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La nonviolenza e' in cammino. 717
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 717
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 29 Oct 2003 22:51:29 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 717 del 30 ottobre 2003 Sommario di questo numero: 1. Il 4 novembre per la pace 2. Giobbe Santabarbara: un altro 4 novembre, non ipocrita e non subalterno 3. Maria G. Di Rienzo: coalizioni, come mantenerle in vita 4. Uri Avnery: il ghetto nel muro 5. Luciano Bonfrate: sulla proposta di Lidia Menapace 6. Severino Vardacampi: amicus Plato 7. Enzo Mazzi: il segno della croce 8. Riletture: Hannah Arendt, il concetto d'amore in Agostino 9. Riletture: Assia Djebar, Lontano da Medina 10. Riletture: Raissa Maritain, Diario di Raissa 11. Riletture: Fatema Mernissi, Islam e democrazia 12. Riletture: Antonietta Potente, Un tessuto di mille colori 13. Riletture: Rosemary Ruether, Per una teologia della liberazione della donna, del corpo, della natura 14. Riletture: Edith Stein, La scelta di Dio 15. Riletture: Simone Weil, Lettera a un religioso 16. Riletture: Mary Hunt, Rosino Gibellini (a cura di), La sfida del femminismo alla teologia 17. Riletture: AA. VV., Donne e religioni. Il valore delle differenze 18. Riletture: AA. VV., E' l'ora delle religioni. La scuola e il mosaico delle fedi 19. La "Carta" del Movimento Nonviolento 20. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. IL 4 NOVEMBRE PER LA PACE [Riproduciamo ancora una volta un estratto da un comunicato del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo di un anno fa. E' nostra intenzione riproporre ed estendere l'iniziativa quest'anno] "Ogni vittima ha il volto di Abele" (Heinrich Boell). Abbiamo promosso l'idea che il 4 novembre in tutta Italia si realizzino cerimonie di commemorazione per le vittime di tutte le guerre da parte delle istituzioni, delle associazioni e delle persone impegnate per la pace e la nonviolenza. Cerimonie semplici e silenziose, di cordoglio sincero, di profonda austerita' e di rigoroso impegno al rispetto e alla promozione della dignita' umana di tutti gli esseri umani. Di solidarieta' dell'umanita' intera contro la violenza e la morte. Di opposizione alla guerra e ai suoi apparati. Un 4 novembre che nel ricordo di tutte le vittime delle guerre sia anche monito ed impegno contro le guerre presenti e future, contro tutte le violenze e contro tutti gli strumenti di morte. Un 4 novembre che non deve piu' essere strumentalizzato dai comandi militari che con il loro lavorare per la guerra e inneggiare alla guerra irridono oscenamente le vittime delle guerre; ma divenire giornata di lutto e di memoria, e di solenne impegno affinche' mai piu' degli esseri umani perdano la vita a causa di guerre, affinche' mai piu' si facciano guerre. "Ogni vittima ha il volto di Abele" (Heinrich Boell). 2. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: UN ALTRO QUATTRO NOVEMBRE, NON IPOCRITA E NON SUBALTERNO Ricorrendo il 4 novembre l'anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, varie persone impegnate per la pace - ed anche amici carissimi da cui tanto abbiamo imparato - pensano di doversi presentare in sparutissimi gruppi alle celebrazioni militari per dare volantini, inalberare cartelli, sventolar vessilli arcobaleno, esporsi al rischio di esser pretesto e scaturigine di indecenti schiamazzi in una situazione in cui si fa memoria di innumerevoli vittime, ed a tutti e' richiesta quindi la massima compostezza. E' un errore, un errore di subalternita'. Poiche' quale e' il messaggio che ne deduce chi osserva (poiche' quando si manifesta, si manifesta affinche' altri veda e pensi)? Che i pacifisti guastano le altrui cerimonie (e una cerimonia di commemorazione di caduti), che i pacifisti sono quattro gatti consapevoli di esserlo, che i pacifisti non sanno rispettare la dignita' altrui e la serieta' delle occasioni solenni; nella migliore delle ipotesi: che i pacifisti sono quella minimissima minoranza in cerca di pubblicita' che approfitta delle iniziative altrui e vi si scava la sua nicchia, e che purche' non disturbi il manovratore e si limiti a far colore sulla piazza viene paternalisticamente recuperata e quindi neutralizzata. Non e' questo il messaggio da dare. Il messaggio da dare e' che il 4 novembre deve esere ricordo delle vittime della guerra, e questo ricordo non puo' essere affidato a quelle strutture che quelle vittime hanno assassinato: gli eserciti tutti. Il messaggio da dare e' che i pacifisti non sono affatto una minoranza di guastafeste o di anime belle confuse; bensi' consapevoli portatori di valori che la stessa Costituzione italiana afferma, e rappresentativi della volonta' di vita e dialogo dell'intera umanita'. Sono i poteri militari ad essere l'arcaico inaccettabile residuo di una troppo lunga epoca di barbarie che avrebbe dovuto essere finita per sempre sotto il lampo sinistro dell'orrore assoluto di Hiroshima. * Di qui l'iniziativa "Ogni vittima ha il volto di Abele" che a Viterbo abbiamo gia' realizzato lo scorso anno e quest'anno ripeteremo. Noi ricorderemo le vittime della guerra, noi renderemo loro omaggio il 4 novembre in silenzio e austerita', con una nostra cerimonia di deposizione di un omaggio floreale dinanzi al loro sacrario, in assoluto silenzio, in orario diverso e lontano da quello dell'ipocrita rumorosa sagra degli eserciti assassini. Questo significa la nostra posizione ed iniziativa nonviolenta: che non gli eserciti assassini hanno diritto a render omaggio alle loro vittime, ma chi alle guerre si oppone e quelle vite avrebbe voluto salvare; che solo chi e' costruttore di pace e si batte affinche' mai piu' si diano guerre puo' ricordare le vittime delle guerre senza offenderle ancora. E nel ricordo delle vittime delle guerre corroborare un impegno di pace e di nonviolenza. * Noi pensiamo che perseverando in questa azione