5 validi motivi per non credere al black-out



Pubblicato da Il Domani del 15 Ottobre 2003

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5 validi motivi per non credere al black-out.
Nuove centrali e grandi affari sulle ali bruciate della Enron.



Nella teoria matematica del caos, il battito d'ali di una farfalla in Giappone può provocare un ciclone dall'altra parte del mondo; tra il 27 e il 28 settembre abbiamo solo assistito alla variante in cui un albero che cade in Svizzera getta nel panico 57 milioni di italiani.

1. Le normative degli Stati Europei sanciscono tali distanze minime di sicurezza (almeno 30m in altezza) da non consentire ad alcun albero di poter cadere su un qualsiasi traliccio. Forse la Svizzera non rispetta questi criteri di buon senso?

2. La liberalizzazione del mercato dell’energia aveva promesso grandi vantaggi per i consumatori: una pluralità di produttori, abbondanza di offerta energetica, tariffe più basse. Negli ultimi anni il costo dell’elettricità, in Europa e negli USA, è invece aumentato del 30%.

3. La liberalizzazione è stata sperimentata dall’88, dalla Thatcher in Inghilterra, e da G. Bush padre negli Usa, dal ’92. In “Democracy and regulation” (pubblicato dalle Nazioni Unite), Greg Palast racconta di come la Enron realizzò la speculazione sull’energia: furono i continui black-out a costringere lo Stato e quindi i contribuenti, a pagare qualsiasi cifra pur di mantenere le linee accese. Caso storico fu quello della California, che infatti, rifiutata la politica di Bush, dovette sottostare al ricatto di interruzioni programmate anche attraverso strategie non convenzionali. “…la Enron, si offrì di fornire 500 megawatt di elettricità su linee da 15 megawatt. Come versare una tanica di benzina in un ditale … le linee brucerebbero se si provasse”. Ricorda ancora il giornalista americano: “…Franklin Roosevelt creò la Federal Power Commission e la Public Utilities Holding Company Act nel 1933, legge che metteva sull’attenti le compagnie elettriche. Norme dettagliate limitavano i prezzi alla spesa effettiva, più un guadagno fissato dal governo. La legge vietava la compravendita di energia e obbligava le aziende a fare tutto alla luce del sole, sotto la minaccia dell’arresto, nessuna minaccia di black-out per aumentare i prezzi. La legge fissava esattamente la somma che si sarebbe dovuta spendere per assicurare che il sistema fosse in buono stato e che la corrente non andasse via. Cosa importantissima, Roosevelt proibì i contributi ai politici da parte delle aziende di pubblica utilità, nessun finanziamento diretto, nessun finanziamento indiretto, nessun finanziamento punto e basta”. La Enron, in corsa per rilevare anche una delle GenCos della nostra Enel, è poi crollata in poche settimane, distrutta da un management spregiudicato che truccava i bilanci aziendali. Finanziava 250 deputati USA, repubblicani e democratici ed era il principale sponsor della campagna presidenziale di G.Bush figlio. Il crollo è stato descritto dal “IlSole24ore” del 29-11-01 come "il più colossale crack della storia aziendale mondiale”. Oggi è un tabù nominarla. Il suo crack ha procurato anche il fallimento dei Fondi pensione per 15.000 lavoratori.

4. Wall Street e le Borse Europee scommettono di giorno sulla ricostruzione elettrica mentre di notte il black-out tiene sotto scacco un Paese di 57 milioni di abitanti. Svezia, Danimarca e il centro di Londra possono paralizzarsi in ogni momento, e 50 milioni di americani restano al buio per trentasei ore a Ferragosto!...non vi sembra strano?!

5. Il caso italiano. Marzano, ministro delle Attività produttive, propone per fermare il black-out una legge di riforma del settore con l’apertura di nuove centrali. L’Enel (Ministero delle Finanze) responsabile dell’inutilizzo di 22 mila Mw di potenza, la differenza tra gli impianti esistenti (77 mila Mw) e quelli utilizzati (55 mila Mw), sostiene contemporaneamente che “non conviene tenere aperti alcuni impianti perché i costi di manutenzione sarebbero troppo onerosi“ e che ”ci vogliono nuove centrali ma che l’Enel direttamente non può costruirle”. La Fiat si distingue nella corsa alle quote del mercato, e attraverso il consorzio Italenergia spa (di cui fanno parte anche i francesi di Edf, la Banca di Roma, San Paolo-Imi e Banca Intesa-Bci) controlla Montedison. L’Electricité de France (Edf) si è distinta invece nell’acquisto della società Edison. Nonostante la Direttiva Ue lo consenta solo dal 2008, ha aggirato l’ostacolo acquistando il 20% di Montedison per avere una fettina della torta del mercato dell’elettricità italiana. Ecc…Ecc…


Dunque, tirando le somme, forse, il nostro sistema sta ripercorrendo gli stessi errori fatti in passato. La giungla delle società operanti prima del ’62, anno di nascita dell’Enel, sembra tornata in auge. In Italia sono in corso guerre tra bande che scimmiottano le strategie di deregulation statunitensi; ma l’autostrada della qualità della vita non concilia il benessere di tutti con gli “interessi d’impresa” di pochissimi. L’International Energy Agency, dice che l’Italia possiede oltre 1.000 km², tra tetti e facciate di palazzi, da sfruttare attraverso pannelli fotovoltaici, per produrre complessivamente circa 127 Twh/ anno, che garantirebbero la copertura del 45% della domanda energetica nazionale o ne basterebbero ad esempio soli 12Km² per coprire il fabbisogno della regione Toscana. L’energia all'idrogeno sarà la grande rivoluzione economica e tecnologica del futuro. Lo sviluppo informatico e delle telecomunicazioni, associato al sistema distributivo decentralizzato e di cogenerazione costituirà un mix di tale potenza da riconfigurare radicalmente la natura delle relazioni umane. Ma in Italia, e forse anche altrove, nulla di significativo viene fatto in questa direzione, se non usare in modo strumentale il simbolo “dell’alberello caduto” per far credere che esista una divisione mediatica di schieramenti: chi, forte di una risoluzione pragmatica vuole nuove centrali e, chi, ecologista (albero=ecologista) difende l’ambiente e la salute delle persone parlando di energia pulita. Ma non c’è nessuna contrapposizione. L’energia pulita, senza rischi e senza scorie oggi è più che possibile.


Antonio Amorosi
Verdi di Bologna

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