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sulla tragedia di Lampedusa (un articolo di agosto)
- Subject: sulla tragedia di Lampedusa (un articolo di agosto)
- From: "Daniele Barbieri" <barbieri at migranews.net>
- Date: Thu, 23 Oct 2003 11:40:17 +0200
Avventura di un giovane povero Ossia in viaggio verso Occidente tra sogni, predoni e carrette del mare Abbiamo scelto per questione di privacy di non rivelare il vero nome dell'intervistato. Lo Yousuf usato nell'articolo è un nome fittizio. "Yousuf è di là" mi dice lapidaria la signora velata. "Hai meno di un ora per parlare con lui, tra un po' ha il treno" aggiunge. Mi avvio. Ma poi la signora velata mi trattiene per un braccio, dal suo viso appare tutta la disperazione di chi è dentro a una vera missione impossibile. Mi guarda, fa per parlare, poi ci ripensa. Mi lascia andare. Ci ripensa di nuovo. Mi trattiene in una morsa più stretta della precedente; mi duole il braccio. Mi fissa come se mi vedesse per la prima volta e infine mi fa "Cara non DEVE perdere il treno, ti prego". Poi mi da un fazzoletto intinto di essenza di profumo e mi dice "Il ragazzo non si è lavato da mesi, la puzza è diventata una sua seconda appendice. Non è colpa sua. Se le cose andranno secondo il volere di Dio vedrai non puzzerà più". Accetto volentieri il dono della vecchia signora e mi avvio-questa volta per davvero- nella camera dove il ragazzo riposa. In realtà lui non riposa affatto. Busso un paio di volte e al terzo tentativo una voce mi fa cenno di entrare. Non è sdraiato sul letto come immaginavo, ma è inginocchiato per terra intento a mettere apposto le sue poche cose. "Queste me le ha comprate la zia." Mi dice senza tanti preamboli "Sai mutande, camice, t-shirtsŠ.anche questi pantaloni." Mi mostra un paio di jeans neri pece. "Io dalla Somalia non mi sono portato proprio nulla. Chi fa come me, deve per forza viaggiare leggero". Tiro fuori il fazzoletto intinto di profumo e me lo spiaccico sul naso. Aspiro profumo come se fosse ossigeno vitale. La signora aveva ragione. Il ragazzo puzza. Ma non si tratta solo di cattivo odore, è qualcosa di più profondo. Qualcosa che è legato a doppio filo con la disperazione e l'abbandono. È la puzza della dolore, mi dico. Questo pensiero mi fa vergognare di me stessa. Mi sento peggio di un Borghezio di periferia. Mi chiedo: quale sarà la mia prossima mossa? Disinfetterò forse i sedili dei treni dove i migranti si sono seduti? O mi inventerò qualche altra diavoleria maligna? Ripongo il fazzoletto in borsa. Non voglio tradire me stessa. Non voglio vergognarmi di ciò che sono. Quel ragazzo ha coraggio, nessuno si dovrebbe vergognare di lui. Prendo una sedia e mi avvicino. Noto con stupore che l'odore quasi non si sente dopo qualche minuto. Forse perché ci si abitua facilmente alla disperazione? Non ci presentiamo. Questi convenevoli sono inutili. Siamo sconosciuti, ma una sorte di parentela tribale ci lega. Io conosco il suo albero genealogico e lui il mio. Forse quello sarà il nostro primo e ultimo incontro, ma i convenevoli di rito ci sembrano davvero banali. Inoltre fanno perdere tempo e noi il tempo non lo possiamo proprio sprecare. "Dove vai?" gli chiedo. "Ora vado in Olanda, ma ecco in Olanda non ci voglio rimanere. Vorrei andare in Svezia o al limite in Norvegia. Ora tutti noi che ci siamo imbarcati nelle carrette ci dirigiamo lì. Questi paesi danno un sussidio e una casa a noi rifugiati. E poi in questo periodo sono le uniche ad accettare le richiesteŠse mi fossi mosso prima sarei potuto andare in Inghilterra. Lì si che è una vera pacchia! Lì i somali stanno una favolaŠgli danno una spinta per farcela da soli e poi voilà sono integrati. Hanno un passaporto e possono viaggiare da una parte all'altra del mondo. Se potessi viaggiare farei il commerciante, sai? Ho visto una tale quantità di cose che potrei vendere, sapessiŠecco sarei proprio bravo come commerciante". Non