rigorosamente nonviolenta anno dopo anno riusciremo a rendere sempre piu' partecipate le nostre iniziative di memoria, e rendere sempre piu' evidente l'ipocrisia e l'immoralita' dei militari scandalosamente in festa innanzi alle tombe delle vittime loro. Noi pensiamo che, perseverando in questa azione rigorosamente nonviolenta e sempre piu' persuadendo altre persone ad unirsi a noi, il 4 novembre possa e debba diventare, da oscena festa delle forze armate assassine, giornata di memoria e di impegno per la pace, e celebrazione infine del superamento e quindi dell'abolizione dell'istituzione militare. Superamento ed abolizione gia' oggi possibili con la realizzazione del programma costruttivo della difesa popolare nonviolenta, dei corpi civili di pace, con quella "Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta" cui in molti in varie forme si sta gia' lavorando, e che e' merito del movimento delle donne e segnatamente di Lidia Menapace aver tematizzato e proposto con grande tenacia e lucidita'. 3. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: COALIZIONI, COME MANTENERLE IN VITA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Supponiamo che la vostra coalizione stia lavorando bene, proprio come avevate sperato. Ha una struttura stabile, ha sostegno nella comunita', e si propone una crescente lista di scopi da raggiungere. Congratulazioni. Ma non posso permettervi di crogiolarvi a lungo negli applausi: c'e' ancora del lavoro da fare, quello per mantenere in vita la vostra creazione. * Perche' e' importante? Perche' per costruire la coalizione avete speso abilita', sensibilita', tempo, pazienza, e fiducia; perche' avete tirato fuori il meglio da voi stessi, ma il vero lavoro comincia proprio ora, quando la vostra creatura inizia a reggersi sui propri piedi. Per avere successo, la coalizione dev'essere in salute; per essere in salute, ha bisogno della vostra "manutenzione". Questo concetto, lo so, non e' molto familiare all'attivismo italiano. Lo sforzo, da noi, si concentra nell'arrivare al costruire il "tavolo", poi ci si vanta delle 200 sigle, non si presta alcuna attenzione a come queste sigle stanno insieme, e (se va bene) tutto quello che si riesce a produrre sono comunicati roboanti. Quindi, rifletteteci: la maggior parte dei macchinari necessita di lubrificazione, o di pulitura, ad intervalli regolari; le pareti delle case hanno bisogno ogni tanto di essere ridipinte, le automobili di essere revisionate, i corpi umani ed animali di visite mediche, ecc. La tecnologia puo' produrre oggetti che hanno scarso bisogno di cura: che so, un'auto che necessiti di essere revisionata solo dopo aver compiuto 100.000 chilometri. Ma nessuna coalizione fara' tanta strada senza cure. Nelle relazioni umane, e nel lavoro per il cambiamento sociale, non siamo arrivati al punto in cui la manutenzione non e' necessaria, e molto probabilmente non ci arriveremo mai. Un rinnovamento ciclico, conscio e deliberato, e' necessario per avere un'organizzazione sana: se cominciate a dare la vostra coalizione per scontata, quello e' il momento in cui essa comincera' a decadere. * Cosa necessita di manutenzione? In primo luogo le strutture chiave: le relazioni e le funzioni che hanno contribuito a crearla. E subito dopo la ragion d'essere della coalizione (la sua visione, la sua missione, i suoi scopi); il metodo decisionale e le regole che vi siete dati rispetto a rappresentanza, divisione del lavoro, tipologie d'azione; la corrispondenza fra mezzi e fini; la pianificazione a breve e a lungo termine; la verifica sulla raccolta e la necessita' di fondi; la visibilita' ed il sostegno nella comunita'. Ultimo, ma basilare: lo "spirito" della coalizione, ovvero il piacere, oltre che la volonta', di lavorare insieme: se riuscite a mantenere buone relazioni fra tutti coloro che sono coinvolti ottenete una condizione fondamentale perche' la coalizione continui ad esistere. * Come lo si fa, praticamente? Bene, prima di procedere condividiamo una verita': la maggior parte delle coalizioni (e dei gruppi di attivisti) non si impegna affatto nel lavoro di "cura". Le persone possono non essere consapevoli della sua necessita', o trovarlo inutile, non prioritario, noioso; possono essere (o percepirsi) talmente indaffarate e pressate dalle urgenze da giudicarlo una fatica in pia'. Possono, inoltre, evitarlo perche' non sanno come farlo. Non e' che una coalizione non possa sopravvivere senza manutenzione: puo', per un determinato periodo di tempo, affidarsi all'onda dell'emotivita' o dell'attenzione mediatica sulle questioni che vuole risolvere, e quando emotivita' ed attenzione vanno calando (e cio' accade inevitabilmente) puo' resistere per inerzia ancora un altro periodo. Poi si sfascia, o diventa un contenitore vuoto. Se decidete di impegnarvi nella manutenzione dovete sapere questo: e' sul lungo periodo che vedrete i suoi benefici, soprattutto sulla qualita' e sulla quantita' degli scopi che riuscirete a raggiungere. Il primo passo del processo di cura prende forma dentro di voi: ovvero, dovete sviluppare la consapevolezza che esso e' necessario, e subito dopo prendere la decisione di impegnarvi in esso. Questo primo passo, anche se cio' puo' apparirvi strano, e' in effetti il piu' difficile e duro dell'intera faccenda, ma quando lo avrete compiuto (come individui o come gruppo) esso vi portera' avanti sul cammino molto velocemente. * Disegnare un piano di cura L'assunto di base e' che la pianificazione vi aiutera' a prevenire i momenti di crisi, e che avendo disegnato un piano non agirete pressati dall'urgenza o magari dal caos in cui la coalizione e' precipitata. Il piano puo' essere sviluppato dall'intera coalizione in assemblea plenaria, o da un sottogruppo formato allo scopo (usualmente quest'ultimo funziona meglio, e l'assemblea detta le linee guida generali, lasciando ad esso il resto del lavoro). Rivedete le priorita' che vi ho