2. Enfatizzate i valori del vostro gruppo e cio' che esso si propone di ottenere per la comunita' Mettete in luce che cosa il vostro lavoro desidera ottenere: e' difficile opporsi a qualcuno che si impegna per migliorare la salute pubblica, per avere sicurezza sul posto di lavoro o sulle strade, per avere un ambiente pulito, ecc., perche' ciascun essere umano vuole sperimentare queste cose nella sua vita. I vostri oppositori troveranno quindi piu' arduo contrastarvi, perche' non potranno negare la positivita' dei vostri valori. * 3. Pianificate dei piccoli successi Se i membri del vostro gruppo non sono in grado di vedere un progresso dopo aver dedicato allo scopo molto tempo e molta fatica, il loro interesse e la loro motivazione non dureranno a lungo. Noi sappiamo pero' che un cambiamento significativo e' lento nel suo divenire, e che quando accade e' un punto di non ritorno: ma prima di giungere ad esso vi sono molteplici piccoli spostamenti che dovete imparare a riconoscere e di cui potete nutrirvi. Quando sviluppate i vostri piani d'azione, prevedete quindi delle tappe intermedie, da celebrare adeguatamente nel momento in cui le raggiungete. * 4. Presentate l'istanza nel modo in cui volete che gli altri la vedano Una tecnica comune a chi si oppone al cambiamento, e' il presentare la questione all'interno di una cornice che rende le persone piu' colpite dal problema responsabili del problema stesso. Altrettanto comune, per i gruppi di attivisti, e' rispondere negli stessi termini usati dai loro oppositori, rimanendo quindi incastrati nella medesima cornice. Provate invece a togliere sostegno alla loro prospettiva, riformulando l'istanza a partire dalla vostra. Esempio: "E' sbagliato dare sussidi alle madri povere, sono tutte immigrate o nomadi, e fanno figli al solo scopo di prendere quei soldi". Mi gioco quel che volete: la prima risposta che vi e' venuta in mente e' che nessuna donna puo' trarre vantaggio dalle quattro palanche passate dal Comune, con quello che costano i pannolini, gli alimenti per infanti, eccetera. E' del tutto vero, ma e' la risposta sbagliata, quella in cui ballate alla loro musica. Per cortesia, suonate la vostra: "Queste madri hanno bisogno di sostegno perche' non hanno opportunita' d'impiego, perche' gli asili nido hanno rette esorbitanti, perche' non hanno accesso alla pianificazione familiare, perche' non hanno diritti di cittadinanza, ecc. ecc. E comunque ci dispiace molto sentire che la nascita di un bimbo, una ricchezza per tutta la comunita, viene considerata alla stregua di una disgrazia". * 5. Sviluppate la vostra identita' pubblica Anche se fate parte di un movimento piu' vasto, di un gruppo a rilevanza nazionale, o di una "rete", cercate di modellare in modo riconoscibile, chiaro, non fraintendibile, la vostra immagine pubblica e la vostra scelta nonviolenta. L'essere collegati ad un'organizzazione piu' grande e conosciuta ha vantaggi e svantaggi, poiche' l'opinione pubblica trasferira' su di voi il "positivo" o il "negativo" che attribuisce ad essa. Cio' potrebbe oscurare le istanze per cui lavorate e mettere a rischio la vostra credibilita' come gruppo "indipendente". * 6. Documentate quel che dite Se vi basate su documentazioni non accurate, su informazioni non verificate, e venite colti in fallo, rischiate di danneggiare seriamente la reputazione del vostro gruppo. Quello che dite in pubblico sui "fatti" va vagliato prima di essere detto, e va vagliato di persona. Poniamo il caso che voi affermiate: "I produttori di superalcolici stanno indirizzando ai ragazzini la loro pubblicita'". Un coro scandalizzato di "menzogna, menzogna" vi verra' ululato in risposta. E voi replicherete, dati alla mano: "E allora come mai abbiamo contato tot vostri manifesti pubblicitari sui muri delle scuole medie nella nostra citta', e in quest'altra, e in quest'altra ancora? E perche' la stessa pubblicita' appare in tv proprio un minuto prima del tal programma per ragazzi?". Piu' persone, sentendo questo discorso, dicono: "Gia', e' vero, anch'io ho visto i manifesti, o la pubblicita' in televisione", piu' cresce il sostegno al vostro gruppo. Citate sempre le fonti delle informazioni che date, ed imparate ad esprimerne il contenuto con chiarezza; dovete mostrare che si tratta di qualcosa di piu' di uno sciorinamento di cifre e tabulati: dietro ai numeri ci sono esseri umani che dovete rendere visibili. * 7. Siate appassionati e persistenti Lavorare per il cambiamento sociale e' un cammino in salita, perche' molto spesso le soluzioni ai problemi stanno nell'accettazione di responsabilita' da parte dell'intera comunita', e non solo di pochi attivisti/e. Destare consapevolezza nel maggior numero di persone possibile e' uno dei vostri compiti e, ormai lo sapete bene, non bastano i "dati" e i "fatti" per ottenerla, perche' spesso essi non arrivano a toccare i cuori: solo le emozioni arrivano fin la'. Non temete di mostrare le vostre, la passione dara' energia al vostro movimento e potra' smuovere gli indecisi verso il vostro punto di vista. La persistenza e' un'altra dote che dovete coltivare, perche' solo essa manterra' l'istanza visibile all'opinione pubblica. * 8. Siate preparati a negoziare Pur restando fedeli e onesti rispetto alla vostra visione, siate aperti a piani alternativi, a mediazioni che, pur non rispondendo alla soluzione ideale, possono portarvi piu' vicini al vostro scopo. Oltre ad incoraggiare il sostegno della comunita' nei vostri confronti, questo atteggiamento potrebbe conquistarvi la simpatia di qualche oppositore, e rendere il tavolo di negoziazione piu' sereno. * 9. Non fatevi distrarre I vostri oppositori possono tentare di eliminare il vostro gruppo attaccandone i membri a livello personale, insultandoli mediante interventi sui giornali, o aggredendoli durante una discussione, e cosi' via. Valutate il tipo di attacco, e misurate la vostra risposta attenendovi a cio' che e' importante, ovvero il lavoro che state facendo, l'istanza di cui vi occupate: resistete alla tentazione di rispedire gli insulti al mittente, guardate avanti, a dove volete arrivare. Molto spesso e' piu' produttivo non rispondere affatto, e se venite interrogati sulla faccenda, dire qualcosa del tipo: "Non ho commenti da fare. Se il signore che ha detto questo volesse invece parlare di... saro' sempre disponibile al dialogo". 