ne dubito. Il ragazzo ha una parlantina veloce e sicura di se. Forse da grande farà davvero il commerciante. Dopotutto a 20 anni è lecito sognare un po'. E poi fare il commerciante non è impossibile come fare la rock star, penso. "Da dove sei partito?" "Ma che domandeŠ.da Mogadiscio, no?" "Hai ragione, è ovvio. Volevo sapere in realtà qual'è stato il tuo itinerario" "Il mio itinerario sembrava non dovesse finire mai. Sono partito da casa e poi con i pullman sono andato da Adis Abeba a Khartoum e da lì in Libia." "Hai avuto paura?" "All'inizio no. Da Mogadiscio ad Adis Abeba e poi da lì a Khartoum è stato divertente. Ho visto tante persone diverse, alcuni hanno il mio stesso sogno e mi sono fatto anche tanti amici. Ma dal Sudan alla Libia beh si rimpiange facilmente di essere in vita." "È così difficile?" chiedo sgomenta io. "Può diventarlo. Attraversare il Sahara non è facile. Non tutti ce la fanno. Ti caricano in hajikamsin pieni di viveri e acqua, ma di solito si è in soprannumero rispetto alla capienza del mezzo e rispetto alle vivande caricate. Lungo la strada può succedere di tutto. Per esempio un incidente o anche dei furti" "Rubano?" gridai io perplessa. "Si, rubano e come se rubano! Mi hanno detto che nel deserto gira gente poco raccomandabile che è ben felice di toglierti i due stracci che ti porti dietro. Sono dei senza Dio" Io penso che siano persone anche più disperate di quei disperati che sognano l'occidente. Pensò che la globalizzazione sta producendo fenomeni aberranti, ma non gli dico nulla, non voglio rovinare con una polemica inutile il suo racconto. "E tu hai visto qualcosa del genere?" "No, Grazie a Dio. Però mio cugino Alì partito due mesi prima di me mi ha raccontato cose raccapriccianti. Se si rimane senza mezzo e senza vivande si diventa degli animali. Alì ha bevuto la sua urina. Pensa la sua urinaŠ.che schifo! E mi ha detto che c'era chi non disdegnava la carne dei compagni morti." "Ma è orribile! Anche Alì ha fatto questo?" "Lui dice di no, Šio gli voglio credere" Voglio credergli anch'io ad Alì. Mi chiedo come si possa vivere col peso di quella colpa involontaria. "Quindi è filato tutto liscio per te?" "Si" "Ma con che soldi sei venuto fino a qua?" "Grazie alla benevolenza dei miei parenti. Ne ho parecchi in Occidente, un po' in Canada, un po' in Danimarca, un po' in Germania, un po' in Gran Bretagna. Anche negli Stati Uniti e in Australia ho qualcuno. Sai cosa hanno fatto?" Lo immaginavo cosa avevano fatto, ma dissi lo stesso no, mi piaceva il suo modo allegro di spiegare le calamità. "Si sono sentiti via telefono e hanno fatto una colletta per me. E mi hanno mandato i soldi con gli hawala , tanti soldi. " "Quanti?" "Circa 2500$" "Così tanti?" "I viaggi da una parte all'altra costano e poi in Libia ti pelano. Quelle carrette immonde mica costano poco" Lo sapevo, ma sentirlo dalla bocca di un ragazzo così giovane fa impressione. Però il suo sorriso e la sua tenacia mi fanno sperare per il suo futuro. "E con che soldi andrai in Olanda, ora?" "Io non ho niente, sarà la zia, che mi ospita ora, a pagare. Lei non ha partecipato alla colletta perché c'era bisogno di qualcuno che sostenesse la mia spesa qui nel caso ce l'avessi fatta a superare il deserto e il mare." Penso che i paesi disperati come la Somalia non avrebbero potuto vivere senza la solidarietà comune. Dimenticati dal mondo cosiddetto civile la Somalia ha trovato un modo per aiutarsi da sola. Chissà come mai un popolo così intraprendente e pronto sempre a darsi una mano, non ha trovato la strada per una pace stabile e duratura. Qual'è la maledizione che colpisce la mia gente e quella di Yousuf? È un mistero insolubile, un mistero che dura da 13 anni. Inutile lambiccarsi il cervello. Continuo a parlare con il ragazzo. "Arrivato in Libia che hai fatto?" "Niente di particolare. Mi sono cercato degli agganci somali per imbarcarmi. Passavo le giornate in Internet e le