segnalato al secondo punto (Cosa necessita di manutenzione?) e fate attenzione a non scambiare la cura con la ricerca di capri espiatori ove verifichiate che qualcosa, o piu' di qualcosa, non sta funzionando. Rendere il piano eccessivamente informale significhera' che nessuno o quasi vi prestera' attenzione, renderlo eccessivamente formale produrrebbe una rigidita' di cui non avete bisogno: cercate una via di mezzo, incorporando il piano nella ragion d'essere della coalizione. Potrebbe trattarsi di una scadenza fissa (ogni tre mesi, ogni sei, ecc.) in cui all'ordine del giorno aggiungete un punto di verifica da discutere alla fine, ovvero il rispondere liberamente a una domanda (o a piu' domande, dipende da quanto tempo avete e dallo stato di salute della coalizione), ad esempio: nel lavoro fino a qui svolto abbiamo tenuto insieme i nostri fini e i nostri mezzi? Ovviamente non tutti i punti hanno bisogno di essere verificati con la stessa frequenza, ed il piano in ultima analisi dipende dalla natura, dalla storia, dalla composizione e dagli scopi della coalizione. Se l'idea vi sorride, potreste includere nel piano una giornata particolare, una sorta di festa/verifica da tenersi all'aperto, in un parco o in un bosco, al termine della vostra attivita' annuale (che solitamente cade in estate, no?): momenti come questi sono assai formativi rispetto alla capacita' di comunicare e di avere relazioni. Non abbiate paura di includere nelle domande relative alla manutenzione queste due: Siamo felici di quello che abbiamo deciso sino ad ora? Stiamo bene insieme? Lo so, maneggiare i sentimenti, dare loro diritto di cittadinanza, e' un'altra cosa che gli attivisti in Italia evitano con scrupolosa cura (a causa di un malinteso senso di "adultita'", direbbe Mafalda) subendo, con una pervicacia masochista che per me ha dell'incredibile, tutti i contraccolpi negativi di questo atteggiamento: azioni che non riescono, gruppi e coalizioni che si sciolgono senza aver concluso nulla, attivisti che scompaiono. Se arrivate al momento di verifica in uno stato di tensione (ci sono stati scontri all'interno della coalizione, alcuni membri non si fanno piu' vedere, e cosi' via), potreste prendere in considerazione l'idea di utilizzare un/una facilitatore/facilitatrice proveniente dall'esterno. La manutenzione potrebbe in questo caso prendere la forma del "piu' e meno". Ovvero, chi facilita vi chiedera': cosa vi piace di piu' dei vostri incontri, e cosa vi piace di meno? Cosa ha funzionato di piu', e cosa di meno, nelle azioni? Una volta redatto questo schema, potreste proseguire con: cosa ha necessita' di cambiare nelle vostre riunioni? eccetera. Stabilite in anticipo che qualsiasi siano le opinioni espresse esse si riferiranno all'operato delle persone e non alle persone stesse: stigmatizzate pure quell'azione o quelle parole, ma non aggredite le persone che hanno commesso l'azione per voi sbagliata, o hanno detto le parole per voi sbagliate. Esse possono cambiare, proprio come voi, e devono trovare aperta e praticabile l'opzione di cambiare, e inoltre, voi potreste scoprire di avere torto. Naturalmente, esistono anche i casi in cui potreste dover chiedere ad una persona di andarsene, e al gruppo che essa rappresenta nella coalizione di mandare un altro rappresentante, o addirittura potreste dover chiedere al gruppo di abbandonare la coalizione: puo' essere difficile, e' senz'altro doloroso, ma a volte e' inevitabile (quando tale persona o gruppo, ad esempio, non rispetta gli accordi in modo sistematico). * Mantenere acceso il fuoco E' la parte centrale del lavoro di cura: il tenere in vita lo spirito che vi ha messi insieme, che ha creato la coalizione. E' anche la parte meno riducibile a schema, ma vediamo che si puo' fare. Innanzitutto, siete consci che le persone si uniscono ai gruppi per ottenere dei risultati rispetto ad un'istanza qualsiasi, ma siete anche consapevoli che vogliono fare questo lavoro in modo piacevole? Se i membri della coalizione cominciano a pensare: "Perche' dovrei continuare ad impegnarmi in qualcosa che e' pura routine e fatica, senza ritorno di nessun tipo, che mi fa stare male per la tensione, gli attacchi personali, il clima pesante, l'impossibilita' di dire quello che sento?", il loro pensiero successivo e' che la vita e' piena di altre opportunita' dove possono mettere il loro impegno, e presto non li vedrete piu'. Percio', fate in modo che la coalizione sia un bel posto in cui stare: ogni tanto mettete da parte il lavoro e godete solo della reciproca compagnia. Andate insieme al cinema, o a mangiare la pizza, organizzate una scampagnata o una festa di compleanno a sorpresa, celebrate regolarmente ogni successo ottenuto. Le persone rimarranno coinvolte non solo per lo scopo politico e sociale della coalizione, ma perche' si sentiranno "affermate" come esseri umani, perche' il loro spirito umano verra' nutrito. * Gestire il cambiamento Dovete anche tenere presente che "manutenzione" non significa "mantenimento delle cose cosi' come stanno": ad esempio, potreste crescere. Se la vostra coalizione lavora bene, e' assai probabile che nuovi gruppi vi si avvicinino e chiedano di entrare a farne parte. E questo porta con se' anche dei problemi. Se crescete, poiche' ogni crescita e' un nuovo inizio, avrete necessita' di rimettervi a punto, di ridirezionarvi rispetto alla visione, ecc. Inoltre, le nuove persone non sono solo portatrici di nuove risorse, ma richiedono il vostro sforzo per il loro inserimento. Potrebbe anche accadere che mentre la coalizione diventa piu' visibile, piu' accettata dalla comunita', vi siano pressioni perche' essa agisca su altre istanze, o perche' membri di essa amministrino effettivamente un servizio, eccetera. Questo potrebbe generare conflitti, trascinarvi distanti dal vostro scopo originario, e persino distruggere la coalizione. Tentare di rispondere a tutti i bisogni che vi possono venire