10. Cercate una base larga di sostegno A sentire i media, o qualche "rivoluzionario di professione", sembra che diventare parte di un gruppo che lavora per il cambiamento sociale sia diventare adepti di una setta ermetica, e porsi automaticamente "contro" qualsiasi istituzione esistente. E' invece molto importante che segmenti chiave della comunita' conoscano la vostra visione, e magari si spostino verso di essa. Quando riuscite ad includere persone che sono "dentro al sistema" nei vostri sforzi per il cambiamento, o quando un'istituzione adotta il vostro punto di vista, state letteralmente volando verso il successo. * 11. Commisurate le azioni alle esperienze dei membri del gruppo Qualsiasi cosa decidete di fare, essa dev'essere in armonia con le esperienze, i valori, gli interessi delle persone che devono farla. Verificate, prima di entrare in un'azione, se tutti si sentono a proprio agio nel portarla avanti. Se l'azione nonviolenta che avete progettato comporta, per dire, il rischio dell'arresto, le persone devono essere adeguatamente preparate ad affrontarlo (in special modo se non sono mai state arrestate prima). 12. Siate creativi e astuti Cogliete ogni occasione per portare gli oppositori sul vostro terreno: oltre a dire cosa non va, mostrate loro che piu' scelte sono possibili. La maggior parte delle corporazioni economiche, per esempio, non pianifica in anticipo la risposta ad un'azione pubblica che denunci le loro azioni, le loro politiche, i loro prodotti; percio', spesso non sanno come replicare all'alternativa inaspettata che presentate loro. 3. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per questo intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002] Le proposte di Lidia Menapace per la costruzione di un'Europa neutrale mi trovano completamente d'accordo. Ritengo anche giusto non considerare la guerra una "calamita' naturale... legata ad immutabili istinti". C'e' da chiedersi, pero', come mai essa sia diventata un'istituzione politico-giuridica ineliminabile, al punto da essere posta "come nuova forma e base del 'diritto'". Se i potenti, anche quelli che si situano a sinistra, non riescono a vedere che "le armi generano solo risposte violente", se la pace resta "una buona intenzione" senza mai trovare pratica realizzazione, se persino il movimento operaio, messo alla prova, finisce per rinnegare la sua "tradizione antimilitarista, neutralista e pacifista", bisogna chiedersi se non sia il sistema concettuale che governa il mondo, centrato su un'esasperata conflittualita', a prevedere, rendere necessaria e giustificare la guerra. Se davvero si vuole formare "una cultura politica radicalmente nonviolenta" ed agire per "conservare, preservare, promuovere" la pace, non si puo' far finta di credere che la guerra sia solo quella armata che oppone i popoli. E' pensabile, infatti, che nazioni che si reggono sul lavoro non pagato delle donne, cioe' sul vergognoso sfruttamento delle madri umane, possano stabilire tra loro relazioni pacifiche, collaborative e nonviolente? E' credibile che siano in grado di improntare i loro rapporti alla democrazia, quando la sorda resistenza ad un possibile empowerment femminile impedisce la realizzazione di una democrazia effettiva, non solo formale, al loro interno? L'affermazione della pace come valore ha alla base il riconoscimento del valore della vita. Che possibilita' ha la pace di affermarsi nel mondo se la parte della specie che da sempre produce la vita e la sostiene, e percio' ha imparato a riconoscerne il valore, e' impossibilitata a decidere le regole del gioco, potendo solo, e solo in minima parte, partecipare ad un gioco gia' stabilito unilateralmente da una componente? L'inclinazione degli uomini a fissare un unico problema, senza ampliare lo sguardo, rende impossibile dare risposte significative agli infiniti problemi che ci affliggono. Nella fattispecie non e' possibile separare la guerra guerreggiata dalla guerra dei sessi senza rendere pregiudizialmente inoperante qualsiasi soluzione si voglia dare al problema, visto che sono le donne a possedere una visione unitaria del reale, basata sulla connessione non sulla disaggregazione e opposizione dei dati. Naturalmente le donne, singolarmente o in gruppo, possono legittimamente fare qualsiasi proposta considerino utile, ma perche' un altro mondo sia davvero possibile e' necessario che, insieme, diano inizio ad un'attenta opera di riconcettualizzazione al di fuori dei parametri maschili. Ricostruire una visione organica del mondo che permetta l'integrazione di se', dell'altro, della natura nella propria mente e' un'operazione urgente ed indispensabile se si vuole dare vita a comunita' equilibrate, centrate sul potere di generare e sostenere la vita, non sul potere di infliggere sofferenze e dare la morte. Sperare che organizzazioni della dominanza, la cui matrice e' costituita da prevaricazione e sfruttamento, possano trasformarsi in sistemi sociali civili attraverso qualche riforma qua e la', e', a mio parere, una pura illusione. L'unica risposta possibile non puo' che essere l'elaborazione di uno stile di pensiero capace di superare la millenaria tradizione intellettuale parziale e riduttiva, attraverso il recupero di quelle prerogative sviluppate dalle madri della specie e divenute la sostanza stessa della civilta'. 