sulla tragedia di Lampedusa (un articolo di agosto)



Avventura di un giovane povero
Ossia in viaggio verso Occidente tra sogni, predoni e carrette del mare

Abbiamo scelto per questione di privacy di non rivelare il vero nome
dell'intervistato. Lo Yousuf usato nell'articolo è un nome fittizio.

"Yousuf è di là" mi dice lapidaria la signora velata.
"Hai meno di un ora per parlare con lui, tra un po' ha il treno" aggiunge.
Mi avvio. Ma poi la signora velata mi trattiene per un braccio, dal suo
viso appare tutta la disperazione di chi è dentro a una vera missione
impossibile. Mi guarda, fa per parlare, poi ci ripensa.
Mi lascia andare.
Ci ripensa di nuovo.
Mi trattiene in una morsa più stretta della precedente; mi duole il braccio.
Mi fissa come se mi vedesse per la prima volta e infine mi fa "Cara non
DEVE perdere il treno, ti prego". Poi mi da un fazzoletto intinto di
essenza di profumo e mi dice "Il ragazzo non si è lavato da mesi, la puzza
è diventata una sua seconda appendice. Non è colpa sua. Se le cose andranno
secondo il volere di Dio vedrai non puzzerà più".
Accetto volentieri il dono della vecchia signora e mi avvio-questa volta
per davvero- nella camera dove il ragazzo riposa. In realtà lui non riposa
affatto. Busso un paio di volte e al terzo tentativo una voce mi fa cenno
di entrare. Non è sdraiato sul letto come immaginavo, ma è inginocchiato
per terra intento a mettere apposto le sue poche cose.
"Queste me le ha comprate la zia." Mi dice senza tanti preamboli "Sai
mutande, camice, t-shirtsŠ.anche questi pantaloni." Mi mostra un paio di
jeans neri pece. "Io dalla Somalia non mi sono portato proprio nulla. Chi
fa come me, deve per forza viaggiare leggero".
Tiro fuori il fazzoletto intinto di profumo e me lo spiaccico sul naso.
Aspiro profumo come se fosse ossigeno vitale. La signora aveva ragione. Il
ragazzo puzza. Ma non si tratta solo di cattivo odore, è qualcosa di più
profondo. Qualcosa che è legato a doppio filo con la disperazione e
l'abbandono. È la puzza della dolore, mi dico.  Questo pensiero mi fa
vergognare di me stessa. Mi sento peggio di un Borghezio di periferia. Mi
chiedo: quale sarà la mia prossima mossa? Disinfetterò forse i sedili dei
treni dove i migranti si sono seduti? O mi inventerò qualche altra
diavoleria maligna?
Ripongo il fazzoletto in borsa. Non voglio tradire me stessa. Non voglio
vergognarmi di ciò che sono. Quel ragazzo ha coraggio, nessuno si dovrebbe
vergognare di lui. Prendo una sedia e mi avvicino. Noto con stupore che
l'odore quasi non si sente dopo qualche minuto. Forse perché ci si abitua
facilmente alla disperazione?
 Non ci presentiamo. Questi convenevoli sono inutili. Siamo sconosciuti, ma
una sorte di parentela tribale ci lega. Io conosco il suo albero
genealogico e lui il mio. Forse quello sarà il nostro primo e ultimo
incontro, ma i convenevoli di rito ci sembrano davvero banali. Inoltre
fanno perdere tempo e noi il tempo non lo possiamo proprio sprecare.
"Dove vai?" gli chiedo.
"Ora vado in Olanda, ma ecco in Olanda non ci voglio rimanere. Vorrei
andare in Svezia o al limite in Norvegia. Ora tutti noi che ci siamo
imbarcati nelle carrette ci dirigiamo lì. Questi paesi danno un sussidio e
una casa a noi rifugiati. E poi in questo periodo sono le uniche ad
accettare le richiesteŠse mi fossi mosso prima sarei potuto andare in
Inghilterra. Lì si che è una vera pacchia! Lì i somali stanno una
favolaŠgli danno una spinta per farcela da soli e poi voilà sono integrati.
Hanno un passaporto e possono viaggiare da una parte all'altra del mondo.
Se potessi viaggiare farei il commerciante, sai? Ho visto una tale quantità
di cose che potrei vendere, sapessiŠecco sarei proprio bravo come
commerciante".
Non ne dubito. Il ragazzo ha una parlantina veloce e sicura di se. Forse da
grande farà davvero il commerciante. Dopotutto a 20 anni è lecito sognare
un po'. E poi fare il commerciante non è impossibile come fare la rock
star, penso.