prospettati significhera', nella maggior parte dei casi, che tenterete di spalmare una piccola razione di burro su una fetta di pane troppo grande: e cioe', la qualita' di cio' che fate finira' per deteriorarsi. In sintesi, crescere e cambiare devono essere scelte vostre: non si tratta di un binomio cambiamento/stagnazione, o crescita/morte. Voi potete scegliere come crescere e cambiare, in che modi, e quando. Dovete rimanere "forti" in cio' che gia' avete e siete, ed accertarvi che il cambiamento vada in una direzione salutare e produttiva. Ogni volta in cui il cambiamento e la crescita si prospettano, accettarli significa far nascere di nuovo, simbolicamente, la coalizione: percio' dovete essere voi a controllare il processo, e non il contrario. Nessuna coalizione puo' maneggiare tutti i problemi ed i bisogni di una comunita', quindi non abbiate timore di passare la mano (assieme alla gloria e ai mal di testa) a qualche altro soggetto, e di tracciare dei limiti alle responsabilita' che siete disposti a prendervi. Se cadete nel delirio di onnipotenza (possiamo fare tutto) o nella sindrome del controllo (solo noi dobbiamo farlo), non mi resta che pronosticarvi il piu' amaro dei fallimenti. * Modificare la "centratura" Poniamo il caso che la vostra coalizione, determinata e allegra, comunicativa ed efficace, abbia raggiunto gli scopi che si era originariamente prefissa. Vi eravate messi insieme, ad esempio, per ottenere modifiche sostanziali alla viabilita' pubblica: e ce l'avete fatta, c'e' un nuovo piano del traffico a cui voi avete collaborato, una nuova linea di autobus o la metropolitana di superficie; il comune ha messo a disposizione le biciclette per i cittadini che vogliono usarle, eccetera. Avete ridotto l'inquinamento nella vostra citta' come volevate, e cominciato a suggerire un nuovo rapporto fra esseri umani e mobilita' urbana. Potreste sciogliervi: ma avete avuto successo lavorando insieme per qualche anno, le relazioni fra le persone all'interno della coalizione sono buone, avete affinato le vostre capacita' al punto da saper gestire conflitti interni ed esterni, cambiamenti e difficolta' strutturali. Percio', siete riluttanti a por termine all'esperienza, ed e' un bene, a patto che siate capaci di modificare la vostra "centratura". Pensate a cosa puo' essere rimasto incompiuto nel vostro sogno originario, o sviluppate un'idea nuova a partire dal vostro successo: cos'altro puo' essere cambiato, nel rapporto fra i cittadini e la citta', rispetto alla salute e all'inquinamento? Potreste anche scegliere di rimanere come siete e continuare a seguire la viabilita' pubblica. Se lo avete fatto bene, perche' non continuare? Suona ragionevole, ma e' la piu' difficile fra le opzioni prospettate. Il mondo attorno a voi cambia (la vostra citta' l'avete cambiata proprio voi), ed anche il vostro mondo interiore cambia. Nuove direzioni, e nuove spinte, vi si presenteranno comunque. Il rischio che correte, nel tenere la coalizione cosi' com'e', e' di diventare "stantii", non rilevanti, di perdere il sostegno costruito nella comunita' e di trasformarvi in controllori del vostro operato di ieri, anziche' continuare ad agire. * Sciogliere la coalizione Se un cambiamento di "centratura", e quindi di prospettiva, e' oggettivamente impossibile, potete decidere di chiudere l'esperienza. Tenete in tasca i fazzoletti: le coalizioni non sono immortali, e nessuno si aspetta che lo siano. Vengono costruite per conseguire degli scopi, e se tali scopi sono stati raggiunti, ci si puo' ben rallegrare per il lavoro fatto e passare ad altro. A costruirne una seconda, magari, su tutt'altra istanza. Ma ricordate sempre che il lavoro di costruzione e' un lavoro lento, paziente, persistente. Quando entrate in una coalizione, o ne costruite una, accettate a priori il fatto che le cose non andranno veloci come vorreste e tenete in mente che l'esperienza potrebbe finire, per migliaia di motivi, ben prima di aver conseguito dei risultati. 4. RIFLESSIONE. URI AVNERY: IL GHETTO NEL MURO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 ottobre 2003. Uri Avnery e' nato ad Ha nnover nel 1924, ed e' emigrato in Palestina all'avvento del nazismo; gia' militante dell'Haganah e combattente nella guerra del 1948; piu' volte parlamentare, giornalista, impegnato nell'opposizione democratica e nel dialogo col popolo palestinese; e' tra le voci più vive del movimento pacifista israeliano. Opere di Uri Avnery: Israele senza sionisti, Laterza, Bari 1970; Mio fratello, il nemico, Diffusioni 84, Milano 1988] "First of all, the wall must fall", prima di tutto il muro deve cadere. Questo slogan e' nato alcune settimane fa, spontaneamente, proprio davanti al muro nella citta' di Kalkiliya, nel luogo dove la barriera gira verso est, addentrandosi in profondita' nel territorio palestinese. Dall'altra parte c'erano dei palestinesi che stavano dimostrando. Serviva uno slogan in rima, buono per il megafono, sono arrivate quelle sette parole. Esprimono con chiarezza cio' che bisogna fare. Inutile illudersi, non si tratta delle mura di Gerico da abbattere suonando le trombe. Chi lo sta costruendo lo fa affinche' quel muro resti per l'eternita', cosi' come sostengono che la "Gerusalemme unita" e' "l'eterna capitale di Israele". La destra israeliana non considera alcun periodo di tempo inferiore all'"eternita'". Purtroppo pero' anche nella sinistra israeliana c'e' chi pensa che il muro abbia creato una situazione "irreversibile". E altre "eternita'". * Il nostro muro viene spesso paragonato a quello di Berlino. Dal punto di vista politico e visuale il paragone e' calzante. Anche perche' quel muro non era solo una mostruosita' architettonica urbana. Era parte della sezione tedesca della cortina di ferro che tagliava il paese in due e che si estendeva dal Mar Baltico a nord fino al confine della Cecoslovacchia a sud - circa un migliaio di chilometri, piu' o meno la