4. RIFLESSIONE. SULLA VICENDA DI OFENA Pubblichiamo di seguito alcuni dei molti interventi che anche a noi sono pervenuti sulla vicenda di Ofena, ovvero sull'ordinanza del magistrato dell'Aquila che, accogliendo una legittima istanza di un genitore di fede musulmana di due bambini che frequentano la scuola di quella cittadina, ha disposto che sulle pareti dell'aula scolastica dai bambini frequentata non fosse collocato il simbolo di una religione; decisione che a noi sembra ineccepibile in punto di diritto, e nitidamente coerente col dettato costituzionale. Ci scuseranno i lettori se tutti gli interventi che di seguito pubblichiamo sono, pur muovendo da diversi e talora per piu' versi contrapposti punti di vista, convergenti verso l'affermazione della necessaria laicita' della scuola pubblica italiana che tutti deve accogliere senza discriminazioni; ci sono ovviamente pervenuti anche interventi che nel merito della decisione del tribunale dell'Aquila sostengono la tesi opposta, ma ci e' sembrato che tale posizione abbia gia' grande visibilita' poiche' ha ottenuto il sostegno di grandi mezzi d'informazione, cosicche' per quanto e' in nostro potere abbiamo ritenuto giusto contribuire a riequilibrare la documentazione disponibile dando spazio alle voci che sostengono la tesi che i grandi mass-media tendono a soffocare o travisare e fin caricaturizzare. * Ancora una volta vorremmo sottolineare alcuni concetti: a) che su questioni di coscienza occorre riflettere ed interloquire senza offendere la sensibilita' altrui; non si sta parlando di stupidaggini come lo sport o lo spettacolo, ma dei valori piu' profondi e dei sentimenti piu' intensi di tanti esseri umani; b) che su vicende non solo cosi' emotivamente coinvolgenti, ma che implicano il riferimento alla conoscenza e al rispetto di tradizioni culturali, religiose e giuridiche di straordinaria complessita', atteggiamenti strumentali non sono ammissibili, pareri disinformati e superficiali non hanno valore, l'uso (chiediamo venia: totalitario) di citazioni di autori estrapolate dal contesto e' peggio che inutile, anzi decisamente nocivo (lo diciamo in riferimento alle tante persone buone e che amiamo le quali pensano di dover "prendere posizione" affidandosi a una citazioncella da don Milani o da Gandhi, che nella specifica vicenda sono del tutto fuori luogo, ed alle quali sarebbe fin troppo facile con medesimo scorretto metodo contrapporre non una ma molte citazioni); c) che poiche' si sta parlando della scuola pubblica dello stato italiano vorremmo non si perdesse di vista cosa recita l'articolo 3, comma 1, della Costituzione della Repubblica Italiana (uno dei "principi fondamentali" della nostra Carta): "Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali"; e l'articolo 34, comma primo: "La scuola e' aperta a tutti". * Infine una nota: ci sorprende, tra gli interventi pervenutici, l'assoluta prevalenza di voci maschili in questa riflessione: poiche' nel corso del ventesimo secolo le cose piu' dense e preziose e disvelatrici negli ambiti di riflessione che la vicenda evoca sono state pensate e dette e scritte da donne (nel notiziario di ieri abbiamo segnalato alcuni minimi riferimenti bibliografici propedeutici); forse e' rivelatrice di qualcosa di profondo che rinvia all'oppressione della donna come portato comune delle cristallizzazioni dominanti di molte tradizioni religiose. Anche in questo ambito, ci avviene di pensare, sara' dalla riflessione e dalla prassi delle donne che verra' non solo qualche luce, ma l'inveramento di antiche speranze. 5. RIFLESSIONE. ALDO ANTONELLI: SULLA VICENDA DI OFENA [Attraverso l'amico Domenico Manaresi (per contatti: bon4084 at iperbole.bologna.it) riceviamo e diffondiamo questa lettera, originariamente inviata al commentatore di un quotidiano, di don Aldo Antonelli (per contatti: ednran at tin.it), parroco di Antrosano, costruttore di pace] Permetta che le esprima tutto il mio disappunto per come alcuni rappresentanti della gerarchia hanno reagito alla sentenza del tribunale dell'Aquila. Personalmente non mi ritrovo in nessuna della voci che, in un coro quasi unanime, hanno espresso preoccupazione e sconcerto, in seguito alla sentenza del giudice Montanaro che ordina la rimozione del crocifisso da un'aula della scuola elementare di Ofena. E fa pensare (questa si' che e' una preoccupazione) il dover constatare come nella vasta gamma delle reazioni non ci sia stata una voce, una che fosse una, che esprimesse un approccio dal punto di vista della fede di un credente. Non sono mancate le voci dei cattolici; ma si sa bene che il "cattolicesimo" ormai e', piu' che altro, una categoria sociopolitica che non esprime piu' il proprium di quanti sono animati dalla fede, ma l'identita' di appartenenza ad un ben preciso indirizzo culturale, sociale e politico nel quale il conservatorismo, il tradizionalismo ed anche in certo criptofascismo giocano la loro parte. Nella mai sensibilita' di credente, ritengo che c'e' un solo luogo nel quale il crocifisso possa rivendicare il suo pieno e incontestabile diritto di residenza; ed e' la coscienza del credente. Di la' nessuno mai potra' detronizzarlo. Estrapolato in altri luoghi, siano essi le pareti delle scuole o gli scanni dei tribunali, il crocifisso viene stravolto nel suo simbolismo: da icona di passione, di coinvolgimento nella vita degli uomini e di comunione, diventa simbolo di lotte, rivalita' e divisione. La croce diventa spada; la pena che redime diventa offesa che opprime. Sotto questo aspetto, quindi, la