"Da dove sei partito?"
"Ma che domandeŠ.da Mogadiscio, no?"
"Hai ragione, è ovvio. Volevo sapere in realtà qual'è stato il tuo itinerario"
"Il mio itinerario sembrava non dovesse finire mai. Sono partito da casa e
poi con i pullman sono andato da Adis Abeba a Khartoum e da lì in Libia."
"Hai avuto paura?"
"All'inizio no. Da Mogadiscio ad Adis Abeba e poi da lì a Khartoum è  stato
divertente. Ho visto tante persone diverse, alcuni hanno il mio stesso
sogno e mi sono fatto anche tanti amici. Ma dal Sudan alla Libia beh si
rimpiange facilmente di essere in vita."
"È così difficile?" chiedo sgomenta io.
"Può diventarlo. Attraversare il Sahara non è facile. Non tutti ce la
fanno. Ti caricano in hajikamsin  pieni di viveri e acqua, ma di solito si
è in soprannumero rispetto alla capienza del mezzo e rispetto alle vivande
caricate. Lungo la strada può succedere di tutto. Per esempio un incidente
o anche dei furti"
"Rubano?" gridai io perplessa.
"Si, rubano e come se rubano! Mi hanno detto che nel deserto gira gente
poco raccomandabile che è ben felice di toglierti i due stracci che ti
porti dietro. Sono dei senza Dio"
Io penso che siano persone anche più disperate di quei disperati che
sognano l'occidente. Pensò che la globalizzazione sta producendo fenomeni
aberranti, ma non gli dico nulla, non voglio rovinare con una polemica
inutile il suo racconto.
"E tu hai visto qualcosa del genere?"
"No, Grazie a Dio. Però mio cugino Alì partito due mesi prima di me mi ha
raccontato cose raccapriccianti. Se si rimane senza mezzo e senza vivande
si diventa degli animali. Alì ha bevuto la sua urina. Pensa la sua
urinaŠ.che schifo! E mi ha detto che c'era chi non disdegnava la carne dei
compagni morti."
"Ma è orribile! Anche Alì ha fatto questo?"
"Lui dice di no, Šio gli voglio credere"
Voglio credergli anch'io ad Alì. Mi chiedo come si possa vivere col peso di
quella colpa involontaria.
"Quindi è filato tutto liscio per te?"
"Si"
"Ma con che soldi sei venuto fino a qua?"
"Grazie alla benevolenza dei miei parenti. Ne ho parecchi in Occidente, un
po' in Canada, un po' in Danimarca, un po' in Germania, un po' in Gran
Bretagna. Anche negli Stati Uniti e in Australia ho qualcuno. Sai cosa
hanno fatto?"
Lo immaginavo cosa avevano fatto, ma dissi lo stesso no, mi piaceva il suo
modo allegro di spiegare le calamità.
"Si sono sentiti via telefono e hanno fatto una colletta per me. E mi hanno
mandato i soldi con gli hawala , tanti soldi. "
"Quanti?"
"Circa 2500$"
"Così tanti?"
"I viaggi da una parte all'altra costano e poi in Libia ti pelano. Quelle
carrette immonde mica costano poco"
Lo sapevo, ma sentirlo dalla bocca di un ragazzo così giovane fa
impressione. Però il suo sorriso e la sua tenacia mi fanno sperare per il
suo futuro.
"E con che soldi andrai in Olanda, ora?"
"Io non ho niente, sarà la zia, che mi ospita ora, a pagare. Lei non ha
partecipato alla colletta perché c'era bisogno di qualcuno che sostenesse
la mia spesa qui nel caso ce l'avessi fatta a superare il deserto e il
mare."
Penso che i paesi disperati come la Somalia non avrebbero potuto vivere
senza la solidarietà comune. Dimenticati dal mondo cosiddetto civile la
Somalia ha trovato un modo per aiutarsi da sola. Chissà come mai un popolo
così intraprendente e pronto sempre a darsi una mano, non ha trovato la
strada per una pace stabile e duratura. Qual'è la maledizione che colpisce
la mia gente e quella di Yousuf? È un mistero insolubile, un mistero che
dura da 13 anni.
Inutile lambiccarsi il cervello. Continuo a parlare con il ragazzo.
"Arrivato in Libia che hai fatto?"
"Niente di particolare. Mi sono cercato degli agganci somali per
imbarcarmi. Passavo le giornate in Internet e le notti all'aperto. Poi mi
sono imbarcato"
"Il viaggio è stato difficile?"