notti all'aperto. Poi mi sono imbarcato" "Il viaggio è stato difficile?" "No, siamo stati fortunati. A capo della carretta era stato messo un curdoŠ" "In che senso è stato messo un curdo?" "Gli scafisti non vogliono farsi cogliere con le mani nel sacco, quindi da un po' non si imbarcano nelle carrette con noi. Sai cosa fanno? No? Beh fanno un training di qualche giorno a uno di noi. Gli insegnano tutto. Come condurre la nave e come farsi rispettare dagli altri. Al momento della partenza danno al "capo" una bussola, gli augurano buona fortuna e gli intimano di buttare la bussola appena sono in vista delle coste italiane. Se qualcuno viene beccato con la bussola dagli italiani può essere scambiato per scafista e passare un gran brutto momento. Il nostro curdo è stato un mito! Giuro. I libici scelgono sempre o loro o qualche arabo per condurre la nave. Noi africani siamo pessimi a condurre le carrette e non parliamo dei somali." "In che senso?" "Nel senso che le poche volte che abbiamo condotto noi somali siamo finiti fuori rottaŠ.a Malta addirittura. Quei poveracci hanno dovuto chiedere asilo lì, pensa. Certo meglio che uno sputo in un occhio, però sono contento del mio curdo!" "Lo so te l'ho già chiesto, ma vorrei sapere se durante la traversata hai avuto paura" "Da morire! Non voglio dimenticare la gente che è rimasta indietro prima di me e quella che rimarrà indietro dopo di me. Molti fratelli sono stati presi dal mareŠ.sono contento di avercela fatta, ma non voglio dimenticatami di loro. Leggo ogni giorno sure del Corano per loro." "Sei religioso? Mi meraviglia questoŠdicono che voi delle carrette (o come vi chiamano ora in Somalia tahrib) siate poco religiosi." "Non è sempre cosìŠci sono molti atei e che la guerra porta molta disillusione. Ma io sono un buon mussulmano, sorella. Ci sono momenti in cui solo Dio è stato vicino a me, non voglio essere ingrato, capisci?" "Capisco" e aggiunsi "In Italia come ti hanno trattato?" "Bene direi. Dove siamo sbarcati C'erano dei somali a fare domande e accanto a loro c'era la polizia italiana. Sono stati tutti molto gentili. Era molto diverso dalla Libia, lì eravamo il pollo da spennareŠ.non so se mi spiego. La gentilezza era verso i nostri soldi, non verso di noi." "E poi?" "Poi niente, mi hanno dato questo foglio e mi hanno detto Ciao. Sanno benissimo che noi non rimarremo in questo paeseŠforse per questo sono gentili. Non soŠ.ma in Italia sai non rimarrei comunque. È un bel paese, ma qui i rifugiati non hanno sussidio ed è difficile integrarsi a quanto mi dicono. Inoltre la comunità somala è molto diminuitaŠio voglio sposarmiŠper questo me ne devo andare." Il foglio di cui mi parla il ragazzo è un permesso di soggiorno provvisorio valido tre mesi, con una foto, un timbro e con su scritto "richiesta d'asilo negato". Penso che Yousuf non abbia tutti i torti, stare nell'Italia della Bossi-Fini non è facile. "E poi che hai fatto?" "Appena ho potuto sono venuto a Roma dalla zia. Da lì (Sicilia) siamo partiti in gruppo. I miei amici sono andati a dormire al consolato , io invece ho la zia" "Ora cosa vuoi?" "Ora voglio creare il mio futuro, voglio una moglie grassa, figli in quantità, e non voglio chiedere più il permesso per essere libero." "Ce la farai?" " Ci proverò!" Chiude lo zaino. Il rombo del motore della punto bordeaux della zia sancisce la fine dell'intervista. Gli stringo la mano. "In bocca a lupo fratello" riesco a dire senza troppa fantasia. Vorrei dire qualcosa di più intelligente, ma non mi viene in mente niente. Salgo sul mio motorino nero, lui invece nell'auto della zia direzione Stazione Termini. Metto in moto. Il giorno dopo sua zia mi dice "Ce l'ha fatta, sta ad Amsterdam". è già qualcosa penso. Mi rimetto a leggere il giornaleŠnuovi sbarchi, 34 disperati, 34 sognatori, 34 senza patria. La vita continua e anche la disperazione. Igiaba Scego
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