sentenza del tribunale abruzzese lascia pienamente indifferente la mia sensibilita' di credente. Una sensibilita' ben lontana da quella espressa dal popolare detto "lontano dagli occhi, lontano dal cuore". Non penso proprio che il Cristo del Vangelo amerebbe tanto vedersi raffigurato per ogni dove. Anzi... E' proprio dei grandi dittatori allagare ogni spazio con la propria immagine, illudendosi, cosi', di occupare i cuori! Altro, invece, potrebbe essere l'approccio, dal punto di vista storico-culturale. Fossi un musulmano che vive in territori di cultura cristiano-occidentale, insegnerei ai miei figli il rispetto verso questa cultura e verso i simboli nei quali essa si esprime. E su questo e' giusto che si cimentino i rappresentanti delle istituzioni civili e politiche. Ma questo, e mi rivolgo ai vari monsignori di turno, e' tutto un altro discorso. Don Aldo Antonelli, parroco di Antrosano 6. RIFLESSIONE. GUIDO ARMELLINI: SULLA VICENDA DI OFENA [Sempre attraverso Domenico Manaresi riceviamo questo intervento del dicembre 2002 - e quindi antecedente la vicenda in relazione alla quale lo presentiamo - di Guido Armellini (per contatti: gegdmerk at iol.it), membro della Chiesa evangelica metodista di Bologna, aderente al comitato "Scuola e Costituzione"] Nella Prima lettera ai Corinti l'apostolo Paolo definisce "scandalo" e "follia" la croce di Cristo. Queste espressioni sottolineano la radicale incompatibilita' tra la fede, che riconosce la presenza di Dio in un corpo d'uomo sofferente, condannato a una morte ignominiosa, e la sapienza umana, che associa l'idea del divino all'onnipotenza, all'incorporeita', all'imperturbabilita'. Oggi si richiede a gran voce che l'immagine di quell'uomo agonizzante, riprodotta in decine di migliaia di copie fatte in serie, sia affissa nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici, a testimoniare le radici cristiane della nostra cultura. Mi stupisce che i credenti che si fanno latori di questa rivendicazione non si rendano conto che, riducendo l'icona di Cristo in croce a un rassicurante simbolo delle tradizioni codificate e dell'ordine costituito, si finisce per svuotarla del suo carattere sconvolgente, e per falsarne profondamente il significato. Ho insegnato per molti anni (fino all'ultimo concordato) con il brutto crocifisso d'ordinanza, prescritto per tutte le scuole d'Italia come segnacolo della "religione di stato", appeso alle mie spalle. Non mi sono reso conto che questa presenza suscitasse nei miei alunni riflessioni profonde sul destino umano e sul senso della vita. Mi e' sembrato anzi che il depositarsi quotidiano di sguardi distratti degradasse l'immagine sacra al rango di una banale suppellettile, paragonabile agli attaccapanni o alla lavagna, con l'aggravante di non svolgere alcuna funzione pratica. Nessuno si accorgeva che il nostro tran tran didattico scorreva di fronte alla rappresentazione di una tragica agonia. Ridotta a insignificante ornamento standardizzato imposto per legge, la croce di Cristo non aveva piu' nulla di folle o di scandaloso. Ancora piu' grave mi sembra che, da parte delle gerarchie di una chiesa cristiana, si insista sull'identificazione tra quel simbolo e la nostra tradizione culturale. Nessuno puo' negare che l'arte, la letteratura, il pensiero dell'occidente siano profondamente segnati dal cristianesimo. Ma non tutto cio' che si e' compiuto in nome di Cristo e' stato eticamente commendevole, come dimostrano i numerosi mea culpa dell'attuale pontefice. La traccia storica dei dogmi e dei simboli cristiani e' depositata nella Commedia di Dante come nella vicenda delle crociate, nell'opera di Michelangelo come nei roghi della Santa Inquisizione. Per secoli le comunita' ebraiche e le altre minoranze religiose hanno visto nella croce un simbolo di persecuzione piu' che di amore fraterno. E si potrebbe continuare a lungo. Mi sembra insomma che l'esperienza storica dovrebbe aver insegnato a noi cristiani che non e' il caso di identificare i nostri progetti, le nostre imprese, i nostri modelli di societa' con le misteriose intenzioni del Dio nel quale crediamo. Il ricordo di quell'uomo crocefisso dal potere politico e religioso non merita di essere utilizzato come marca identitaria che contrassegna un territorio, bandiera delle ragioni di una cultura contro altre culture: e' un errore che la cristianita' ha compiuto per secoli, da cui ci mettono in guardia voci ed eloquenti silenzi, provenienti dalle zone piu' pensose dello stesso mondo cattolico. 7. RIFLESSIONE. GIOVANNI COLOMBO: SULLA VICENDA DI OFENA [Ringraziamo Giovanni Colombo (per contatti:giovanni.colombo at fastwebnet.it) per questo intervento. Giovanni Colombo e' consigliere comunale di Milano e presidente nazionale della "Rosa Bianca", l'associazione che si richiama ai martiri della Resistenza antinazista e all'insegnamento di Lazzati] Che sia un integralista islamico ad elevarsi a difensore della laicita' dello Stato e' francamente paradossale. E spiega, a mio avviso, la reazione - in alcuni casi altrettanto integralista - di quanti, difendendo l'esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici, ritengono di proteggere se stessi, le proprie abitudini, la propria civilta', che e' civilta', non dimentichiamolo, dalle radici cristiane (non solo ma soprattutto cristiane): da queste radici l'Europa ha tratto linfa per elaborare il concetto di persona e per affermare il principio di tolleranza. "Soltanto una cultura cristiana avrebbe potuto produrre un Voltaire e un Nietzsche" (Thomas S. Eliot, citato nel libro di Giovanni Reale, Radici culturali e spirituali dell'Europa, Raffaello Cortina Editore). In una fase come questa di grande sbandamento etico e culturale, prima ancora che politico e giuridico, io fisserei due punti (il primo da cittadino, il secondo da credente). 