lunghezza del mostro di Sharon. Anche in Germania il muro era una grande muraglia, un insieme di mura e reti, torrette e postazioni di fuoco, zone off limits, strade per le pattuglie e "corridoi di morte" dove i soldati aprivano il fuoco. Il muro divideva il paese, violava il panorama, separava le famiglie da una parte e dall'altra. Un mostro che incuteva terrore, un simbolo del potere e dei suoi obiettivi ultimi. Chiunque ci si e' trovato davanti ha sentito dentro di se' che il muro rappresentava un punto di non ritorno nella storia tedesca, che quella separazione era eterna e che quindi non aveva senso combatterlo. Non pochi politici hanno basato la loro azione sul fatto che quel muro non sarebbe mai caduto. Per tutti, a destra e a sinistra, era un dato di fatto. Nessuno lo metteva in discussione. La situazione era "irreversibile". * Poi, un giorno, come l'imprevista eruzione di un vulcano, ecco che e' caduto, quasi da solo. In pochi secondi l'irreversibile e' diventato reversibile. La situazione e' cambiata, il mostro scomparso dalla faccia della terra, come i dinosauri. Alcuni giorni prima della caduta del muro avevo passato il confine per andare a Berlino. I poliziotti erano rudi: "Passaporti. Siediti. Aspetta". Pochi giorni dopo il crollo, gli stessi agenti erano sorridenti e gentili: "prego signore, grazie signore, vorrebbe per favore, solo un momento" - prova che non solo i muri ma anche le persone, per fortura, sono "reversibili". * Vi e' pero' una grandissima differenza tra il muro in Germania e quello costruito da Israele. La Germania dell'est aveva un confine fissato da accordi internazionali raggiunti al termine della seconda guerra mondiale. E il muro era stato costruito rispettando al millimetro quella linea di confine. Il suo percorso era evidente. Nel nostro caso non c'e' nulla di evidente, non c'e' stato alcun accordo, non c'e' alcun confine. Tutto viene disegnato da anonimi pianificatori. E' facile immaginarli seduti in uffici con l'aria condizionata e una grande mappa. Su di essa vi sono solo gli insediamenti e le vie per collegarli tra di loro evitando i centri arabi. Le citta' palestinesi e i villaggi non vi sono riportati, come se la pulizia etnica, alla quale mirano tanti in Israele (e nel governo Sharon) fosse gia' stata realizzata. Questa e' la caratteristica principale del muro, la sua inumanita'. Coloro che l'hanno pianificato hanno del tutto ignorato l'esistenza di esseri umani non ebrei. Hanno tenuto conto delle valli e delle colline, degli insediamenti e delle strade, ma hanno ignorato del tutto le citta', i quartieri e i villaggi palestinesi, i loro abitanti e i loro campi. Come se non esistessero. * Cosi' il muro ora divide i bambini dalle scuole, gli studenti dalle universita', i pazienti dai dottori, i villaggi dalle fonti d'acqua, i contadini dai campi. Come un bulldozer corazzato che irrompe in un villaggio e distrugge tutto cio' che incontra, il muro taglia le migliaia di piccoli fili che costituiscono il tessuto della vita quotidiana dei palestinesi, come se non fossero gia' piu' li'. Per i pianificatori quelle vite non esistono, il paese e' ormai privo di non ebrei. All'inizio del terzo millennio, essi agiscono sulla base del principio sionista della fine dell'Ottocento: "Una terra senza popolo per un popolo senza terra". In realta' l'idea del muro ha profonde radici nel pensiero sionista e lo ha accompagnato sin dall'inizio. In "Der Judenstaat", Theodor Herzl gia' scriveva: "In Palestina dovremo costituire parte del muro dell'Europa contro l'Asia... un avamposto della cultura contro la barbarie". Oltre cento anni dopo, il muro di Sharon esprime lo stesso punto di vista. Gli osservatori esterni non possono capire. Arafat mi ha raccontato che, nella sua recente visita negli Usa, Abu Mazen ha mostrato a Bush una mappa del muro. Il presidente e' rimasto choccato e agitando la mappa sotto gli occhi del vicepresidente Cheney avrebbe gridato: "Cos'e' questa cosa? Dov'e' finito lo stato palestinese?". * Con la sua sola esistenza il muro esprime potere. Il suo messaggio e' chiaro: noi siamo potenti, possiamo fare tutto cio' che vogliamo, imprigioneremo i palestinesi in piccole enclave e li taglieremo fuori dal mondo. Ma questa e' autoconsolazione. Il muro esprime in realta' le antiche paure ebraiche. Nel medioevo gli ebrei si circondavano di mura per sentirsi sicuri, molto prima che fossero costretti a vivere nei ghetti. Uno stato che si circonda di mura non e' altro che uno stato-ghetto. Un ghetto molto forte, certo, molto armato, un ghetto che terrorizza tutti i vicini - ma sempre un ghetto che si sente sicuro solamente dietro mura, torrette di guardia e filo spinato. Israele non arrivera' mai alla pace a meno che non si liberi di questa mentalita' del ghetto. E il primo passo non potra' che essere la distruzione del muro. 5. RIFLESSIONE. LUCIANO BONFRATE: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Luciano Bonfrate, amico e sostenitore del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo, per questo intervento] Sollecitato a dare un contributo alla proposta "per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta" promossa da Lidia Menapace e dalla Convenzione permanente di donne contro le guerre, e raccolta e sostenuta da molte autorevoli personalita', vorrei segnalare alcuni vecchi libri, ed uno seminuovo, che apportano a mio modesto avviso utili contributi al "programma costruttivo" della proposta. Vi e' un libro di Gene Sharp, di prima della caduta del muro di Berlino, che a mio avviso propone idee ancor oggi utilizzabili nella direzione della realizzazione pratica della difesa popolare nonviolenta e del superamento della difesa armata: Gene Sharp, Verso un'Europa inconquistabile, Edizioni Guppo Abele - Eirene, Torino - Bergamo 1989. Sharp, come e' noto, e' l'autore dell'eccellente manuale in tre ponderosi volumi Politica dell'azione nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985-1997, ed uno dei piu' importanti studiosi della nonviolenza. Quel libro - sebbene legato a una fase storica del passato - offre all'Europa idee assai perspicue, studiarlo non sarebbe inutile. Naturalmente non si puo' parlare di difesa popolare nonviolenta e non valorizzare il libro di Ebert, uno studioso fondamentale in questo ambito: Theodor Ebert, La difesa popolare nonviolenta, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; una raccolta di saggi ancora di grande utilita'. Un lavoro assai utile in questo ambito di ricerche mi pare che sia anche quello di Brian Martin, La piramide rovesciata. Per sradicare la guerra, La Meridiana, Molfetta (Ba) 1990. Lo studioso australiano offre molte idee interessanti. E su alcuni profili implicati e' sempre un valido strumento di approfondimento il libro di Jacques Semelin, Per uscire dalla violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985, un contributo che va alle radici della violenza. Infine il libro seminuovo, che poi e' la seconda edizione rivista e aggiornata di un libro gia' pubblicato alcuni anni fa e ora nuovamente edito con titolo parzialmente modificato: Emanuele Arielli, Giovanni Scotto, Conflitti e mediazione, Bruno Mondadori, Milano 2003. Mi pare che gia' questa breve panoramica (molti altri libri potrebbero essere citati, ed un repertorio assai significativo e' nella nota bibliografia ragionata redatta da Enrico Peyretti e pubblicata - nella sua piu' recente versione aggiornata - alcuni giorni fa su questo stesso foglio) attesti la maturita' e la fattibilita' di un'alternativa nonviolenta per l'Europa anche specificamente nell'ambito delle politiche cosiddette di difesa e di sicurezza. Credo che l'incontro dell'8 novembre a Verona presso la Casa della nonviolenza, in cui la proposta di Lidia Menapace trovera' una ulteriore elaborazione - e si definira' un percorso di pubblica proposizione di essa -, potra' essere un momento (un kairos) di grande rilevanza per l'intero movimento europeo per la pace, e mi associo all'auspicio che ad esso incontro partecipino quante piu' persone amiche della nonviolenza sia possibile, e che tutte apportino, in fecondo colloquio, il loro contributo, poiche' ve ne e' grande bisogno e grande urgenza. 6. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: AMICUS PLATO [Il nostro buon amico Severino Vardacampi, prezioso e urticante collaboratore di questo foglio, esprime qui ruvidamente un'opinione (appunto doxa, non episteme), che offre alla discussione, alla critica, al dialogo] Tante persone - anche di volonta' buona - alla notizia della decisione di un magistrato di accogliere una legittima richiesta di un genitore di due bambini che frequentano una scuola pubblica del nostro paese, hanno ceduto al solito riflesso condizionato: di dover subito prender partito e "dare la linea", e dire la loro, anche se hanno ben poco da dire nel merito poiche' ignorano i termini esatti della questione. Piantiamola di fare i furbi: le persone che - in assoluta buona fede, va da se' - pensano di cavarsela citando due frasi di autori illustri (che cosi' decontestualizzate ovviamente recano insieme verita' ed errore), ripetono lo stesso errore che vedemmo trent'anni fa in quei molti giovinetti generosi e sprovveduti che pensavano di poter fronteggiare complessi problemi mandando a memoria il libretto rosso di Mao (o abbecedari equivalenti). Si e' visto come e' finita. La religione e' una cosa seria, ed e' una cosa seria la legge, come sapeva bene Franz Kafka. Capisco che in un paese in cui fanno i ministri della giustizia personaggi che dell'amministrazione della giustizia persino ostentano di non capir granche', che di studi giuridici ne hanno pochi o punti, che addirittura si fanno vanto di incitare alla sedizione, qualunque cittadino si sente legittimato ad atteggiarsi a principe del foro e delle pandette vindice, ma le baruffe chiozzotte in materia di si' grande momento soltanto giovano all'ulteriore degrado della vita pubblica. Ci pare necessario chiedere che si abbia rispetto della persona e dell'insegnamento di quel galileo che fu assassinato, e non si riduca la sua vicenda, che ancora - in forme certo volta a volta diverse - ci interroga e convoca tutti, a un misero idolo consumisticamente, superstiziosamente e per cosi' dire nazionalisticamente fruito. E si eviti di fare ancora una volta il gioco delle tre carte, anche se a darne l'esempio, scandalosamente, e' addirittura il capo dello stato (di quel saggio di Croce, chi scrive queste righe, non si e' limitato a leggere solo il titolo, suvvia). E si abbia rispetto della coscienza altrui, e si rifletta una buona volta prima di ripetere il gesto di Minosse. * Per quel che riguarda chi scrive queste righe in questa vicenda tre cose, anzi quattro, restano ferme: a) che fino a prova contraria l'ordinanza del magistrato e' coerente con il dettato della Costituzione e ne invera lo spirito; si possono sostenere tesi diverse ma vanno argomentate in termini di diritto, di ermeneutica giuridica, non con gli insulti o con la forza del numero (le leggi esistono proprio per impedire che i piu' forti, o i piu' numerosi, soverchino e opprimano i piu' deboli o meno numerosi nei loro inalienabili diritti); b) che in nulla e' lesa la dignita' di una religione se i simboli di essa non vengono impropriamente ostentati nei luoghi pubblici in cui a tutti viene offerto un servizio pubblico, che deve esere reso senza offendere la coscienza di alcuno, senza nessuno discriminare per i propri convincimenti di fede: ed e' chiaro che la presenza del simbolo di una, ed una sola, religione nelle aule scolastiche implica una effettuale "diminutio" di chi ad essa non aderisce; l'istituzione pubblica non e' soggetto che debba fare scelte di fede, ma luogo di incontro delle persone che esse si' queste scelte possono compiere; c) che l'evocata legge del periodo fascista cui si