"No, siamo stati fortunati. A capo della carretta era stato messo un curdoŠ"
"In che senso è stato messo un curdo?"
"Gli scafisti non vogliono farsi cogliere con  le mani nel sacco, quindi da
un po' non si imbarcano nelle carrette con noi. Sai cosa fanno? No? Beh
fanno un training di qualche giorno a uno di noi. Gli insegnano tutto. Come
condurre la nave e come farsi rispettare dagli altri. Al momento della
partenza danno al "capo" una bussola, gli augurano buona fortuna e gli
intimano di buttare la bussola appena sono in vista delle coste italiane.
Se qualcuno viene beccato con la bussola dagli italiani può essere
scambiato per scafista e passare un gran brutto momento. Il nostro curdo è
stato un mito! Giuro. I libici scelgono sempre o loro o qualche arabo per
condurre la nave. Noi africani siamo pessimi a condurre le carrette e non
parliamo dei somali."
"In che senso?"
"Nel senso che le poche volte che abbiamo condotto noi somali siamo finiti
fuori rottaŠ.a Malta addirittura. Quei poveracci hanno dovuto chiedere
asilo lì, pensa. Certo meglio che uno sputo in un occhio, però sono
contento del mio curdo!"
"Lo so te l'ho già chiesto, ma vorrei sapere se durante la traversata hai
avuto paura"
"Da morire! Non voglio dimenticare la gente che è rimasta indietro prima di
me e quella che rimarrà indietro dopo di me. Molti fratelli sono stati
presi dal mareŠ.sono contento di avercela fatta, ma non voglio
dimenticatami di loro. Leggo ogni giorno sure del Corano per loro."
"Sei religioso? Mi meraviglia questoŠdicono che voi delle carrette (o come
vi chiamano ora in Somalia tahrib) siate poco religiosi."
"Non è sempre cosìŠci sono molti atei e che la guerra porta molta
disillusione. Ma io sono un buon mussulmano, sorella. Ci sono momenti in
cui solo Dio è stato vicino a me, non voglio essere ingrato, capisci?"
"Capisco" e aggiunsi "In Italia come ti hanno trattato?"
"Bene direi. Dove siamo sbarcati C'erano dei somali a fare domande e
accanto a loro c'era la polizia italiana. Sono stati tutti molto gentili.
Era molto diverso dalla Libia, lì eravamo il pollo da spennareŠ.non so se
mi spiego. La gentilezza era verso i nostri soldi, non verso di noi."
"E poi?"
"Poi niente, mi hanno dato questo foglio e mi hanno detto Ciao. Sanno
benissimo che noi non rimarremo in questo paeseŠforse per questo sono
gentili. Non soŠ.ma in Italia sai non rimarrei comunque. È un bel paese, ma
qui i rifugiati non hanno sussidio ed è difficile integrarsi a quanto mi
dicono. Inoltre  la comunità somala è molto diminuitaŠio voglio
sposarmiŠper questo me ne devo andare."
Il foglio di cui mi parla il ragazzo è un permesso di soggiorno provvisorio
valido tre mesi, con una foto, un timbro e con su scritto "richiesta
d'asilo negato". Penso che Yousuf non abbia tutti i torti, stare
nell'Italia della Bossi-Fini non è facile.
"E poi che hai fatto?"
"Appena ho potuto sono venuto a Roma dalla zia. Da lì (Sicilia) siamo
partiti in gruppo. I miei amici sono andati a dormire al consolato , io
invece ho la zia"
"Ora cosa vuoi?"
"Ora voglio creare il mio futuro, voglio una moglie grassa, figli in
quantità, e non voglio chiedere più il permesso per essere libero."
"Ce la farai?"
" Ci proverò!"
Chiude lo zaino. Il rombo del motore della punto bordeaux della zia
sancisce la fine dell'intervista. Gli stringo la mano. "In bocca a lupo
fratello" riesco a dire senza troppa fantasia. Vorrei dire qualcosa di più
intelligente, ma non mi viene in mente niente.
Salgo sul mio motorino nero, lui invece nell'auto della zia direzione
Stazione Termini. Metto in moto.
Il giorno dopo sua zia mi dice "Ce l'ha fatta, sta ad Amsterdam".
è già qualcosa penso. Mi rimetto a leggere il giornaleŠnuovi sbarchi, 34
disperati, 34 sognatori, 34 senza patria. La vita continua e anche la
disperazione.
Igiaba Scego