1. Lo Stato puo' imporre la presenza nei locali pubblici dei simboli dell'identita' nazionale italiana; puo' imporre la presenza della bandiera tricolore o del ritratto del Presidente della Repubblica che "rappresenta - come la Costituzione stabilisce - l'unita' nazionale"; ma non puo' imporre la presenza di un simbolo religioso, senza contraddire la sua laicita'. Puo' accettarne la presenza quando essa esprima un sentimento condiviso o quanto meno rispettato anche dal non credente. Vige in questo caso la regola dell'unanimita': se qualcuno si oppone, lo si toglie. 2. La trasmissione del Vangelo non avviene per imposizione e il rispetto dell'altro appartiene, prima che al politically correct, al mistero stesso di Dio. I cristiani ormai sanno che il pluralismo religioso dell'Europa di oggi e di domani non e' una provvisoria sfortuna da cui pregare di essere liberati, ma la condizione concreta entro cui dar ragione della propria speranza. Sanno, insomma, che alla spada sguainata da Pietro, Gesu' preferi' il cammino verso la Croce: voler di nuovo rendere obbligatorio cio' che e' il segno radicale della gratuita', delle braccia spalancate verso tutti, sarebbe profondamente anti-evangelico. La Croce non va dunque imposta sul muro delle classi e degli edifici pubblici, e si puo' anche togliere senza tragedie laddove c'e'. In ogni caso, rimane simbolo eterno di liberta' fraterna, cosi' eloquente da accogliere il bisogno di misericordia di chiunque. 8. RIFLESSIONE. "NOI SIAMO CHIESA": SULLA VICENDA DI OFENA [Tramite l'amico Domenico Manaresi riceviamo e diffondiamo questo comunicato del movimento ecclesiale "Noi siamo Chiesa"] I cattolici discutano se e' evangelico rivendicare la presenza del crocifisso nelle scuole. L'improvviso clamore mediatico sulla questione del crocifisso nelle aule scolastiche e' la conseguenza di un'invasione della politica e delle sue strumentalizzazioni su un problema che meriterebbe ben altra serenita' ed equilibrio. Anche i vertici della Conferenza episcopale non hanno saputo astenersi dal partecipare al coro dei rammarichi e delle deplorazioni nei confronti della nota sentenza. Al di la' dell'aspetto giuridico della questione e' piu' che legittimo domandarsi se il crocefisso possa essere veramente "simbolo di valori che stanno alla base dell'identita' italiana" come ha auspicato il presidente Ciampi; ci chiediamo se puo' essere riferimento sia, per esempio, per chi ha condiviso la guerra in Iraq sia per chi l'ha contrastata con ogni forza, sia per chi - come il ministro per le Riforme - si dichiara contro il Concilio Vaticano II sia per chi a questo Concilio si ispira. Anche a scuola il crocifisso non e' certamente simbolo di unita': rifiutato dai cattolici piu' avvertiti preoccupati per il significato tutto politico assunto dalla sua presenza in una scuola che dovrebbe apparire oltre che essere pluralista; mal sopportato dai cristiani evangelici; rifiutato ovviamente dai religiosi non cattolici; misconosciuto nel suo genuino significato dagli atei disposti ad accettarlo come generico simbolo della sofferenza umana; umiliato da leghisti e clericali pronti a brandirlo per le loro crociate. Integralismi e clericalismi si servono della questione del crocefisso mentre molti tra le forze democratiche temono una legittima ed esplicita affermazione di laicita' per non infiammare gli animi. In questa situazione "Noi Siamo Chiesa" ritiene che sarebbe opportuno e quasi doveroso che in tutta la Chiesa si avviasse una riflessione dal punto di vista della testimonianza evangelica sull'opportunita' della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche ed in ogni sede pubblica. Questa riflessione dovrebbe accompagnarsi con una rinnovata volonta' di dialogo ecumenico ed interreligioso. Questo dialogo non puo' farsi limitare dalla richiesta pregiudiziale che molti fanno di maggiore liberta' religiosa in certi paesi musulmani; cio' non significa ovviamente timidezza nella denuncia delle illiberta' fondate su interpretazioni di comodo del Corano. Da parte nostra pensiamo che un esame pacato del carattere laico delle istituzioni della Repubblica, della Costituzione e dello stesso Concordato del 1984 dovrebbe concludere per il superamento della normativa fascista del 1924. Ma soprattutto siamo convinti che il ricordo di Cristo, uomo crocifisso dal potere politico e religioso del tempo, non merita di essere utilizzato come bandiera delle ragioni di una cultura contro altre culture: e' un errore che la cristianita' ha compiuto per secoli e da cui mettono in guardia anche voci ed eloquenti silenzi provenienti dalle aree piu' pensose del mondo cattolico. 9. RIFLESSIONE. ALESSANDRO PORTELLI: SULLA VICENDA DI OFENA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 ottobre 2003. Alessandro Portelli e' prestigioso studioso della cultura americana e della cultura popolare, docente universitario, saggista, militante democratico. Tra le opere di Alessandro Portelli segnaliamo particolarmente L'ordine e' gia' stato eseguito, Donzelli, Roma 1999] Tre osservazioni sulla vicenda del crocifisso nelle scuole. Primo: e' difficile per noi euroccidentali perdere il vizio di scambiare la nostra parte con il tutto. Su "Repubblica" del 29 ottobre, l'intellettuale italiano che ammiro di piu' fa un elenco di paesi che hanno la croce nella bandiera - Svezia, Norvegia, Svizzera, Nuova Zelanda, Malta, Islanda, Grecia, Finlandia, Danimarca, Australia, Gran Bretagna - e ne conclude che "la croce e' diventata un simbolo universale". Sarebbe stato piu' convincente se avesse potuto menzionare qualche croce anche in qualche bandiera asiatica o africana; dopo tutto, anche questi