appoggiano i fautori di una posizione - chiedo venia - estremista (e sovversiva: quando a propugnarla e' un ministro che ha pur giurato fedelta' alla Costituzione), e' per l'appunto una legge del regime fascista, che deve cedere alla legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico nato dalla lotta che l'infamia e l'orrore fascista ha sconfitto: la Costituzione della Repubblica Italiana, che e' nitida nel riconoscere ad ogni persona il diritto di essere rispettata nelle sue idee, di non essere discriminata per la sua fede; d) che ogni convincimento religioso ed ogni convincimento filosofico merita rispetto finche' non confligge con la liberta' e la dignita' umana altrui. Il ricordo delle guerre di religione che hanno insanguinato l'Europa e il mondo per una lunga teoria di secoli e delle quali ancora non si vede la fine, ispiri a noi tutti un atteggiamento piu' umile, piu' dialogico, piu' umano. 7. RIFLESSIONE. ENZO MAZZI: IL SEGNO DELLA CROCE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 ottobre 2003. Enzo Mazzi (per contatti: emazzi at videosoft.it), sacerdote, e' impegnato nell'esperienza della comunita' dell'Isolotto a Firenze ed e' una delle figure piu' vive dell'esperienza delle comunita' di base, e della riflessione e delle prassi di pace, solidarieta', liberazione, nonviolenza. Tra le opere di Enzo Mazzi e della Comunita' dell'Isolotto segnaliamo almeno: Isolotto 1954/1969, Laterza, Bari 1969; Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002] Il crocifisso e' un simbolo. Il suo significato sta altrove. Dalle pareti di una scuola, di un tribunale, di una chiesa, di una banca, di un carcere, di una caserma, come dalla sommita' di una montagna, la croce lancia un messaggio. Anzi ne lancia molti. In questi giorni di polemiche a causa della sentenza del tribunale dell'Aquila, che impone di toglierlo da una scuola, si sono moltiplicati i significati del crocifisso: sigillo dei valori di pace, fraternita', solidarieta' alla base dell'identita' italiana, testimonianza del dolore universale, riscatto del sangue versato per la giustizia. Tutto vero. Stringi stringi pero' a rigore di teologia e di storia tutti i significati finiscono per confluire nel grande mare del potere. Il crocifisso e' simbolo non di un qualsiasi volgare potere, ma del potere dei poteri, potere assoluto, trascendente e quindi globale, potere di Cristo morto, risorto e trionfante, potere che vive e si manifesta in ogni tempo nella Chiesa cattolica e nella sua gerarchia. Si dira' che e' riduttivo un simile modo di vedere. Come fa ad essere simbolo del potere l'icona della vittima per eccellenza del potere: Gesu' pendente dalla croce? Semmai sara' simbolo del valore salvifico universale della sofferenza e della solidarieta'. Ma allora com'e' che Costantino ha messo la croce sui suoi labari e in quel segno ha ucciso e in quel segno ha vinto? Com'e' che da quel momento la croce e' trionfo e vittoria? E' vero che poi Costantino in omaggio alla croce ha abolito la crocifissione. Non pero' la sostanza del supplizio. Si potrebbe continuare sul filo della storia, dalla croce indossata dai crociati, alla croce brandita dai conquistatori, alla croce usata per accendere i roghi di eretici e streghe. Ma questo appello alla storia e' talmente conosciuto da apparire quasi ovvio. Piu' stringente e meno conosciuto e' l'appello alla teologia. * La croce e' la' a testimoniare un principio fondamentale della teologia cattolica tuttora dominante: il sacrificio dell'innocente e' il vero fondamento della storia. Si chiama teologia sacrificale. Abele, archetipo dell'innocente, non puo' non essere sacrificato perche' in realta' l'innocenza di Abele e' solo apparente. Abele porta su di se' indelebile la colpa originale. E' questa colpa che rende inevitabile il sacrificio di Abele. Caino e' solo uno strumento, perverso, del carattere radicalmente distruttivo del peccato originale. Sacrificio inevitabile quello di Abele ma anche insufficiente - continua la teologia sacrificale - perche' la colpa e' infinita in quanto colpisce il Dio infinito, mentre l'espiazione di quanti si voglia Abele e' sempre espiazione di creature finite e quindi finita essa stessa. C'e' un solo sangue che, pur non potendo sopprimere nella storia il sacrificio di Abele, puo' dargli pero' un senso e un senso pieno e positivo: il sangue del Figlio di Dio. La storia rimarra' segnata fino alla sua fine dal sacrificio degli innocenti-colpevoli perche' il sangue di Gesu' non cambia il corso della storia. Cristo riscatta di fronte alla giustizia divina il sangue di ogni Abele in modo misterioso e sostanzialmente invisibile. Il riscatto storico puo' e deve essere affidato alla dimensione non della giustizia ma della carita' come anticipazione di cio' che sara' reale e compiuto solo alla fine della storia. Il grido del sangue di Abele puo' e deve sciogliere i cuori ma non deve intaccare i meccanismi del potere. La croce e' stata elevata e amata non come vessillo del riscatto storico ma come simbolo supremo del riscatto trascendentale senza storia. La gerarchia religiosa puo' gridare quanto vuole contro l'ingiustizia, ma le sue parole sono svuotate in radice di significato e rese incoerenti dalla ostensione del crocifisso oltreche', s'intende, dalla ritualita' eucaristica di tipo sacrificale. * E' stato facile per ogni potere oppressivo, fino dagli inizi del cristianesimo, fin da Costantino, strumentalizzare la croce come invito alla rassegnazione di fronte alla sofferenza e di fronte alla ingiustizia. Su tale strumentalizzazione e' stata costruita la ideologia del dominio e, nell'orizzonte del dominio, la cultura della carita' cristiana nel Medioevo e nel tempo della Controriforma. Da tale strumentalizzazione e' nata l'ideologia capitalista della guerra di tutti contro tutti. Ma non e' proprio questa cultura della carita' che torna a dominare anche nel nostro tempo in conseguenza del declino