continenti fanno parte dell'universo, anzi e' li' che vive la maggior parte della popolazione del pianeta. Per di piu', poche righe sopra troviamo un elenco analogo di paesi nelle cui bandiere appare la mezzaluna. Sono altrettanto numerosi e coprono almeno altrettanti esseri umani: Algeria, Libia, Maldive, Mauritania, Malesia, Singapore, Turchia, Tunisia. Ma questo non lo ha indotto a concludere che anche la mezzaluna e' un simbolo universale. Ha ragione, ma perche' in un caso no e nell'altro si'? Forse perche' i simboli universali non possono essere due, ce ne vuole sempre uno solo, e alla fine chi decide chi e' universale e chi non lo e' e' chi dispone di piu' cannoni. Ma non staremmo tutti meglio se tutti la smettessero di voler universalizzare la propria parzialita'? E comunque: in quelle bandiere ci sono le croci, non il crocefisso. E sulla bandiera italiana non c'e' ne' l'uno ne' l'altro. Secondo: e' difficile per il Vaticano imparare a riconoscere il limite fra cio' che appartiene alla sua giurisdizione e cio' che ne resta fuori. Leggo sempre sullo stesso giornale che l'"Osservatore romano" annuncia: "la croce non ce la faremo togliere". Benissimo - infatti, nessuno vuole toglierla a loro, sono loro che vogliono continuare ad imporla a noi. Nemmeno Adel Smith propone di togliere le croci dalle chiese e dai conventi, o di negare a chiese e conventi il diritto di cittadinanza e il diritto di esporre liberamente quello che vogliono; e, a differenza dei francesi che vietano alle studentesse islamiche di indossare il chador, nessuno sta proponendo di vietare l'ingresso nelle scuole pubbliche a studenti cristiani (o modaioli) che indossano spille o catene con croci e crocifissi. Il rispetto per la liberta', per la religione, per i suoi simboli, per la sua presenza nella cultura e nella storia di questo paese questo lo impone; ma qui si ferma. Quando il Vaticano dice "la croce non ce la faremo togliere" parla invece come se le scuole della repubblica fossero di sua proprieta'; come se si sentisse rispettato solo quando domina e si espande. E' il caso che qualcuno gli ricordi che non e' cosi'. Terzo. E' una vita che vado dicendo che dagli Stati Uniti noi imitiamo sempre il peggio e mai le cose piu' civili (per esempio: nessuno prende a modello gli Usa quando si parla di limiti di velocita' sulle autostrade...). Ora, nessuno puo' negare che gli Stati Uniti siano un paese intriso di religiosita', certe volte pure troppo; tuttavia, negli Stati Uniti, per motivi costituzionali, e' strettamente vietata l'esposizione nelle scuole e negli uffici pubblici di croci o crocifissi o di qualunque altro simbolo religioso. Naturalmente, c'e' chi non e' d'accordo; ma a volte il principio va tenuto fermo anche contro l'immediatezza del senso comune: dopo tutto, anche il senso comune e' una formazione storica e quindi mutevole. E la separazione fra Stato e Chiesa e' negli Stati Uniti un principio che, per quanto la destra repubblicana si affanni a eroderlo, regge tuttora e non procura nessuna guerra di religione ne' accuse di intolleranza. Aggiungerei che il dettato costituzionale americano non fu mosso affatto da spirito antireligioso, ma dal riconoscimento del fatto che il paese era talmente religioso che vi esistevano gia' allora molte chiese diverse e spesso conflittuali fra loro, per cui l'esclusione dei simboli religiosi serviva a garantire i diritti di tutti, evitando che si potesse costituire nel paese una chiesa di stato a scapito delle altre. E' precisamente quello che avviene invece in Italia: in astratto, o al posto che gli compete, il crocifisso puo' esprimere una gamma di valori spirituali o morali di grande importanza; ma il linguaggio stesso del Vaticano suggerisce che qui non si tratta di questo, ma soprattutto di marcare il territorio con la sovranita' suprema di una chiesa sola. Ne' mi sembra convincente l'argomento per cui in molti paesi a prevalenza musulmana i simboli religiosi vengono esposti abbondantemente, e ad esclusione di altri. Ora, a parte che anche per i simboli musulmani valgono gli stessi argomenti (esprimono spiritualita', sono radicati nella storia dei rispettivi paesi...), io penso che i paesi che si comportano cosi' fanno male, e non vedo perche' proprio su questo dobbiamo prenderli a modello, adeguarci all'Arabia Saudita e non agli Stati Uniti. Se vogliamo favorire la crescita del pluralismo e della democrazia nel mondo islamico, la differenza laica e democratica dell'Occidente sara' un esempio molto piu' utile che non uno spirito meschino. 10. RIFLESSIONE. ELIO RINDONE: SULLA VICENDA DI OFENA [Ringraziamo Elio Rindone (per contatti: e.rindo at infinito.it) per questo intervento. Elio Rindone e' docente di storia e filosofia a Roma, fa parte dell'Associazione nazionale docenti, tiene sovente appassionanti seminari; e' autore di perspicui libri e saggi di argomento teologico e filosofico. L'amara e caustica conclusione di questo articolo fa riferimento alla sprezzante e ignobile definizione che Francesco Cossiga diede di eroici magistrati impegnati nella lotta contro la mafia (come il martire Rosario Livatino), a infami e buffonesche dichiarazioni di politicanti superfetate in questi giorni, ed alle oscene ed eversive dichiarazioni eruttate questa estate dell'attuale vulcanico presidente del consiglio dei ministri] I politici di centrodestra in maniera compatta (a cui si sono uniti, per la verita' con toni meno esasperati, non pochi rappresentanti del centrosinistra) non potevano lasciarsi sfuggire un'occasione cosi' ghiotta per ergersi a difesa dell'identita' cristiana del nostro Paese e scatenare la solita gazzarra contro la magistratura: come si permette un giudice di provincia di opporsi ad una legge dello Stato che impone l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche? Se prima di rendere pubblici i loro arroganti giudizi di condanna si fossero presi la briga di documentarsi, pero', i nostri loquaci onorevoli avrebbero scoperto che col "nuovo Concordato" del 1984 e' stato abolito l'articolo che proclamava religione di Stato quella cattolica. E' stato cosi' riconosciuto il carattere laico dello Stato italiano, carattere che e' stato considerato dalla Corte costituzionale "principio supremo" della nostra Costituzione (sentenza 203/1989). La Cassazione, percio', ha dichiarato (sentenza della IV sezione penale 429/2000) che le vecchie disposizioni riguardanti l'esposizione del crocifisso nelle sedi statali contrastano con i principi costituzionali di laicita' e di eguaglianza e ledono il diritto alla liberta' di coscienza in materia religiosa. La questione, quindi, era stata gia' affrontata da tempo dalle piu' alte magistrature ed era stata risolta in maniera coerente con la nostra Costituzione. Se si passa poi dal punto di vista giuridico a quello religioso, c'e' solo da rallegrarsi per l'ordinanza del Tribunale dell'Aquila, utile occasione per rinnovare la consapevolezza che il Vangelo interpella la coscienza di ogni uomo e non puo' essere ridotto a un'etichetta che caratterizza l'identita' di un popolo. Simbolo dell'identita' italiana e' la bandiera tricolore e non il crocifisso che, per i credenti, ha un ben preciso significato religioso e non dev'essere degradato a banale suppellettile, su cui si posano sguardi resi indifferenti dall'assuefazione. Nelle circostanze che hanno dato luogo all'attuale polemica c'e' da rammaricarsi, semmai, soltanto per il fatto che il problema del rispetto della laicita' dello Stato non sia stato sollevato dagli stessi cattolici italiani. La prevedibile reazione dei politici (sedicenti) liberal-democratici sembra dunque spiegabile solo con due motivazioni, non particolarmente nobili: compiacere l'elettorato cattolico piu' facilmente condizionato dai media e proseguire nell'opera di delegittimazione della magistratura. Dai giudici ragazzini a quelli di provincia in cerca di notorieta': non e' ormai assodato che i magistrati sono tutti inaffidabili, anzi, come e' stato autorevolmente affermato, tutti matti? 11. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: SULLA VICENDA DI OFENA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 ottobre 2003. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Troppe parole, troppa confusione sul crocifisso della scuola di Ofena. Che ne parli Giovanni Paolo II si capisce: e' convinto che l'Italia sarebbe migliore se fosse una repubblica cattolica. Che ne parli il Presidente della Repubblica si capisce meno: non ha molti poteri, ma ha il dovere di garantire la Costituzione, la quale non conosce cattolici o ebrei, protestanti o musulmani, ma cittadini puri e semplici, dei quali rispetta le opzioni religiose senza farne sua nessuna. Capiremmo di piu' se Carlo Azeglio Ciampi promuovesse, nelle forme che gli sono consentite, l'abolizione di quel Concordato che non ha piu' ragione di essere sotto il profilo della liberta' del Vaticano, che nessuno mette in causa, mentre continua a dare alla religione cattolica privilegi che altre non hanno. Una cosa e' sicura: che lo stato italiano uscito dal fascismo e' aconfessionale. E poiche' la prima sua istituzione con la quale i bambini italiani hanno a che fare e' la scuola, questa ha da essere aconfessionale. E' gia' stato uno strappo non da poco che si finanzino direttamente o di traverso le scuole private, confessionali o no, e che sia passata tranquillamente la tesi che la fede dei genitori debba entrare nella formazione di base dei giovani cittadini italiani. Formazione che e' pubblica, gratuita, statale e laica. E non cessa di esserlo quando gente di molteplici culture viene a far parte del nostro paese. Anzi. La scuola dovrebbe insegnare la conoscenza reciproca, in particolare sostituendo a quel pasticcio diocesano che e' l'ora di religione, un'ora nella quale si introducono ragazze e ragazzi alle diverse religioni, che sono parte rilevante della storia umana; ne faciliterebbe il dialogo, che non consiste soltanto nell'utilizzo di una lingua. E toglierebbe di mezzo ogni tentazione dei governi di pescare nelle zone torbide delle coscienze dove si annidano le radici dell'antisemitismo di ieri (ma non si sa mai) e dell'antislamismo di oggi. Dunque e' normale che si tolga il crocifisso (in Francia non l'hanno mai messo) ma si insegnino un poco di piu' le religioni: sara' un buon esercizio anche per esse. Si scoprira' fin dalla scuola che in fondo a tutte si trova la questione dell'autorita' pubblica e dell'autorita' religiosa, di Cesare e di Dio: inutile negare la dualita'. E questo sara' un buon esercizio per la ragione. Ci auguriamo che si chiuda dunque lo spettacolo di questi giorni, che echeggia quello nato in Francia a proposito del velo. Anche a Parigi la confusione si fa grande quando la scuola pretende di buttar fuori dai licei qualche ragazza velata. Ma e' la scuola che non va col velo, che non dichiara una fede, ma deve elargire il suo insegnamento laico a tutti gli alunni e le alunne, col velo o senza, con l'ombelico al vento o senza, con segni identitari o senza. La laicita' e' soltanto, ma inesorabilmente, dell'istituzione. Da noi intanto gli italiani dichiarano per strada e al bar che vogliono assolutamente quel crocifisso alla parete, senza che nessun telecronista gli chieda se vanno o non vanno a messa - cosa che quattro su cinque che si dichiarano cattolici non fanno. Di questa religiosita' e' lecito dubitare. Mentre assistiamo a una curiosa convergenza fra imam e vescovi i quali dichiarano, sempre in