della cultura della giustizia e dei diritti? E, immancabile, insieme al dominio della cultura della carita' torna il dominio della croce. Il decreto del giudice dell'Aquila lo ha messo in particolare evidenza con la sollevazione di scudi che ne e' nata. Ma la Moratti ci aveva gia' pensato: croce e opere di bene. * La risposta della teologia sacrificale, sebbene da un certo punto in poi sia stata quella dominante, non e' pero' l'unica. Nel profondo dell'anima cristiana si e' da sempre sviluppata un'altra risposta: quella che il teologo della liberazione padre Ignacio Ellacuria ha chiamata "soteriologia storica" o teologia della salvezza storica. A differenza della teologia sacrificale, la soteriologia storica contesta il destino di perennita' storica del sacrificio di Abele. E lo fa in atteggiamento critico anche nei confronti di un certo marxismo che nega fiducia al proletariato straccione (lumpenproletariat). Il grido del sangue di Abele non e' solo lamento impotente senza riscatto storico. E' anche grido di lotta per non dire di rivoluzione. Di conseguenza i "poveri" e gli "oppressi" non sono solo destinatari del vangelo della salvezza trascendente e sul piano storico oggetto di solidarieta' caritatevole. Sono essi stessi soggetti storici del proprio riscatto e del riscatto universale. E' cosi' che nelle comunita' di base, da cui quella teologia traeva ispirazione, la croce ha incominciato ad essere sostituita dal vangelo. * C'e' stato un momento in cui nei paesi dell'America Latina dominati da feroci dittature, come ad esempio in Salvador, Guatemala, Uruguay, era passibile di arresto o di sparizione chi veniva trovato in possesso della Bibbia, si noti bene non in possesso della croce ma della Bibbia, specialmente della "Biblia latino-americana", la cui traduzione era considerata sovversiva. Tanto che monsignor Oscar Romero, il vescovo di San Salvador ucciso all'altare nel 1979, poco prima di morire aveva consigliato ai catechisti e cristiani delle comunita' di base di sotterrare la Bibbia. Ho portato l'esperienza delle comunita' di base. Ma solo come esempio. Il processo critico verso la croce da parte del "cattolicesimo dei diritti e del riscatto storico dei poveri" ha dimensioni molto piu' vaste. Meno croce e piu' Vangelo valeva anche nella scuola di Barbiana da dove don Milani aveva tolto il crocifisso. E vale oggi per tante esperienze di fede cristiana. Il problema e' che il sistema dei media non ne da' notizia. * Cosa voglio dire? Sostanzialmente che e' ingenuo e superficiale appellarsi ai valori della croce. Un po' piu' di dignita' personale e di profondita' sia storica sia teologica e un po' piu' di attenzione ai processi sociali di oggi non farebbe male neanche a sinistra e negli stessi movimenti. La croce e' scandalo non solo per qualche appartenente ad altre religioni ma anche per tanti credenti, portatori di una fede cristiana come quella del gesuita ucciso in Salvador. La croce e' scandalo per chiunque lotti per il riscatto storico dell'essere umano. 8. RILETTURE. HANNAH ARENDT: IL CONCETTO D'AMORE IN AGOSTINO Hannah Arendt, il concetto d'amore in Agostino, SE, Milano 1992, pp. 168, lire 25.000. Il primo libro di Hannah Arendt, la sua dissertazione di dottorato pubblicata a Berlino nel 1929. 9. RILETTURE. ASSIA DJEBAR: LONTANO DA MEDINA Assia Djebar, Lontano da Medina, Giunti, Firenze 1993, 2001, pp. 304, euro 9,5. La grande scrittrice algerina all'ascolto delle donne al tempo del Profeta. 10. RILETTURE. RAISSA MARITAIN: DIARIO DI RAISSA Raissa Maritain, Diario di Raissa, Morcelliana, Brescia 1966, 2000, pp. XX + 416. A cura del marito Jacques, una raccolta postuma di testi inediti di Raissa, perlopiu' in forma di diario. 11. RILETTURE. FATEMA MERNISSI: ISLAM E DEMOCRAZIA Fatema Mernissi, Islam e democrazia, Giunti, Firenze 2002, pp. 222, euro 12. Segnaliamo ancora una volta questo bel libro della grande intellettuale marocchina. 12. RILETTURE. ANTONIETTA POTENTE: UN TESSUTO DI MILLE COLORI Antonietta Potente, Un tessuto di mille colori, Icone, Roma 2001, pp. 80, euro 3,62. La riflessione della teologa italiana da molti anni in Bolivia sulle "differenze di genere, di cultura, di religione" e la prospettiva ecumenica. 13. RILETTURE. ROSEMARY RUETHER: PER UNA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE DELLA DONNA, DEL CORPO, DELLA NATURA Rosemary Ruether, Per una teologia della liberazione della donna, del corpo, della natura, Queriniana, Brescia 1976, pp. 240. Una raccolta di saggi della grande teologa. 14. RILETTURE. EDITH STEIN: LA SCELTA DI DIO Edith Stein, La scelta di Dio, Citta' Nuova, Roma 1974, Mondadori, Milano 1997, pp. 144, lire 12.000. Una raccolta di lettere di Edith Stein dal 1917 al 1942. 15. RILETTURE. SIMONE WEIL: LETTERA A UN RELIGIOSO Simone Weil, Lettera a un religioso, Adelphi, Milano 1996, pp. 142, lire 16.000. Un scritto, ancora una volta profondo e drammatico, della grandissima pensatrice. 16. RILETTURE. MARY HUNT, ROSINO GIBELLINI (A CURA DI): LA SFIDA DEL FEMMINISMO ALLA TEOLOGIA Mary Hunt, Rosino Gibellini (a cura di), La sfida del femminismo alla teologia, Queriniana, Brescia 1980, pp. 208. Una bella antologia di scritti di teologhe femministe. 17. RILETTURE. AA. VV.: DONNE E RELIGIONI. IL VALORE DELLE DIFFERENZE AA. VV., Donne e religioni. Il valore delle differenze, Emi, Bologna 2002, pp. 176, euro 12. Gli atti del settimo incontro cristiano-musulmano svoltosi a Modena nel 2001. 18. RILETTURE. AA. VV.: E' L'ORA DELLE RELIGIONI. LA SCUOLA E IL MOSAICO DELLE FEDI AA. VV., E' l'ora delle religioni. La scuola e il mosaico delle fedi, Emi, Bologna 2002, pp. 160, euro 10. Gli atti di un convegno svltosi a Brescia per iniziativa del Centro di educazione alla mondialita' (Cem). 19. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 20. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 717 del 30 ottobre 2003
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