tv, come qualmente purche' un dio sia appeso su una parete di scuola e dei pubblici uffici, non importa quale dio sia. Ogni imam o vescovo pensa naturalmente che il suo dio sia l'unico, ma che nella sua misericordia capira' i deviati fedeli delle altre chiese. Quel che importa, come abbiamo visto in tutte le conferenze internazionali sugli anticoncezionali o i gay o semplicemente la condizione fatta alle donne, e' che la legislazione si attenga alla fede. L'unico nemico non e' l'altra religione, e' la laicita'. Dal 1789 ad oggi abbiamo fatto vigorosi passi indietro. Quanto ai ragionamenti sul signor Adel Smith che, sollevando il polverone, avrebbe reso piu' difficile la vita degli immigrati di fede musulmana, ci siano risparmiate per favore le ipocrisie di destra e di sinistra. L'immigrato che approda alle nostre amate sponde, se non finisce col galleggiarci accanto, non e' venuto in cerca di una legittimazione della sua fede, ma del permesso di soggiorno. E questo noi tutti in coro, Europa compresa, glielo neghiamo per non avere fastidi. 12. RIFLESSIONE. MARCELLO VIGLI: SULLA VICENDA DI OFENA [Ringraziamo Marcello Vigli (per contatti: marcvigl at tin.it) per questo intervento. Marcello Vigli, animatore del comitato "Scuola e Costituzione", e' una delle piu' limpide figure della cultura democratica italiana] Potrebbe sembrare strano che, mentre grossi problemi urgono in Italia e nel mondo, l'opinione pubblica italiana possa essere trascinata a interessarsi ad una questione obsoleta come la presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche, tornata d'attualita' dopo la sentenza del tribunale dell'Aquila. Non appare strano, invece, se privata dei suoi orpelli religiosi e culturali la si legge nel suo reale significato di questione di potere: potere mediatico per il genitore islamico, che, sollevandola, ha ottenuto notorieta', e potere politico per la gerarchia cattolica e per i politici che ne ricercano l'appoggio. Lo si evince dai fatti. Non avendo ottenuto la rimozione del crocefisso dall'aula frequentata da suo figlio, da lui richiesta perche' offensiva della sensibilita' religiosa del ragazzo, si e' rivolto alla magistratura per contestare il diniego del dirigente scolastico della scuola. Non si e' rivolto al Tar, competente per ogni contenzioso con l'amministrazione pubblica, ma al giudice ordinario trattandosi di lesione della liberta' di coscienza. Il giudice ha accolto il ricorso ed e' intervenuto"ordinando" al dirigente di rimuovere il crocefisso in applicazione dell'articolo 700 del Codice civile, che consente di emettere ordinanze immediatamente esecutive a difesa di diritti fondamentali. Si e' ispirato alla sentenza n. 439, 1 marzo 2000, della Sezione IV penale della Corte di Cassazione che, esaminata tutta la materia riguardante l'esposizione del crocifisso nelle sedi statali ha concluso che tutte le antiche disposizioni sono in contrasto con i principi costituzionali di laicita' e di eguaglianza e ledono il diritto alla liberta' di coscienza in materia religiosa. Il giudice, se non riterra' giustificato il rinvio, molto probabile, degli atti alla Corte costituzionale, fara' seguire all'ordinanza una sentenza, che potra' essere impugnata dal dirigente scolastico. Su questi fatti si sono scatenate polemiche ingiustificate e pretestuose. Il vicepremier Fini ha colto l'occasione per l'ennesimo attacco ad un magistrato che ha solo applicato la legge accogliendo un ricorso di un cittadino. La ministra Moratti ha sostanzialmente invitato il dirigente scolastico, funzionario alle sue dipendenze, a violare la legge opponendosi all'ingiunzione del magistrato, che per di piu' gli ha concesso un mese di tempo. Ha invocato il regio decreto del 1924 che, con le circolari applicative che ne sono derivate, e' da ritenersi tacitamente abrogato dall'art. 1 del Protocollo aggiuntivo al Concordato del 1984, che dichiara esplicitamente annullato il riconoscimento della cattolica come religione di stato, su cui si era fondato il legislatore fascista. La ministra ignora per di piu' la citata sentenza della Corte di Cassazione. Anche il cardinale Ersilio Tonini promuove la cultura dell'illegalita' dichiarando su "La Stampa" di domenica 27 che "la scuola altro non e' che l'aiuto dello Stato ai genitori nell'educazione". La Costituzione dice ben altro sul carattere istituzionale e sulla funzione della scuola, emblematicamente rappresentati dall'esistenza dell'obbligo di frequenza, costituzionalmente sancito per almeno per otto anni. Non si puo' impunemente affermare che la scuola, fatta salva l'importanza della reciproca collaborazione, e' un'appendice della famiglia. L'appello al crocefisso simbolo dell'identita' culturale del popolo italiano e dell'unita' della nazione non e' meno pretestuoso. Non e' certo simbolo di unita' il crocefisso a scuola: rifiutato dai cattolici piu' avvertiti preoccupati per il significato tutto politico assunto dalla sua presenza in una scuola che dovrebbe apparire oltre che essere pluralista; mal sopportato dai cristiani evangelici; rifiutato ovviamente dai religiosi non cattolici, misconosciuto nel suo genuino significato dagli atei disposti da accettarlo come generico simbolo della sofferenza umana e umiliato da leghisti e clericali pronti a brandirlo per le loro crociate. Il problema non si risolve moltiplicando i simboli religiosi, ma esponendo la Carta costituzionale l'unico segno in cui, in nome dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, possono riconoscersi anche quanti rifiutano la laicita' o la considerano un optional e non l'altra faccia della democrazia. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 718 del 31 ottobre 2003
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